mercoledì 31 maggio 2017

Recensione - La libreria degli amori inattesi

Dopo un mega-stop causa "troppo-lavoro-da-fare" continua la rubrica delle recensioni! Veramente avremmo dell'altro lavoro da fare, ma è bene distrarsi un attimino scrivendo qualcosa di divertente.
Il libro che recensiamo oggi è "La libreria degli amori inattesi", di Lucy Dillon. Si, signore e signori, dopo esserci catapultati nel romanzo distopico con Flawed, la nostra ultima lettura è un romanzo rosa.
No, signore e signori, non è banale, non è brutto e ce lo siamo goduti.
1. La trama: Per una volta non siamo in America, ma siamo in Inghilterra e si sente! Le nostre protagoniste sono due amiche, Anna e Michelle, due donne intelligenti, sveglie e molto diverse tra loro: Anna è una mamma dentro, ama la sua famiglia (è sposata con un uomo che ha avuto tre figlie dal suo matrimonio precedente) e le piacciono i libri e gli animali, Michelle invece è una sorta di genio del commercio, appassionata di arredamento e con un eccellente gusto estetico, ma che praticamente non tocca un libro e non vuole alcun animale in casa, nonostante sin da subito è chiaro che ci sa fare con le bestiole.
Michelle incontra Anna quando si trasferisce in questo paese sperduto inglese, Longhampton mi pare, e apre un negozio di articoli per la casa al posto di una vecchia pescheria; le due si incroceranno in un locale pet-friendly, dove Anna ha portato il suo cane (o meglio, quello della sua famiglia, e c'è una piccola differenza che vedremo dopo) Pongo, un dalmata che come tutti i dalmata è agitato e giocherellone.  
Qui le nostre protagoniste iniziano a conversare e, dopo un non indifferente salto temporale, le troviamo ancora amiche a condurre la loro vita.
Michelle vive con le sue tre figliastre, suo marito Phil e il cane, appunto Pongo, che faceva parte di quella famiglia da prima di lei. Michelle ha ottimi profitti, il suo negozio va alla grande, e quando la nostra spigliata eroina scopre che il negozio di libri di fronte al suo negozio di "chincaglierie" per la casa sta per chiudere, perché il proprietario è troppo anziano per mantenerlo aperto, pensa bene di affittare o acquistare quel locale per espandersi... ma il precedente proprietario fissa una condizione: per almeno un anno, il negozio di libri dovrà continuare a vendere libri, non potrà essere trasformato in un altro spaccio di articoli regalo e per la casa!
Così Michelle, dopo varie peripezie che non vi svelo perché, beh, spoiler, decide di accettare l'accordo e di nominare Anna, che ha un amore viscerale per i libri, direttrice della libreria, che verrà rinnovata!
Evviva, urrà urrà... ma i cani?
In realtà i cani, oltre a Pongo, ci sono, ma non è che hanno questa gran parte... soprattutto perché il cane più importante per la trama, Tavish, è un cane vecchissimo che fa davvero poco a parte starsene raggomitolato sotto il bancone della libreria, ma che comunque è assolutamente adorabile!
Quindi abbiamo Anna a capo della libreria e Michelle che sta realizzando il suo sogno di mettere le grinfie su un secondo locale per allargare la sua già fruttuosa attività, non è tutto perfetto? Eh no, perché le nostre due protagoniste stanno ancora combattendo: Michelle è in fuga dal suo appiccicoso, viscido ex che sembra desiderare a tutti i costi tornare con lei, appoggiato tra l'altro dalla sua famiglia, mentre Anna desidera avere un figlio tutto suo con Phil, che non sembra essere affatto pronto ad esaudire questo suo desiderio, il tutto contornato dalle vicende tragicomiche delle tre figliastre (di cui una desidera diventare una pop-star insieme al suo gruppo femminile, le Apricotz).
Ho del tutto dimenticato di menzionare il mio personaggio preferito, come è possibile? Rory, è scozzese ed è l'avvocato del signor Quentin, il vecchio proprietario della libreria, che dunque si occupa di tutte le scartoffie e degli accordi con i potenziali acquirenti del locale, ed è così che nasce una strana amicizia fra lui e Michelle, con tanto di cane (Tavish) condiviso. Lui è... lo so che non fa parte della trama, ma devo dirlo... fantastico. Mi piace cento volte di più di tutti quei ragazzini fighi dei libri young adult, è virile nel vero senso della parola, solido e gentile, forte, ed è anche un gran lettore. E ama i cani. E non vi spoilero niente, ma ad un certo punto... fa qualcosa che mi commuove assolutamente.
Levateve Edward Cullen e Hardin, l'uomo perfetto è un avvocato scozzese che ama i cani. E che non torcerebbe mai un solo capello ad una donna.
E sapete cosa è ancora più bello? Che in questo libro l'uomo, sebbene fantastico, non è la cosa su cui si impernia la trama, no! Sono le difficoltà di queste due donne, Anna e Michelle, che fa progredire la storia, e il loro modo di affrontarle che la rende fantastica.

2. La copertina: Accipicchia, ho acquistato questo libro per la copertina! Pensavo fosse un libro di cani. Per fortuna che l'ho pensato, perché è una lettura che vale la pena, nonostante non parli di cani. Però è fuorviante, troppo fuorviante, soprattutto con quella frase lì, quel
"Tienimi con te.
Solo io ti posso aiutare.
Scalderò il tuo cuore."

Che mi dava un'idea COMPLETAMENTE diversa di qual'era il tenore di questa storia. E invece niente, non è incentrata sul cane.
Tra l'altro il cucciolotto adorabile in copertina è uno yorkshire terrier (o un incrocio di yorkshire) mentre Tavish, il cane del bibliotecario (e di Michelle e di Rory) è uno scottish terrier, ovvero questo cane qui:

Per giunta è anziano. Quindi buuuh! Copertina, sei una mentitrice! Però sei così carina che ti perdono, dai.

3. Cosa mi è piaciuto: Tantissime cose! I personaggi sono molto vividi e ben caratterizzati, ad esempio. Una delle cose carinissime e originali era che i capitoli si aprivano con una breve recensione di libri fatta ogni volta da un personaggio diverso e che in qualche modo anticipavano quello che sarebbe successo nel capitolo senza però spoilerarlo! Mi è piaciuto che gli ambienti si descrivessero e che per una volta dire "la protagonista aveva un ottimo senso estetico" non si traducesse in vane parole, ma in una casa descritta così bene, seppure senza essere pesante, che mi sembrava di poterla vedere in fotografia.
Mi è piaciuto il modo in cui hanno parlato dell'amore, senza farlo sembrare banale e senza farlo sembrare ritrito, ma senza neppure dargli un'aura mistica. L'amore è l'amore. Ed è una cosa semplice e complicata insieme, ma che deve fluire da sé, senza strutture che lo blocchino.
Altro punto a favore del libro? Parlano tantissimo di letteratura per ragazzi! No, sul serio, i protagonisti hanno delle vere conversazioni su libri come Anna dai Capelli Rossi o Piccole Donne. Una perla.
E il tutto, l'intera trama, è una realisticissima avventura di tutti i giorni, ogni passo una piccola sfida, capace di farti sentire triste o felice per la sorte dei personaggi.
Mi ripropongo di leggere più libri di Lucy Dillon.

4. Cosa non mi è piaciuto: La mancanza di più cani. Sul serio, questo romanzo avrebbe sfiorato la perfezione del genere rosa se solo ci fossero stati davvero più cani. Inoltre mi sarebbe piaciuto se avessero parlato anche di qualche romanzo più recente... in realtà si accennano sia Harry Potter che Twilight, ma molto brevemente (e fra l'altro Edward Cullen viene glorificato come sorta di gran fidanzato perfetto... nello stesso universo in cui esiste Rory? NO WAY! XD)... però questa è una cosa mia, è perfettamente naturale che personaggi adulti parlino di vecchi libri, non posso assolutamente pretendere che parlino di tutta la letteratura in circolazione.
Ah, e poi non mi è piaciuto Phil, il marito di Anna. È... poco comunicativo e molto "uomo" nel senso di stereotipo del marito, che non capisce quanto Anna faccia per la casa. È un bravo ragazzo, ma anche uno dei personaggi che ho amato di meno. Ok, non l'ho amato affatto, contenti? Contenti. Magari è anche colpa dell'empatia folle che provavo per Anna, ma in alcuni punti ero proprio arrabbiata con Phil. 
E poi il finale. Si conclude in maniera un pò... mozza. Avrei voluto vedere come andavano le cose dopo i gesti che le hanno "aggiustate", dopo quegli attimi strappalacrime che sono il culmine del libro... volevo vedere le vite delle protagoniste, anche se solo per qualche pagina, felici e realizzate, ma purtroppo, ahimé, non mi è stato concesso. *lacrimuccia solitaria scende lungo la guancia*

Voto complessivo: 78 su 100. Complimenti, hai ottimamente passato il test! E questo è anche il voto più alto che possa immaginare per un romanzo rosa. Fino ad oggi, poi... si vedrà.
 (Sto iniziando a pensare che un giorno o l'altro dovrei recensire Twilight... il punto "cosa non mi è piaciuto" sarebbe lungo due pagine, però almeno potrei finalmente dare ad un romanzo un voto sotto il 50).

A chi lo consiglio? Stavolta non dico "un po' a tutti" perché non è un libro per tutti, è un bel romanzo rosa, con una storia molto armoniosa, ma è appunto per appassionati di libri rosa. Non escludo che chiunque possa apprezzarlo, ma se vi piace l'azione potreste desiderare di riempire il vostro tempo con ben altre letture ;)

 Dove potete comprare il libro? Beh, innanzitutto potete acquistarlo nelle librerie (e ha una copertina così pucciosa che potreste desiderare di esporla), ma se volete una copia ebook io ho acquistato la mia QUI sulla piattaforma Kobo. Lo potete comprare anche su amazon QUI (e c'è anche la versione cartacea, yuppy yay!)

Fateci sapere che cosa ne pensate del libro! Siete d'accordo con noi su tutto o siamo stati troppo indulgenti? E alla prossima recensione!
Ps. Suggeriteci libri da recensire che vi piacciono! (Meglio se sono gratis, che siamo senza soldi. Ma accettiamo di tutto).


sabato 20 maggio 2017

Quella giostra laggiù

Oggi vi proponiamo un racconto, facente parte del Cammino delle Leggende, che abbiamo scritto nel 2013 per un contest di ArteScritta, con il tema "dalle immagini alle parole", in cui dovevamo scrivere un racconto ispirandoci a questa immagine:


Ecco cosa ne è nato:

Quella giostra laggiù

«Vedi quella giostra laggiù?» Chiese Francesca, indicando una struttura lontana, che si ergeva in mezzo al cemento come una sorta di statua, un monolito in movimento con lucine disposte a file.
Il ragazzino, capelli neri sistemati con il gel e tredici anni di “scavezzacollagine” pura, annuì, gli occhi stretti in due fessure
«Si, certo» rispose, stringendosi un po' nelle spalle «Che cosa devo fare?».
Tutto era iniziato quando lei gli aveva generosamente sganciato trenta euro.
Il ragazzo l'aveva vista avvicinarsi, una giovane donna con i capelli castani tagliati corti, un po' spettinati, e aveva pensato che era strana, un sentimento che si era accresciuto quando lei gli aveva domandato di salire su un'attrazione, su una giostra, sotto il compenso di trenta euro in contanti e in anticipo, a patto di non fare domande sul perché lei glielo stesse chiedendo.
Ovviamente lui aveva accettato e lei aveva preso a spiegargli...
«Beh, quello che devi fare è facile: trova un compagno che ti aiuti e arraffa il premio sulla giostra. Poi portalo a me. Se riesci ad arraffarlo, beh, avrai altri dieci euro».
Sembrava facile ed è sempre meglio raccogliere le sfide facili. Il ragazzo annuì
«Ho un amico. Le prendiamo il premio, signorina» disse, gonfiando il petto
«Bene. Come ti chiami?»
«Francesco»
«Incredibile quanti “Franceschi” riesco ad incontrare... anche mio fratello si chiama così. Anche io mi chiamo Francesca».
Il ragazzino pensò che era davvero strano che la donna e suo fratello avessero lo stesso nome. Stava mentendo, doveva essere per forza così. Però era meglio non fare domande, se qualcuno ti sganciava dei soldi in cambio di un lavoretto facile, così si allontanò e raggiunse il suo amico Giuseppe, un ragazzetto smilzo, biondo, ricciolino.
«Ohè, Ciccio, che voleva quella?»
«Mi ha dato trenta euro» rispose euforico Francesco, sollevando le banconote e infilandosele poi subito dopo in tasca, come per proteggere il suo tesoro «Darà dieci euro anche a te se riusciamo a portarle il premio del calcinculo»
«Fai sul serio?»
«Non dovresti chiederlo a me, ma a quella lì. Comunque a me li ha dati...»
«Mizzica, andiamo, no?»
«Però ce la dobbiamo fare»
«E che ci vuole? Quella lì ha occhio... noi glielo prendiamo sicuro, quel coso»
«Lo so» Francesco prese a camminare verso la cabina del bigliettaio «Glielo prendiamo sicuro e ci guadagniamo pure»
«Secondo te, perché lo vuole?»
«Boh»
«E non ti interessa neanche un poco?»
«Mia sorella dice che la curiosità è per le femmine» rispose seccamente Francesco «Noi ragazzi, dai, pensiamo a fare la grana»
«Non credo che tua sorella abbia ragione...» iniziò a dire Giuseppe, ma ammutolì quando si ritrovarono di fronte alla cabina del bigliettaio, quel parallelepipedo che era l'unico ostacolo fra una qualunque giostra e un qualunque bambino.
La cabina era una struttura di legno e metallo, verniciata di rosso brillante e decorata sulle fiancate con disegni di pupazzetti che ricordavano solo vagamente quelli di cartoni animati esistenti, sempre ammesso che un pikachu possa essere verde o che esistesse un qualche robot bicefalo giallo e blu in una qualunque serie per bambini.
Il bigliettaio se ne stava con un gomito appoggiato al ripiano della cabina e il mento sul palmo della mano, osservando verso il basso con aria vagamente interessata. Aveva un po' di baffi, la barba, i capelli lunghissimi, neri come catrame, ricci, e strani occhi penetranti, di un colore che, pensò Francesco, doveva essere una sfumatura di castano così chiara da sembrare rossa nello strano gioco di luce riflessa dentro il gabbiotto.
«Quanti biglietti?» Domandò l'uomo, con voce divertita e vibrante
«Due» rispose il ragazzo, alzando due dita e porgendo contemporaneamente con l'altra mano venti euro.
L'uomo con i capelli lunghi non prese i soldi, ma spinse due biglietti rosa, decorati con un semplice rettangolo nero e qualche parola, verso i ragazzini
«Buona fortuna» sibilò, ingobbendosi un pò.
Francesco prese quello che gli veniva dato e poi mise ancora avanti la banconota. Il bigliettaio scosse la testa
«Pagherete dopo» disse, e sembrò sottintendere qualcosa, marcando il tono sulla parola “dopo”.
I due ragazzi si diressero alla giostra, un'installazione composta da un grosso corpo centrale, bianco e brillante come se fosse smaltato, e decorato nella parte più alta da quattro file di luci di colori diverse. Intorno al corpo centrale pendevano seggiolini colorati di rosso, blu, nero e giallo.
Non era una bella giostra, pensava Giuseppe, era solo una “cosona brutta”, mascherata da cosa allegra perchè aveva appena qualche luce e seggiolini colorati, ma non c'erano statue, né pupazzi, né decori. Era orribile.
Per Francesco, invece, la giostra era qualcosa di molto grazioso, di molto semplice, e soprattutto di divertente: era una sorta di tradizione, per lui e i suoi amici, cercare di catturare la roba che appendevano in cima alla giostra e si erano allenati duramente per avere quasi il cento percento delle probabilità di farcela.
C'era un tizio impomatato, panciuto, che controllava che tutti i bambini avessero in mano un biglietto. Per fortuna, Francesco e Giuseppe non avevano problemi: salirono, si sistemarono per bene con le gambe infilate sotto la sbarra d'acciaio dei seggiolini, e la giostra cominciò a girare. Girava troppo lentamente, pensarono, era una di quelle giostrine da quattro soldi per poppanti.
Poi il movimento accelerò, in modo quasi improvviso. I seggiolini cominciarono, per effetto della forza centrifuga, ad essere un po' più inclinati, spinti verso l'esterno.
Francesco alzò lo sguardo e lo vide, mentre passava rapidamente sotto di esso: il premio era un pupazzetto veramente orribile, tutto bianco e con una testona rotonda decorata da due bottoni blu che dovevano essere gli occhi e da un ciuffetto rudimentale di peli rossastri che somigliavano solo vagamente a dei capelli. Il pupazzetto era completamente nudo e né piedi né mani avevano dita, ma c'era una specie di pietra incastonata nella sua pancia.
Giuseppe parlò rapidamente
«Allora, quando sei pronto io vado...»
«Vai!» strillò Francesco, appena, durante il terzo giro, iniziarono ad avvicinarsi al pupazzo.
Le gambette di Giuseppe scattarono come due molle, colpendo la parte inferiore del seggiolino di Francesco e facendolo schizzare in aria, con le braccia protese, tutto il corpo proteso, nella sensazione di volare per un istante. Nel corpo di un ragazzino, quella era libertà pura, un istante dilatato nel tempo, un'ascesa come quella di un uccello, altissima, che sarebbe stata seguita da una caduta vertiginosa.
Se si fosse sporto un altro po', Francesco sarebbe sgusciato via dalla sbarra e avrebbe rischiato di essere catapultato fuori dal seggiolino, ma non fu così perchè le sue dita raggiunsero il brutto pupazzo bianco prima che accadesse l'irreparabile.
Con una velocità che avrebbe fatto salire il cuore in gola a chi non fosse stato abituato, il seggiolino ricadde e continuò a girare, sempre più rapidamente.
«Ce l'ho fatta!» Gridò Francesco, mostrando il premio al ragazzo dietro di lui, che sollevò entrambi i pollici in un gesto di apprezzamento, senza però dire nulla.
Quando entrambi scesero, l'uomo impomatato e panciuto disse loro che avevano vinto un altro giro, ma i bambini declinarono gentilmente l'offerta: loro non erano lì per il divertimento, ma per i soldi, che poi erano la loro personale idea di divertimento.
Francesco individuò subito la ragazza dai capelli corti in mezzo alla folla, perchè lei lo stava fissando e se ne stava lì, con le braccia incrociate e le gambe un po' divaricate. Forse era un po' folle, o forse era solo molto ricca, ma a lui non importava granchè, adesso.
«Eccolo qui» Disse, avvicinandosi a passi lunghi per quanto lo permettevano le sue corte gambette di preadolescente «Preso il pupazzo. E ora, signora, cioè, avevate detto che...»
«Dieci euro» lo precedette Francesca, tirando fuori il portafoglio da una tasca «Lo so. Ringrazia anche il tuo amico da parte mia».
Prima di darle il regalo, scambiandolo per la banconota, il ragazzino esitò per un istante per osservarlo meglio. La pietra che spuntava come una sorta di grottesco ombelico dalla pancia bianca del giocattolo era di colore blu, levigata, e sembrava vagamente luminosa. Forse, anzi probabilmente, aveva un qualche tipo di valore monetario, ma Francesco non era una persona che si tirava indietro dopo aver fatto un patto, così consegnò il pupazzo alla giovane donna.
Francesca lo prese senza affrettarsi, neanche lo guardò, come se non fosse importante.
«Buona giornata» Disse, facendo un cenno ai due bambini e allontanandosi poi in mezzo alla folla di gente senza voltarsi neppure una volta indietrò.
«Però» Commentò soltanto Giuseppe, sfregandosi un ginocchio che gli prudeva «Ce li ha dati davvero»
«Si»
«Si. Si e basta?»
«Si e basta» borbottò Francesco.
Gli sembrava tutto molto strano, ma voleva toglierselo dalla testa. Aveva la strana impressione di aver appena venduto uno zaffiro per trenta euro e una corsa gratis ad un calcinculo, il che non era esattamente quello che si può definire un grande affare, ma era certo meglio di niente.
«Ahò, a che pensi?» Gli domandò Giuseppe, prendendolo per il gomito
«Niente, niente»
«Andiamo a comprarci il gelato?»
«Non lo voglio, il gelato. Voglio cose da masticare»
«Ti prendi qualche pasta...»
«Non le voglio, le paste» sbottò Francesco «Voglio l'hot dog o la pizza»
«Che pizza e pizza? Si schiatta di caldo, muori con la pizza»
«E voglio morire, ma voglio la pizza»
«Vabbè, quando sei morto poi non ti lamentare da me, che sennò ti riammazzo, giuro».
I due iniziarono a ridere, poi si diressero verso il più vicino bar, ma furono fermati da un uomo, anzi, per essere più precisi, l'uomo che aveva regalato loro i biglietti.
«Bambini» Disse, avvicinandosi con un passo lungo e rapido, un sorriso ampio e brillante sotto i baffoni neri «Bambini...».
Francesco ricordò cosa aveva detto quell'uomo: “pagherete dopo”. O qualcosa del genere. Perciò ora voleva i suoi soldi, ma no, non poteva volerli, perchè loro avevano comunque vinto un giro gratis...
«Si, signore?» Domandò Giuseppe, parlando prima che Francesco avesse anche solo tempo di pensare che cosa rispondere
«Dov'è il pupazzo che avete preso?»
«Lo abbiamo dato ad una signorina che ce l'aveva chiesto. Ce lo ha pagato»
«E così lo avete dato via...» il sorriso di quell'uomo si fece in qualche modo pericoloso, si strinse appena, ma divenne più duro
«Si, signore»
«Non avreste dovuto. Non si vendono i propri premi»
«Senza offesa, ma era solo uno stupido pupazzo, signore»
«E ora dovrò trovare un modo per contendermi quello stupido pupazzo con lei. Certo, le ho promesso di giocare pulito, bambini, e ho giocato pulito: non ho interferito in nessun modo con la sfida. Vi ho persino aiutati. E avete vinto la sfida. Lei ha vinto la sfida. Ma ho promesso a lei, non a voi, di non interferire. E ora sono arrabbiato»
«Non capisco cosa intende, signore...»
«Intendo che voi avete preso qualcosa di mio, ma che ci sono delle regole e non potevo impedirvelo. Ma ora sono terribilmente arrabbiato con voi»
«Beh, signore, senza offesa di nuovo, però, sa, lei non ci aveva detto niente di tutto questo»
«Non mi interessa. Volete porre rimedio a quello che avete fatto?»
«Si, certo»
«No» disse Francesco, stringendo i denti «No, signore. Non abbiamo fatto nulla di male e non si deve immischiare. Lei non ci ha detto niente, non sapevamo niente, perciò abbiamo fatto tutto in regola»
«La legge non ammette ignoranza, bambino» il tono duro dell'uomo colpì il ragazzo come un pugno, facendogli letteralmente male, una scarica di dolore che partì dalle sue orecchie ed arrivò fino ai gomiti, intenso.
Francesco tremò, me non disse nulla, non si lamentò. Drizzò la schiena, sentì l'adrenalina scorrergli nelle vene, si voltò e fuggì, correndo più veloce possibile sulle sue corte gambe di tredicenne per allontanarsi da quell'uomo pazzo che voleva qualcosa da lui. Sentì alle sue spalle uno scalpiccio rapido e leggero e seppe che Giuseppe lo stava seguendo.
I due corsero finchè non si furono allontanati dal centro della città, nei pressi di una fontana alla quel potessero bere, stanchi.
«Chi cazzo era quello?» Domandò Giuseppe, aggrappato al tubo dell'acqua «Mi ha spaventato, ti giuro, mi ha spaventato»
«Boh» rispose Francesco, sedendosi per terra «Quello dei biglietti. Io non lo conosco, mai visto prima. Me la ricorderei quella faccia»
«Sembrava un drogato, aveva la parte sotto gli occhi scura e poi gli occhi rossi e i capelli lunghi...»
«L'ho visto pure io»
«Non dovrebbero fare lavorare quelli come lui»
«Bah»
«Era disgustoso. Puzzava come... come un pezzo di carne... come una cosa morta».
Di questo, Francesco non se n'era accorto, pensava che fosse qualcosa nell'aria, il negozio del macellaio, l'odore pesante della frittura delle bancarelle, qualcos'altro. Un uomo doveva essere davvero poco curato per avere quell'odore.
«Sono disgustoso?» Domandò una voce profonda, divertita.
Francesco e Giuseppe spalancarono gli occhi, scattando in piedi. L'uomo era comparso letteralmente dal nulla, si era tolto la giacca con un solo gesto fluido e ora ne mostrava l'interno, ricoperto di coltelli assicurati con legacci di differenti materiali e fibbie metalliche.
«Cosa volete?» piagnucolò Giuseppe «Faremo quello che volete... qualunque cosa...»
«Qualunque cosa?» il bigliettaio sorrise, piegando un po' la testa e infilandosi di nuovo la giacca, come se non fosse successo niente «Davvero qualunque?»
«Si, signore, si!»
«Bene» Vlad si tolse un paio di coltelli dalla giacca «Dovete uccidere un uomo per me»
«Uccidere un uomo?» Domandò Francesco, scioccato da quella richiesta «Perché non lo fa lei?»
«Guardami? Ti sembro uno che ucciderebbe un uomo?»
«Si, signore» rispose il ragazzino moro, senza pensarci
«Bene. Hai intuito, bambino. Ma come ho detto, ci sono delle regole e io non posso uccidere quest'uomo»
«Sta mentendo»
«Cosa?»
«Ho detto che sta mentendo. Sta dicendo una bugia, signore»
«Non mi piace che mi si dia del bugiardo» scattò il bigliettaio, sollevando il labbro superiore in una smorfia che mostrò i canini
«Che fai, Francesco?» piagnucolò Giuseppe, afferrando un braccio del suo compagno di giochi
«Che faccio?» ringhiò il moretto, socchiudendo gli occhi «Faccio quello che devo fare»
«Ti ucciderò, ragazzo. Ti ucciderò, lo sai questo, vero?»
«Si, signore. Lo so, signore».
Giuseppe, impietrito e con la bocca aperta, lasciò andare il braccio di Francesco. Non capiva, semplicemente non riusciva a concepire, che quello che stava succedendo fosse reale.
«Ma non ho colpe, signore» Disse il ragazzetto moro, avanzando di un passo «Ucciderete un innocente»
«Lo so» disse il bigliettaio, annuendo solennemente
«Aspettate! Fermo! Chiamerò la polizia!» urlò Giuseppe, pronto a voltarsi per scappare.
Quello che Francesco sentì fu un ringhio animalesco, che somigliava al ruggito di una tigre, ma affievolito, poi qualcosa gli schizzò la faccia. Con mano tremante, si toccò una guancia.
"Oh Mio Dio. Oh."
Le dita che si portò di fronte agli occhi erano arrossate sui polpastrelli, scarlatte di sangue.
Francesco non voleva guardare, non voleva sapere in quanti pezzi era stato spaccato il suo amico che, al contrario di lui, non sapeva di stare per morire. Una paura cieca, infinita, impossibile, gli divorò il cuore. Il bigliettaio, con i suoi occhi del colore delle fiamme morenti, si abbassò a guardarlo negli occhi. Aveva la faccia, il mento e la bocca, sporchi di sangue, sorrideva.
«Ucciderai per me?» Domandò.
Francesco non aveva altra scelta. Annuì lentamente, tremando. Poi svenne, cadendo fra le braccia già tese del mostro.
Il bigliettaio si erse in tutta la sua statura, non molta a dire il vero, e si avviò verso una zona d'ombra: odiava quel maledetto sole che gli bruciava la pelle. Non era più facile come un tempo essere un vampiro e trovare i propri seguaci, ma per lui... beh, lui era diverso. Un tempo, però, i bambini erano diversi. Ora erano diventati dei mostri peggiori di lui, solo con il tempo riuscivano a redimersi, diventando adulti sopprimevano il loro istinto, la loro propensione ad arraffare, a rubare, fare del male, uccidere.
«No» Disse qualcuno alle spalle del bigliettaio, una voce maschile da tenore «Lascia andare il bambino. Lo sai che vuoi me, non lui».
Il vampiro tirò su aria con il naso, anche se respirare non gli serviva a nulla, era solo un gesto umano, un gesto che lo calmava. Non si girò, parlò piano
«Voglio lui. Lo voglio nelle mie schiere, è... grazioso... non ho dei bambini nelle mie schiere da almeno un centinaio di anni»
«Hai sparpagliato l'altro ovunque, è disgustoso. Lo ritroveranno. Ti daranno la caccia»
«Non ho paura. Non ho mai paura. E non mi importa che sia disgustoso»
«Stai mentendo»
«Tu lo sai, vero. Sei un esperto di “persone che stanno mentendo”»
«Non mi sembra il momento» la voce dell'uomo sconosciuto si alzò di un paio di toni, divenne quasi isterica
«A me sembra il momento, invece. Questo è il momento giusto»
«Perchè non mi guardi in faccia?»
«Non mi piace, la tua faccia. E a te non piace la mia. Perchè dovrei voltarmi e guardarla? Perchè dovrei costringerti a vedere la mia, la mia faccia da assassino?».
Parve per un paio di istanti che l'altro uomo non avesse idea di cosa dire, di come rispondere. Ma rispose, lo fece a bassa voce, lo fece con rabbia, con intensità
«Come potrei odiarti, se non vedessi la tua faccia da assassino?».
Il vampiro sorrise, le sue guance si allargarono piano, i denti robusti in mostra. Poi il sorriso si richiuse, di colpo.
«Vuoi vedermi, vuoi odiarmi. Vuoi assaporare la tua rabbia di piccolo uomo tradito»
«Hai preso la mia vita» sussurrò l'altro
«Si, l'ho fatto. Ho preso la tua vita un lavoro dopo l'altro, ti ho allontanato gli amici, il denaro, l'amore»
«Perché?»
«Perché sei insignificante. Ecco perchè non mi giro a guardare la tua faccia. Questa è la verità: sei insignificante. Sei inutile per questo mondo, molti sono come te, non sei solo. Sei bestiame, io sono il tuo predatore. Ma non voglio ucciderti, perchè non ho fame e perchè so che sei insipido. Quelli come te lo sono sempre. Insipidi»
«Vorresti farmi piangere?»
«Si. Vorrei sentirti piangere»
«Metti giù quel bambino. Sei solo un pazzo. Uccidi me, lascia stare lui. So che sei frustrato, anche se non so per cosa»
«La tua voce è patetica» constatò il vampiro, divertito, irrigidendo un po' i muscoli delle spalle  
«Metti giù quel bambino»
«E so che prima o poi ti metterai a piangere»
«Mettilo giù. Lascialo per terra e vattene»
«So che cosa sei, so tutto di te, tutto della tua vita...»
«Quello è solo un bambino, lascialo stare e va via, non voltarti indietro»
«...Conosco ogni patetico lavoro che hai fatto, ogni ufficio sulle cui scrivanie pulite hai messo carte compilate, firmate, timbrate, ogni stupido mobile ikea che hai montato, ogni valigetta piena di esempi dimostrativi che hai trasportato di casa in casa. Impiegato, rappresentante, commesso. Conosco ogni patetico lavoretto che hai fatto»
«E allora, se sono così patetico, perchè proprio io?»
«Perchè avevi quel posto da bigliettaio che io volevo. Ecco perchè»
«No. Non è così. Tu hai preso tutti i miei lavori. Tutti. Arrivavi tu, splendido, eccentrico, con il tuo sguardo magnetico. Prendevi il mio posto. Mi hai distrutto la vita»
«Lo so. Ma è stato solo... solo il caso. Per qualche strano motivo, tu eri ovunque io volessi essere, avevi tutti i lavori che a me servivano ed eri abbastanza patetico da poter essere scacciato»
«Guardami in faccia, quando mi parli!»
«Sputi parole come una ragazzina ferita»
«Sei un mostro»
«Lo so. Amo esserlo, lo amo moltissimo»
«Che cosa vuoi in cambio della vita del bambino?».
Il vampiro si girò a guardare in faccia l'altro uomo. Era un ometto basso, normale, con una camicia abbottonata fino all'ultimo bottone, il collo coperto, pantaloni a vita alta e cintura di pelle bruna, occhiali rotondi da miope, inforcati su un naso appuntito. Capelli anni cinquanta, castani, quelli ben pettinati con la riga da un lato. Occhi lucidi. Pugni stretti. Una pistola sollevata verso di lui.
«Non puoi uccidermi con quella»
«Lo so. Non avrei aspettato, altrimenti»
«Giusto. Niente esitazione, colletto bianco».
Un proiettile colpì il vampiro nel mezzo della testa, il sangue colò lentamente, molto lentamente, a bagnare le sue sopracciglia nere come carbone. Il ferito sorrise, ignorando completamente il foro che aveva al centro della fronte
«Che bello, vero? Molto bello» mormorò «Il sangue è come rubino liquido...»
«Cosa vuoi, per lasciare libero il bambino?»
«Hai una sola possibilità. Una, non te ne do di più. Sai, è perchè mi piace giocare, come quel tale... Saw l'enigmista... Sono il tuo Jigsaw. Devi prendere il pupazzo di quella giostrina che c'è in piazza, il calcinculo, che nome ridicolo... non mi interessa come trovi un compagno per farti aiutare. Devi prenderlo senza pagarlo, devi acchiapparlo come hanno fatto questi due ragazzini: paghi il biglietto, sali su quei seggiolini, prendi il pupazzo facendoti prendere a calci nel didietro. Se ce la fai, al primo colpo, io ti lascio vivere e lascio vivere il bambino. In caso contrario... entrambi sarete miei. Una sola possibilità, un solo colpo. Accetti?»
«Accetto» rispose senza esitare l'uomo «Ma tu prenderai la pistola»
«Perchè?»
«Perchè io non ho idea di come farla sparire in modo convincente. E perchè tu non hai comunque bisogno di spararmi, per uccidermi»
«Logico».
Dieci minuti dopo, il terreno era pulito. I resti di Giuseppe, ragazzetto scavezzacollo che aveva girato su più giostre di qualunque altro ragazzino, che aveva mangiato gelati e pizze e hot dog, erano stati portati via, divorati, spolpati, ridotti ad un nulla, triturati, distrutti. Nessuno li avrebbe ritrovati mai, una famiglia sarebbe stata gettata nello sconforto, nell'ansia, nella paura.
Il vampiro e l'impiegato si ritrovarono di fronte alla giostra, poco dopo, fianco a fianco a guardare la struttura rotante che sembrava emergere dal cemento. Ora, all'impiegato, quella cosa sembrava un idolo decorato da lucine che esigeva un tributo di sangue umano.
«Un solo tentativo» Mormorò il vampiro, alzando un dito.
L'impiegato non disse nulla, non annuì neppure, chiuse un pugno solo. Non sapeva quante possibilità avesse di vincere, ma non dovevano essere molte.
La morte o la vita in una giostra.
«Dov'è il bambino?» Domandò l'impiegato, aggiustandosi il colletto
«Quale bambino?»
«Il ragazzo castano per cui stiamo facendo questo gioco»
«Ah, la posta in gioco... beh, il nostro premio è chiuso in un bel posto sicuro. Come in quei giochi a premi, in cui tutte le risposte sono sigillate in delle buste grosse e colorate»
«Voglio essere sicuro che lo libererai»
«Hai la mia parola, colletto bianco»
«Quanto vale, la tua parola?»
«Vale quattro volte più di qualunque garanzia tu mi possa offrire. Vale più della tua vita, più di tua madre, di tuo padre, più dei figli che potresti avere ma che non avrai mai. Sei un fallito. Vediamo se riesci ad azzeccarne una, nella tua vita».
L'impiegato si voltò di scatto e afferrò per la gola il vampiro, il quale non si aspettava minimamente una reazione del genere. La gente allarmata si fermò a guardarli, solo ad alcuni bambini, troppo attirarti dalle giostre, quei due non interessavano.
«Oh, ardito...» Disse ad alta voce il vampiro, con la voce strozzata «...Cosa vorresti fare, uccidermi?»
«Stammi a sentire, pezzo di carne morta, non sono quello che credi»
«Si che lo sei. E ti stai tirando indietro»
«Non lo sto facendo. Smettila. Non so quanto vale la tua parola, ma posso giurarti che se vinco e non mi ridai il bambino, io ti brucio».
Il vampiro sorrise. L'impiegato lo lasciò, si sistemò la camicia e si avvicinò al gabbiotto del bigliettaio. Un gabbiotto vuoto. Un gabbiotto pieno, con il vampiro che l'aveva già riempito e porgeva i biglietti con fare affabile
«Ecco a lei signore!»
«Può spararsi...»
«Non servirebbe a niente, signore. Senza offesa per la sua splendida idea».
Trovare un compagno. Trovarlo adesso. L'impiegato, con due soli pezzi di carta rosa in mano, si guardava intorno. Avrebbe offerto del denaro ad un ragazzo che avesse la forza necessaria per spingerlo fino alla stupida coda di peluche striata, come quella di un procione, che era il nuovo premio appeso... la odiava, la odiava come non aveva odiato mai nulla in vita sua, e la odiava perchè non era ancora nelle sue mani.
Il vampiro sorrideva, il gomito appoggiato sul davanzale della finestrella, i capelli che gli coprivano un occhio.
L'impiegato adocchiò un ragazzo, forse diciassettenne, spolverata di brufoli sul mento, capelli cortissimi, slanciato, braccia e gambe forti. Era lui, lui era l'unica possibilità vivente di salvare due vita umane altrimenti destinate a diventare qualcos'altro, qualcosa che avrebbe a sua volta distrutto altre vite.
L'impiegato si avvicinò a lui, lo pregò di aiutarlo con la scusa che il suo bambino voleva quel premio. Il ragazzo, Luciano si chiamava, acconsentì ridendo e si offrì di salire nel seggiolino davanti, imbarazzato dall'idea di spingere quel signore sconosciuto e ben vestito che gli aveva offerto un giro gratis. L'impiegato rifiutò categoricamente, si diresse verso la giostra e vi salì, cercando di stringersi come poteva nel seggiolino, rimproverandosi del grasso sui fianchi, rimproverandosi ogni stupida ciambella e salsiccia della sua vita.
Luciano, snello, forte e alto come un dio adolescente, praticamente saltò dentro la seduta della giostra e parve quasi fondersi con essa, come se fosse stata studiata da un esperto di ergonomica per adattarsi alla curva della sua schiena e alla lunghezza delle sue gambe, anche se erano quattro stupidi pezzi di plastica, legno e ferro scomodi.
Il giro cominciò.
«Un solo tentativo» Disse ad alta voce l'impiegato «Ti prego, fa che funzioni»
«Come, signore?»
«Abbiamo un solo tentativo» confessò l'uomo.
Luciano scosse la testa
«Come?».
La giostra iniziò ad accelerare. Passarono sotto il giocattolo una, due, tre volte. Il vampiro li guardava, gli occhi socchiusi, divertito dal fatto che tutto dipendesse da una cosa così stupida.
«Quando vuole, signore!» Esclamò Luciano «Prima di finire il giro, magari».
L'impiegato si riscosse, la fronte imperlata di sudore, le mani dolenti di tensione. Un solo tentativo. Il tempo si dilatò. Le luci scagliavano i loro lenti flash decorativi come lampi flemmatici di un Zeus senza più forze.
«Vai, ora!».
Luciano spinse il seggiolino di fronte a sé, più in alto che potè, sperando che quel tizio riuscisse a prendere il giocattolo, anche se in fondo, per lui, non era così importante.
L'impiegato, sentendo lo strappo dell'accelerazione, strinse i denti e allungò le braccia. L'istante durò troppo poco. Le sue dita non toccarono il giocattolo. Fallire fu come un dolore, solo più forte, più immediato, più paralizzante.

No.

Non aveva ancora fallito. Gli era sembrato di fallire, era stata la paura, l'illusione di avere braccia troppo corte, di non essere abbastanza pronto.
La codina di peluche era nella sua mano destra. Il seggiolino ripiombò pesantemente e l'impiegato, con gli occhi spalancati e il cuore a mille, se la strinse al petto. Non aveva mai amato così tanto un giocattolo inutile in tutta la sua vita.
Scesero dalla giostra. Il giro era durato come una vita intera.
Il vampiro arrivò al trotto e strappò la coda di peluche dalle mani dell'impiegato
«Sei stato bravo, Luciano» disse, rivolto al ragazzo, che chinò la testa e poi si allontano borbottando un “grazie signore” «E anche tu, colletto bianco»
«Non mi chiamo così»
«Riesci a uscire di lì?»
«Si»
«Ce l'hai proprio fatta»
«Dov'è il bambino?»
«Laggiù».
L'impiegato guardò nella direzione indicata dal vampiro. Francesco stava mangiando un gelato, anche se sembrava veramente spaventato.
«Siete liberi».
“Stupidi premi importanti appesi sulle giostre. Possiate bruciare tutti”.

sabato 13 maggio 2017

Wattpad mode: ON, ma con riserva.

Ciao, coccolotti!
Ah, no, questa mi è uscita male, fatemi riprovare...
Ciao, unicorni dolciosi!
Volevo dire... ciao, fanzi belli! Ciao miciuzzi! Ciao... ciao....
No, no no, che mi sta succedendo... è la sindrome da Wattpad! Si, amici e nemici, ci siamo iscritti a Wattpad. Tranquilli, non inizieremo a scrivere romanzi rosa e fanfiction con Harry Stiles o come si chiama quello lì (o quelli lì? Sono due ragazzi diversi Harry e Stiles, vero? VERO?), ma per farci un'idea di quello che c'era su Wattpad abbiamo fatto un giro e qualche lettura qui e lì e il risultato è che siamo nel mood artistico di una ragazzina sedicenne che, spero, passerà presto prestissimo. C'è da prendere le distanze da quel sito lì... o almeno prenderlo con le pinze, perché effettivamente, in mezzo alle tonnellate di marciume scritto con i piedi ci sono anche dei romanzi carini e anche una o due perle di rara bellezza.
Fra i romanzi sicuramente leggibili ci sono... i nostri!
Ebbene si, siccome ci hanno detto che Wattpad è un ottimo modo per connettere gli scrittori ai fans, e noi ai fans ci teniamo, abbiamo iniziato a pubblicare qualcosina lì, sperando di attirare qualcuno di nuovo (o anche di farceli commentare dai vecchi fan che, casualmente, sono anche su wattpad.
Per ora le copertine sono un po' quello che sono e ci sono solo due dei nostri lavori, ma presto metteremo anche altri scritti e potremmo persino, se abbiamo un minimo di consensi, iniziare una serie originale da pubblicare a puntate (per aggiungere sfida su sfida, come se non avessimo già troppo da fare).
Comunque, nel caso vogliate seguirci anche su Wattpad (fatelo, se lo fate ricominciamo pure a scrivere Kuroshihellsing), questo è il nostro profilo:

https://www.wattpad.com/user/CactusdiFuoco

Per ora abbiamo pubblicato solo due storie e solo i rispettivi prologhi (e un mezzo capitolo per una delle due), ma presto arricchiremo il catalogo, solo che ancora non abbiamo disegnato le copertine.. e anche la copertina attuale di Urban Legends non è un granché, è solo uno dei nostri vecchi disegni di Furiadoro con schiaffato sopra il titolo, ovvero questo qua:
Che come vedete non da affatto l'impressione di essere urban, perché c'è un cavolo di lupo giallo in un bosco.
Ma vabbè, rifaremo anche questa copertina, non vi preoccupate!
E faremo anche copertine per le altre serie, ma voi seguitele, eh? E lasciateci qualche stellina, così anche gli altri potranno sapere che esistiamo (lo sapete già che abbiamo difficoltà a farci pubblicità perché siamo socialmente imbranati online).
E amplieremo il catalogo TANTISSIMO con tante storie e fiabe e persino fanfictions, che fanno tanto figo (ma niente Harry Stiler o Zayn Scolastico).
Ora dobbiamo trovare un modo per smettere di ridere causa storie umoristiche... ciao ciao!
Sci si vede, scfigat... ehm, volevo dire...
Ci si vede. Lettori.
*Siamo un pò ubriachi di risate*

venerdì 12 maggio 2017

Voglio regalarvi una cosa. Una cosa bella.

Ho appena deciso una cosa. Una cosa folle e che non mi conviene per niente.
Io amo i miei lettori, anche se i miei lettori a volte non si fanno sentire per settimane. Anche se i miei lettori non comprano i nostri libri a pagamento.
Li amo perché è bello sapere che una piccola parte di sé è da qualche parte, nel mondo, e qualcuno la sta leggendo.
Quindi sapete cosa ho deciso?
Che il prossimo libro del Cammino delle Leggende (ed è un signor librone, il progetto più sofferto e sudato che abbia mai avuto) lo pubblico gratis.
PER VOI.
Però voglio qualcosa in cambio. Si, si, voglio che mi diciate cosa ve ne pare, quali sono i vostri personaggi preferiti, qualsiasi cosa.
Ovviamente non c'è nessun obbligo, potete anche scaricarvi il libro e fregarvene altissimamente di me e del mio stupido desiderio di sapere se il nostro libro vi ha reso felici.
Ma siete lettori. Siete onesti. So che alla fine della lettura, se ve lo chiedo con delicatezza, se ve lo chiedo con il cuore, ci darete il mio (secondo) tipo di mancia preferito: una recensione. Anche breve. Anche solo un paio di righe. E la potete pubblicare dove volete, su facebook, su twitter, dove VI PARE. Però fatecelo sapere! Inviateci un link! Potete contattarci sul nostro twitter o sul nostro facebook.
O qui sul blog.
Ma fatelo.
Ok?
Voglio regalarvi un pezzo della mia vita, il libro che ho amato di più scrivere... Urban Legends, la storia di Furiadoro.

Coming soon. Rimanete sintonizzati, all'erta e con le orecchie dritte, la lupa sta arrivando.

Personaggi: Sheldon La Poer



Aggiungi didascalia
Nome: Sheldon La Poer
Soprannomi: Bloodhound
Sesso: Maschio
Specie: Umano (Homo sapiens sapiens)
Provenienza: New Orleans, Louisiana
Compare in: Bloodhound – L'Uomo senza Silenzio, Shadowfawn – La ragazza ipnotica

Canzoni (quelle canzoni il cui flow/parole ben si adattano al personaggio:


Sheldon La Poer non ha mai conosciuto sua madre, essendo stato abbandonato fra le braccia del padre già alla nascita, mentre la sua volubile genitrice fuggiva (e non si sa bene perché) per non ripresentarsi mai più e non chiamarlo neanche per i compleanni; è un bambino magro, pallido, con folti riccioli neri e grandi occhi azzurri che sembrano fatti per intenerire la gente.
Cresce con suo padre, un cristiano, pescatore e meccanico che ripara barche, di nome Simon, che non gli rivelerà mai né il nome né l'aspetto di sua madre, come se avesse il terrore anche solo di pensarci.
La sua infanzia è alquanto atipica in quanto Sheldon è nato con il potere di leggere i pensieri nella mente delle persone intorno a lui e questo lo costringe ad apprendere una serie di nozioni e concetti molto prima di quando sia adeguato per lui e non permettendogli di rimanere quasi mai solo con sé stesso, avendo sempre la mente piena di pensieri degli altri. Sebbene in maniera più confusa, Sheldon può percepire anche i pensieri degli animali e i suoi preferiti sono quelli dei cani, semplici e generalmente felici.
Durante la prima infanzia subisce un trattamento che ben pochi bambini possono vantare (vantare? Sono punti di vista) di aver subito: viene infatti esorcizzato a più riprese da un prete chiamato dal padre, il quale è spaventatissimo dal suo potere di leggere nel pensiero degli altri e rifiuta la possibilità che i superpoteri esistano (sebbene viva in un mondo in cui praticamente tutti hanno capacità che nella nostra dimensione verrebbero considerate sovrannaturali per degli esseri umani).
Simon vive infatti in uno stato di perenne rifiuto verso le supercapacità essendo stato l'unico bambino della sua classe a non dimostrare mai alcun potere di sorta e autoconvincendosi così che i poteri non esistono, una convinzione che è cresciuta con il tempo e si è cementata nel suo cervello rendendolo diffidente verso chiunque dica di possedere capacità sovrannaturali.
Aggiungendo il danno alla beffa, suo figlio Sheldon possiede proprio uno dei poteri più temuti, intrusivi e terribili conosciuti, leggere nel pensiero appunto, una capacità che manda il padre in totale paranoia.
All'età di sei anni l'hobby principale di Sheldon La Poer è scroccare dolci, denaro e giornaletti a fumetti dai passanti, sfruttando il suo potere di lettura della mente per manipolare gli adulti, mentre è ancora un po' timoroso verso i suoi coetanei.
Crescendo, il giovane Sheldon diventa sempre più amorale e manipolativo, anche se non è mai malvagio. Spesso “usa e getta” le fidanzatine, ma non le scarica mai (o quasi) in maniera violenta, anzi spesso usa le sue relazioni come pretesto per cambiare in meglio, insegnando importanti lezioni di vita (o così lui le definisce) a quelle persone e facendole sentire più in controllo della propria vita. In realtà è annoiato dall'incapacità delle sue partner di fornirgli stimoli mentali per più di un paio di giorni e dalla superficialità della maggior parte di esse, così trova sempre una scusa con sé stesso per scaricarle senza fare troppi danni.
Non ha neppure dei veri amici, ovviamente, e preferisce passare il tempo a pesca o a giocare con i cani.
A scuola si diverte a farsi percepire in maniera differente dalle persone che incontra, assecondando i gusti di tutti per sembrare gradevole, e ha vita facile anche con gli insegnanti, conoscendo esattamente le parole che vogliono sentirsi dire perché può facilmente leggerle nelle loro teste. Eccelle in ogni materia senza dover studiare (che bisogno c'è di studiare quando puoi leggere le risposte nel cervello del ragazzo in fondo alla classe che è stato sveglio per tutta la notte a farlo per te?) ed è il favorito di tutti i professori.
Quando ha diciassette anni, assiste all'attacco di un supercattivo verso la propria scuola e si trova proprio nella classe invase. Il supercattivo in questione, chiamato da tutto “Il Robot Umano” deve scegliere l'ostaggio che dovrà rapire e sta per portare via Sharon, la fidanzatina del momento di Sheldon, quando quest'ultimo si frappone fra loro due in un atto di eroismo. Il Robot Umano, decidendo che non vale la pena di rapire una ragazza che ha qualcuno a proteggerla, ripiega su Valery, una compagna di Sheldon bassa e facile da trasportare, e fugge con lei come ostaggio, per poi riconsegnarla solo quella sera, patteggiando con la polizia la possibilità di andarsene illeso dalla città.
Terminati gli studi, Sheldon non si iscrive ad alcuna università, ma si getta a capofitto nel mondo del lavoro, dove diventa rappresentante e “tuttofare aziendale” per la Watermelon Inc., una compagnia che produce computer e altri gingilli tecnologici. Forte della sua capacità di leggere nel pensiero, Sheldon riesce facilmente a vendere qualunque cosa e a concludere contratti con chiunque e diviene ben presto uno degli uomini più desiderati dalle aziende, disposte a pagare cifre altissime per averlo.
Tuttavia una misteriosa svolta nella sua vita costringerà Sheldon a lasciare il suo lavoro perfetto per iscriversi all'accademia dell'FBI, diventare (facilmente) un agente nonché l'unica persona al mondo capace di tenere testa al perfido e geniale Brainstorm, una sorta di Iron Man malvagio con la fissa per la teatralità. Ma questa volta la capacità di leggere nel pensiero di Sheldon non gli servirà a nulla: Brainstorm dice esattamente ciò che pensa e sembra non aver alcun punto debole...

Curiosità:
  •  La faccia di Sheldon la Poer è ispirata (ma non identica) a quella di Hugh Dancy, ma meno asimmetrica (e probabilmente non altrettanto bella, anche se son gusti).
  • Il suo potere di leggere nella mente è stato ispirato dall'empatia di Will Graham, il personaggio che Hugh Dancy interpreta in NBC Hannibal.
  • Il primo cane di Sheldon si chiama, appunto, Hannibal.
  • La fidanzata che più è riuscita ad andare più vicina ad un vero rapporto di affetto con Sheldon si chiamava Amy. Solo dopo la fine della stesura del libro ci siamo accorti che Amy e Sheldon ricordano molto la nota coppia della sitcom Big Bang Theory, ma abbiamo deciso di lasciare i nomi così come sono.


Gli piace Non gli piace
- I dolci - I posti affollati
- I cani  - Stare insieme a gente triste o di umore troppo variabile
- L'ordine - Disordine
- Le carpe - Il clero
- Guardare i coccodrilli/gli alligatori che mangiano - I film horror in cui ci sono preti o suore
- Avere potere sugli altri - Gli spoilers
- Stare insieme a gente solare  - Le proprie orecchie (pensa che siano troppo sporgenti, così le nasconde sotto i capelli)
- La propria voce 
- I completi di pelle 





Abilità e competenze
[Livelli possibili: disastro | principiante | mediocre | buono | molto buono | eccellente | maestro] 
Fisiche
- Leggere i pensieri degli esseri animati (eccellente)
- Usare la frusta (buono)
- Combattere corpo a corpo (mediocre)
- Ballare il ballo della steppa (disastro/principiante)
- Guarigione (molto buono)


Linguistiche 
- Inglese statunitense (eccellente in scritto, parlato e comprensione)
- Francese (principiante)

Musicali
- Cantare (buono)

Magiche-Nessuna
Varie

- Vendere (eccellente)
- Convincere (eccellente)
- Abilità matematica (molto buono)
- Conoscenza della storia americana (molto buono)
- Conoscenza della pop culture (maestro)
- Manipolare (eccellente/maestro)
- Sedurre le donne (eccellente)
- Sedurre gli uomini (molto buono/eccellente)
- Comunicare i propri sentimenti (principiante)
- Addestrare i cani (eccellente)
- Ricostruire il modus operandi dei killer (molto buono)
- Rubare dati sensibili (eccellente)
- Rubare oggetti (molto buono)
 

Galleria di immagini (Clicca per ingrandire!)
 












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mercoledì 10 maggio 2017

L'Uomo dagli Occhi Dorati

Stavo (ri)leggendo Inheritance, l'ultimo libro della saga del Ciclo dell'Eredità quando l'occhio mi è caduto su una delle frasi il cui suono ha sempre provocato in me una grande fascinazione:
A El-Harim viveva un uomo, un uomo dagli occhi dorati
«Attento ai sussurri» mi disse «Perché sono inganni velati»
Questo è l'inizio di una filastrocca che uno dei personaggi (Nasuada) dice in un momento molto particolare (ma non voglio spoilerare niente), ma questo strano personaggio, l'uomo dagli occhi dorati, non viene più menzionato. Chi sarà mai stato, questo strano personaggio? Qual'è la sua storia, di quali inganni sta parlando?
E così improvviso colpo di ispirazione mi ha spinta a scrivere questa breve storia, una fiaba intitolata...

L'Uomo dagli Occhi Dorati



C'era un uomo dagli occhi dorati, nome non aveva, la sua casa era il deserto. Viveva fra le dune, sferzato dal vento, e aveva la pelle come ebano, come cuoio, scura e splendente come la più preziosa gemma, e gli occhi erano due pozzi profondi illuminati dalla luce di stelle gialle che venivano da dentro la sua anima.
L'uomo dagli occhi dorati camminava da solo, a testa alta, e conosceva le oasi e le piante, ogni rigagnolo d'acqua che correva come un'agile lepre sotto le dune, perciò non temeva la fame e non temeva la sete. Le lucertole dal passo buffo, che poggiavano in terra solo due piedi alla volta, erano la sua compagnia ed egli ne aveva una nel taschino della sua giacca, una lucertola che prendeva pezzi di frutta selvaggia e di cavallette dalle punte delle sue dita e lo faceva ridere salendo con il suo passo buffo in cima alle dune quando era lasciata libera di camminare.
L'uomo dagli occhi dorati non temeva neppure le tempeste di sabbia, poiché sapeva quando esse si sarebbero abbattute sulla sua terra e sapeva dove nascondersi.
Un giorno, mentre camminava con il suo zaino sulle spalle, l'uomo dagli occhi dorati incontrò una donna sola, seduta sulla groppa di un maestoso cammello bianco come la neve. Ella era tutta avvolta in abiti azzurri, con il volto abbronzato incorniciato da un cappuccio candido e gioielli d'oro che scintillavano alle dita.
L'uomo le si avvicinò e le chiese
«Cosa fai, qui da sola nel deserto?»
«Ho perso la mia via» rispose la donna «La mia gente si è smarrita nella grande tempesta di sabbia e non so più se siano vivi o morti»
«Ti aiuterò io» si offrì l'uomo dagli occhi dorati
«Chi sei?».
Lui dischiuse le labbra, ma non disse nulla. Come poteva, in poche parole, dire chi era? Non aveva un nome, lui, né una famiglia o una tribù, non aveva neppure un cammello e non apparteneva a nessun altro che al deserto stesso.
«Allora, qual'è il tuo nome?» Lo incalzò la donna
«Non ne ho uno. Sono solo un uomo che cammina nel deserto»
«Allora cammineremo insieme finché non troverò la mia gente. Il mio nome è Jidji»
«Molto piacere, Jidji».
I due si misero in cammino, uno a piedi e l'altra sulla groppa del suo cammello. L'uomo dagli occhi dorati iniziò a cantare

“Sussurra la sabbia come il serpente
Nella sua tana si cela l'inganno
Non è il suo morso che devi temere

Ma il buio freddo della lunga notte
Corre e rincorre sé stesso il vento
Non un momento si ferma per te

Pensi che taccia forse un minuto
Invece è altrove, non soffia per te

Poi con la luna esplodono le stelle

Squarci nel cielo di bianco e di blu
Morsi di fame e brividi a pelle

come locuste sciamiamo nell'oasi”
 

Camminarono a lungo sulle dune roventi finché in lontananza non videro un uomo alto e magro, tutto avvolto in abiti brillanti che il venticello faceva muovere come fiamme vive. La sua voce arrivò alle orecchie della donna, portata dal vento, sussurrando
«Jidji, Jidji, vieni, conosco tua madre! Jidji, Jidji, vieni, conosco tuo padre».
La donna spronò il cammello per raggiungere la misteriosa figura, ma l'uomo dagli occhi dorati afferrò le redini del suo cammello e tirò forte, fermando l'animale.
«Non andare. Nel deserto, i sussurri sono inganni velati».
a donna alzò allora lo sguardo di nuovo verso il misterioso uomo brillante e una gran paura la colse, poiché lo vide per quello che era: un demone djinn che la chiamava, con la mano artigliata tesa verso di lei, la voce suadente e bassa che ripeteva quelle parole come una tiritera, una filastrocca per bambini. Il caldo faceva tremolare la sua figura alta, ma egli non si muoveva di un solo passo, per nulla intenzionato ad inseguirli.
Jidji e l'uomo dagli occhi dorati proseguirono allora il loro cammino e, quando fu notte, giunsero in un'oasi.
Le fronde delle palme li riparavano dal caldo, fra le loro radici saziarono la loro arsura, dei loro frutti si nutrirono per placare la propria fame. Fu allora che Jidji udì ancora la voce del djinn che la chiamava, suadente ed insistente, e tuttavia questa volta ebbe la forza per ignorarla.
Il demone li guardava da lontano, in piedi fra le dune, con gli occhi che rilucevano rossi come braci incandescenti. La sua voce era ora il ronzio di mille zanzare, la sua gola una grotta profonda e secca.
L'uomo dagli occhi dorati posò una mano sulla spalla di Jidji e le sussurrò in un orecchio «Attenta alle voci che chiamano nel deserto, esse parlano di una gloria che non verrà, annunciano di fortune che diverranno rovine, ignoralo e vieni a dormire».
Allora ella si sdraiò accanto all'uomo dagli occhi dorati e in poco tempo prese sonno.
L'indomani, quando il sole sorse, il grido di un avvoltoio li svegliò. Jidji scattò in piedi, spaventata, e vide un gruppo di enormi uccelli scuri scendere dal cielo. Seguì con gli occhi il loro volo, poi camminò fino al bordo della dell'oasi e vide che gli avvoltoi stavano banchettando sul corpo riverso del Djinn.
Quando l'uomo dagli occhi dorati la raggiunse, ella chiese
«Come pensi che sia morto?»
«Le bugie e gli inganni velati appassiscono e muoiono» rispose l'uomo dagli occhi dorati, con un sorriso «Quando nessuno presta loro orecchio e nessuno li sparge».
Allora la donna capì come i demoni e gli dei si nutrissero della voce e della paura e di come solo ciò che gli uomini desideravano poteva continuare ad esistere. Quelle creature che vagavano di notte sotto le stelle, o sotto il cielo cupo e nero come un mantello, erano reali, erano pericolose, ma nascevano dalla mente degli uomini e solo la mente poteva sconfiggerli.

L'uomo con gli occhi dorati si sedette sotto ad una palma, la lucertola che gli era salita sul turbante bianco, e iniziò a suonare uno zufolo ricavato da una canna, muovendo le dita agilmente sui buchi per comporre una canzone che il mondo non aveva mai udito prima, che si accompagnava al canto degli uccelli e al funebre gracchiare degli avvoltoi.
Jidji andò accanto a lui e cantò con voce soave.
Suonarono e cantarono per ore, finché una carovana non apparve all'orizzonte.
«È la carovana di mio padre!» Gridò Jidji, premendosi le mani sul cuore.
I cammelli avanzavano con passo sicuro verso l'oasi, le labbra che già ruminavano invisibile erba, gli stomaci anelanti la fresca acqua.
La ragazza balzò in groppa al suo cammello bianco e corse verso la carovana: fu lì che ritrovò suo padre e sua madre, i suoi fratelli e i suoi cugini.

Quando tutti si furono fermati nell'oasi e stavano caricando le provviste d'acqua, Jidji volle presentare ai suoi genitori l'uomo dagli occhi dorati e chiedere loro se poteva sposarlo, ma lui era sparito, silenzioso come sempre quando camminava sulle dune dorate.
Allora la giovane iniziò a raccontare loro la storia dello spirito buono del deserto, l'uomo dagli occhi dorati che l'aveva salvata, e nessuno ebbe motivo di non crederle.
La storia fu narrata e passò di carovana in carovana, di bocca in bocca, e fu narrata ai bambini e ad uomini stanziali di villaggi lontani.
Un giorno di molti anni dopo, Jidji stava viaggiando nel deserto con il suo sposo e il suo bambino, quando vide qualcuno camminare su una duna come se volasse, silenzioso quanto lo erano le ali del bianco barbagianni, e lo riconobbe subito per la lucertola che usciva dal suo taschino.
«Vedete quello?» Disse, indicando l'uomo a suo marito e al suo bambino «È lui quello, l'uomo dagli occhi dorati del deserto!»
«Di certo somiglia molto a quello spirito buono» rispose il marito, divertito «Sarà meglio offrirgli qualcosa perché ci porti bene e ci aiuti ad attraversare il deserto».
Jidji ne fu sorpresa: perché mai suo marito parlava in quel modo di un altro uomo mortale? Poi capì: la leggenda si era sparsa tanto che il modo in cui suo marito conosceva la storia non era lo stesso che lei aveva vissuto e forse lui nemmeno sapeva che era lei quella Jidji che aveva incontrato per prima l'uomo dagli occhi dorati.
Lei lo salutò allora muovendo la mano e lui rispose, poi si avvicinò abbastanza perché lei potesse vedere il suo sorriso bianco, splendente nel riverbero luminoso della sabbia.
«Sei tu» Gli disse «L'uomo che camminava nel deserto, che mi aiutò a ritrovare i miei genitori»
«Si» rispose lui, sereno «Molti anni sono passati, ma tu ricordi ancora quel giorno»
«Come potrei mai dimenticarlo? Oh, guarda, questi sono mio figlio e mio marito».
Il marito guardò male l'uomo dagli occhi dorati, lo salutò distaccatamente, ma non disse null'altro chiedendosi chi fosse quell'uomo che conosceva sua moglie.
Jidji allora chiese
«Ancora non hai un nome?»
«Forse ne ho uno» rispose quello «Ma ci vorrà ancora qualche tempo per sapere se è il mio»
«Qual'è questo nome?»
«Uomo dagli Occhi Dorati» rispose quello «È così che mi chiamano i viaggiatori dispersi, quelli che io aiuto a ritrovare la via. Mi fanno compagnia ed è bello. Non so come ciò accade, ma da quando ti aiutai a ritrovare i tuoi genitori, quel giorno di molti anni fa, sempre più spesso mi accade di trovare per caso viaggiatori smarriti, come se fosse il mio destino quello di aiutarli. E loro conoscono un nome che io non avevo mai udito, Uomo dagli Occhi Dorati, e a me piace».
Il marito spalancò gli occhi
«Sei tu?» Domandò «Sei tu quel genio del deserto?»
«Genio non so» rispose l'altro, stringendosi nelle spalle «Ma sento che è ora di andare».
L'Uomo dagli Occhi Dorati fece per andarsene, ma poi tornò indietro sui suoi passi, estrasse dalle pieghe del vestito il suo vecchio zufolo e lo posò in mano alla donna.
«Grazie, Jidji» Le disse
«E di cosa?» chiese lei, sorpresa
«Quel giorno che ti perdesti, mi donasti un nome».
Il vento soffiò, facendo turbinare i granelli come pulviscolo dorato nell'aria, ed un solo istante dopo L'Uomo dagli Occhi Dorati era sparito. Jidji e la sua famiglia continuarono il viaggio, lei si fece rotolare fra le dita il flauto.
Se le parole potevano far vivere i demoni del deserto, forse, potevano anche creare qualcosa di buono. Potevano creare una leggenda.
Alzò lo sguardo, mentre la linea dell'orizzonte ondeggiava, e sentì il deserto penetrarle nell'anima. Il cielo era di un azzurro così sfavillante da sembrare tutto illuminato, come una gigantesca lanterna. Il silenzio del deserto era il teatro per la magia, la sua immensità la culla delle leggende.
Lei ne aveva conosciuta una, ma nessuno può diventare leggenda senza le voci di migliaia di persone. Non c'è un dio senza adoratori, non c'è un demone senza vittime.
E il deserto è un luogo senza tempo, perciò sarebbe stato per sempre. Per sempre sarebbe vissuto un uomo dagli occhi dorati che nome non aveva, la cui casa era il deserto. Vive ancora fra le dune, sferzato dal vento, e ha la pelle come ebano, come cuoio, scura e splendente come la più preziosa gemma, e gli occhi sono due pozzi profondi illuminati dalla luce di stelle gialle che vengono da dentro la sua anima. 

Puoi vederlo, da lontano, camminare come un equilibrista sulla cima delle dune, silenzioso come le ali candide del barbagianni, e se avrai bisogno di lui, lui ti aiuterà.

Recensioni su richiesta - le facciamo, SI o NO?



Eh la miseria! Abbiamo fatto due recensioni in croce e già abbiamo richieste di recensioni per libri autopubblicati... ma siamo delle superstar della recensione o cosa? Soprattutto perché le nostre recensioni non sono vere recensioni, ma piuttosto un'analisi del libro secondo i nostri gusti personali, con ironia a palate e tanto bla bla.
Però si vede che sono simpatiche e allora sia!
Accettiamo richieste di recensioni. Ma non tutte, no, no. Questo blog non è una vetrina pubblicitaria e non facciamo recensioni a pagamento. Per quanto ci pianga il cuore a doverlo dire, allungare quella banconotina sotto il tavolo virtuale sarebbe del tutto inutile: se non vogliamo leggere e recensire il vostro libro non lo facciamo. La vita è una sola e non c'è tempo da perdere dietro libri che non si vuole leggere.
D'altronde, però, abbiamo appena detto che è ok, assolutamente ok, chiedere recensioni per la vostra opera.
Quello che non è ok è aspettarsi che diciamo di si a tutti.
Voi tutti potete proporre, non tutti si beccheranno un "si, ma che bello, leggiamo il vostro libro".
Ci sono dei criteri da rispettare. Anzi, un criterio solo: dobbiamo aver voglia di leggere quel libro. Non ce ne frega nulla se è il libro che ha scritto vostro cugino o la vostra insegnante di matematica o voi o un autore famoso, basta che sia bello!
E quindi potete scriverci (mettendo nell'oggetto "Richiesta recensione *inserire titolo libro*") riempiendo un form in questo modo:

  • Titolo:
  • Autore:
  • Genere:
  • Casa editrice (scrivete autopubblicato se è stato autopubblicato): 
  • Trama (in breve, niente spoiler, non vogliamo spoiler!):
  • C'è del romanticismo? Se si, quali coppie? : Si/No. Se si: M/M, M/F, F/F o due o più.
  • Link di acquisto del libro (Kobo/ Amazon/ Sito della casa editrice/ quello che volete voi)
  • Note (questa è opzionale): 

Ci piacerebbe molto vedere anche la copertina nella sua interezza e bellezza, perciò se avete una versione .png o .jpg allegatela pure! E avete moooolte più possibilità di vedere il vostro libro recensito se lo allegate nella mail (visto che siamo palesemente senza soldi e siamo quasi sempre nello stato di persone che hanno speso il loro budget mensile in altri libri)! Yuhuu! 

Accettiamo libri in formato epub e pdf. Gli altri non si possono leggere sul tablet e noi NON leggiamo sul computer (quello serve solo per lavorare), quindi solo epub e pdf vanno bene, ma siamo sicuri che sono formati che avete.

E ora tenetevi forte, stiamo per darvi l'email a cui potete mandare le vostre richieste di recensione... uno... due... tre:

cavolobroccolo@live.it

No, non è uno scherzo, è davvero il nostro indirizzo e-mail per le recensioni e i contatti editoriali di sorta. 
Allora, ci sediamo con le braccia conserte e aspettiamo. Che arrivino i libri!

Ah, no, aspettate! Ancora un'informazione cruciale: quando è meglio lasciar perdere e non inviare affatto il vostro libro perché è sicuro che non lo leggeremo? Ecco in quali casi:

  1. Il vostro è un libro pornografico, praticamente senza trama, basato su quanto e quanto bene i vostri personaggi si accoppiano. Quello non lo recensiamo.
  2. Il vostro libro non è scritto in Italiano. Recensiamo (per ora) solo libri in Italiano. Faremo qualche eccezione in futuro, ma solo per libri specialissimi e non di certo per quelli che ci mandano via e-mail.
  3. Il vostro è uno di quei libri noiosi che parlano di politica. No, noi non leggiamo i libri di politica. 
  4. Il vostro libro è farcito di razzismo, omofobia e maschilismo. No, grazie. Troverete sicuramente il blog nazista che fa per voi, ma non mandateci quelle porcherie.  
  5. Vi aspettate un giudizio tutto positivo, tutto rose e fiori, senza la minima striscia di critica? Allora è meglio chiedere a qualcun altro la recensione, perché noi siamo sinceri. Il che non significa affatto che siamo cattivi o che ci metteremo a sottolineare i refusi/gli errori grammaticali/ qualche virgola mancante, ma che come con tutti i libri scriveremo cosa ci è piaciuto e cosa non ci è piaciuto.

Ps. I libri che fino ad ora ci hanno chiesto di recensire sono: libri storici (sull'antica Roma) che non recensiremo, un libro fantasy che forse recensiremo e dei libri di cui ancora non conosciamo neanche la trama perché non sono neanche stati pubblicati che forse recensiremo, se la trama ci piace. Per questo abbiamo sentito il bisogno di specificare come chiederci le recensioni XD
Pps.  Qualcuno di voi ha riconosciuto da dove viene quel disegno che abbiamo usato come banner? Ovviamente è nostro (come tutti i disegni che usiamo nel blog), ma qualcuno si ricorda da dove viene? ;)

lunedì 8 maggio 2017

Caro diario - Quando leggi un libro che ti scordi di aver scritto

Caro diario, oggi ti aggiorno. Le recensioni che abbiamo fatto nei post precedenti stanno avendo più successo del libro (Bloodhound, per chi già avesse perso la memoria e non se lo ricordasse o per chi si fosse proprio perso il post), il che è un po' strano... ci aspettavamo che il nostro superlancio letterario smuovesse qualcosa, una certa dose di eccitazione, curiosità da parte dei nostri colleghi e fans, invece... niente.
Apparentemente, a tutti piacciono le recensioni che abbiamo fatto dei libri degli altri, ma a nessuno piace il nostro libro.
Eppure abbiamo studiato accuratamente la copertina.
Eppure ci siamo impegnati nello scrivere la storia (cosa che nessuno può sapere se non legge il libro, ad ogni modo).
Ma niente, caro diario, il business del futuro sono le recensioni dei libri degli altri (secondo te funziona se mi recensisco il libro da sola? Dici che qualcosa lo smuovo?).
E allora sapete cosa? Leggiamo e recensiamo! (Non il nostro libro. No. Tranquilli, i libri degli altri).
Per ora ne sto leggendo che si intitola "La Libreria degli amori inattesi" di Lucy Dillon e... mi sta piacendo. Lo so, ora i lettori mi tireranno contro le pentole e le padelle urlando "Ma che cavolo fai, leggi i romanzi rosa? E prima ci hai recensito un distopico? E prima ancora un libro storico? MA CHE CACCHIO FAI?! Questo blog dovrebbe parlare di fantasy!".
Beh, non è colpa mia se i libri in offerta sono tutti non-fantasy! Mandatemi una copia di fantasy (no, fatelo sul serio, se volete vi do la mia e-mail) e poi ne riparliamo!
Ma che pretenziosi questi fan che esistono solo nel mio cervello, uff...
Comunque, la Libreria degli Amori Inattesi ha un cane (pucciolosissimo) in copertina.

E questo cambia tutto, no? Ci sono dei cani nella storia! Io ho comprato il libro solo per il cane (e perché era in offerta) e devo dire che in effetti ci sono cani anche dentro la storia, dunque mi posso reputare, almeno fino ad ora, soddisfatta. Anche se dalla copertina mi aspettavo che ci fosse più cane puccioso fin da pagina uno e ancora non ho incontrato questo cucciolo che la protagonista deve tenere con sé, ma dopotutto sono ancora all'inizio e ho già incontrato più di un cane...
È pure scritto bene, ma di questo nel parleremo nella nostra prossima recensione!
Oggi continueremo a lavorare su l'Uomo dei Cimiteri, un libro ben più corposo, in quanto a lunghezza, di Bloodhound (che avrà anche una puntata successiva), ma siamo veramente ad un niente dal finire di scrivere la parte 1 e pubblicarla... ci manca giusto qualche ritocco e la copertina.
La copertina.
Che dobbiamo (come sempre) disegnare noi.
Ho già i sudori freddi perché è sempre così quando devo creare una copertina, che poi mi metto a fare ventordicimila ricerche per trovare la composizione perfetta, quella in delicato equilibrio fra il dire e il non dire, fra il comunicare quello che accade nella trama e l'ammantarla di mistero, e tanto poi quando pubblico il libro non se lo fila di striscio nessuno. Ok, forse nessuno nessuno no, però quasi. QUASI. *lacrima solitaria lungo la guancia*
Ma uno che deve fare per pubblicizzarsi? Come hanno fatto scrittori trashiosissimi a vendere migliaia di migliaia di copie dei loro libri che quando venivano letti, quasi puntualmente, venivano poi definiti spazzatura? COME?
Anch'io voglio vendere come quelli che scrivono una stupidata in tre mesi e poi si ingozzano di soldi come maiali soldivori e rotolano nel fango dorato del loro stratosferico successo!
Devo trovare il canale pubblicitario adatto. Si si.
O trovare qualcuno più famoso di me che mi faccia pubblicità.
Dite che se regalo l'e-book a qualcuno famoso, me la fanno una recensione oppure no? Secondo me no. Hmmm....
Qualcuno di voi è disposto a recensirci? Anche male e ironicamente? Vedo... una mano alzata laggiù? Ah, stavi raccogliendo solo il vento? Tutto a posto.
Scherzi a parte, per voi scrittori in erba, sappiate che la parte più difficile, specie se siete bravi ed ispirati, non è scrivere il libro, ma trovare qualcuno che ve lo pubblicizzi. Altrimenti avrete magari scritto la storia più bella del mondo, ma se nessuno sa che esiste, nessuno lo può leggere.
*Con la vocina* Se mi regalate una copia, scrittori in erba, io ve lo recensisco di sicuro. Mangio libri, io. Li mangio!
Ed io non ho amici. Cioè, ne ho qualcuno online, ma sono tutti stranieri, nessuno che parli italiano, una tristezza... anche se loro retwittano, rebloggano, commentano (e lo fanno, eh! Lo fanno tanto!) è difficile che i post arrivino sotto gli occhi di potenziali lettori italiani. Ma meglio di niente. Meglio qualche amico lontanissimo che nessuno.
Però fa schifo non essere bravi a socializzare online... e contemporaneamente è bello perché mi permette di passare tanto tempo all'aria aperta, a fare sport, a leggere e scrivere invece di allacciare e coltivare relazioni dietro lo schermo di un computer.
È bello, ma è brutto. È bello per la mia salute, per i miei livelli di serotonina, per la gioia del mio pancino goloso quando lo riempio con le fave che coltiviamo noi. È brutto perché non ho nessuno a cui vendere il mio stramaledettissimo libro e nessuno che mi aiuti a farlo.
Sembra che mi sto lamentando, vero?
In realtà non è così. È ok se non vendo più neanche una singola copia di Bloodhound per tutta la mia vita. Scriverlo (con la squadra ;)) è stato divertente e so di aver prodotto un capolavoro che mi piacerà rileggere nel futuro... ok, lo ammetto, mi sono auto-comprata una copia sul kobo-store per vedere che effetto faceva averlo nella mia libreria virtuale e l'ho aperto, così, per vedere com'erano i caratteri e sono finita a rileggermi tutto il lavoro. A metà libro mi sono completamente scordata che avevo scritto quella figata assurda e mi sono detta che volevo parlare con l'autore o scrivere una fanfiction di quella roba, poi per fortuna mi sono riscossa e mi sono ricordata che se scrivo una fanfiction del mio lavoro quello è considerabile canon.
Quindi chissenefrega se non venderemo mai più una copia nella vita! L'importante è avere qualcosa di buono da leggere. E quello ce l'abbiamo di sicuro ;)
Ah, a proposito, visto che lo stavo rileggendo ho deciso di disegnare la prima armatura che Victor Lupis indossa nella storia, quando ancora la tv e i giornali lo chiamano con lo squallido nome di "Il Robot Umano". Ed è più o meno così (ho disegnato l'elmo non indossato perché mi piace disegnare la sua faccia, ok?):
Potrei voler disegnare tutte le armatura di Victor... le tante, troppe armature di Victor, comprese quelle che ancora non sono mai comparse nel libro (e quella dove è mezzo nudo e non sembra neanche un'armatura, perché... no, non ve lo dico, che è spoiler).
Ma ora parliamo un attimo della nostra saga principale, quella del Cammino delle Leggende, di cui per ora stiamo lavorando su due libri diversi: uno è l'Uomo dei Cimiteri, di cui abbiamo accennato prima, e l'altro è "Io sono il Drago", il primissimo volume dell'intera saga, con la vita del drago Ermes, destinato a diventare l'antagonista principale di tipo... tutto. Ci chiedevamo se sarebbe stato stuzzicante scrivere le schede di quasi tutti i personaggi che appaiono... sono tutti (o quasi) molto, molto complessi e abbiamo stabilito i loro background, ma non li abbiamo scritti da nessuna parte e rischiamo di perderli. Forse, dunque, stanno per arrivare un po' di schede dal Cammino delle Leggende, yay!
E forse potrebbe essere un'idea anche fare le schede di Sheldon la Poer e Victor Lupis, i protagonisti di Bloodhound, hmmm...
Allora non perdo altro tempo!
Ciao diario! Ciao lettori! Ci si legge ;)


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