Capitolo 2
Zio Paul
Il paese non era molto grande, somigliava più che altro ad una disordinata accozzaglia di case di generi diversi dominata dalla mole di un immenso castello scuro, quello dei McIntyre, signori di quelle terre. Le vie erano sterrati disseminati di piccoli ciuffi d’erba e di macchie di ogni sorta, viottoli popolati da capre, galline, cani e bambini. L’aria era satura dell’odore del cibo: pane, il malto della birra, aceto e note più lievi di frutta. In fondo al paese c’era un edificio ampio, di malta e pietre, accanto alla quale era stata costruita una stalla nella quale si muovevano lentamente, dimenando la pesante coda, due corpulenti cavalli neri. Dietro quell’edificio si estendeva il piccolo cimitero, una distesa di lapidi di marmo, croci in ferro battuto o in legno levigato sopra un prato verde acceso, ben tagliato e palesemente curato da qualcuno che se ne intendeva.
Di fronte all’edificio di malta e pietre era seduto un ometto tondo e pallidissimo, tutto vestito di nero, con una mantellina di velluto morbido e un libro dalla copertina rossa, anch'essa di velluto, fra le mani. Aveva lo sguardo assorto, le sopracciglia un po’ aggrottate e la fronte corrugata che risaltava curiosamente sul resto del volto completamente liscio e paffuto. Sembrava un pupazzo di cera modellato per sembrare la figurina di un buffo saggio senza barba che leggeva. Rory lo trovava strano e simpatico e gli si avvicinò per chiedere informazioni.
Paul alzò lo sguardo, mutando l’espressione assorta in un sorriso aperto
«Ciao, piccolo»
«Salve» il bambino chinò la testa «Sto cercando Paul e Sheridan, mi può aiutare?»
«Certamente. Siediti qui accanto a me».
Rory obbedì. L’uomo tondo e bianco accanto a lui odorava di candele e di biscotti, gli ispirava fiducia.
«Sono io Paul» Disse, a bassa voce «E Sheridan è sul retro, sta inchiodando delle assi. Finalmente sei venuto…»
«Papà dice che dovevo»
«Oh… stai tranquillo, non è un obbligo. Se stare con me non ti piace, puoi tranquillamente andartene a casa» gli sorrise in un modo strano e buffo, che fece ridere Rory «Ma penso che ti divertirai con noi, piccolo»
«Siete simpatico, signore» osservò Rory, sorridendogli
«Grazie» l'ometto sorrise con dolcezza «Grazie, Mark»
Il bambino lo guardò stranito «Mi chiamo Rory, signore»
«Oh, beh, Mark, Rory, fa lo stesso… Ti dispiace se ti chiamo Mark?»
«No, signore. Ma sono Rory»
«E chiamami pure zio Paul, non sono un signore qualunque, sai piccolino?» l'uomo grassoccio, lo “zio Paul”, parlava con una dolcezza strana nella voce. Rory pensò che era come quella della sua mamma, ma in modo diverso.
«Ma che scortesia da parte mia!» Disse il becchino all'improvviso, alzandosi e sospingendo con delicatezza il bambino verso l'entrata dell'edificio, entrando a sua volta e chiudendosi la porta alle spalle «Lasciarti qui fuori… entra, entra pure, piccolo Mark, ci divertiremo da morire!».
Rory entrò, piano, con la cautela che si era riservato quando inseguiva il leprecauno. Era un mondo nuovo, un mondo da sommare ai tanti piccoli mondi del suo universo. Doveva guardarlo bene, capirlo, come aveva capito l'orto e il grano, il suo amato boschetto.
Si guardò intorno, con gli occhi spalancati.
L'interno dell'edificio di malta e pietre era ricoperto interamente di legno, asse su asse, legno scuro che Rory non riuscì ad identificare. La stanza era grande, molto più grande della cameretta in cui lui dormiva, e alle pareti erano appoggiate strane cose oblunghe e lisce di legno come tutto il resto, ma apparentemente inutili. Il bambino ci si avvicinò, curioso, osservando con le sopracciglia aggrottate il simbolo sopra inciso. Una croce.
«Cos'è?» chiese, passandoci sopra un dito «Cosa significa?».
L'ometto grasso si avvicinò a Rory e si abbassò fino a lui «Quella lì è una croce. Quando sta sulle bare ecco, Mark… nelle bare dormono per sempre i morti. La croce è il simbolo di Gesù che li accompagna nel Regno dei Cieli. Mark, sai che cos'è la morte?».
Il bambino annuì, gravemente, artigliandosi quasi senza accorgersene il petto con una mano «La morte è freddo dentro il petto. Quando si muore non ci si… muove più. Come il grano. La morte è triste».
Paul sembrò profondamente turbato da quelle parole, guardando il bambino con rammarico. Si morse il labbro inferiore, poi allontanò lentamente e senza dir nulla Rory dalla bara.
Lo guardò per qualche secondo, mentre la manina del bambino si disserrava dall'abito e ricadeva mollemente al fianco del piccolo.
Il becchino, per evitare che Rory pensasse ancora al grano, si raddrizzò e urlò «Sheridan! Vieni, Sheridan, vieni! Guarda chi è venuto a trovarci!».
Rory osservò la scena, curioso. Al richiamo del becchino, Sheridan venne. Emerse dalla porta, con un martello di legno chiaro stretto ancora in pugno, e si avvicinò al duo con lentezza, come se il tempo non le importasse.
Era enorme, a dir poco. Rory si sentiva una pulce al cospetto di quella donna gigantesca che avvicinava a lui. Il viso era ancora in ombra, a causa del cappuccio nero che le copriva tutt'ora il capo, e non si era tolta la lunga veste.
Gli si parò davanti, chinando la testa verso di lui. Rory ebbe immediatamente soggezione di quella donna troppo grande. A un tanto così dalla paura. Ogni suo movimento esprimeva potere, il modo in cui stringeva il martello, il modo in cui camminava, il modo in cui si chinò su di lui per osservarlo. Era un potere pericoloso il suo, pensò il bambino, mentre si sentiva sempre più confuso dallo sguardo invisibile fisso su di lui, un potere forte e assoluto, come quello che aveva fatto morire il grano.
Incontrastabile.
E così come nessuno avrebbe potuto salvare il grano, nessuno avrebbe potuto fermare Sheridan.
Rory deglutì, mentre i suoi pensieri si impastavano in una palla incongrua e oscura.
Sentiva quegli occhi addosso, che lo sondavano in modo inquietante, come se volessero penetrargli l'anima e la mente, ma non riusciva a vederli. La sensazione di pericolo e la voglia di fuggire lontano, il più lontano possibile da quell'essere, si fecero pressanti.
Il suo respiro si fece affannoso, mentre spalancava gli occhi di fronte alla sagoma che lo sovrastava.
«Su» incitò Paul «Sheridan, non essere scortese con il nostro ospite! Saluta il nostro piccolo Mark!».
Rory avrebbe voluto dire di no, che non importava, non doveva salutarlo per forza, ma per qualche motivo la sua bocca rimase sigillata come se ci fosse stato spalmata sopra della colla di pesce.
Deglutì, desiderando allontanarsi da lei. Non voleva sentire la voce di Sheridan.
La bocca della donna si aprì, rivelando dei denti bianchissimi e affilati su cui l'attenzione di Rory non poté fare a meno di concentrarsi, e la donna parlò.
«Salve» disse, assaporando la parola e poi sputandola fuori con la flemma che la contraddistingueva.
Rory sussultò. La voce della donna era stranamente profonda, con note metalliche e feroci che vibrarono a lungo nella sua piccola testa. Ipnotica e impregnata della forza che bastava per far si che con un solo comando un esercito intero obbedisse, a far ritirare l'uomo più ardito con la coda fra le gambe.
Perché mai lui avrebbe dovuto rimanere lì? Non era certo l'uomo più ardito!
Non poté fare a meno di paragonarla con quella di sua madre, la voce di donna che conosceva meglio. Non notò alcuna somiglianza con la dolce, calda voce della sua mamma, il suono melodico e rassicurante che lo faceva dormire al calduccio nel suo lettino.
La voce di Sheridan era di donna e di belva, di demonio e angelo.
D'improvviso lei si ritrasse, e volse lo sguardo verso Paul.
L'uomo sussurrò all'orecchio di Rory «Non ti preoccupare, Mark, la prima volta fa la stessa impressione a tutti. Ha spaventato anche me!» e gli fece l'occhiolino.
Il bambino abbassò gli occhi, arrossendo. Sheridan parlò con voce calma e profonda
«Lui si chiama Rory, non Mark. Hanno detto così i suoi genitori».
Paul strinse le labbra fino ad assottigliarle, poi si lasciò sfuggire una breve risata
«Si, hai assolutamente ragione...» disse «Rory, è così che si chiama questo giovanotto. Non so proprio perché continuo a chiamarlo con quel nome...»
«Io lo so» mormorò Sheridan
«Buon per te, mia cara… andiamo, Rory, vieni, che ne pensi di fare i biscotti?».
Rory prese per mano il becchino ed insieme si diressero verso il retro della struttura. Scivolare via dall'ombra di Sheridan fu come uscire da dentro una tempesta di neve: si respirava di nuovo aria calda e ci si poteva muovere più facilmente. La donna li seguì a breve distanza, ma non essere fermi di fronte a lei, dritti sotto il suo sguardo indagatore, era già un grosso traguardo per il bambino.
C'era un forno all'aperto, sul retro, costruito con i mattoni a parete, e un tavolo di legno grezzo. Per terra, a poca distanza, giacevano un paio di enormi sacchi di farina, coperti da una piccola tettoia.
Rory pensò che lo zio Paul doveva essere davvero ricco se si permetteva di comprare tutta quella farina e poi lasciarla all'aperto, dove qualunque ladruncolo avrebbe potuto portarla via. I suoi genitori producevano il grano, ma quando lo portavano a macinare e poi riportavano indietro i sacchi, nascondevano bene la farina, perché era preziosa, e potevano scambiarla con molti altri tipi di cibo, come per esempio il formaggio. Quest'uomo, invece, aveva tutto quel cibo e sembrava non curarsene …
«Allora» La voce zuccherosa dell'ometto risvegliò Rory dai suoi pensieri «Che cosa si fa per fare i biscotti? Tu lo sai, vero?»
«Ehm … si prende dell'acqua e della farina»
«Si, bravo, acqua e farina! Sheridan, per favore, porta dell'acqua».
La donna incappucciata si allontanò. Rory aggrottò le sopracciglia
«Perché non fa vedere mai la faccia?» domandò
«Ti spaventa?»
«Papà dice che chi non fa vedere la faccia è un bandito, che non deve farsi riconoscere»
«E a te fanno paura i banditi?»
«I banditi rubano e fanno del male alle persone. Non voglio incontrare i banditi»
«Ma ti fanno paura?».
Il bambino si strinse nelle spalle. Paul gli sorrise: era evidente che il concetto di paura che Rory aveva era piuttosto vago e nebuloso. Forse non aveva neppure avuto mai davvero paura.
«Diremo a Sheridan di togliersi il cappuccio. Altrimenti sembrerà un bandito, no?» Scherzò Paul, mettendo una mano sulla spalla del bambino
«Si» rispose soltanto Rory.
Paul si diresse verso i sacchi di farina e infilò la mano in uno dei due, alla ricerca della paletta di legno per dosare gli ingredienti, poi, quando lo trovò, lo diede in mano al bambino
«Allora» gli disse «Quanti biscotti vuoi fare?».
Rory guardò la paletta, poi guardò i sacchi di farina, che erano più alti di lui, e pensò che abbondare non sarebbe stata una cattiva idea
«Tanti» annunciò
«Tanti quanti?»
«Tanti» ripeté, guardando i sacchi con tanta intensità che se il suo sguardo avesse potuto li avrebbe forati
«Oh, devi avere fame … hai fatto colazione, vero, tesoro?»
«Si, certo»
«Beh, nel frattempo prendi questa».
Paul si infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse la mela più rossa, tonda e lucente che Rory avesse mai visto e gliela lanciò. Il bambino la afferrò al volo con prontezza di riflessi e l'annusò circospetto. Sembrava buona. L'addentò e masticò lentamente: il sapore era ottimo, proprio come l'aspetto suggeriva, dolce, e senza il retrogusto amarognolo, secco, di alcune mele selvatiche.
«Buona?» Chiese il becchino, sorridendo e guardando verso di lui.
Il bambino annuì.
Fu così che il piccolo Rory Tad, con adeguato aiuto, imparò a fare i biscotti.
Sua madre non aveva mai chiesto che il suo piccolo la spalleggiasse in cucina, non glieli aveva mai fatti fare, mentre quello strano ometto grasso, sorridendo continuamente, gli fece fare qualcosa di nuovo. E Rory adorava le cose nuove.
Era sempre di fianco a lui e lo aiutava dicendogli la quantità degli ingredienti necessaria a far si che venissero dei biscotti con la B maiuscola, ma fece preparare tutto a lui.
«A te l'onore» disse, scompigliandogli i capelli.
Si divertirono: cucinare non era mai stato così bello. Paul lo vigilò tutto il tempo, sorridendo mentre il bambino assaggiava lo zucchero con un dito, ridendo poi imbarazzato quando veniva colto con le mani nel sacco, o dava una forma ai futuri biscottini: una stella, un fiore, o semplicemente un cerchio.
Il becchino li infornò solamente, dicendo che questo era ancora pericoloso da fare per un bambinetto dolce come Rory.
Sheridan invece stette in disparte per il tempo necessario alla preparazione, senza dare segni di nervosismo, impazienza, o qualunque altra cosa. Li osservò senza profferir parola. Sembrava una statua di marmo, innaturalmente immobile, appoggiata al muro della casa a fissarli inquietantemente.
Non si tolse il cappuccio, ma a Rory in quel momento non importò.
Si stava divertendo, e, nel guardare i biscottini che si cuocevano nel forno, sbocciò nel suo petto un moto di orgoglio come mai ne aveva provati in vita sua. Li aveva fatti lui, tutto da solo, e di sicuro sarebbero stati buonissimi!
«Adesso ci vorrà un pò prima che siano pronti» annunciò Paul, allegro «Cosa vuoi fare nel frattempo?»
«Ehm ...» il bambino pensò a lungo, portandosi un dito al mento «Potremmo … beh, potremmo cantare una canzone. Mamma lo fa quando cucina»
«Ottima idea!» approvò Paul, schioccando le dita «Una canzone!»
«Non voglio che Sheridan canti» disse Rory d'impulso, senza avere il tempo di fermarsi.
Paul rimase per qualche istante in silenzio, poi annuì «Va bene, Sheridan non canterà, se ti fa piacere. Però almeno deve suonare! Qualcosa dovrà pur fare! Sheridan, vai a prendere il mandolino!».
La donna sussultò impercettibilmente, come se non si aspettasse di essere richiamata, poi si avventurò dentro casa dopo qualche attimo di esitazione.
Quando tornò, con in mano quello strumento che sembrava così piccolo impugnato da lei, Rory e il becchino stavano parlando fra di loro.
«Allora, l'hai imparata?» chiese Paul gentilmente «Altrimenti non possiamo cantarla insieme!»
«Si»
«Me la dici?»
«Un giorno mio nonno mi comprò ...»
«Contò, piccolo, contò»
«Che c'era un mago ai tempi di Noè. La terra con la verga sprofondò ed un gigante armato uscir ne fè. Avea dappresso trentadue …?» Rory si interruppe e guardò verso Paul, con la fronte aggrottata nel tentativo di ricordare le parole
«Lacchè» suggerì Paul «Trentadue lacché»
«Trentadue lacchè e con un corno facea “tu e tu e turututù”...»
«Bene!» lo interruppe Paul «Adesso è arrivata la musicista, possiamo cantarla come si deve!».
Sheridan non sembrava propriamente contentissima di essere la musicista, ma posò le dita sulle corde senza fare storie, sempre in silenzio assoluto, e con la sua immobilità parve interrogare Paul su cosa avrebbe dovuto suonare. Il becchino, con un sorriso ampio, le rivelò che si trattava della “canzone del gigante”. Lei iniziò a muovere le dita sullo strumento con perfetta sincronizzazione e l'uomo e il bambino presero a cantare, un po' più scoordinati di lei
«Un giorno mio nonno mi contò
che c'era un mago ai tempi di Noè.
La terra con la verga sprofondò
ed un gigante armato uscir ne fè,
tenea dappresso trentadue lacchè
e con un corno facea
turutù e tu e tu e turututù
e poi disparve e non si vide più».
Sheridan smise bruscamente di suonare ed allineò le braccia ai lati del corpo, tenendo il mandolino penzolante a circa un metro da terra. Paul parve contrariato da quel gesto e sbuffò
«Non mi era mai capitato qualcuno come te … sei truce, ecco! Non ti piacciono le canzoncine! Che dobbiamo fare con lei, Rory?»
«Eeeh ...» Rory era piuttosto spaventato dall'idea di giudicare Sheridan «Non lo so»
«Caspita. Vorrà dire che prenderò io una decisione» l'ometto si schiarì la voce, poi alzò una mano paffuta in direzione della donna e la indicò «Ora dovrai divertirti come tutte le persone normali, e questo è quanto!».
Ci fu qualche istante di assoluto silenzio in cui Rory credette che il mondo stesse per scoppiare: zio Paul aveva appena dato un ordine a Sheridan, non era una cosa che si doveva fare! Ma il mondo non scoppiò, ovviamente. Piuttosto accadde qualcos'altro che nella piccola mente di Rory equivaleva ad uno scoppio atomico, sempre se avesse saputo cos'è uno scoppio atomico: Sheridan rise. Fu un suono basso, non particolarmente vivace, ma non era minaccioso. Era strano. Paul aggrottò le sopracciglia
«Che c'è? Ho detto qualcosa di buffo?».
Sheridan non gli rispose, mettendosi a giocherellare con le corde del mandolino. Paul mise una mano sulla spalla di Rory
«Che facciamo? Lei non mi ascolta ...»
«Lei è tua moglie. Una moglie deve sempre ascoltare il marito ...» .
Paul sgranò gli occhi e per qualche istante lo guardò come se il bambino gli avesse annunciato che stava per avvenire una fitta pioggia di rane, poi scoppiò a ridere. Una risata certamente più allegra di quella di Sheridan, più acuta persino. Rory rimase interdetto
«Che c'è?»
«Oh … oh, beh» il becchino cercò di prendere fiato tra una risata e l'altra «Lei non è … io e lei non … insomma noi non ...»
«Cosa?»
«Niente» Paul si ricompose «Niente. Hai ragione, deve ascoltarmi. Io ascolto sempre lei quando parla! Il fatto è che non parla, perciò non è che sia un impegno gravoso, ma, beh, sono comunque paziente, capisci?»
«Ah ah» Rory annuì
«Quindi lei deve ascoltarmi. Hai sentito Sheridan?».
La donna annuì. Paul non sembrava soddisfatto dalla “grande” reazione e si dondolò sul posto, pensando ad una soluzione
«Senti, Sheridan, non sei collaborativa. Il bambino ha bisogno di qualcuno che giochi con lui. Tipo di te»
«E tu a cosa servi?» la domanda arrivò tagliente come un rasoio
«Non è questo il punto … il punto è che hai una capacità di mimetismo che potrei definire pessima. Un Ministro che in mezzo alla gente si comporta da Ministro spicca come un buffone in un funerale»
«Cos'è un Ministro?» domandò Rory
«Uno che amministra» lo liquidò zio Paul, poi tornò a rivolgersi a Sheridan «Insomma, la gente del villaggio crede che siamo due stregoni perché tu continui ad andartene in giro di notte come un avvoltoio con il cappuccio nero e vai a curiosare dove non dovresti. E non parli. E noi due non abbiamo figli, che sembra strano. E sei più alta di me. Insomma, sei tu il problema!»
«Vuoi dire che devo diventare più bassa?» il tono della donna era perplesso, ma in modo educato, senza ironia «Come faccio?»
«Ma non hai capito, era solo per enfatizzare … il punto è … se tu ti mettessi dei vestiti normali, se tu parlassi almeno, magari la smetterebbero di guardarci come se fossimo ...»
«Quello che siamo»
«Esatto!»
«Cosa siete?» domandò Rory, sempre più curioso
«Quello che siamo» lo liquidò di nuovo zio Paul «Andiamo, Sheridan! Sai cosa voglio dire!»
«No»
«Hai una capacità di comprensione degli esseri umani che mi spaventa … ovviamente, prima che tu me lo chieda, si, sono ironico»
«Stiamo trascurando Rory»
«Tu stai trascurando Rory!» l'ometto puntò di nuovo il dito contro la donna «Perciò togliti quel maledetto cappuccio, sei in famiglia, e facciamola finita con questa farsa!»
«Quale farsa?»
«Oh, hai capito cosa voglio dire!»
«No»
«Te lo spiego normale, ok?» l'ometto sembrava sempre più demoralizzato da quel confronto «Allora, Rory è uno di famiglia. Mi sta bene se tu giri con il cappuccio per il paese, anche se spaventi i bambini e le vecchiette. Però, quando sei con Rory, non mi devi spaventare pure Rory, sennò scappa e non lo vediamo più. Tu vuoi che Rory scappa e non lo vediamo più?»
«No»
«Bene. Allora ti consiglio vivamente di toglierti dalla faccia il cappuccio e il tuo sguardo truce, ok? Altrimenti, se mantieni la faccia truce e ti togli il cappuccio, il bambino scappa lo stesso»
«D'accordo».
Rory era sempre più confuso. Insomma, le risposte ricevute non erano esattamente esaurienti. “Siamo quello che siamo” e “uno che amministra”. Amministra cosa? E siete che cosa?
Iniziò a pensare che si trattasse di un duo di banditi. Per questo la donna teneva sempre il cappuccio! Era una bandita! E poi parlavano di cose che non si capivano, quindi parlavano in codice, e dicevano della possibilità che lui scappasse via. Perché scappare via da un uomo che fa i biscotti? Perché era un bandito!
La confusione aumentò. Ma allora perché sua mamma e suo papà lo avevano mandato da un bandito? Perché non sapevano che erano banditi! Oppure perché li avevano minacciati di morte!
Che poi quello strano uomo grasso parlava di morti … e le bare era dove nascondevano i cadaveri! Ecco a cosa servivano le bare!
Tutto quadrava. Erano due malviventi che volevano rapirlo e poi ucciderlo e metterlo in una bara perché erano cattivi. E poi avrebbero mangiato i biscotti che lui aveva preparato.
Tutto questo si affollava nella mente del giovane Rory, le conclusioni a cui solo un bambino può arrivare, mentre il suo corpo si preparava alla fuga. Tuttavia non scappò, forse perché voleva finalmente vedere sotto il cappuccio di Sheridan prima di tornare a casa. Lei era così misteriosa! E faceva un po' di timore, come i cani selvatici che si aggiravano intorno al bosco. Anzi, diciamo pure che faceva paura come quando i cani selvatici si mettevano tutti in branco ed inseguivano gli agnelli ed attaccavano anche i pastori. Rory una volta l'aveva visto, da lontano, e non gli era piaciuto per niente, perciò non sapeva se voleva davvero vedere sotto il cappuccio di Sheridan, ma sapeva anche che finché non avesse visto non si sarebbe dato pace. Perciò attese.
La donna fece scivolare all'indietro lentamente il cappuccio e i suoi lineamenti si mostrarono alla luce del sole. Aveva, come Paul, l'incarnato molto pallido, quasi non vedesse mai il giorno, e lineamenti più sottili di come Rory li aveva immaginati. Non sembrava affatto un mostro o una bandita, non aveva cicatrici e neppure zanne da orco. Aveva gli occhi verdi, penetranti, e le sopracciglia poste un po' oblique facevano sembrare il suo sguardo perennemente bieco, ma in un modo strano, freddo. I capelli erano ricci, di un rosso molto scuro, lunghi. Rory non sapeva dire se fosse brutta o bella, sapeva solo che era diversa da come lui credeva che fosse e che un po' lo impressionava, anzi, che gli faceva più impressione così che con il cappuccio.
«Truce, vero?» Chiese Paul, poi diede un paio di schiaffetti a Sheridan «Su, su! Sorridi!».
Rory trattenne il fiato, con la vivida impressione che adesso la donna avrebbe preso le gambe di zio Paul e gliele avrebbe strappate via a morsi.
Forse, però, alla fine non erano banditi veri … quali banditi si prendono a schiaffetti? Non che Rory avesse conosciuto tanti banditi, ma aveva sentito tantissime storie, e in nessuna storia i banditi facevano i biscotti o si prendevano a schiaffetti.
Sheridan rimase immobile per qualche istante, poi obbedì. Nell'istante stesso in cui la donna incurvò le labbra in un sorriso, l'intero viso si trasfigurò di fronte agli occhi increduli di Rory. Le sopracciglia si alzarono un po', donandole un'espressione molto meno da criminale, più naturale, e si formò una specie di piccola ruga all'angolo della bocca.
Non sembrava più la stessa. Aveva proprio un'altra faccia.
«Oh!» esclamò Paul, compiaciuto «Ora si che si ragiona! Brava ragazza!» poi si girò verso Rory e gli disse, facendogli l'occhiolino «Molto meglio ora, non è vero?».
Rory non poté fare altro che annuire, a bocca aperta.
Nello stesso giorno aveva visto Sheridan ridere, Sheridan parlare, Sheridan senza cappuccio e Sheridan che suonava il mandolino.
Quel giorno era successo qualcosa di unico nel suo genere. Non che Rory conoscesse da molto quella donna, ma da quello che aveva potuto intuire (e lui si credeva una persona piena di intuito) lei doveva essere un tipo molto riservato e pericoloso.
Paul mise una mano sotto il mento del bambino e gli chiuse la bocca
«Non vorrai che ti ci entrino le mosche, vero?».
Rory annuì. Sheridan lo afferrò e lo tirò su da terra. Il bambino si mise ad urlare immediatamente, sperando di essere messo giù, ma lei non si scoraggiò, non cedette nemmeno un istante, e se lo mise sulle spalle. Seduto a quell'altezza, finalmente, Rory smise di gridare e arrossì, vergognandosi di quella reazione esagerata.
Zio Paul stava sghignazzando piano, ma nonostante tutto la sua voce continuava a risultare trillante
«Oh! Sheridan fa paura, non è vero?».
Rory non rispose, abbassando lo sguardo. Non sapeva dove aggrapparsi per tenersi ben saldo lassù, aveva paura a mettere le mani ovunque.
Sheridan iniziò a camminare verso la collinetta disseminata di croci e lapidi, mentre Paul si allontanava, andando a sfornare i biscotti. Senza quell'ometto grasso, Rory stava per andare nel panico: era solo con quella donna che parlava troppo poco e che se lo era messo sulle spalle e che continuava a camminare, dandogli un'impressione piuttosto evidente di instabilità … e se fosse caduto da là sopra?
Il bambino prese il coraggio a due mani e le disse in un orecchio «Mettimi giù!».
La donna non rispose, ma continuò a camminare come se nulla fosse. La paura fece un boccone prelibato di Rory: era in balia di Sheridan, e questa, da quando l'aveva conosciuta, era stata la sua paura più grande in assoluto.
Ora la vedeva realizzarsi di fronte ai suoi occhi come per magia, e questo lo riempiva di una paura strana, la stessa angoscia che aveva provato per il grano, ma più incerta e vacillante. Il destino, allora, era scritto e invariabile. Stavolta era diverso, ma l'esito possibile era sconvolgente perché stavolta era lui ad essere in pericolo, non il grano.
Lanciò uno sguardo dietro di sé allo zio Paul che, con tutta la tranquillità del mondo, sfornava i biscotti e li annusava, soddisfatto come se li avesse fatti lui tutto da solo.
«Aiuto» sussurrò con voce strozzata, tendendo una manina verso il becchino e vedendola ondeggiare di fronte a sé a causa dei passi pesanti e flemmatici di Sheridan «Aiuto!».
La donna si fermò. Erano arrivati: la becchina si fermò sulla collinetta ricoperta di croci e, adagio adagio, prese Rory da sotto le ascelle e lo posò per terra.
Il bambino tentò di allontanarsi da quella donna spaventosa, ma quando una delle sue grandi mani si posò sopra la sua spalla, stringendo quanto bastava per trattenerlo, ogni suo proposito svanì come neve al Sole.
Quella mano era strana, fredda, come quella di un morto e solo quel contatto bastò a farlo desistere in ogni tento di fuggiasco.
Stettero lì, immobili e senza neppure provare a fare un minimo di conversazione, finché lo zio Paul non li raggiunse correndo, affannato.
Tese un biscottino a forma di stella a Rory. «Tieni» ansimò «Appena uscito dal forno»
«Grazie». Il bambino si ficcò in bocca il biscottino con avidità, tentando di distrarsi dallo sguardo color bosco, ora non più invisibile ma anche per questo ancor più inquietante, di Sheridan che si era fissato nuovamente su di lui.
Quando ebbe finito il suo biscottino al miele, Paul disse «Allora, Rory ...»
«Si?»
«Questo è il nostro campo. Noi giochiamo qui. La gente lo chiama cimitero»
«Cimitero?»
«Si»
«Ho già sentito questo nome» il bambino si sforzò di ricordare, ma non ci riuscì «Da qualche parte …»
«Questo è il nostro regno. Ognuna di queste croci ha un nome e se impari ad ascoltarle ti racconta una storia»
«Davvero?» Rory spalancò gli occhi «Raccontano delle storie?»
«Oh, si, delle bellissime storie, a volte. Altre volte storie tanto tristi o un po' noiose, ma per la maggior parte sono storie meravigliose, lunghissime e complicate»
«E mi insegnerai ad ascoltarle?» ormai il bambino fremeva di impazienza
«Certo. Ti insegnerò ad ascoltarle. Sheridan però è più brava di me in questo gioco, devi chiederlo a lei».
Rory alzò la testa verso la donna e non sentì il coraggio di parlare che affiorava. Anche se l'idea di ascoltare le storie meravigliose che raccontavano le croci lo allettava non poco, chiedere questa cosa a lei gli sembrava quasi sbagliato.
«Te lo insegnerò» Disse Sheridan.
Il suo tono di voce era disteso, quasi dolce adesso. Rory sentì il nodo freddo di tensione sciogliersi nello stomaco, sostituito da un placido e sano calore. Forse quella donna non era così terribile come sembrava … no, il bambino scartò subito l'idea: Sheridan poteva anche uccidere se si arrabbiava, come fanno certi cani da pastore che sono placidissimi con le pecore e il padrone e diventano feroci come i lupi in certi casi.
«Grazie» Disse soltanto, abbassando ancora una volta lo sguardo e, questa volta, notando qualcosa di particolare.
Ai suoi piedi si muoveva un serpente di colore grigio, striato di nero e di un verde pallido. Era bellissimo e sbagliato; sbagliato perché la mamma diceva sempre a Rory che i serpenti erano creature malvagie, del diavolo, e che andavano schiacciati, bellissimo perché le sue squame erano lucenti e si adattavano ai muscoli ad ogni movimento del corpo, dando l'impressione di una corda viva e colorata con cui giocare.
Paul notò il serpente e cercò di abbassarsi per afferrarlo, ma non ci riuscì e l'animale sgusciò tranquillamente fra le sue gambe, scivolando in mezzo all'erba ed aggirando una lapide bianca. Sheridan scattò, molto più veloce di Paul e soprattutto molto più capace di chinarsi, ed afferrò il collo dell'animale poco dietro la testa, con due dita. Il corpo del serpente si attorcigliò intorno al suo braccio con un movimento quasi violento, stringendolo forte, ma lei non ci badò e lo portò vicino a Rory.
Il bambino trattenne il fiato per alcuni istanti, fissando la testa del rettile, la lingua biforcuta e nera che guizzava ogni tanto per saggiare l'aria, poi disse
«Lo vuoi ammazzare?».
Sheridan parve offesa da quella domanda, tanto che la sua espressione tornò truce
«No» rispose «Perché dovrei farlo?»
«Perché i serpenti sono cattivi» rispose Rory, pronto «La madonna ha schiacciato il serpente sotto il piede. E il diavolo si tramuta in serpente per fare del male a tutte le persone».
Sheridan non rispose, limitandosi a fissare biecamente il bambino, così fu Paul ad addossarsi la responsabilità di spiegare a Rory cosa era giusto e cosa era sbagliato.
«Rory» Disse il becchino «Vedi, ogni creatura ha il diritto di esistere»
«Anche quelle cattive?»
«Un serpente non è cattivo. Un uomo può essere cattivo, ma non un serpente, capisci?»
«No, perché ...»
«Tu uccideresti un serpente?»
«No» rispose prontamente Rory
«Perché?»
«Perché sono belli»
«Si, sono molto belli. E poi? Ti sei mai chiesto cosa fanno di tanto cattivo?».
Rory si strinse nelle spalle. Effettivamente non ci aveva mai pensato.
Ci rifletté un po' su, poi rispose «Mordono le persone»
«Ma tu sai perché mordono le persone?»
«Perché sono cattivi» ribatté Rory, trionfante. Ecco, ora lo zio Paul avrebbe finalmente capito che lui aveva ragione!
Il becchino scosse la testa. Ci sarebbe stato molto, molto lavoro da fare.
«No, Rory, i serpenti non mordono le persone perché sono cattivi. Le mordono perché sono le persone ad essere cattive, li disturbano e tentano di ucciderli. Se io ti insulto, tu che cosa fai?»
«Papà dice che gli insulti non me li devo tenere, perché sennò tutti mi prenderanno come un bersaglio»
«Esatto! E i serpenti non si tengono gli insulti, ecco perché mordono le persone».
Rory non rispose. Si, dopotutto sembrava avere senso. La notizia appena ricevuta lo rallegrò molto: i serpenti non solo erano belli, ma erano anche buoni. Belli e buoni.
«Quindi i serpenti non si uccidono» concluse il bambino ad alta voce «Perché non sono cattivi»
«Esatto».
Paul sorrise. Non tutto era perduto: il bambino imparava in fretta e distingueva con chiarezza sbalorditiva per un bambino di cinque anni ciò che era giusto e ciò che non lo era.
Il becchino lo chiamò, il bambino gli venne più vicino.
«Che c'è, zio Paul?»
«Ora, sai bene che i serpenti, anche se non sono cattivi, possono fare male, vero?»
«Si, perché non si tengono gli insulti» confermò il bambino, orgoglioso di aver imparato la lezione appena impartitagli
«Bravo bambino, proprio così! Quello che voglio dirti ora è che Sheridan è come i serpenti. Fa paura, e questo perché può fare del male. Può fare molto male. Ma non vuol dire che lo farà. Non devi avere paura di lei» Paul si chinò verso di lui e gli mise una delle sue mani grassocce sulla spalla «Parla con lei: provaci, almeno. Fallo per lo zio Paul».
Il bambino deglutì, voltandosi verso la donna. Sheridan aveva ancora uno sguardo abbastanza truce, ma ormai nella mente del bambino era una caratteristica fisica propria di quella creatura. Ma non per questo aveva smesso di spaventarlo. Non sapeva se riusciva a parlarle. Stava per fare vibrare le corde vocali, ma continuava a ripensarci all'ultimo secondo.
Si voltò di nuovo verso il becchino
«Non ce la faccio»
«Provaci»
«Non è come prendere un serpente. Lei fa più paura di un serpente»
«Comprensibile» disse l'uomo grassoccio, e scoppiò a ridere, guardandolo con tenerezza «Si, fa senza dubbio più paura di qualunque serpente».
Per qualche motivo, la risata allegra dello zio Paul gli infuse coraggio. Lo sentiva, lo sentiva bene: il coraggio era l'esatto opposto della tristezza e della paura, era come un piacevole peso che emanava calore, sciogliendo il ghiaccio del terrore che lo aveva congelato dentro.
Alzò la testa verso Sheridan, mentre si sentiva sempre più temerario e caldo
«Insegnamelo» disse.
La donna lo guardò dall'alto senza dire nulla, con sguardo interrogativo.
«Per favore, insegnami il gioco delle tombe».
Sheridan si inginocchiò in silenzio accanto a una lastra di pietra.
D'improvviso si alzò un leggero venticello, dolce, che mosse appena l'erba corta della collina e accarezzò il viso di Rory. La donna alzò con lentezza un dito e lo puntò verso la tomba poi disse con la sua voce bassa «Leggi»
«Io non so leggere» disse il bambino «Non mi hanno insegnato»
«Qui c'è scritto Leah McMahon»
«Si chiamava … Leah McMahon» disse il bambino, senza comprendere come questo lo aiutasse
«Sai che cosa significa Leah?»
«No» il bambino scosse la testa
«Leah significa Raggio di sole».
Il bambino annuì. Per qualche motivo sapere il vero significato del nome Leah aveva reso il nome migliore, più importante. La ragazza morta non aveva solo un nominativo. Per Rory, d'ora in poi, la vera essenza della ragazza nella tomba sarebbe stata per sempre “Raggio di Sole”.
«Vuoi sapere la storia di Leah?»
«Si» il bambino si accucciò accanto alla lapide
«Leah è morta nel milleottocentotrentaquattro. Tre anni fa» commentò Sheridan, poi chiuse gli occhi e alzò leggermente il mento, come se si fosse immersa in ricordi lontani «Il raggio di Sole che, spegnendosi, rese il mondo più scuro»
«C'è scritto così, quindi» confermò il bambino, sfiorando con un dito l'incisione sulla lapide. Si sentì triste. Il Raggio di Sole si era spento. Il vento gli scompigliò i capelli, sussurrando dolcemente intorno al suo volto, come a volerlo rincuorare.
«Morì da sola. Si spense nell'oscurità, dove nessuno poté aiutarla e darle conforto, dove nessuno poté vederla. Era sola, aveva paura, e freddo. Era autunno, e come il Sole si nascose fra le nuvole e svanì, quell'anno a Leah accadde lo stesso. Era andata a fare una passeggiata con un gruppo di amici nel bosco. Si allontanò dal gruppo. Un attimo, aveva detto, solo un attimo» Sheridan non riaprì gli occhi. La sua voce si modulava sulle parole, e Rory pensò a Raggio di Sole, alla fine ingrata che aveva avuto. E mentre Sheridan parlava lui riusciva a immaginare … le immagini erano nitide, chiare, più chiare e definite di come sarebbero state se fossero state ricordi … Un attimo, solo un attimo ...
«Ma non mantenne la promessa. Non tornò. Gli amici la cercarono a lungo, per tutto il bosco …»
Rory immaginò le corse dei ragazzi fra gli alberi, e i loro respiri affannosi … i loro sguardi vagarono a lungo, alla ricerca di una ciocca di capelli familiare, un vestito, una scarpa, un movimento … qualunque cosa che riconducesse a Raggio di Sole … come potevano dirlo alla sua famiglia, come potevano dire loro che l'avevano persa?
«Fu tutto vano. Non la trovarono ...»
I ragazzi, angosciati, si allontanarono dagli alberi. La consapevolezza che poteva essere dovunque, poteva essere morta, li colpì con violenza. Era colpa loro, di ogni singolo individuo di quel gruppo. Non l'avevano trovata. Erano i suoi amici, e non l'avevano trovata, non l'avevano cercata a dovere.
La tristezza riempì i loro petti, come un macigno gelato.
Dov'era Leah?
Sarebbe toccato a loro dirlo ai suoi genitori. Vedere le loro lacrime, dover osservare il loro straziante dolore, che si sarebbe sommato a quella che già provavano loro. E non potevano fare altro, nonostante sapessero che non sarebbero mai riusciti a scordare quell'uomo e quella donna piangere come due neonati, ma con la consapevolezza di un adulto che non faceva altro che rendere più insopportabile quella dimostrazione d'angoscia.
Eppure aveva detto solo un attimo! Dov'era Leah? Dov'era Raggio di Sole?
« … Leah non lo sapeva. Si era persa, ed erano appena calate le tenebre intorno a lei. Vagò a lungo ...»
… Impaurita e sola. Aveva freddo, tanto freddo, ma sfregarsi le mani non bastava. I rumori del bosco la terrorizzavano. Ogni ramo appariva una malvagia mano d'uno spettro pronta a ghermirla, ogni uccello un malvagio emissario del Demonio. E se una bestia feroce la avesse attaccata? Come avrebbe potuto difendersi, se a malapena sentiva le dita?
Il suo sguardo si illuminò. Dio le voleva ancora bene, dopotutto! Quella era una manna dal cielo, una assoluta graditissima manna!
« Adesso sapeva dove passare la notte. Era una grotta. Non tanto grande, ma meglio così: il calore non si sarebbe disperso. Si sistemò, un po' più rincuorata e si preparò a passare la notte. Non seppe accendere un fuoco, così si accucciò sul fondo della grotta e chiuse gli occhi, in attesa che il sonno venisse a prenderla ...»
… Ma non fu il sonno a fare la sua comparsa. Piuttosto qualcosa di notevolmente più grosso, e senza dubbio più pericoloso. Un orso. Aveva scelto la grotta sbagliata.
«Ovviamente, quando la ritrovarono, si era già spenta».
Sheridan riaprì gli occhi e guardò Rory. Quello deglutì.
«L'ho immaginato» sussurrò il bambino. Deglutì di nuovo. «Era come se lo vedessi davanti a me ...».
«Hai percepito la sua storia. Re rosso, stai imparando il gioco delle tombe».
La vide sorridere. Era un sorriso di apprezzamento, e questo lo fece sentire bene, orgoglioso di sé.
«Domani riproveremo. Ora andiamo a mangiare i biscotti!» si intromise lo zio Paul, facendo segno a Sheridan di riprendere in braccio Rory e di venirgli dietro.
Riattraversarono tutta la collina delle tombe fino all'edificio di pietre e malta, dove trovarono, appoggiati su un tavolo, dolci biscottini.
Un altro motivo per essere orgogliosi.
Paul diede una pacca sulla testa al bambino
«Allora, piccolo ...» Disse «Assaggiamo?».
Rory annuì e si avvicinò ai biscotti, ma non ne prese: era buona educazione lasciare che i grandi iniziassero per primi, visto che erano grandi. Eppure né Paul né Sheridan davano segni di voler iniziare loro, perciò Rory rimase un bel po' perplesso e impalato di fronte al tavolo, fissando i biscottini con intensità e attendendo che una mano entrasse nel suo campo visivo per afferrarne uno.
Paul si schiarì la voce
«Non … assaggi?»
«Prima i grandi» disse Rory.
Sheridan si allontanò dal tavolo, come se non volesse avere niente a che fare con quella storia. Forse, pensò Rory, non le piacevano per niente i biscotti. Peggio per lei, in questo caso. Paul, invece, scoppiò a ridere
«No! Devi iniziare tu!»
«Non mi piace iniziare» borbottò il bambino «E mia madre dice sempre che devo lasciare iniziare prima i più grandi»
«Tua madre ti ha educato bene» Paul annuì e prese un biscotto per poi morderlo con gusto «E poi è utile nel caso in cui ti tendano una trappola»
«Una trappola?» chiese il bambino, sorpreso dal solo pensiero di quell'eventualità
«Si. Questi biscotti potevano anche essere avvelenati. Non devi accettare mai qualcosa da un estraneo senza prima vedere uno di loro che mangia con te. Si mangia insieme agli altri, non prendendo le cose dagli altri, lo sai?»
«Si» il bambino annuì «Mia madre lo dice sempre. Solo i prepotenti mangiano le cose degli altri senza aspettarli»
«E i prepotenti muoiono avvelenati» Paul sorrise, afferrando un altro biscotto e mandandolo giù in un boccone solo «Ma ti sembra che questi siano pericolosi?»
«No» il bambino si sporse verso i biscottini e li annusò.
Avevano un ottimo odore, che gli metteva appetito, anzi, che lo avrebbe quasi spinto a rubarli se solo non fossero stati già suoi. Sembravano ottimi, erano dorati al punto giusto, consistenti, e facevano il rumore croccante giusto, perciò Rory ne prese uno e lo assaggiò.
Erano esattamente quello che sembravano essere.
«Sono buonissimi» Commentò il bambino, finendo di masticare
«Lo so. Non smetterei mai di mangiarli! Per fortuna che non sono infiniti … O per sfortuna, tu cosa dici?».
Rory si chiese perchè quell'uomo continuasse a chiedere la sua opinione. Insomma, non era così importante! Perché voleva sapere quelle cose da lui? Tuttavia era sgarbato non rispondere.
«Una cosa un po' buona e un po' cattiva» Disse.
Paul annuì come se lui avesse detto una cosa molto assennata e Rory si sentì fiero di se. Era bello sentirsi considerati, anche se a Rory non piaceva molto dover esprimere in continuazione il proprio giudizio. Si sentiva tirato in ballo, e non sapeva fino a che punto gradiva la cosa.
Paul era il suo nuovo zio, nonché il suo unico zio, poiché non ricordava di averne mai conosciuto uno. Suo padre parlava spesso dei propri fratelli, ma Rory non ne aveva mai visto uno. Forse Paul era uno dei fratelli di suo padre, anche se Kieran non gli aveva mai parlato di un fratello di nome Paul, ma solo di Flynn, Mark, Kieran e un paio di altri che non ricordava, ma Rory era sicurissimo di non aver mai sentito parlare di Paul.
Paul era solo … il becchino.
Ogni tanto Rory sentiva sussurrare quel nome a sua madre, nel buio, con un certo timore, parlando di Paul come del becchino, come il mago, lo stregone, con la paura nella voce. Come se fosse una cosa brutta, una cosa cattiva, di quelle che fanno male, come i topi che divorano il grano appena raccolto oppure gli insetti che rosicchiano le foglie.
Rory guardò lo zio Paul, socchiudendo gli occhi. Quell'ometto cicciottello, tutto tondo e pallido, non sembrava neppure lontanamente una cosa cattiva. Come poteva esserlo? Era buono. Faceva i biscotti.
E adesso gli stava sorridendo. Si presero per mano. Quella del becchino era morbida e un po' piccola per essere quella di un adulto, molto più piccola di quella del padre di Rory, che era grossa e pelosa come uno scoiattolo, con i calli sul palmo.
Rory prese un altro biscotto ed iniziò a mangiarlo usando la mano libera. Con la coda dell'occhio vide Sheridan che si muoveva lentamente dietro di loro, con in mano il martello.
Il bambino sentì un brivido risalirgli lentamente lungo la schiena: anche se aveva capito che Sheridan era buona, non poteva fare a meno di averne paura.
Sheridan iniziò a parlare piano, a bassa voce, avvicinandosi alle spalle di Paul
«Entrate dentro» disse
«Perché?» domandò il becchino, mentre conduceva il bambino nell'edificio
«Ce ne sono due. Due freddi nelle vicinanze. Stanno osando troppo»
«Si» Paul annuì «Puoi andare a prenderli, se vuoi»
«Devo. Vogliono il bambino. Secondo me».
Paul guardò Rory, preoccupato come se potesse vederlo scomparire di fronte ai suoi occhi. Sheridan posò lentamente una mano sulla spalla del becchino, ricoprendola completamente con le sue dita diafane
«Si stanno avvicinando. Li sento»
«Cosa?» Paul si guardò intorno, freneticamente «Cosa stai … no … come … non può essere, non il primo giorno! Non deve succedere! Cosa dobbiamo fare? Ma non possono essere così vicini! Non possono! Insomma, li avresti sentiti se ...»
«Cosa succede?» Chiese Rory
«Niente, niente ...» mentì il becchino, stringendo le mani paffute e portandosele al petto «Sheridan ...»
«Mandalo a giocare fuori. Non verso il cimitero. In strada» disse lentamente lei
«Cosa? E se lo … ma come hai fatto a non sentirli?»
«Non lo so. C'è qualcosa di poco chiaro, sotto. Mandalo fuori in strada»
«Il bambino? Fuori? Da solo?»
«Puoi andare con lui, se vuoi, ma ...»
«Non posso farlo uscire se loro sono qui fuori! Sarebbe come regalarglielo!»
«Mandalo fuori» il suo tono era fermo, deciso, sebbene le parole fossero scandite molto lentamente.
Paul annuì senza ribattere più e prese per le spalle il piccolo Rory, spingendolo verso l'esterno
«Vai un attimo fuori ...» gli disse, cercando di essere il più amabile possibile
«Perché?» domandò il bambino, cercando di capire cosa avesse fatto agitare tanto quei due
«Va'!»
«Ma ...»
«No» disse d'improvviso Sheridan, e lo scatto potente della sua voce fu tale da far sobbalzare entrambi i presenti «Ormai è tardi. Vado io»
«Tardi?».
Paul era allarmato, il riflesso del terrore sembrava rispecchiarsi nei suoi occhi scuri, ma Sheridan non rispose e si allontanò rapidamente, diretta verso il retro della casa, al cimitero. Il becchino strinse più forte le spalle di Rory, fin quasi a fargli male conficcandogli le punte delle dita nella pelle, e il bambino percepì la sua paura.
«Che succede?» Chiese, spaventato.
Sheridan uscì, spalancando l'uscio completamente con uno schiocco secco. Di fronte a lei, un uomo alto, bianco, con il naso aquilino, sorrideva. Era completamente vestito di rosso e incappucciato, le mani erano coperte da spessi guanti scarlatti di un qualche materiale pregiato e costoso, forse seta che rivestiva lana.
«Direttamente tu, eh?» Disse, con voce curiosamente acuta per un uomo della sua taglia «Non pensavo di vederti adesso. In ogni caso, sarà un piacere ucciderti».
Sheridan alzò la testa, esponendo la gola in un gesto di sfida. L'uomo scoprì i denti, mostrando i canini giallastri, ricurvi, lunghi un paio di volte di più di quanto sia normale per un uomo. Poi scattò in avanti.
Paul chiuse in fretta la porta che dava sul retro della casa, facendola schioccare forte. Rory, tremando, alzò la testa verso di lui
«Cosa succede?» Chiese ancora una volta, con voce tremante «Chi era quel signore?».
Il becchino sorrise, ma fu un sorriso stentato, una copia sbiadita della sua espressione buffa e socievole. Rory iniziò ad avere paura davvero. Stava succedendo qualcosa di brutto, era più che ovvio!
«Me lo nascondi» Disse il bambino, serrando i pugni, parlando sempre più forte, fino ad urlare «Non me lo nascondere! Non me lo devi nascondere! Che cosa sta succedendo! Non me lo devi nascondere!».
Paul si portò una mano alla bocca, un pugno chiuso, mordicchiandosi le nocche
«Mi … non … non sta ...».
Si udì un urlo acuto, stridente. Rory strinse i pugni e si morse il labbro senza accorgersene. La porta tremò forte, come se fosse stata colpita da qualcosa di grosso. Paul si appoggiò con le spalle al pannello di legno, cercando di far si che non si aprisse, puntellandosi con tutto il peso. La porta tremò ancora una volta.
«Che succede?» Domandò ancora Rory, stavolta in tono più calmo
«Abbiamo un problema» disse Paul «Ma lo risolveremo. Lo risolveremo in fretta, davvero»
«Che problema?» la determinazione nella voce del bambino somigliava in qualche modo a quella di un adulto, se non fosse stato per una regalità nel tono che superava quella degli uomini, una dignità data forse dalla purezza del pensiero dei bambini. O forse era qualcosa di particolare in lui, in Rory ...
Era come se nessuno al mondo potesse rifiutarsi di rispondere a quella domanda.
Paul deglutì. Chinò la testa sul doppio mento tremante. La porta dietro di lui traballò ancora una volta, con forza, scuotendo il corpo grasso del becchino.
«Abbiamo un problema» Ripeté Paul, piano, quando la porta cessò di vibrare «Qualcuno vuole farti del male. Ci ha attaccati. Sheridan è uscita per difenderti. Per difenderci. Tutto qui»
«Chi ci ha attaccati?» domandò Rory
«Sono … due uomini cattivi. Due uomini molto cattivi»
«E Sheridan … »
«Si?»
«Sheridan può ...»
«Si».
Fuori dalla porta qualcuno rantolava, una voce grossa, che si lamentava in una lingua sconosciuta, ansimando parole lente. Ombre nere passarono rapidamente di fronte alle finestre, poi degli schizzi rossi striarono i vetri. Persino un bambino come Rory riconobbe il sangue, la sua viscosità rossa, la sua brillantezza, e seppe che non c'era alcuna possibilità di sbagliarsi riguardo alla natura di quel liquido: era lo stesso che usciva dai colli incisi degli agnelli sgozzati, dai buchi nel petto dei cervi trafitti, dai tagli che a volte sua madre si procurava per sbaglio quando puliva le pelli dei conigli oppure si pungeva le dita cucendo.
Si udì un rumore come di legna che si spaccava, ridondante, dei passi veloci che calpestavano il prato, poi il silenzio calò.
Una striscia di sangue si stava lentamente scomponendo in rivoli sul vetro, scivolando giù e tracciando linee sottili.
«Sheridan ...» Mormorò Paul, passando le dita grassocce sul legno della porta.
Rory indietreggiò ancora, nascondendosi dietro una bara. Aveva paura che qualcuno avesse ucciso Sheridan come si fa con gli agnelli, aprendole la gola con un colpo di coltello, ma ben presto si rese conto che un colpo solo non avrebbe fatto schizzare il sangue fino ai vetri delle finestre, almeno non così tanto sangue.
Quel pensiero lo metteva a disagio, ma non lo terrorizzava tanto quanto l'idea che invece potesse essere stata Sheridan ad uccidere loro, perché se era stata lei voleva dire che ne era capace e se ne era capace poteva anche entrare e fare a lui quella cosa … farlo a pezzi, pezzi minuti, rossi e viscidi, pezzi di carne rossa da cuocere e mangiare.
La porta tremò ancora una volta, ma debolmente, e il legno scricchiolò. Paul chiuse gli occhi e deglutì due volte. Poi la voce di Sheridan si fece udire, calma e fonda, per nulla alterata da qualunque cosa potesse essere successa
«Apri questa porta».
Paul obbedì immediatamente, affrettandosi a girare il pomello della porta e sbagliando due volte, con le mani unte di sudore che continuavano a scivolare. Rory indietreggiò, temendo che uno dei due uomini cattivi potesse entrare, ma non riuscì a vedere niente perchè il becchino aprì solo parzialmente e si mise di fronte all'unico spiraglio attraverso cui entrava luce.
Sheridan si sporse un po' verso l'interno, si vedevano le punte delle sue dita che artigliavano la porta
«Paul …»
«Sheridan, cosa è successo?»
«Uno dei due è fuggito. L'altro è stato eliminato».
Paul annuì, poi si girò verso Rory e gli sorrise
«Ragazzo» disse «Va tutto bene, abbiamo vinto ...».
Rory sorrise leggermente. Continuava a sentire qualcosa di strano dentro di se, una sorta di oppressione, che però si stava gradualmente alleggerendo. Era giusto che si sentisse così strano: aveva già provato prima d'ora la tristezza, ma mai la paura. E neppure questa era paura vera, assoluta, era timore, ma era per lui già abbastanza da farlo sentire diverso, oppresso, da farlo sentire preda di un'emozione nuova.
Pian piano, anche quel senso si calmò e il bambino tornò a respirare regolarmente e a pensare lucidamente.
Sheridan spinse contro la porta, spostando Paul, ed entrò. Aveva il volto striato di rosso, ma sembrava che la cosa non la interessasse. Un taglio abbastanza profondo gli si apriva proprio sopra l'occhio sinistro e il sangue era sceso e si era ramificato lungo tutto il lato del volto, gocciolando di tanto in tanto sulla cornea e costringendo la donna a battere la palpebra più volte.
Rory deglutì
«Cosa è successo?» chiese, indicando il volto della donna e poi ritraendo improvvisamente la mano, con il timore di sembrare irrispettoso.
Sheridan si portò la mano al volto e con le dita sfiorò il taglio, poi aggrottò le sopracciglia
«Mi ha colpita con la vanga, di taglio» rispose «Credo che dovrò medicarlo … con permesso» e si diresse verso un'altra camera, chiudendo poi la porta dietro di sé.
Rory abbassò lo sguardo e quello che vide lo incuriosì: fuori dalla porta, il prato era diventato rosso e viscido. C'era una vanga buttata di traverso, con la punta sporca di sangue. Paul notò troppo tardi l'interesse del bambino verso quello che era accaduto all'esterno e non appena si accorse dello scempio richiuse la porta con tonfo secco e ridacchiò nervosamente
«Oh» disse, guardando verso il tetto «Che ne pensi … che ne pensi Rory, se andiamo a giocare?»
«Hai visto il prato?» il bambino pareva ignorare completamente Paul e continuava a fissare verso la porta, quasi potesse vederci attraverso «Era tutto rosso!»
«Si, l'ho … l'ho visto, ma … non è bello. Non è bello per un bambino guardare fuori ...»
«Perché?»
«Perché … andiamo a giocare, ti va? No, anzi, ti porto a fare una passeggiata» di colpo tutta la tensione sul volto grassoccio del becchino parve svanire, sostituita del sorriso gentile e radioso «Andiamo a conoscere alcuni amici, ti va?».
Rory annuì: non andava spesso in paese, non conosceva praticamente nessuno, forse sarebbe stato bello andare a spasso con lo zio Paul.
Il becchino prese nella sua la manina piccola e morbida di Rory, mentre il bambino si rasserenava per quanto poteva, e lo allontanò gentilmente da quel cremisi viscido e viscoso, che splendeva innocente al sole. Uno stelo d'erba si piegò sotto il peso del sangue e una goccia tonda, sferica, si librò a mezz'aria e si infranse sul suolo umido di fluido vitale.
Paul si affrettò a fare uscire il bambino da lì. Le cose non erano andate proprio come aveva sperato, per essere il primo giorno … sperò solo di riuscire a fare leva sulla curiosità del bambino fino a fargli dimenticare quello che aveva visto, presentandogli gente e cose nuove. Almeno per un pò. Ma, prima, aveva bisogno di avvertirlo di alcune cose parecchio importanti.
«Non dirlo a mamma e papà» gli sussurrò l'ometto, mentre uscivano dall'edificio. Per far si che il significato fosse più forte, lo guardò negli occhi «Non devi dirglielo, va bene?».
Rory avrebbe voluto chiederne il perché, ma si limitò ad annuire. Poteva arrivarci, se ci pensava bene. Se i suoi genitori lo avessero saputo, di certo non lo avrebbero mai più mandato dallo zio Paul. E lui non voleva. Si trovava bene con lo zio Paul, gli sorrideva sempre ed era gentile. E poi i suoi biscotti erano davvero squisiti.
Ricevuta quella conferma, gli occhi del becchino si riempirono dell'allegria e della dolcezza che avevano avuto prima nell'accoglierlo nella sua casa. Era come se nulla fosse successo. Rory si guardò in giro.
Cominciava a dubitare di ciò che era successo dentro. Nella sua mente i ricordi si confusero nel fango della memoria, sfuggenti come acqua tra le dita, tanto elusivi da far credere a Rory di aver avuto una specie di incubo ad occhi aperti. A volte, quando rimaneva per tanto tempo a fissare l'erba nell'orto di casa gli capitava di cadere nei suoi pensieri e immaginare strane vicende. Si, doveva essere andata proprio così.
Rory si rilassò.
Aspettarono Sheridan, che fece la sua apparizione dopo qualche minuto, con il cappuccio calato di nuovo sulla testa e la sua aria truce.
A Paul sfuggì un sospiro, mentre scuoteva la testa come a dire “che cosa devo fare con te?”.
Poi l'allegro trio si mise in cammino per le vie della casa.
Per qualche strano motivo, notò Rory, la gente li guardava tutti e tre a bocca aperta, come se fossero increduli e spaventati allo stesso tempo. Alcuni si chiusero persino in casa alla sola vista, come se fossero degli appestati o dei lebbrosi.
Il becchino, a cui il principino rosso non sfuggiva un attimo, si accorse che si stava concentrando troppo sul sospetto delle persone e, pur di non levare la sua curiosità su quell'argomento, gli parlò riscuotendolo dalle sue osservazioni.
«Ti piacciono gli animali, eh Rory?» chiese Paul, con un misto adorabile di dolcezza ed educazione.
Il bambino annuì, sorridendo «Molto»
«Ti piacerebbe incontrare un mio amico? Piacciono anche a lui gli animali, e ne ha anche moltissimi: è un pastore»
«Oh!» Rory parve eccitato all'idea e annuì entusiasticamente «Vorrei conoscerlo! Come si chiama?»
«Lennon» rispose l'ometto grasso «Vedrai, ti piacerà».
Durante il tragitto, Rory scordò completamente gli sguardi impauriti dei paesani, mentre tentava di scucire al suo nuovo zio tutte le informazioni possibili.
«Ma è più alto di te?»
«Si. Lennon è molto alto»
«Più alto di Sheridan?»
«Non così alto!» rise il becchino.
Così, quando arrivarono, si era già fatto una sua personale idea di questo Lennon pastore.
Erano di fronte ad un edificio molto diverso da quello dove stavano Sheridan e Paul. Innanzitutto era notevolmente più piccolo, poi era fatto per la maggior parte di pietre. Sembrava abbastanza vecchio, come se il povero Lennon non avesse avuto una possibilità migliore di quella casetta decrepita.
Paul si avvicinò all'uscio, con tranquillità e il suo solito sorrisino, e bussò con educazione.
Dei passi risuonarono dentro l'edificio e, dopo qualche secondo, la porta di legno scadente si aprì e uscì un uomo, probabilmente il famoso Lennon.
Rory lo osservò curioso.
Il pastore era un uomo alto, sui trentacinque anni, smilzo e con i capelli rossi riccissimi, simili alla pelliccia delle sue pecore. Il viso magro era spruzzato di lentiggini fitte fitte che gli danzavano intorno agli occhi di un castano molto chiaro e non particolarmente grandi. Il naso era anch'esso sottile, anche se la punta era tonda in un modo che Rory trovò davvero buffo. Aveva le mani grandi, ma non come quelle di suo padre, e in un certo qual modo più delicate. Non sembrava avere uno di quei fisici fatti apposta per essere adatti a grandi fatiche.
Aveva indosso solo una canottiera bianca e un paio di pantaloni color del grano. Le scarpe che aveva ai piedi, notò Rory, erano parecchio malandate, ma non sarebbe stato proprio educato farglielo notare.
Rory se l'era immaginato giusto un po' diverso.
«Paul!» Esclamò l'uomo, allargando le braccia magre «Qual buon vento ti porta qui? Oh, vedo che finalmente vi siete decisi a completare la famiglia! Come si chiama il vostro piccolino? A proposito, perché non mi hai detto che avevi un figlio?». Parlava a rotazione continua, in apnea. Sembrava che per lui l'aria fosse un optional.
Paul ebbe uno strano sorriso, allegro oltre ogni dire «Non è mio figlio, Len. Ti presento il piccolo Rory Tad, figlio di Roisin e Kieran Tad». Nel presentarlo allargò una mano paffuta nella sua direzione, poi si rivolse a lui e presento l'uomo «Rory, ecco il signor Lennon».
Sentitosi interpellato, Rory fece un piccolo inchino «Salve».
Lennon parve in imbarazzo e si guardò intorno nervosamente. Accennò un piccolo inchino anche lui, poi, come se non fosse già buffo di suo, sobbalzò sotto il malefico influsso di un improvviso singhiozzo.
«Mannaggia» imprecò a bassa voce, mentre il singhiozzo interveniva di nuovo «Sembro un tacchino»
Rory represse una risatina a fatica.
«Ma che maleducato!» Il pastore impacciato si fece un po' più da parte «Entrate, entrate! Cara, ci sono ospiti! Paul, ma i Tad non sono quelli che vivono sulla collina, fuori città?»
«Si» confermò l'ometto «Andiamo, Rory. Sheridan ...»
Lo strano trio entrò. La casa del pastore Lennon cominciava con un corridoio claustrofobico di pietra, che inquietò non poco il piccolo re rosso, e poi si divideva in quattro stanze diverse allineate, rispettivamente da destra un deposito, una stanza da letto, una cucina, una sala da pranzo. Anche dall'interno, quella casa dava la spaventosa impressione che se una sola pietra della costruzione si fosse spostata tutto sarebbe cascato in testa ai malcapitati che in quel momento erano dentro la casa.
Lennon li guidò in cucina, tormentato dal singhiozzo, dove c'era ad aspettarli una donna affaccendata a pulire la stanza. Era alta poco meno di Paul, facendo un contrasto terribile col marito, con una chioma dorata che le arrivava fino alla vita, liscia e fluente. Era abbastanza carina, né magra né grassa, e vestiva abiti semplici non dissimili a quelli di Roisin.
«Fenella, offri un pò del nostro formaggio ai nostri ospiti! Il migliore che abbiamo, di prima qualità!» esortò Lennon, allegro, almeno fino a che non singhiozzò di nuovo
«Paul?!» esclamò stupita e contenta la donna, nel vedere l'ometto grasso, poi il suo sguardo si spostò sulla figura silenziosa e incappucciata «Sheridan?!» e i suoi occhi color oliva si spostarono infine su Rory «E...?»
«Rory» lo presentò Paul, fiero come se fosse stato figlio suo. Infatti anche Fenella, come aveva fatto il marito Lennon, fraintese.
«Non ti somiglia per niente» affermò con convinzione, alzando un sopracciglio
«Come sei dolce, Fenella, sei proprio come ti ricordavo … Beh, è normale che non mi somigli» rise lo zio Paul
«Somiglia alla mamma?»
«Si, in effetti, anche se ha i capelli del padre» affermò l'ometto, col diabolico intento di sviare la ragazza.
Fenella non seppe che rispondere, presa in contropiede.
«Rory Tad» Precisò Paul
«Ma i Tad non sono …?»
« ...Si» completò il marito «Sono quelli della collina».
Fenella annuì, con l'espressione di chi ha compreso il segreto dell'eterna giovinezza.
Per qualche attimo, Rory provò una forte irritazione. Per qualche motivo non gli piaceva che si definisse la sua famiglia con il termine sbrigativo di “quelli della collina”. Erano molto più di quelli della collina. Ma, in effetti, Lennon e Fenella, non potevano sapere altro dei Tad.
«Zio Paul?» chiese il bambino, tentando di attirare la sua attenzione
«Oh, è adorabile! Che vocetta!» cinguettò Fenella, unendo le mani come in preghiera e guardandolo con un'emozione negli occhi che rasentava la commozione. Nel sentirsi osservato così, Rory non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo. Di solito la gente non lo guardava così «Vado a prendere il formaggio» aggiunse la donna, dileguandosi dalla stanza.
Ma dove lo tenevano il formaggio loro? In camera da letto?
«Che c'è, Mark? Cioè … che c'è, Rory?»
«Perché loro non hanno paura?» chiese il bambino, ripensando agli occhi quasi terrorizzati della gente del paese. Fu quasi un istinto guardare Lennon negli occhi di sottecchi, il quale aveva ostinatamente appuntato il proprio sguardo critico alle proprie scarpe scamosciate, ricercando con intensità una traccia della paura che aveva visto riflesso negli occhi delle persone fuori. Nulla. Erano stranamente trasparenti sulle proprie emozioni, riflettendole limpidamente come uno specchio che fosse stato pulito ogni giorno, con cura. Era leggermente imbarazzato, si, ma era comunque molto contento del fatto che lo zio Paul e Sheridan fossero lì. Niente di più.
Il pastore parve accorgersi dello sguardo indagatore intensissimo di Rory, perché alzò lo sguardo verso di lui con curiosità. Immediatamente il bambino si sentì in dovere di abbassare lo sguardo. La mamma gli diceva sempre che guardare qualcuno direttamente negli occhi e sostenere lo sguardo era solo per i maleducati. Non voleva fare lo screanzato.
«Beh, perché loro mi conoscono, quindi non hanno paura di me e di Sheridan» rispose lo zio Paul, parlando lentamente come se fosse curioso di sentire il tono della propria voce
«Quindi hanno paura di te e Sheridan? La gente … ha paura di voi?» Rory alzò la testa verso il becchino, mentre un altro pezzo del puzzle gigante nella sua testa confusa andava al proprio posto.
Le labbra dello zio Paul si assottigliarono mentre l'ometto rimaneva in silenzio.
«Anche io ho paura di Sheridan. Lei è spaventosa» ammise il bambino abbassando di nuovo la testa e torcendosi le mani come se quello che aveva appena detto fosse la confessione di qualcosa di orribile
«Anch'io» intervenne Lennon «Ma mi fai paura anche tu, Paul. Ormai è da quando ti conosco che non ti cambia la faccia. Cioè, invecchiando si dovrebbe cambiare, ma tu non lo fai. Comincio a credere che tu sia davvero uno stregone!» concluse con un brivido, forse vero, forse simulato
«Forse lo sono» sorrise dolcemente Paul
«Spero di no» rifletté Lennon, che appariva spaventato alla sola idea «Spero davvero che tu non sia uno stregone, perché … beh, mi conosci, sai perché»
«Lo so»
«Cambierai mai o sei davvero uno stregone?»
«Consolati: ho intenzione di farmi crescere i baffi. Se cambierò di faccia non lo so, veramente»
Rory era sollevato dall'intrusione di Lennon, perché la discussione tra lui e Paul, anche se voleva delle risposte, si stava facendo pesante in un modo da cui Rory preferiva divincolarsi immediatamente. Era un tipo che più che far parte dell'azione e dei discorsi preferiva osservare intorno a sé, farsi un idea di dove si trovava e sapere solo guardando i pro e i contro di un paesaggio. Per lui era una specie di gioco, a casa si divertiva sempre un mondo a soppesare le possibilità, cosa si poteva e cosa non si poteva fare in quel territorio. Parlare con i grandi in un certo modo lo spaventava. Si sentiva a disagio.
Fenella interruppe l'allegra discussione, portando in mano una forma di formaggio a dir poco enorme rispetto a tutte le altre che Rory avesse mai visto nella sua breve vita. Certo, pensò Rory, che oggi stava mangiando proprio bene. Mele, biscotti, formaggio … se andava avanti così sua madre lo avrebbe ritrovato notevolmente più florido, e non sarebbe stata esattamente paffutezza infantile …
«Ecco il formaggio migliore di tutta l'Irlanda!» esclamò Fenella con allegria, alzando in alto il formaggio come se fosse una divinità.
E, proprio come avevano fatto per i biscottini, si sedettero tutti insieme e si spartirono il formaggio in parti uguali, anche se Rory ebbe una parte più grossa degli altri per una “svista” voluta.
Al contrario del bambino e Sheridan, che stettero in silenzio durante tutto il pasto mangiando il formaggio lentamente, lo zio Paul, Fenella e Lennon erano dei grandi chiacchieroni e per poter parlare più agevolmente si sbarazzarono in fretta della loro parte di latticino, anche se Paul lo fece un pò di malavoglia.
«Cos'è?» Domandò Fenella, notando la faccia del becchino «Non ti piace il miglior formaggio d'Irlanda?»
«No, il fatto è che non mi piace cambiare … e se continuo a mangiare questa roba, sono sicuro che diventerò molto diverso. Molto più rotondo, oserei azzardare»
«Non credo» la donna si servì un'altra fetta di formaggio, noncurante «Tu sei già così grosso per colpa nostra, questo è a dir poco ovvio! Insomma, con tutto il formaggio che mangi da noi …»
«Dovreste pagarmi in denaro, non in formaggio, con tutto quello che faccio!» scherzò Paul, battendo i piedi per terra divertito in un modo infantile
«Non scherzare» la donna batté il palmo della mano sul tavolo «Se ti pagassimo in denaro, i tuoi soldi non basterebbero per comprare tutte le tonnellate di cibo che mangi in casa nostra!»
«Mi stai dando del ...»
«Mangione, si, mangione! E non puoi controbattere, sei troppo grasso per dire di no!»
«Questa era cattiva!» Paul ingurgitò l'ultimo pezzo di formaggio e iniziò a torcersi le mani grassocce
«E allora?»
«Allora era cattiva» sancì Lennon, con solennità «Perciò chiederemo scusa»
«Scusa, Paul» ribatté Fenella, senza convinzione
«Scusa, Paul» ribadì il marito, che annuì con serietà come se avesse concluso un rito di grande importanza, poi gli apparve sul volto un sorriso malizioso malcelato «Ma è pur vero che ti devi mettere a dieta ...»
«Ehi!» protestò Paul, aggrottando le sopracciglia
«Appena appena! Altrimenti finirà che ...»
«Va bene, va bene! Ho capito!» tentò di fermarlo il becchino, sovrastandolo con la sua vocetta e agitando le mani paffute
« … che somiglierai più ad Erin non tosata per un anno che ad un essere umano» completò Lennon, compiaciuto, intrecciando le dita con professionalità.
Fenella annuì con un sorrisetto, rimarcando la propria supremazia, come a dire “anche se fa finta di contraddirmi, alla fine il mio uomo cede sempre”.
«Tu e tua moglie siete davvero insopportabili!» scattò Paul per gioco, agitando un indice con aria minacciosa
«Intanto non sembra che ti dispiaccia stare con questi insopportabili, visto che sei sempre qui a mangiare il nostro formaggio» lo punzecchiò Lennon con un sorrisetto tale e quale a quello di Fenella «E non mi sembra che non ti importi neppure di somigliare a Erin non tosata, o mi sbaglio?»
«A proposito!» Paul si illuminò, tentando di sviare discorso «Vi andrebbe di mostrare al nostro piccolo Rory il vostro magnifico gregge, vero?»
«Ma certo che non ci dispiace!» esclamò Fenella, tramutatasi d'improvviso in uno zuccherino dalla voce mielata «Certo che non ci dispiace, non è vero, caro? Rory può anche fare un giro in groppa alle pecore se gli va, può portarsene anche una a casa per quanto mi riguarda! Questo piccolino può anche prendersi Erin e tosarla a zero!»
«Adesso non esageriamo …» precisò Lennon, un pò nervoso all'idea.
Paul scoppiò a ridere e decise di rivolgersi direttamente al bambino in silenzio di lato a lui «Ti va?».
Rory lanciò un ultimo sguardo a Sheridan, suo ultimo soggetto di osservazione, che sgranocchiava il formaggio sotto il cappuccio come se avesse qualcosa da nascondere, tipo un muso da bestia feroce (il che, agli occhi di Rory, non era del tutto impossibile), poi annuì entusiasta allo zio Paul. Finì il suo pecorino e quando ebbe deglutito aggiunse «Mi piacciono gli animali»
«Oh, che dolce!» trillò Fenella «Gli piacciono gli animali! Non possiamo dirgli di no, ti pare, Lenny?»
«No, non possiamo» confermò il pastore, con un sorrisone da far quasi paura.
Paul, come Rory si aspettava, prese la sua manina dentro la sua e lo sospinse gentilmente fuori.
Per qualche motivo, nonostante sapesse che non gli avrebbe fatto del male, il piccolo Tad sentì la bocca dello stomaco strizzata convulsamente da una mano forte e invisibile quando Sheridan si alzò piano, spostando la sedia senza rumore ed ergendosi in tutta la sua immensa statura, unendosi agli altri.
Rory si affrettò ad uscire.
Lennon li guidò dietro casa dove c'era un ampio spiazzo erboso di un verde sano e brillante, e, quasi al centro, un recinto di legno abbastanza largo. O, almeno, largo abbastanza da contenere un gregge intero di masse batuffolose di lana bianca con le zampe.
Paul sorrise nell'abbassare gli occhi e vedere lo sguardo di Rory brillare entusiasta. Gli si chinò vicino e gli sussurrò in un orecchio come un diavolo tentatore «Vuoi avvicinarti?».
Beh, se avesse fatto il demone tentatore gli sarebbe riuscito maledettamente bene, visto che Rory si fiondò direttamente verso la porta grezza gettando la sua solita cautela alle ortiche.
Si appoggiò al legno e osservò gli animali con curiosità.
La pecora più vicina, quella che lui tendeva ad osservare con più insistenza, sostanzialmente lo ignorò.
Brucò un pò d'erba con aria neutra, mentre Rory fissava affascinato come si muoveva e come masticava il cibo. Ammirato, valutò la tonalità della lana della bestiola.
Il bambino, inconsciamente, si sporse verso la pecora.
Nonostante l'indifferenza dell'animale, il piccolo era eccitatissimo. Lui attribuì tutto alla propria curiosità e al proprio amore per la natura, che, in effetti, erano buona parte delle motivazioni. Ma in realtà, oltre l'indolenza dell'ovino, percepiva la vita scorrere impetuosa dentro di lei, permearla. Dentro di sé si stupì. Come poteva il grano essere morto? La vita era così, così forte, così bella … la sentiva pulsare dentro ogni capo di bestiame che componeva quel gregge, dentro ogni uomo e donna che gli stava attorno. Appariva un'energia quasi inesauribile. Il bambino si ritrovò a pensare che ci sarebbe voluta una forza portentosa per riuscire a fermare quell'energia così forte.
E poi, aldilà ogni filosofia, diciamocelo chiaro, gli sarebbe piaciuto un mondo passare le dita attraverso la lana morbida e arruffata di una di quelle pecore!
L'animale si avvicinò per smangiucchiare una chiazza d'erba più folta vicino ai piedi di Rory. Il bambino si sporse il più possibile attraverso il recinto, tendendo una manina.
Passò i polpastrelli avanti e indietro sulla lana della pecora con una soddisfazione personale che lo lasciò compiaciuto come dopo un pasto abbondante, appagato. Di per sé, la pecora poco collaborativa alzò lo sguardo per qualche secondo e poi lo abbassò con sufficienza, continuando ad ignorarlo.
Ma tanto, finché rimaneva lì a farsi passare le dita addosso, per quanto riguardava Rory poteva anche maledirlo in pecorese.
«Che cariino!» gorgheggiò Fenella a pochi centimetri dal suo orecchio «Ha già fatto amicizia!».
Rory sobbalzò e ritirò la mano d'istinto, girandosi preoccupato come se la donna lo avesse appena beccato a svaligiare la loro casa. Cominciava a irritarlo leggermente il fatto che gli scampanellasse i suoi complimenti nelle orecchie. Oltre a metterlo in imbarazzo … beh, non riusciva a capirlo bene, ma immaginava che non gli piacesse che la gente fosse ossessionata così tanto da lui.
«Oh, poverino!» Cinguettò la pastorella «Che pasticciona che sono! Ti ho spaventato, vero? Che cattiva che sono! Cattiva, cattiva!>
«No, non mi ha spaventato ...» assicurò Rory visibilmente a disagio, a voce tanto bassa da essere appena udibile dall'orecchio umano. Ma sembrava che Fenella riuscisse a sentire anche gli ultrasuoni, perché non ebbe problemi a capirlo e, ovviamente, a commentare a modo suo
«Oh, che carino! Com'è educato! Facciamo una cosa, piccolo, vuoi entrare dentro il recinto?».
Sottolineò il “dentro” come se fosse di importanza vitale. Beh, per Rory lo era.
All'istante, ogni antipatia che Rory aveva anche solo accennato verso Fenella evaporò come neve ad Agosto nel deserto del Sahara. Anzi, più velocemente.
La donna aprì il cancello e lasciò che Rory entrasse liberamente tra le pecore. Prima di entrare nel mondo sconosciuto degli ovini morbidi lanciò un ultimo sguardo al mondo reale. Fenella lo guardava appoggiata al recinto con una caricatura di dolcezza materna, esageratamente mielosa. Paul e Lennon parlavano e ridevano tra loro.
Poi si girò. E non tornò più indietro. O, almeno questo sarebbe quello che avrebbe voluto per quel giorno. Stare tutto il giorno con le pecore morbide che, a differenza della prima che dopo l'affermazione di Paul «Doveva essere giusto Erin quella che incontrava per prima, no?», capì essere la famosa pecora lanuginosa, Erin, di cui si parlava tanto. Beh, in effetti a guardarla bene, era una palla di lana insofferente al mondo.
Le altre pecore non erano così. Dopo il primo minuto, c'erano persino pecore più ardite che gli si avvicinavano e gli leccavano la faccia. Che fosse il sentore residuo dei biscotti?
Persino Fenella, fuori dal recinto, sembrava stupita della confidenza che gli animali riservavano al bambino.
Rory decise che le pecore erano il suo animale preferito, almeno finché non ne avesse incontrato uno migliore delle pecore cosa di cui, dopo la visita a Lennon il pastore, si convinse fosse impossibile.
Furono momenti bianchi, o quasi bianchi, e morbidi.
Quando lo zio Paul lo chiamò, si avvicinò di malavoglia al recinto, portandosi dietro una pecora più giovane e più dolce della rinomata Erin, affondando quasi maniacalmente le dita nella suo vello riccio.
«Che cosa c'è, zio Paul?» domandò educatamente, temendo il peggio
«Vieni, dobbiamo andare» esortò l'ometto, dolcemente, tendendo una mano verso di lui come a chiedere che l'afferrasse e lo seguisse come al solito
«Ma è così bello qui» piagnucolò Rory, abbassando lo sguardo «Non possiamo rimanere un altro po'?»
«Non vuoi tornare da mamma e papà?».
Rory non rispose. Si, voleva tornare da mamma e papà. No, voleva rimanere lì, almeno un altro pò. Era combattuto, perciò la migliore scelta per lui non poteva essere altro che il silenzio.
«Andiamo, vieni» lo incoraggiò il becchino «La prossima volta torneremo e ci staremo più tempo, vedrai. Ma adesso, visto che probabilmente i tuoi genitori avranno finito le unghie, ti dobbiamo riportare da loro»
«Che significa che hanno finito le unghie?» chiese Rory, un pò preoccupato
«Hai presente, Rory, che quando la gente è nervosa si mangia le unghie?».
Rory ci pensò un pò su. Ricordava che una volta, l'anno scorso, suo padre aspettava la visita di una persona importante per parlare con lui … il conte McIntyre, o qualcosa del genere. Mentre la mamma continuava a cucinare come una forsennata, quasi senza prestare attenzione a niente di quello che faceva o diceva lui, Kieran aveva continuato a mangiarsi le unghie e a cercare di smetterla per tutto il tempo.
Si, ce lo aveva presente.
Rory annuì.
«Ecco, ormai saranno talmente preoccupati che a furia di mangiarsi le unghie le avranno finite. Vieni, dai» sollecitò ancora una volta Paul, sempre con delicatezza «Ti prometto che la prossima volta ti faccio stare più tempo sul mio onore di becchino, va bene? Sempre se tu non vuoi fare qualcosa di diverso ...»
Rory sospirò e fece per spingere via il cancello di legno, quando Fenella si precipitò in sua difesa
«Fallo rimanere!» strillò come un'aquila contro Paul, quasi assordandolo «Che male c'è? In fondo si sta divertendo, poverino! I suoi genitori possono aspettare qualche altro minuto, no?»
«Fenella, vedi ...»
«Si, vedo! Vedo che si sta divertendo un mondo quel piccolino, e non me la sento di mandarlo via, ecco cosa! Non hai cuore, Paul, e se ce l'hai è fatto di granito! Io ...» la donna si interruppe e sussultò.
Una mano, grossa quasi quanto il viso ovale di Fenella, si era posata sulla sua spalla nel mezzo della sfuriata. La donna deglutì e si girò indietro molto lentamente, cercando un paio di occhi invisibili, nascosti nell'ombra. Sheridan strinse appena le dita nella carne, mentre la linea neutrale della sua bocca non si muoveva neppure. Con calma, come nulla fosse.
Forse fu questa la cosa che spaventò Fenella. Gli esseri umani sono molto emotivi, ma la calma di Sheridan era quella di un dio … o di un demone. La donna deglutì di nuovo, senza sapere che cosa fare.
Le dita si strinsero più a fondo nella sua spalla, fino a farle male.
Con un gemito, Fenella si ritrasse e arretrò di qualche passo, mentre i suoi occhi oliva guizzavano spaventati tra Paul e Sheridan. Le labbra le tremarono per qualche secondo, poi la donna tentò di riacquistare il proprio contegno. Raddrizzò le spalle, non mostrò più emozioni e intrecciò le dita.
Abbassò la testa. Via libera.
«Grazie» mormorò Paul, facendo un cenno lieve con il capo.
Rory percepiva l'aria pesante che gli premeva addosso, tentando di metterlo in ginocchio, come se la gravità del pianeta fosse aumentata d'improvviso.
Curiosamente, bastò che Paul dicesse ad alta voce «Su, andiamo, Rory!» con la sua solita vocetta allegra e l'aria cupa dell'ambiente parve dissolversi come una bolla di sapone.
Il bambino uscì dal recinto e si avvicinò al becchino, prendendolo istintivamente per mano. Si rese conto che, anche so lo conosceva da appena un giorno, lo zio Paul gli dava un senso di familiarità che nessuno, a parte ovviamente sua madre e suo padre, gli aveva mai dato.
Sentiva già di volergli bene.
Ne era un po' meno sicuro per quanto riguardava Sheridan. Però oltre al timore, sentiva di rispettarla, ed era già qualcosa. Magari dal rispetto sarebbe nato affetto: nella mente di Rory spesso le due cose coincidevano e, chissà, magari questa volta si sarebbero confuse.
Fenella, ancora silenziosa, si rifugiò tra le braccia del marito, che distrattamente non si era accorto dello scambio silenzioso.
Paul strinse la mano al pastore
«Ora dobbiamo proprio andare, ma è stato un vero piacere»
«Piacere mio!» rispose allegramente Lennon «Tornate pure quando volete, tu, tua moglie e il piccolo Rory, intesi?»
«Ne sarei onorato! E non dubitare, nonostante le lagne che faccio, non mi dispiacerà mai essere rotondo come Erin non tosata per due anni consecutivi se la causa della mia sfericità sarà il vostro formaggio!»
«Mangione!» lo punzecchiò l'altro, ridendo.
Paul strinse la mano alla pastorella «Fenella ...» disse, cortesemente e con un certo calore.
La donna non rispose.
Sheridan passò oltre i saluti, disdegnando ogni forma di civiltà.
Rory, anziché stringere la mano, fu praticamente strizzato in un doppio abbraccio dai due coniugi che lo implorarono di tornare a trovarli presto, e gli dissero che, se avesse voluto, avrebbe potuto anche portare i suoi genitori, che per loro sarebbe stato un onore, e che puzzava un pò di pecora.
Il bambino ringraziò, pieno di un'allegria che gli modellava irrimediabilmente la bocca in un sorrisone, e si allontanò con i due becchini.
Quando erano ormai già ad una certa distanza dalla casa di Lennon e Fenella, Paul sussurrò qualcosa a Sheridan, poi si rivolse a Rory, mentre lei annuiva piano.
«Allora, ti sei divertito?» Chiese il becchino, con un tono di voce a metà tra l'allegro e il provocatorio, del tipo “andiamo, prova a dire di no!”
«Tanto!» il bambino annuì vigorosamente, sorridendo verso Paul
«Davvero?»
Rory annuì di nuovo «Dicevi sul serio quando dicevi che saremmo tornati?»
«Certo» assicurò Paul, passandogli velocemente una mano sulla testa per scompigliargli i capelli.
Rory rimase in silenzio per qualche secondo. Poi, all'improvviso, chiese «Perché mi toccate tutti la testa?»
Paul rise «Perché hai dei bei bei capelli, mio piccolo re rosso»
«Grazie».
Parlarono per tutto il viaggio del più e del meno, di quanto sarebbe stato bello mangiare i biscotti dello zio Paul, la pasta che faceva Roisin e il formaggio di Lennon in un unico pasto.
Il becchino, attentissimo sul proprio protetto, se ne accorse subito quando il bambino cominciò a mostrare i primi indici di stanchezza, nonostante Rory tentasse di nasconderli per non fare preoccupare Paul e, si, per apparire un po' più forte ai propri occhi. Si sentiva più ... eroico, se ce la faceva.
Eppure, non appena quell'ometto grasso gli chiese se voleva un aiuto, fu seriamente tentato di dire di si. Scosse la testa.
Sheridan, inaspettatamente, lo agguantò da sotto le ascelle e lo alzò dal terreno. Rory sgranò gli occhi, senza avere il tempo di elaborare ciò che accadeva, vedendo semplicemente il terreno che si allontanava dai suoi piedini e gli provocava una fitta di vertigini. Gli sfuggì un urletto spaventato dalle labbra, mentre Sheridan lo girava verso di lei per guardarlo negli occhi.
Gli occhi verdi di Rory si muovevano avanti e indietro come quelli di una fiera in trappola che cerca di trovare una via d'uscita, mentre sentivano quelli di Sheridan che lo sondavano.
Dopo quelle che parvero ore, lo posò. Sopra le spalle di Paul.
Il becchino alzò un sopracciglio, sorpreso.
Tutta la tensione accumulatasi dentro il corpicino di Rory cominciò a rilassarsi a contatto con la figura più rassicurante del villaggio (visto che i suoi genitori non erano nel villaggio, erano “quelli della collina”), ogni muscolo si distese. Stare sulle spalle di Paul e stare sulle spalle di Sheridan erano due sensazioni completamente diverse. Innanzitutto, il becchino era notevolmente più piccolo e quindi le vertigini c'erano e non c'erano, inoltre aveva una conformazione tale che dava l'impressione al bambino di essere un pò più stabile di quanto lo era l'altra. E, ultimo ma non per importanza, lo zio Paul riusciva a rasserenarlo quando era nervoso, al contrario di Sheridan che lo rendeva nervoso quando era sereno.
Senza fermarsi, Paul gli tenne le gambe mentre Rory si teneva più stretto cingendogli la testa con le braccia e rivolse uno sguardo che chiedeva spiegazioni a Sheridan.
«Ha paura di me» Spiegò lei, con la sua voce calma e bassa.
Paul annuì «In effetti … hai ragione, Sheridan. Però facendo in quel modo l'hai terrorizzato … l'hai alzato e te lo sei messo davanti, come se te lo volessi mangiare. Non farlo più! Giusto, Rory?»
«Si» Rory lo disse con tutta la convinzione che aveva, sperando di non dover essere più preso in quel modo da Sheridan.
La donna voltò in modo serpentino la testa verso il bambino. Il cappuccio si spostò di poco, lasciando intravvedere gli splendidi occhi verdi di Sheridan. Rory ricordò che una volta sua madre, per convincerlo a non allontanarsi più tanto nel bosco e illustrargli tutti i pericoli che si nascondevano tra gli alberi, gli aveva raccontato una storia la cui protagonista era una bambina che era stata abbandonata nella foresta e, una volta divenuta adulta e tornata nel mondo civile, era stata chiamata Sheridan.
Rory pensò che fosse un pensiero inutile, poi ricordò all'istante perché avessero dato quello strano nome alla bambina guardando il piccolo anello verde foresta intorno alla pupilla di Sheridan.
Sheridan significa “selvaggia”.
«Scusa» Disse la donna incappucciata, con un tono rammaricato. Sembrava davvero dispiaciuta, ma la cosa più incredibile per Rory era che lo dimostrava. Il bambino aveva pensato che non l'avrebbe mai sentita esprimere le proprie emozioni. Per lui era come una specie di involucro di poteri spaventosi a cui non importava minimamente di apparire umano. Sheridan tornò a guardare dritto davanti a sé, e la foresta nel suo sguardo venne risucchiata dall'ombra.
Arrivarono alla collina più presto di quanto Rory avesse pensato e Rory guardò incredulo il Sole per pochi secondi, come gli aveva raccomandato sua madre. “Altrimenti finirai accecato”. Ma non era questo il punto ... Era ancora mattina? Com'era possibile che fosse passato così poco tempo? Gli sembrava che fosse trascorso un giorno intero da quando aveva incontrato lo zio Paul!
Tutti e tre si avvicinarono alla porta. Per un attimo, a Rory parve di scorgere alla finestra il viso preoccupato di sua madre.
Lo zio Paul bussò tre volte, educatamente, poi aspettò come aveva fatto a casa di Lennon.
Non dovettero aspettare molto: non appena il becchino finì di battere le nocche per la terza volta contro il pannello di legno la porta si aprì di scatto e apparì Roisin.
Sembrava fuori di sé, aveva il respiro corto e gli occhi sgranati
«Dov'è il mio piccolo? Dov'è il mio Rory?» li aggredì immediatamente, praticamente ringhiando. Nel vedere che il suo povero bambino era lì sopra, in groppa a quel lurido stregone, sulla faccia della donna si dipinse un'espressione disgustata.
«Eccolo, mia cara» Rispose Paul, tranquillo, aiutando Rory a scendere «Come puoi vedere non gli abbiamo torto un capello».
Rory si fiondò tra le braccia di sua madre, contentissimo. Era ansioso di raccontarle tutto quello che aveva fatto con il suo nuovo zio, di renderla partecipe della sua contentezza.
Ma Roisin non lo lasciò parlare. Lo prese e lo attirò a sé, stringendolo al proprio petto e mormorando in continuazione «Cristo … cristo … Il mio piccolo, il mio povero piccolo, Signore mio …».
Per qualche motivo, il bambino non se la sentì di rompere quella cantilena, e preferì godersi quel dolce abbraccio, benché avesse qualcosa di disperato.
Anche se voleva bene allo zio Paul, stare con lui non avrebbe mai potuto essere come stare con la sua mamma.
Roisin lo strinse a sé più forte, lanciando occhiate di astio verso i due stregoni.
Prese Rory in braccio e li guardò, grondando disprezzo.
«Arrivederci» sputò la donna, e sbatté in faccia la porta a Paul e a Sheridan.
Il becchino si espresse in un sorrisetto sornione, senza neppure distogliere lo sguardo dalla porta che gli era stata chiusa davanti.
«Sarà difficile … » mormorò.
Sheridan iniziò ad allontanarsi senza dire nulla.