Cedere al Patto
Il piccolo Rory aveva compiuto cinque anni e anche quell'anno il raccolto era stato a dir poco favoloso. Sin da quando il bambino era nato, la terra aveva prodotto più di quanto era mai stato previsto da qualunque contadino, maestro, uomo di scienza della contea e tutto ciò era spiegato dagli uomini del villaggio come un miracolo, come un periodo fertile mandato da Dio. Roisin era felice, per Kieran era opera di stregoneria, ma non si lamentava, poiché finché riusciva a mangiare con quella magia era magia buona.
Quella mattina d'estate, calda come poche altre nella contea, il piccolo Rory si dedicava al suo passatempo preferito: osservare. La natura, soprattutto. Lo affascinava in un modo che non sapeva spiegare, una passione viscerale che lo faceva sorridere ogni volta che usciva di casa. Spesso si distendeva a terra, a pancia in giù, e scrutava tutto intorno a se alla ricerca di qualcosa di nuovo o che semplicemente non aveva guardato con abbastanza cura. Le ali di un insetto, i petali di un fiore, le foglie dell'albero sopra di lui.
I genitori, consapevoli di questo suo ardente amore per la campagna e incapaci di dirgli no, lo lasciavano libero di girovagare nel boschetto accanto purché non si allontanasse troppo dal campo, vigilandolo da lontano. Sorridevano, spesso, nel guardarlo avvicinarsi di soppiatto ad una lucertola che prendeva il sole ad occhi chiusi.
Il soggetto che oggi aveva attirato la sua attenzione erano un paio di piccoli trifogli verdi accanto a un albero enorme, spuntati da poco. Li accarezzò piano con un dito come se avesse avuto paura di fargli del male e li osservò con uno sguardo così intenso da sembrare che volesse incenerirli, quando all'improvviso sobbalzò: nel silenzio assoluto, aveva sentito una specie di scalpiccio leggero, un po' scoordinato.
Si alzò a sedere e si guardò intorno.
Aveva imparato ad ascoltare i rumori della natura, ma a quanto pare non li conosceva tutti. Non gli era mai capitato di sentire questo rumore. Si alzò, scotolandosi goffamente i pantaloncini come gli diceva sempre di fare la mamma, indeciso sul da farsi.
Ci volle poco, però, a convincerlo che era stupido rimanere lì quando la curiosità gli rodeva uno per uno tutti gli organi interni. Drizzò le orecchie, nel silenzio rotto solo dal frinire di qualche rada cicala. Eccolo, di nuovo, quello sbattere disarmonico di piedini sul terreno che si era fatto appena più vicino, ma ancora piuttosto fievole.
Rory lo sentiva, ma non riusciva a capire bene da che parte provenisse. Si guardò ancora una volta intorno, poi all'ennesimo scalpiccio, si illuminò e cominciò a camminare inoltrandosi fra il folto. Procedeva cauto, tentando di fare il meno rumore possibile, per non fare scappare la creatura. Camminò a lungo, ma lo sbattere di quei piedini continuava a farsi sentire, e Rory si allontanava sempre di più dall'orto …
Roisin, sull'uscio di casa, cominciò a farsi sempre più nervosa. Era da un paio di minuti che non vedeva più il bambino. Aveva scorto la sua figurina allontanarsi di qualche passo, poi scomparire dietro un albero … e non l'aveva più visto ricomparire. Dondolava nervosamente, allungando il collo in ogni direzione alla ricerca disperata del suo piccolo re rosso, tormentandosi le mani.
«Kieran!» chiamò allarmata «Kieran! Puoi andare a controllare che il bambino stia bene? Non lo vedo più da un paio di minuti, non vorrei che … che si fosse fatto male o che sia entrato troppo nel boschetto e si sia perso»
«Sarà soltanto nascosto dietro un albero o tra l'erba alta, non ti preoccupare» la rassicurò l'uomo, passeggiando tra le piante dell'orto «Non è il caso di ...»
«Puoi andare, tesoro? Non sono tranquilla … e se lo avesse aggredito qualche fiera? E se … » articolò una parola a bassissima voce, ma bastò a fare impallidire il marito
«Vado».
Mollò piante e tutto e cominciò a correre verso gli alberi come un dannato, chiamando il nome del figlio sotto lo sguardo angosciato di Roisin.
Nel frattempo il piccolo Rory continuava a cercare. Era passato un pò di tempo ed era sicuro di stare andando nella direzione giusta, ma non riusciva proprio a trovare quale cosa stesse facendo quel rumore di piedini scalpitante e irregolare.
Si bloccò appena in tempo, guardando il proprio piedino ciondolare sul terreno che aveva cominciato a farsi obliquo in un modo troppo ripido per continuare. Non gli piaceva, suo padre gli diceva sempre di evitare terreni del genere, sarebbe stato meglio tornare indietro.
Si voltò con fare risoluto, quando vide qualcosa che, a questo punto, non si sarebbe aspettato di vedere. Ecco, era sicuro di aver trovato il piccolo delinquente che continuava a fare quel rumore scoordinato.
Sembrava proprio un bambino, un bambino con i capelli biondi e corti sulla sua testolina paffuta. Aveva un faccino tondo, con occhi castani e intelligenti e una bocca curvata in un sorriso da canaglia che in qualche modo lo divertiva. Era vestito completamente di verde, con un paio di pantaloni smeraldo, una canottiera bianca con un mini-panciotto verde scuro, una giacchetta color bottiglia e un cappello simile a una bombetta dello stesso colore. Sarebbe sembrato nel complesso solo un bambino vestito bene se non fosse stato che, in effetti, era davvero troppo piccolo per l'età che dimostrava di avere ed era sporco di terra in molti punti, cosa che una brava mamma vieterebbe categoricamente al proprio figlioletto vestito bene. Le orecchie un pò a punta, poi, erano un altro indizio.
Nel complesso, non era una figura nuova a Rory. Sua madre gliene parlava di tanto in tanto e non era sicuro di essere contento dell'incontro appena fatto.
«Tu sei un leprec ...» Fece per dire, ma non ebbe tempo di finire la frase. Il nuovo arrivato gli diede uno spintone con tutta la forza che aveva, ridacchiando.
Rory, preso alla sprovvista, spalancò gli occhi e rimase su un piede solo per qualche istante, roteando le braccia alla disperata ricerca dell'equilibrio, ondeggiando in bilico. Poi tutto il mondo cominciò a capovolgersi mentre, accompagnato dalla risatina acuta di quel diavoletto in verde, rotolava giù per il pendio. Vedeva il cielo scambiarsi con la terra di continuo, così velocemente che vedeva un confuso blu-azzurro, e cominciava a sentir male dappertutto.
Scombussolato, non si accorse neanche di quando la sua caduta si arrestò. Si ritrovò semplicemente a pancia all'insù, dolorante e con il naso rosso.
«Ahi» si lamentò, secco.
Il demonietto verde si affacciò dal pendio, ridendo a crepapelle e additandolo.
A fatica Rory si alzò a sedere e lo guardò, con le sopracciglia aggrottate «Smettila, non mi piace come ridi. Sei un leprecauno, vero?»
Quello annuì, continuando a ridere.
«Smettila!» ordinò Rory, stizzito «Voglio che la smetti!»
Il leprecauno si terse una lacrima continuando a stare zitto e pian piano smise di ridere. Lo osservò con i suoi occhi furbi, mentre Rory si rialzava senza perderlo di vista.
«Cosa vuoi?» chiese il bambino.
La creaturina non rispose, continuando a fissarlo con quel sorrisino allegro. Rory rinunciò a farlo parlare, impiegando tutti i suoi sforzi nella risalita, aggrappandosi ai piccoli arbusti che crescevano sul terreno obliquo. Faticosamente riuscì a issarsi fino alla sommità della parete erbosa, e si sentì davvero davvero stupido, quando incontrò lo sguardo dispettoso del leprecauno. Prima che potesse farlo lui, Rory dette uno spintone al piccoletto e si allontanò velocemente dal pericolo di esser buttato di nuovo giù.
Le sopracciglia dello spiritello si aggrottarono, mentre Rory aveva un lampo di memoria.
Cosa diceva sempre la sua mamma?
“«Rory, i leprecauni sono delle creature davvero dispettose, ma non solo. Insomma, è vero, i leprecauni sono molto piccoli, e non sono neppure molto forti. Però sono pericolosi. E ricorda, Rory, i leprecauni sono pericolosi perchè hanno la magia»”.
Lo spiritello alzò le mani verso di lui, con la sua aria da malandrino. Sorrise.
Una voce ruppe la concentrazione dello spiritello. Era forte e molto difficile da ignorare.
Rory si illuminò guardando nella direzione da cui proveniva la voce.
Non poteva essere più familiare, e gridava il suo nome. «Papà!»
Il leprecauno ritrasse le mani, spalancando gli occhi. Guardò per un attimo nella direzione da cui veniva la voce, soppesando le possibilità, poi si allontanò velocemente, producendo quel disarmonico scalpiccio. Meglio non avere a che fare con grossi esseri umani alla difesa dei propri cuccioli, specie se sei un leprecauno di cinque anni che con la magia può a malapena sollevare una pietra. Beh, almeno un pò si era divertito...
Bene, adesso Rory aveva imparato a conoscere anche un altro dei rumori del bosco, e di sicuro non lo avrebbe mai più seguito. Era senza dubbio meglio starsene a guardare i trifogli che avere a che fare di nuovo con quel diavoletto magico, pensò, mentre suo padre spuntava dagli alberi e, finalmente, lo vedeva…
Roisin era sempre più nervosa. Pensò di andare lei stessa a controllare che i suoi due ragazzi stessero bene. Nessuno dei due stava tornando. E se quello che aveva detto a suo marito fosse stato vero? Lei lo aveva detto solo per convincerlo, ma ora il dubbio si stava insinuando anche dentro di lei… E se non fossero mai più tornati? E se quel bosco li avesse inghiottiti per sempre? Non avrebbe mai più rivisto il suo dolce, piccolo re rosso… e neppure…
Si accorse di stare cadendo nel panico troppo presto. Incrociò le dita e rimase ancora ad aspettarli. Cercandoli con lo sguardo si accorse di qualcosa di scuro al margine del suo campo visivo. Per qualche istante lasciò perdere il bosco per rivolgere la propria attenzione alle macchie scure.
Il cuore le balzò in gola.
Come scordare quelle figure? Come dimenticare la notte in cui erano entrati in casa e le loro forme nere si erano stagliate come due ombre viventi contro le assi delle pareti, tremolanti nella luce delle deboli candele? Come dimenticare i funerali in paese, dove quella palla di grasso sorrideva della morte, sempre gioioso nell’altrui dolore, mentre la donna faceva schioccare le redini dei cavalli che trainavano il carro funebre?
Erano in due, e i loro volti erano adombrati da un cappuccio nero. La più piccola, quella a destra, era tonda e inconfondibile, mentre la più alta era slanciata e si muoveva con una compostezza che incuteva un misto di rispetto e timore.
Erano troppo, troppo vicini. Deglutì spasmodicamente, cominciando a mangiarsi le unghie come faceva da bambina. Decisamente troppo vicini.
Cominciò ad alternare i propri sguardi in modo frenetico fra il bosco e le due figure incappucciate.
Si stavano avvicinando. E dal bosco nessuna traccia di Rory e Kieran.
Troppo vicini. Cosa volevano questa volta?
Suo figlio e la sua dolce metà continuavano a non farsi vivi.
Domanda stupida. Roisin sapeva perfettamente che cosa volevano. Giunse la mani in gesto di preghiera. Loro non avevano rispettato il patto, nonostante la gentilezza di quelli, non avevano mai mandato il bambino giù in paese a giocare da loro. Non potevano, avevano troppa paura. E pensavano di essere nel giusto, ne erano convinti fin dentro l'anima, perché se quelli avessero preso il loro piccino chissà che cosa gli avrebbero fatto!
Roisin, piena d'ansia eppure sollevata, vide l'uomo e il bambino dirigersi a passo sostenuto verso casa. Erano troppo lenti, e quelli erano troppo vicini
«Presto!» gridò loro «Presto!».
Kieran non capiva il perché, ma il tono di allarme nella voce della donna lo convinse che era meglio allungare il passo. Corse verso casa, prendendo in braccio Rory e con un brutto presentimento, più che altro generato dal fatto che raramente Roisin aveva avuto un tono così angosciato.
Roisin li accolse frettolosamente, facendoli entrare velocemente e chiudendo la porta con il catenaccio.
«Che cosa succede?» gli chiese Kieran.
Lei non rispose, mettendo una sedia sotto la maniglia e preoccupandosi di chiudere ogni finestra.
«Me lo vuoi spiegare? Allora, che c'è?» ripetè l'uomo.
Roisin si girò verso di lui e fece un respiro profondo.
La sua voce tremava forte, spaventata, mentre lei allungava una mano verso il marito come in cerca di aiuto
«I becchini, Kieran! I becchini sono qui! Lo stregone e la donna sono arrivati fin qui, li ho visti poco fa!».
L'uomo parve come fulminato.
Posò a terra Rory con lentezza, che guardava i suoi genitori senza capire cosa stesse succedendo. «Sei sicura?» chiese, protendendosi verso la moglie e tentando di mantenere la calma.
Lei annuì «Lo stregone e la donna» ripeté, con convinzione.
L'uomo si allontanò di qualche centimetro e si passò una mano sul viso.
Sentiva una morsa allo stomaco che lo attanagliava ... tutte le volte che si parlava dei becchini gliene veniva una.
“I becchini” pensò, tentando di non apparire spaventato quanto in realtà era per la moglie “I becchini sono qui. Sono qui e vogliono prendere il mio Rory”.
«Vai a lavare il bambino, si è rotolato per terra e ha i vestiti tutti sozzi. A loro ci penso io» disse con la maggiore convinzione e autorità possibile.
Roisin annuì, sollevò il bambino in braccio e si allontanò.
I becchini si avvicinavano. Kieran uscì e li fronteggiò gonfiandosi, con le gambe divaricate, come un gatto che incontra un cane e cerca di spaventarlo
«Cosa volete?»
«Buongiorno!» esclamò Paul, gioviale «Dov’è Mark?»
«Rory» corresse Kieran, in tono un pò meno minaccioso «Adesso è dentro, con sua madre»
«Possiamo entrare?» l’ometto aprì le braccia con fare teatrale, piegando un po’ il busto in avanti
«No»
«Oh, perché?» piagnucolò Paul, togliendosi il cappuccio ed esponendo l’incarnato pallidissimo alla luce del sole.
Di giorno le sue occhiaie scure erano più evidenti e i capelli sembravano un cappello di seta nero. Erano passati cinque anni, ma il suo aspetto continuava ad essere lo stesso, con la faccia gonfia, bianca, senza neppure una ruga in più, e, come tutti sapevano al villaggio, erano ormai trent’anni che la sua faccia non cambiava minimamente.
«Perché non mi fido di voi» Rispose Kieran
«Pensavo che avessimo un accordo» cantilenò Paul, dondolandosi sui talloni
«Noi non abbiamo nessun accordo. Voi siete venuti e ci avete consigliato qualcosa, ma noi non abbiamo mai detto di si»
«Avete davvero tanta paura?»
«Io non ho paura di nessuno!»
«Neanche della fame?»
«Non ho bisogno del vostro oro guadagnato sulla morte altrui, potete riprendervelo! Ora abbiamo la campagna che provvede per noi»
«Ne sei davvero sicuro?» l’ometto sorrise, tranquillo, gioviale «Tieni pure l’oro e i regali. Sono per il bambino. Ma presto implorerete di poter mangiare. Presto lo manderete da noi»
«Continua a sognare, stregone».
Kieran non sputò addosso al becchino solo per timore di una maledizione, ma non nascose neppure una stilla del suo odio.
«Sognare non costa nulla» Paul si rimise il cappuccio sulla testa, girò sui tacchi e si allontanò, seguito da Sheridan.
Kieran distese i muscoli e buttò fuori l’aria, accorgendosi di aver respirato troppo poco durante quella conversazione. Aveva visto qualcosa di strano negli occhietti lucenti del becchino, qualcosa di spaventoso, che gli ricordava quello che era successo cinque anni prima… qualcosa che ancora oggi lo terrorizzava a morte. Non aveva mai raccontato a nessuno quello che aveva visto, per paura di esser preso per pazzo, ma quando la donna incappucciata, Sheridan, aveva sussurrato al suo orecchio, era successo che …
«Kieran! Vieni qui, Kieran!» Gridò Roisin
«Arrivo!» esclamò l’uomo, con il cuore in gola, correndo dentro.
Quando la moglie lo vide arrivare tutto trafelato sulla soglia della stanzetta che usavano per lavarsi, gli sorrise
«Che succede, caro? Volevo solo chiederti di andare a prendere dell’altra acqua al pozzo …».
Kieran annuì, sollevato, e la abbracciò, attirando a se con un braccio anche il figlio nella tinozza.
«Che c’è, papà?» Chiese Rory
«Vi voglio bene. Vi voglio tanto bene» mormorò l’uomo.
Rory non disse nulla: aveva visto qualcosa, fuori dalla finestra, un ometto grasso dalla faccia pallida e simpatica che lo salutava. Anche lui mosse la mano in segno di saluto e suo padre colse quel movimento ed alzò gli occhi, ma quando guardò anche lui fuori dalla finestra, non c’era nessuno in mezzo al prato. Sorridendo, Kieran lasciò andare la sua famiglia e uscì per andare a prendere dell’acqua al pozzo. Per un istante si soffermò a guardare le spighe verdi, sempre più viranti al dorato, che ricoprivano un intero fianco della collina e ondeggiavano delicatamente al vento. A cosa serviva l’oro quando avevano quello? Il pane si può comprare con il denaro, ma il denaro serve a nulla se il pane non c’è.
Con le punte delle dita, sfiorò le spighe passandoci accanto: erano perfette, piene. Solo una di esse era annerita e afflosciata, ma Kieran si premurò di staccarla subito e di infilarsela in tasca, per poi bruciarla dentro casa ed evitare che il morbo, di qualunque tipo fosse, si diffondesse. Giunto al pozzo, calò il secchio e mise in moto la carrucola usando la forza delle sue possenti braccia da lavoratore. Le cicale frinivano intensamente e nel silenzio sembravano assordanti.
Kieran sentì qualcosa che gli sfiorava il collo e rabbrividì, poi alzò il secchio, lo sganciò dalla corda della carrucola e lo portò dentro. Roisin stava togliendo con un panno le macchie di terra dal collo di Rory e il bambino guardava in silenzio la madre, serio come un piccolo soldato. I suoi occhietti verdi si posarono sul padre e fissarono intensamente il secchio, come se potessero scioglierlo.
«Guarda» Disse Kieran, parlando piano con il suo vocione rombante e girando verso di lui il contenitore «Vi ho portato l'acqua, sei contento?»
«Papà...»
«Si, cosa c'è, piccolo mio?»
«Cos'hai nella tasca?».
Kieran aggrottò le sopracciglia e guardò in basso: la spiga non sporgeva dalla tasca, come aveva fatto il bambino a vederla?
«Cos'hai visto?» chiese, sospettoso, passando il secchio alla donna che riprese con noncuranza a lavare il piccolo
«Cosa c'è nella tua tasca?» ripeté il bambino, alzando lo sguardo sul viso del padre. Aveva uno sguardo strano, forse un pò freddo. Un bambino non avrebbe dovuto avere quello sguardo, si ritrovò a pensare Kieran, non così controllato. I bambini piccoli non sono così misurati.
«Una spiga. Era malata, così l'ho strappata prima che potesse fare ammalare anche le altre» spiegò l'uomo, sorridendo al figlioletto.
«Che fine farà questa spiga, papà?»
«Beh… dovrò bruciarla. Altrimenti la malattia si potrebbe diffondere e dovrei strappare anche le altre spighe».
Rory non disse nulla. Abbassò la testa in silenzio e chiuse gli occhi, mentre la madre continuava diligentemente a detergere la sua pelle. Kieran si sentì per qualche istante un inspiegabile groppo in gola mentre fissava il figlio.
Il bambino continuò a rimanere fermo e zitto, come un oggetto inanimato nelle mani della madre.
Kieran entrò quasi in trance fissando Rory. Pochi secondi dopo si riscosse e chiese alla moglie «C'è altro che posso fare?»
«No, caro» rispose Roisin senza distogliere lo sguardo da Rory, con dolcezza «Se vorrò qualcosa te lo chiederò… nel frattempo al mio piccolo soldato sporco ci penso io!».
La donna arruffò i capelli rossi, di cui andava tanto fiera, del suo soldatino sozzo. Rory rise, allungando una manina paffuta verso quella di sua madre cercando per gioco di farla smettere.
Così, si ritrovò a pensare l'uomo, così si deve comportare un bambino. Scosse la testa, rabbrividendo, poi Kieran lanciò uno sguardo ai due e si allontanò in silenzio.
Si avvicinò al camino e ci si accucciò di fronte, prendendo in mano una pietra focaia. Guardò assorto la fiammella che prendeva vita, e danzava, danzava … ci buttò sopra la spiga e, con le ginocchia contro il petto, osservò come lentamente quella piccola creatura luminosa si dimenava e divorava la spiga malata fino a non lasciarne che un mucchietto di cenere. La creatura luminosa, rimasta senza cibo, morì. Si spense. Con occhi vacui osservò il sottile filo di fumo che si levò dalle ceneri.
Per qualche motivo, adesso che la fiammella si era spenta e la spiga bruciata si sentiva vuoto. No, non solo vuoto ...
Si sentiva inutile. Sbatté un paio di volte le palpebre e, come uscendo da un sogno decise di andare fuori a prendere una boccata d'aria, sicuro che almeno questo gli sarebbe bastato a schiarirsi un po' le idee.
Individuò un albero nodoso che aveva il tronco contorto in un modo bizzarro, quasi a mezzaluna e rievocava l'immagine di un vecchietto curvo e rugoso. “Il Gobbo” lo chiamavano loro.
“È colpa dei becchini”, si disse, mentre si sedeva ai piedi del Gobbo e lasciava vagare lo sguardo “Rory deve avere avuto paura perché non ci ha mai visti comportare così. Si è spaventato e si è cominciato anche lui a comportarsi in modo “strano”. Maledetti stregoni, è sempre colpa loro!”.
L'uomo serrò i pugni. Quell'ometto irritante, quell'esserino grassoccio e così ... irritante … Ecco, non riusciva proprio a trovare un termine migliore.
Le sue sopracciglia si sollevarono in un'espressione di sorpresa.
Tra il manto dorato, perfetto e sussurrante alla dolce e lieve brezza che si era appena levata, risaltava una macchia più scura. Un'altra di quelle spighe malate.
Aggrottò la fronte. Si alzò, sussurrando «Ci risiamo» e strappò con mano esperta la spiga, osservandola sulla sua mano. Sospirò e, a passo lento, rientrò in casa...
«Eccolo qui il nostro ometto tutto pulito!» esclamò Roisin, asciugando il corpicino di Rory con un panno «Ora il soldato, tornato dalla guerra avrà tutte le cure che merita!» lo strinse a sé, abbracciandolo teneramente.
Rory chiuse gli occhi. Si, era per questi momenti che valeva la pena di vivere secondo Roisin. Per questi abbracci di cui non era mai sazia, per vedere il suo bambino crescere sano e forte, proprio come suo padre, per sentirlo presente e dolce come sempre in questi abbracci. Gli accarezzò i capelli lentamente. Erano rossi, ricci e soffici. Rory, il re rosso. Non potevano davvero scegliere un nome migliore.
«Mamma?» chiamò il bambino, guardando sua madre
«Che c'è, tesoro mio?» rispose lei, dolce
«Lo sai che ho visto un leprecauno?»
«Un leprecauno tesoro mio? Davvero?» la madre lo guardò, con la preoccupazione che solo una mamma può avere «Ti ha fatto del male?»
«Mi ha solo buttato giù»
«Giù?» la donna spalancò gli occhi «Giù da dove?»
«Da una collinetta» spiegò il bambino, facendo spallucce in un modo che Roisin trovò assolutamente tenero
«Ti sei fatto male?» chiese lei.
Rory scosse la testa vigorosamente, come un cagnolino bagnato che si scrolla di dosso l'acqua
«Meglio così» Roisin sfregò il proprio naso contro quello del suo piccolino, poi si allontanò e lo rimirò come se fosse un prestigioso trofeo «Ecco perché eri tutto sporco sporco! Per oggi basta natura, che cosa ne dici?».
Il principino rosso annuì con una faccia spaventata talmente buffa che Roisin non poté fare a meno di scoppiare a ridere, mentre lo prendeva in braccio.
«Kieran! Abbiamo finito qui! Il mio soldato sporco è diventato un cavaliere dall'armatura scintillante!» rise Roisin, mentre Kieran affacciava dalla porta e sorrideva al figlioletto.
Rory guardò il padre, serio «Tu sai di spighe...»
«Beh, è normale, io sto tutto il giorno in mezzo al grano!» gli ricordò Kieran, sorridendo.
Il bambino sembrò sul punto di mettersi a piangere, poi si strinse convulsamente alla madre affondando il faccino nei capelli della donna volgendo le spalle al papà.
«Su, su» Tentò di consolarlo Roisin, battendogli piano sulla schiena «Non c'è niente di cui aver paura! Rory… tu sei il mio soldato coraggioso, non c'è niente che ti può fare del male!».
Il bambino non reagì agli incoraggiamenti della madre. Non piangeva, non faceva niente. Era immerso in un… si, un silenzio di tomba.
La donna lanciò uno sguardo preoccupato a Kieran. «Che sta succedendo?» articolò, muovendo le labbra, ma non producendo rumore
«Non lo so!» gli rispose pianissimo lui, allargando le braccia
Roisin tornò a guardare Rory «Piccolino» gli disse «Dici a papà di quel leprecauno, eh? È vero che hai incontrato un leprecauno nel bosco?»
Rory non reagì
«Allora?»
Rory, finalmente, annuì
«E com'era questo leprecauno?»
«Piccolo» rispose il bambino, seccamente
«Più piccolo di te?».
Ben presto, tartassandolo di domande, Roisin riuscì a farlo parlare di nuovo. Sembrò che il blocco momentaneo che aveva avuto poco prima fosse stato del tutto sciolto, visto che parlò del leprecauno e non solo, parlò più del solito e più di quanto i suoi genitori fossero abituati a sentirlo parlare (anche se ogni tanto aveva qualche difficoltà a trovare le parole giuste).
Almeno fino all'ora di pranzo non accadde nulla di strano, di preoccupante, anche se i genitori erano tesi come corde di violino. Avevano gli occhi fissi sempre su Rory, osservandolo nel caso che avesse manifestato un altro di quegli strani comportamenti ingiustificati. Il bambino, dopo qualche minuto, parve accorgersi dell'aria tesa che c'era in casa e anche lui s'irrigidì notevolmente, parlando di meno e sobbalzando a ogni minimo rumore.
Roisin e Kieran, allora, tentarono di calmarsi un pò. Presentandolo come un gioco al piccolo Rory, si fecero dei massaggi l'un l'altro per sciogliersi i muscoli e pranzarono tutti insieme. Rory si divertì.
Dopo un lauto pasto lo mandarono a dormire. Come ogni volta che Rory faceva il suo pisolino pomeridiano, la mamma gli rimboccò le coperte, e cantò per lui finché non sprofondò nel sonno più profondo, poi andò via e lo lasciò da solo con i suoi dolci sogni.
Roisin si sedette al tavolo della cucina. Kieran la stava aspettando, ma accolse in silenzio il suo arrivo, silenzio che persistette per qualche minuto e che fu la donna ad interrompere.
«Il punto è» Sbottò, come se fossero nel mezzo di una discussione «Il punto è che sono tremendamente preoccupata, Kieran. Non si è mai comportato così!»
«Credi che io non sia preoccupato?» rispose il marito, gesticolando «Roisin, lui ha cominciato a comportarsi così da quando è arrivato quell'orrido stregone! Temo che gli abbia lanciato addosso qualche incantesimo, non so… ma, come sempre, è tutta colpa loro!»
«La cosa che mi fa stare più in pensiero è che… non voglio azzardare niente, ma … »
«Ma?»
«Ma si comporta così solo quando arrivi tu».
Un breve silenzio succedette quelle parole, poi Roisin ricominciò a parlare «Con me non fa in quel modo! Non lo hai mai fatto! In tutta la sua vita si è comportato solo due volte in quel modo strano» cominciò a contare sulle dita «La prima volta, durante il bagnetto, era normalissimo finché non sei arrivato tu. La seconda volta, dopo il bagnetto, sei entrato nella stanza e lui è...»
«Cosa è?» Kieran si sentì scuotere dentro da un pensiero che non gli piaceva affatto.
Roisin non rispondeva. Forse Rory aveva paura di suo padre? La colpa era tutta di Kieran?
«Kieran...» Roisin mormorò quel nome con paura, distogliendo lo sguardo dal marito.
«Cosa c'è?» l'uomo aprì le braccia «Cosa c'è? Cosa ho fatto?»
«Guarda fuori dalla finestra».
Quando l'uomo osservò all'esterno, due sentimenti opposti lo colpirono come frustate: uno di assoluto sollievo, per non essere stato lui il motivo della paura della sua amata, e l'altro di rabbia e di dolore, per quello che stava vedendo. Una chiazza scura era comparsa in mezzo all'oro, ma non si trattava di una sola spiga, no, era una macchia grande come un carro, quasi nera e piegata, depressa in mezzo all'oceano giallo.
Kieran si precipitò all'esterno, in mezzo al campo, ansimando. No, non poteva crederci! Girò su se stesso, esasperato. La macchia di marciume che aveva visto fuori dalla finestra non era la sola, ce n'erano altre, chiazzavano l'intera collina.
«Maledetto stregone!» Urlò, facendosi il segno della croce «Sant'Iddio! Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?».
Corse a prendere la falce, con il cuore in gola. Sentire il contatto del legno, che era stato levigato da tanti anni di lavoro sotto i suoi palmi e a sua volta gli aveva donato calli e dita forti, lo fece tranquillizzare appena un po', ma non abbastanza da placare il tremore che aveva colto le sue braccia. Con una furia quasi distruttrice, l'uomo inizio a tagliare via le spighe malate, colpo dopo colpo, assaporando il rumore della lama che fendeva l'aria ed i fusti.
«Non vincerai» Mormorava, ripetendoselo come un mantra «Non vincerai. Ho Dio dalla mia parte, stregone. Non vincerai. Non vincerai. Non vincerai...».
Roisin lo raggiunse, ma rimase a debita distanza da lui, osservandolo. C'erano volte in cui Kieran sembrava lontano e irraggiungibile, remoto nella sua rabbia, chiuso nella sua armatura, e i suoi occhi diventavano quelli di una bestia. Scaricava la rabbia nel lavoro, stringeva i pugni fino a farsi male, annullava ogni altra sensazione se non quella della forza fisica, poiché non gli rimaneva nient'altro per combattere. Mieté ogni singola spiga di grano annerita, sudando sotto il Sole, e sorrise mentre le ammucchiava tutte insieme, mentre le sollevava e le portava dietro la casa per bruciarle.
«Non vincerai, stregone».
Il fuoco arse alto. Kieran ne respirò il fumo e si sciolse le spalle. Roisin gli prese la mano
«Cosa è successo, secondo te?»
«Lo stregone, è stato lui, con una di quelle sue malefatte diaboliche. Ma non vincerà. Ti prometto che non vincerà...»
«Sono sicura che non lo lascerai vincere».
Kieran le sorrise e le prese il volto fra le mani, poi la baciò teneramente, mentre il fumo scuro, acre, li avvolgeva, e andò a sedersi di fronte alla porta.
No, non riusciva proprio a stare ferma. Era nervosa. Lo stregone… lo stregone li stava punendo. Sembrava una di quelle favole dove c'è un mostro cattivo che vuole tutti i fanciulli e le fanciulle del paese. Paul era un mostro, categoricamente. Si era presentato quella notte indimenticabile e in cambio della ricchezza che gli aveva offerto, desiderava il loro bambino. Il loro piccolo Rory.
“«Ve lo ripeto per l'ultima volta. Che cosa volete?»
«Che lui non abbia paura di noi. Sarete ricchi, se lascerete che giochi da noi, giù in paese, al negozio. Non chiediamo nient'altro»”.
È vero, loro glielo avevano promesso, ma come poteva consegnargli il suo piccolo Rory, far si che crescesse fra bare, morti e stregoneria? No, no, era fuori discussione.
Con questi pensieri che si agitavano confusamente in testa, Roisin si alzò e si diresse verso casa, ignorando il fatto che si era appena seduta per riposarsi. No, non poteva stare ferma, non con l'angoscia che aveva addosso! Il solo muoversi la aiutava a scaricare un pò la tensione, ma si sentiva così impotente… Fece il punto della situazione per mettere un po' di ordine nel suo cervello confuso: lo stregone aveva lanciato una maledizione. Suo marito ce la stava mettendo tutta, stava uscendo pazzo per far si che il becchino non toccasse suo figlio, ma Roisin sapeva bene che da solo non poteva sconfiggere le stregonerie malefiche di Paul e Sheridan. Se le loro maledizioni avessero colpito il raccolto, loro non avrebbero avuto di che sfamarsi, e sarebbero morti.
Una vocina dentro di lei, probabilmente il suo istinto materno, gridò “Meglio morire che consegnargli il bambino!”.
Cominciò a camminare avanti e indietro per la cucina, quasi in iperventilazione. Dopo cinque anni i becchini volevano suo figlio, e se loro non glielo avessero dato sarebbero morti di fame, e con loro anche il piccolo. Scosse la testa. Magari c'era ancora speranza … magari, si poteva ancora contrattare. Non avrebbe mai ceduto Rory, ma non voleva tenerlo per poi vederlo morire lentamente di fame, piuttosto la blasfemia di un suicidio!
Senza neppure che lei se ne accorgesse, i suoi piedi la condussero verso il suo principino, entrando nella stanza. Lo osservò mentre dormiva, così dolce, così innocente. Il faccino paffuto era disteso nel sonno, il faccino del suo Rory. Non sarebbe mai stato rapito dal mostro della favola. Suo. Per sempre.
Si chinò su di lui e sfiorò con delicatezza la guancia morbida del piccino. “Sta bene. Adesso è tutto quello che conta. Mio figlio sta bene e finché lui sta bene devo starmene tranquilla”.
Sorrise, chiuse gli occhi ed espirò. Incredibilmente, riuscì a calmarsi.
Uscì dalla stanza con il cuore leggero, per poi sedersi di nuovo all'aperto.
Rory stava bene. E Paul non lo avrebbe avuto. Era tutto a posto …
Cosa poteva andare storto?
«Morendo» sussurrò il bambino, con una voce tanto bassa da essere appena udibile «Stanno morendo». Una lacrima rotolò giù dalla sua guancia morbida, unica e lucente come una piccola pietra preziosa …
Stanno morendo.
Il sole stava scendendo lentamente, muovendosi nel lontano orizzonte. Il giorno era così breve, dopotutto … e dopo veniva la sera. E la sera era oscura e più fredda, il momento in cui le ombre si allungavano e poi di colpo si scioglievano in un'ombra più grande, gigantesca, che avvolgeva tutto.
Ma non era ancora sceso il buio quando il bambino si svegliò, si stiracchiò e scese giù dal letto. Sentiva uno strano freddo che non riusciva a giustificare, che non aveva nulla a che fare con la temperatura esterna. Era come se nei sogni che aveva fatto avesse sentito freddo.
Si passò la mano sul petto, ma sentì la pelle calda come quella di una qualunque altra persona, come suo padre e come sua madre. Dunque il problema non poteva essere fuori, ma solo dentro di lui.
Aveva bisogno di calore. Cercò sua madre con lo sguardo, ma non era nella stanza, perciò doveva essere fuori. Uscì a cercarla e quello che vide fu suo padre, che se ne stava seduto di fronte alla casa con il mento poggiato su una mano, che guardava il campo.
«Padre»
«Che c'è, piccolo mio?» Kieran abbassò la mano, poggiandosela sulla coscia, e guardò suo figlio, così piccolo e deciso di fronte alla porta «Vieni qui, vieni accanto a me ...».
Lui obbedì, accoccolandosi al fianco di quella figura che a lui pareva tanto enorme e possente, l'uomo che poteva sconfiggere qualunque cosa e che se allargava le braccia poteva abbracciare un albero intero. Kieran gli pose una mano sulla testa e gli accarezzò i capelli lentamente
«Cosa c'è, piccolo? Va tutto bene?»
«Ho freddo. Dentro, sai»
«In che senso?» il padre aggrottò le sopracciglia, preoccupato
«Qui» Rory si indicò il petto, poi mosse il dito su e giù «Sai, dentro»
«Oh. A volte succede anche a noi grandi… quando abbiamo paura, per esempio. Tu hai paura?»
«Ho fatto un brutto sogno»
«Com'era?»
«Non me lo ricordo. Non me lo ricordo tutto quanto» il tono del bambino si fece più tremante, come se la sola idea di non rammentare lo stesse ferendo «Ricordo solo che le nostre spighe stavano male. Stavano morendo, sai, come è successo alla capretta di Laoghaire. Diventavano nere, credo. E cadevano per terra»
«Beh, ma ora non sta succedendo niente, vedi?».
Il bambino non era convinto, sentiva qualcosa tremare nel timbro del padre e i suoi occhi, di solito sinceri, che gli mentivano, ma quando guardò verso il campo vide che il grano era lì, ondeggiante, verde striato d'oro, ma c'era qualcosa che non andava e i suoi occhi lo colsero immediatamente: zone vuote. Come se un animale enorme avesse dato un morso al campo e avesse strappato via intere boccate di spighe.
«Qualcuno ha rubato del grano» Disse a voce bassa Rory
«No, nessuno ha rubato niente...» la voce del padre era nervosa, suonava troppo falsa
«Si, qualcuno se l'è portato via» ripeté il bambino «Qualcuno si è portato il nostro grano»
«Non è vero»
«Si, invece» Rory si alzò.
Non aveva mai contestato suo padre, l'uomo che sapeva sempre tutto, e questo lo faceva sentire strano, un po' troppo grande e un po' più triste, ma non intendeva lasciare che qualcuno gli mentisse. Neppure se si trattava di suo padre. Si avvicinò al campo e Kieran rimase seduto a guardarlo, senza poter fare nulla. Non era un'illusione: qualcuno aveva falciato via grossi pezzi della distesa omogenea di piante, lasciando che si mostrassero fusti mozzi.
Rory non poteva crederci, no, perché quella cosa somigliava troppo al suo sogno. Le spighe che morivano, le spighe che scomparivano, solo che qui non c'era niente di nero e di marcio.
«Va tutto bene» Mormorò suo padre, alle sue spalle.
E invece non andava tutto bene, andava male qualcosa di importante, solo che Rory non riusciva ancora a capire cosa: nella sua mente di bambino tutto si affollava e sovrapponeva e lui stesso temeva di non riuscire a discernere cosa fosse importante da cosa non lo fosse. Era importante suo padre, era importante sua madre e il bosco e gli alberi alti. Era importante il cibo, quindi doveva essere per forza importante il grano, o forse si sbagliava?
«Padre…»
«Cosa c'è, figliolo?» La voce di Kieran adesso era vicina a lui e la mano dell'uomo poggiata sulla sua spalla, a ricoprirla per intero tanto era grossa
«Il grano è importante?»
«Si. Te l'ho già detto tante volte, si, non c'è nessuna cosa che sia più importante del grano»
«Il grano è vivo» Rory accarezzò con le sue piccole dita bianche una spiga, scendendo giù per il fusto «Riesco a sentirlo che trema un po'. Come se avesse paura, ma non trema perché ha paura. Trema perché è vivo»
«Il grano trema, figliolo?»
«Si. Perché è vivo»
«Davvero? Oh, è interessante… cos'altro senti?»
«Freddo dentro»
«Ti fa male?»
«No. No» scosse la testa «Sta passando. Piano piano. Qui è bello»
«Fra poco sarà ora di mangiare, Rory. Entriamo dentro?»
«Si».
Kieran prese in braccio il bambino e lo trasportò all'interno. Lo fece sedere a capotavola, gli mise di fronte una piccola pagnotta che tagliò in due, una fetta di formaggio di pecora e una bella mela rossa, una delle ultime che si trovavano in giro, quelle del signor Callahan. Il bambino, sorridente, addentò il cibo. Sembrava così spensierato adesso, ma in fondo quale fanciullo non lo è mentre ha davanti un pasto? Siamo ciò che mangiavo e siamo perché mangiamo.
Come gli animali, pensava il bambino, tutti noi mangiamo e siamo felici. Uomini, pensava invece il padre, siamo tutti simili, tutti noi dobbiamo nutrirci per esistere, non importa se siamo ricchi o poveri, abbiamo tutti quanti bisogno delle stesse cose, quindi dov'è la differenza fra noi?
Mentre il pensiero di Rory, ancora acerbo, eppure ampio e alto come il volo di un'aquila, abbracciava ogni singolo componente vivente della natura, quello di suo padre era per gli uomini soltanto, ma a quel tempo, ancora, Kieran non poteva saperlo.
Roisin non era tornata per cena, ma il marito evitò di agitarsi per non turbare suo figlio. Eppure fremeva di impazienza e non poteva fare a meno di guardare fuori più spesso di quanto avrebbe voluto. Scese la sera, portando con se le stelle adamantine che rifulgevano nel cielo blu di velluto, e Rory sbadigliò piano, appoggiandosi al tavolo con il petto
«Padre» disse «Ho sonno...»
«Lo so, piccolo mio, è molto tardi» Kieran sollevò il bambino in braccio «Andiamo a dormire, ti va? Andiamo, su...».
Il bambino si aggrappò alle spalle del padre e gli posò il volto contro il collo
«Padre»
«Si?»
«Proteggi il grano»
«Sicuramente. Nessun altro lo ruberà, te lo prometto»
«Me lo prometti?»
«Si. Nessun altro ruberà il nostro grano».
Kieran portò a letto il bambino, lo infilò sotto il lenzuolo, glielo rimboccò per bene intorno al corpicino e gli diede una piccola pacca sulla fronte con due dita unite
«Dormi bene, piccolo soldato».
Rory annuì, chiudendo gli occhi.
In quel momento, Kieran udì un rumore alla porta e scattò, in punta di piedi per non disturbare il figlio. Roisin comparve sull'uscio, bianca in volto come carta e con le mani tremanti
«Tesoro ...»
«Roisin» l'uomo le avvolse le braccia intorno alle spalle e le baciò piano le labbra «Dove sei stata?»
«… Tesoro, dobbiamo mandare il bambino giù in città»
«Perché?»
«Abbiamo altra scelta?»
«Cosa è successo?»
«Sono stata giù in paese ...» la voce della donna tremava «E ho incontrato i becchini...»
«Cosa?» il volto dell'uomo divenne una maschera di paura «Cosa ti hanno fatto?»
«Non puoi immaginare… il bambino è sveglio?»
«Si sta addormentando»
«Usciamo fuori, ti prego» il tono di urgenza nella voce di Roisin era piuttosto marcato «Non voglio che senta, potrebbe spaventarsi»
«Certo» Kieran annuì e le cinse la vita con un braccio, accompagnandola all'esterno e chiudendo lentamente la porta.
Fuori c'era uno strano silenzio, le cicale che cantavano erano relativamente troppo poche. Roisin prese le mani al marito, stringendole spasmodicamente
«Paul mi ha detto che il bambino farà la fine delle spighe, se non rispetteremo il patto. Avevi ragione, è stato lui, altrimenti come avrebbe potuto saperlo?»
«No!» gemette l'uomo, disperato «Non avrà nostro figlio! Sarebbe meglio...»
«Meglio morire. L'ho pensato anche io. Ma è un pensiero stupido… dobbiamo vivere tutti. Non deve morire nessuno»
«Solo quel maledetto stregone» sibilò tra i denti il contadino, rosso in volto di rabbia «Ci farebbe un grosso favore a tirare le cuoia»
«Ma non accadrà presto»
«Lo ucciderò»
«No!» esclamò Roisin «Non perdere la tua anima per lui. Tu sei un brav'uomo, Dio ci aiuterà...»
«Dio ci aiuterà» Kieran parlò sottovoce, fra i denti «Ed io lo spero. Ma se lo stregone torcerà un solo capello a Rory, io ti giuro, ti giuro assolutamente, lo farò a pezzi con le mie stesse mani. Te lo giuro, questo, o non sono un uomo vero»
«E io ti aiuterò»
«Non sta bene che una brava donna si...»
«Se lui farà del male a Rory, in quanto madre gli farò rimpiangere di essersi venduto l'anima al diavolo, o non mi chiamo più Roisin Tad».
Il fuoco che Kieran vide negli occhi della moglie dissolse ogni dubbio: i becchini avrebbero fatto bene a preoccuparsi, se avessero fatto un passo falso, perché la dannazione eterna sarebbe stato solo un piccolo prezzo da pagare a confronto della rabbia di una madre.
«Quindi cosa facciamo?» Domandò l'uomo, tormentandosi le mani
«Mi hanno detto di mandarlo in paese, domani. Mi hanno detto che se non lo lasceremo venire, lui sarà come le spighe. Perciò noi lo manderemo».
Lei era sicura, i suoi occhi ardenti. Lui respirava pesantemente, con la rabbia che lo rodeva dentro, ma non aveva nessuna idea migliore se non quella di seguire i consigli della moglie. Dopotutto si trattava del loro bambino, il loro piccolo Re Rosso, e chi meglio di una madre poteva sapere cosa era meglio per lui? Così acconsentì
«Si. Domani lo manderemo da loro. E che Dio ci aiuti».
Roisin abbracciò il marito, poi si staccò da lui e si avviò verso l'interno. Lui rimase fuori ancora un po', ad ascoltare. Le cicale avevano alzato di nuovo la voce, che ora copriva il fruscio dolce del grano. Il grano! Erano riusciti a mantenerlo in vita, anche senza che lo stregone avesse revocato la sua maledizione. Adesso Kieran sapeva cosa fare e sorridendo raggiunse la moglie e la attirò a se tenendola per le spalle
«Roisin!»
«Shh!» mormorò lei «Non svegliare il bambino»
«Domani non lo manderemo»
«Cosa?».
Kieran le accarezzò il volto con il dorso della mano, poi si chinò verso di lei e le sussurrò in un orecchio
«L'abbiamo sconfitto una volta, con il grano. L'abbiamo salvato. Possiamo farlo di nuovo, con il bambino»
«Ho paura, Kieran. Ho molta paura»
«Fidati di me. Vi proteggerò. Se ho sconfitto lo stregone una volta, con la mia forza, posso farlo di nuovo».
Lei rimase per un istante in silenzio, afferrando la mano del marito e stringendosela contro una guancia, come se ne volesse assorbire il calore
«Lo spero. Ho fiducia in te, amore mio».
Kieran spense le candele soffiandoci sopra.
Quando sorse il sole, il mondo era più grigio del solito. Forse era il cielo, o forse il riflesso della terra, ma c'era qualcosa di profondamente sbagliato sulla collinetta e nella casa. Rory aprì di scatto gli occhi e si mise a sedere con un guizzo dei muscoli della schiena. Il freddo dentro il petto era diventato insopportabile, quasi ustionante, e lui non sapeva ancora come spiegarlo. Non era stato un altro incubo, non poteva essere stato …
«Papà» Mormorò, poi si alzò e si recò nella stanzetta adiacente.
Kieran e Roisin, sotto il lenzuolo, dormivano abbracciati. Rory non riuscì a sorridere neppure vedendoli. Dormivano, non sapevano, non soffrivano. Il bambino si premette le mani contro il petto, poi uscì verso la luce. Il sole era appena sorto, la luce tenue e dorata tingeva il mondo di ocra, rosso, verde scuro e giallo. Rory camminò verso le spighe, verso una macchia nera e immobile, che non ondeggiava al vento e che non vibrava di vita, che non tendeva al sole le sue foglie e che non nutriva gli insietti: erano molli e morte, accasciate al suolo, tutte uccise in una notte sola. Il bambino sentì una lacrima che gli rotolava giù lungo la guancia e la toccò con una nocca per poi portarsela alla bocca ed assaggiarla, calda e salata, il sapore della tristezza. Suo padre gli aveva promesso che avrebbe protetto le spighe, ma non era così, mentre lui dormiva loro erano morte, tutte. Non le aveva salvate. Rory prese a tremare, con i pugni stretti.
Il freddo dentro il petto era sparito, sostituito da un fuoco rabbioso, triste e salato come le lacrime. Rory vedeva quella macchia nera e vedeva la morte, ingiustificata e orribile, che non nutriva nessuno, che non salvava nessuno, che uccideva solo per uccidere.
«Padre!» Iniziò ad urlare «Padre! Padre! Papà!».
Kieran si svegliò di soprassalto, spaventato, raggelato, dalle grida del figlio, e corse per salvarlo da qualunque pericolo lo stesse minacciando. Ma la minaccia non era fisica, non ancora, quanto invece la minaccia simbolica di una morte lenta e dolorosa. Lo stregone era riuscito a prendersi il campo di grano, avrebbe potuto prendersi il bambino. Niente poteva fermarlo.
Kieran si fece il segno della croce, lentamente, poi posò le mani sulle spalle di suo figlio
«Rory, piccolo mio. Oggi andrai in paese. Sei contento?».
Dalla finestra, Roisin piangeva in silenzio e ciascuna delle sue lacrime era muta e gemella di quelle del figlio.
«Padre» Disse Rory «Mi avevi fatto una promessa»
«Quale?» chiese lui, aggrottando le sopracciglia
«Avresti protetto il grano».
Kieran deglutì
«Ti ho deluso?»
«Io...»
«Ti ho deluso. Lo so. Ma non ho potuto fare niente»
«Lo so» Rory annuì e si girò verso il padre «Nessuno poteva. Le spighe hanno smesso di tremare come tremavano sempre. Erano fredde. Ed è come se mi hanno detto … come se mi hanno detto che niente poteva alvarle. Nemmeno tu».
Kieran guardò suo figlio. Uno strano gelo si insinuò fra loro, anche se il padre lo rifiutava con tutto se stesso: il suo piccolo Rory non aveva niente di strano, niente che non andava. Ma le parole di quel piccolo uomo, quella minuscola copia paffuta di umano, avevano lasciato un gelo profondo nel petto di Kieran, un freddo come non ne aveva mai provato in vita sua.