Capitolo 3
Genitori e zii
Rory chiuse gli occhi, stanco.
Roisin lo cullò dolcemente, seduta sul lettino del figlio. Sembrava immersa nei propri pensieri e non riusciva a trasmettergli il suo solito calore. Di tanto in tanto sussultava come se alla porta fosse apparso qualcosa di mostruoso, ma quando Rory si girava, non c'era nulla.
Alla fine, fu sua madre a rompere il silenzio
«Ti sei divertito?» chiese, in modo stranamente rigido
«Si, mamma» rispose, in tono un pò smorto.
Avrebbe voluto metterci un pò più di entusiasmo, ma, per qualche motivo, aveva l'impressione che sua madre non sarebbe stata felice del fatto che lui era contento dello zio Paul. Ricordò come aveva sbatacchiato di malagrazia la porta in faccia al becchino e Sheridan.
L'idea della donna piena di rabbia che aveva sbattuto la porta in faccia allo zio Paul non riusciva a coincidere nella sua mente alla donna premurosa e dolce che riempiva di affetto le sue giornate, che si preoccupava per lui anche quando inciampava o sbatteva contro qualcosa, che al minimo ritardo cominciava a chiamare l'allarme. Non aveva mai visto sua madre in quel modo.
Perché ce l'aveva con lo zio Paul?
Aveva la domanda sulla punta della lingua, eppure aveva timore di chiederglielo. Anche questa era una novità: non aveva mai avuto paura di dire qualcosa a sua madre.
Dal canto suo, Roisin non faceva che pensare. Pensare che sotto la maschera di cortesia e ciccia quello stregone non era altro che una vipera, un mostro sotto fattezze umane. Era giunto perfino a minacciarla di uccidere il suo bambino se non avesse potuto averlo. Una minaccia egoistica, ma il solo pensare al suo piccolo re rosso avvizzito come il loro grano era bastata a convincerla che come minaccia era più che efficiente.
Passò le mani sul viso del suo piccolo, sui suoi capelli morbidi. No, non era morto, era proprio lì, sotto le sue dita, il suo corpicino tiepido stretto al suo. Ma perché, perché non parlava? Chissà che cosa gli avevano fatto quei mostri ... Lo annusò, per sentire il suo odore rassicurante. Sapeva … di pecora? I becchini, per quanto ne sapeva, non avevano mai allevato pecore.
Sarebbero scappate tutte con due tipi loschi come loro a prendersene cura.
Un rumore alla porta la fece alzare in piedi di scatto, tenendo stretto il bambino.
«Kieran …?».
Silenzio.
Poi una voce che borbottava «Incredibile, davvero incredibile ...».
Roisin si rilassò. Era suo marito … doveva parlargli immediatamente.
Uscì dalla stanza, con Rory ancora in braccio. Vide subito la figura familiare di Kieran, che portava con sé la spesa fatta quel giorno.
Gli occhi del bambino caddero su qualcosa il particolare. Era una forma di formaggio dall'aspetto appetitoso, chiaro. Rory sorrise, mentre una voce conosciuta e trillante nella sua testa gli diceva allegramente “Ecco il formaggio migliore d'Irlanda!”.
«Kieran?» chiamò Roisin, ostentando un sorrisino forzato
«Ciao, Roisin. Ehi, il mio piccolo guerriero! Come stai? Ti sei divertito da Paul? Mi racconti tutto, ti va?».
Rory aggrottò le sopracciglia. Suo padre sorrideva e il suo tono era sufficientemente allegro, ma c'era qualcosa che non andava … guardando il viso di suo padre se ne accorse. Non era un sorriso vero. Lui non era contento. Quando suo padre rideva, a Rory piaceva perchè anche i suoi occhi sembravano infinitamente allegri, e la sua voce era calda e briosa. Ora no.
La sua voce era quasi ingessata … era come se sua madre e suo padre fossero due attori che fingevano di dargli il bentornato, ma in realtà non gliene importava niente. Era una sensazione piuttosto sgradevole
«Si, mi sono divertito. Quello è il formaggio di Lennon il pastore?» chiese, tendendosi verso la forma di formaggio che aveva adocchiato precedentemente. Ecco, questo era quello che gli premeva adesso, non che i suoi genitori ce l'avessero con lo zio Paul. A lui piaceva, e gli aveva promesso di riportarlo da Lennon e Fenella, quindi lui ci sarebbe tornato, perché suo padre diceva sempre che le promesse fatte si mantengono per forza.
Kieran parve stupito da quell'osservazione e, posando tutto sul tavolo, se lo fece passare in braccio da Roisin che pareva sul punto di esplodere.
«E tu come fai a saperlo, eh? Non ti ho mai presentato Lennon» gli chiese suo padre, sembrando scivolare finalmente via dalla sua parte di attore
«L'ho conosciuto proprio oggi! Me lo ha presentato lo zio Paul. Sono andato lì e c'erano un sacco di pecore»
«Ah. Te lo ha presentato lo zio Paul» annuì suo padre, celando appena il disgusto «Va bene. Cos'altro ti ha fatto fare, lo zio?»
«Mi sono divertito» ripeté Rory, più lentamente come se stesse parlando con qualcuno di molto stupido, per fargli capire che Paul era una brava persona «Abbiamo fatto i biscottini. Erano buonissimi! E poi abbiamo cantato una canzoncina! Era bella!».
Rory gliela cantò tutta, allegramente, poi continuò la sua lista «E poi siamo andati da Lennon, e mi hanno lasciato mangiare il formaggio e giocare con le pecore, e poi mi hanno detto che dovevo tornare a casa».
Roisin pensò che, in fondo, non aveva fatto nulla di male. Non poteva volere bene a Paul, anzi lo odiava con tutta se stessa, ma almeno non aveva fatto del male al piccolo Rory. Non gli aveva fatto vedere o fare nulla di strano, di orribile, nessuna stregoneria. Kieran la pensava più o meno allo stesso modo, anche se tentava di mostrarsi meno sovrappensiero per il figlio, per fargli capire che stava ascoltando.
Ora che Rory ci pensava c'era qualcosa che aveva scordato … oh, in effetti, non si era ricordato di dire una delle cose più significative della giornata, terzo dopo le pecore e i biscotti.
«Mamma?»
«Si, tesoro?»
«Ora, che mi ricordo, mamma, lo zio Paul, no, Sheridan, mi ha insegnato un gioco»
«Quale gioco ti ha insegnato, tesoro mio?» chiese Roisin, aggrottando le sopracciglia incredula. Era difficile pensare a Sheridan che parlava, figuriamoci che insegnava qualcosa.
«Non l'ho ancora imparato bene, ma Sheridan mi ha insegnato il gioco delle tombe».
Il gelo calò nella stanza all'improvviso.
«Che c'è, mamma?» chiese Rory, ingenuamente.
Se prima Roisin aveva pensato, anche solo per un attimo, che quello stregone non era poi tanto male e che avrebbe anche potuto in parte abituarsi a lui (anche se mai volergli bene: una madre non dimentica), ora sentiva che non avrebbe mai, mai più mandato il suo povero piccolo a farsi deviare la mente da quei maledetti stregoni con tombe e morti e bare e becchini e cose orribili del genere.
«L'ho quasi imparato: sapevi che Leah McMahon è stata mangiata da un orso?»
Roisin inorridì.
«No, non lo sapevo. E … tu, come fai a saperlo?»
«Sheridan me l'ha fatta vedere!»
Kieran era rimasto senza parole, impallidendo. Che cosa significava che Sheridan gliela aveva fatta vedere? Aveva riesumato un morto, profanato una tomba? Con suo figlio di lato, a guardare a bocca aperta il corpo d'una ragazza mezza mangiata da un orso? Quale cosa deviata e blasfema! Così suo figlio avrebbe imparato che i morti si tolgono dalle proprie tombe per mostrarli alla gente! La sola idea era orrida, ripugnante.
«Come te l'ha fatta vedere?» chiese Kieran a fior di labbra, con gli occhi sgranati.
Rory guardò verso di lui, come se avesse a che fare con un bambino un po' tonto
«Me l'ha fatto vedere nella testa, come se avessi … degli occhi dentro la testa. E ho visto com'è morta»
«Ah».
Questo era ancora peggio di quello che credeva.
Il mostro era entrato nella mente del suo bambino per fargli vedere una ragazza sbranata da un orso. L'unica consolazione era che non avevano profanato una tomba … forse.
Roisin era sull'orlo di una crisi di nervi, ma si contenne per non inquietare troppo il bambino.
«Tesoro» interloquì la donna, tentando di mantenere la calma «Che cosa significa che te lo ha fatto vedere come se avessi degli occhi dentro la testa?»
«Ecco, come se tu chiudi gli occhi e poi vedi quello che succede, senza vedere davvero quello che succede, perché non sta succedendo in quel momento» spiegò il bambino allegramente, come se avesse appena detto di aver visto un arcobaleno dopo un temporale. I suoi genitori avrebbero accolto più volentieri la notizia che si era unito a un gruppo di leprecauni banditi: con la morte non si scherza.
Rory si guardò intorno, sorridendo ai suoi due genitori che lo osservavano perplessi e spaventati allo stesso tempo. Ecco, sentiva proprio di aver detto tutto quello che c'era da dire, e visto che mamma e papà non chiedevano più nulla, decise che non avevano bisogno di ulteriori spiegazioni.
Saltellò allegramente via, catturato dal volo di una farfalla colorata vista dalla finestra, lasciando Roisin e Kieran da soli e terrorizzati, in piedi come due stupidi in mezzo alla stanza.
Nel frattempo, Rory aveva perso di vista la farfalla. Con un guizzo arcobaleno era scomparsa tra gli alberi, il che, agli occhi del bambino non era poi una gran disgrazia visto che lui amava alla follia il suo boschetto, perciò non fu esattamente una sorpresa la decisione da parte sua di inseguire l'animaletto anche fra gli alberi.
Rory si inoltrò con spirito da vero avventuriero nel suo tanto amato verde.
“Allora” pensò, fra se e se “Da dove comincio?”
Dapprima di guardò intorno, alla ricerca di qualche indizio, come uno sbattere di ali colorato o un po' di arcobaleno intravisto svanire tra le foglie fitte di un albero. O, perlomeno, qualcosa di abbastanza interessante da riuscire a prendere il posto nella sua testolina di una farfalla tanto colorata.
Visto che non c'era traccia di nessuna cosa colorata e volante, decise di dare il via alla caccia.
Cominciò a camminare piano, senza fare rumore, un po' ingobbito. Per lui era come un gioco, come tentare di districarsi per gioco tra le numerose vie di un labirinto: non sapeva dove fosse la farfalla, non restava che trovarla. E, per trovarla, doveva scegliere la via giusta.
Cominciò a interrogarsi su come dovesse essere la via giusta. Innanzitutto, che cosa piaceva alle farfalle?
“I fiori” fu la prima risposta che gli venne in mente.
Rievocò con inaspettata chiarezza l'immagine di una farfalla candida, un po' tendente al verde fosforescente, posata su un fiore abbastanza semplice e dai petali giallo vivo che non aveva saputo riconoscere.
L'aveva osservata con attenzione, aveva visto come distendeva quella strana boccuccia, simile ad un fuso, e la faceva sparire fra i petali del fiore. Ricordò come, con lentezza aveva riavvolto il fuso, e per, un attimo, a Rory era parso che guardasse proprio lui con quegli occhioni.
Quindi, punto primo, serviva un posto con tanti fiori per trovare la sua preda. Si sentì fiero di sé stesso, un vero, piccolo detective della natura.
Cos'altro?
La farfalla si era poi fermata, ignorandolo, mentre lui stava immobile a contemplarla nell'erba alta.
Aveva allargato le ali e non si era più mossa finché lo stesso Rory non si era alzato per andarsene, illuminata dalla luce del Sole in modo quasi paradisiaco …
“Il Sole!” pensò trionfante “Alle farfalle piace il Sole!”.
Aveva stabilito due importanti punti: i fiori e il Sole.
Un posto con molti fiori e molto Sole? Semplice: bastava scegliere la via in cui vedeva che gli alberi andavano man mano diradandosi.
Una volta scelti i criteri, il piccolo eroe si sentì definitivamente e piacevolmente pronto, determinato.
Gonfiò il piccolo petto, socchiuse gli occhi, e mosse i suoi piedini, svelto, alla ricerca della farfallina perduta.
Seguì un sentiero molto familiare senza neppure accorgersene, studiando i giochi di luce tra le foglie, per capire dove i raggi si intensificavano.
Ammirato, continuando a muovere le sue gambette, studiò il disegno complicato che la luce filtrante disegnava sul terreno, che continuava a mutare man mano che gli alberi si diradavano. Sembrava quasi che la luce stesse annientando le tenebre, o, guardando bene, che le tenebre stessero affiorando dalla luce.
Dipende da come Rory decideva di vedere la cosa. Inclinò la testolina, sorpreso. E così, ogni cosa avrebbe potuto avere, per così dire, due facce … era una cosa nuova. Rory non era stupido, aveva intuito la soggettività, ma mai così tanta chiarezza. Sapeva bene che c'erano cose che a lui piacevano e agli altri no. Sentì un brutto nodo in gola. Per esempio lo zio Paul, a cui lui sentiva già di voler bene, per come si comportava, per come appariva, così buffo e tondo, per come era, e che i suoi genitori per qualche strano motivo odiavano di un odio tanto sincero da essere incomprensibile. Innanzitutto, perché non si può odiare una persona in modo tanto intenso, a meno ché non abbia ucciso uno dei tuoi parenti o ti abbia derubato durante una stagione di carestia, il che equivarrebbe ad un omicidio. Ma lo zio era ricco, cosa ci faceva con le loro cose? E, soprattutto, i suoi genitori glielo avrebbero detto se lo zio Paul avesse ucciso qualcuno. Anche se negli ultimi tempi non avevano fatto che raccontargli menzogne e nascondergli la verità, i suoi genitori glielo avrebbero detto, o non lo avrebbero mandato. E poi non poteva immaginarsi lo zio Paul che uccideva qualcuno. Forse Sheridan, ma non lui ...
Perciò, che cosa aveva mai fatto di tanto male il povero zio Paul per meritarsi tutta quell'ira nei suoi confronti?
Una volta, in una delle rare sere in cui non era andato a dormire presto (anche se i suoi genitori non lo sapevano), li aveva sentiti bisbigliare il nome dello “stregone”, il nome spregiativo dello zio, e suo padre aveva aperto la mano e dentro c'era qualcosa di dorato e brillante, come delle spighe di metallo.
Oro. Kieran gli aveva sempre detto che, per quanto l'oro non fosse qualcosa di importante tanto quanto i propri affetti, era importante e non bisognava mai disdegnarlo se si ha una famiglia da sfamare.
Eppure, mentre i suoi due genitori guardavano quella piccola fortuna, avevano in faccia stampata un'espressione fortemente disgustata.
Perché?
Rory si fermò di botto, con una strana sensazione di familiarità che lo permeava tutto.
Si guardò intorno, aggrottando le sopracciglia.
«Ma che …?» sussurrò fra sé e sé, stordito, quando all'improvviso capì.
Come poteva non ricordare quel posto? Dopotutto, quello faceva da protagonista in uno dei suoi ricordi più recenti. Era fiorito. Era soleggiato. E, soprattutto, aveva preso lì il più grande ruzzolone della sua intera esistenza.
Ecco il posto migliore del mondo per trovare una farfalla e un leprecauno.
Poi il suo occhio colse ciò che cercava da tempo, qualcosa al margine del suo campo visivo.
Era posata su una margherita dai petali bianchi e lucidi, che si piegava appena sotto il peso esiguo dell'animaletto. Le sue ali, colorate con un misto di bruno, arancione brillante, nero carbone e qualche macchiolina di un bianco, erano illuminate direttamente dai raggi solari.
Rory gioì interiormente: l'aveva trovata!
Si inginocchiò con lentezza, con gli occhi puntati fissi sulla bestiola, misurando ogni movimento per non spaventarla, poi si distese sul ventre e si impose l'immobilità assoluta.
Si mise a contemplarla, timoroso che potesse scappare via da un momento all'altro
La farfalla sembrò non accorgersi di lui, e, ignara, continuò a fare il suo bagno di Sole.
Estasiato e trionfante per la sua riuscita, Rory la scrutò come se volesse vivisezionarla con lo sguardo. Voleva imprimersi bene quell'animaletto in mente.
Aveva un nuovo scopo: voleva conoscere ogni cosa del boschetto. Voleva saperne ogni pianta, ogni strada, ogni animale e luogo. Per esempio, adesso sapeva che se voleva trovare una farfalla doveva andare nella piana del leprecauno, sapeva la strada per arrivarci, sapeva il gioco di luci e ombre che la ricopriva, sapeva del trifoglio e della rugiada dopo la pioggia … insomma, era già a buon punto.
La farfalla sbatté debolmente le ali, quasi con pigrizia, come se fosse uno sforzo fatto di malavoglia.
Rory sentì crescere nel petto una strana ammirazione. Era molto, molto bella.
Pensò di allungare le dita per sfiorarla o addirittura per acchiapparla di scatto, anche se sapeva che non ci sarebbe riuscito, che la farfallina sarebbe scappata non appena avesse visto anche solo una contrazione muscolare … o, a quanto pare, neanche quello.
Il solo pensiero di acchiapparla sembrò infastidirla tanto da farla volare via di fronte agli occhi sorpresi del bambino.
Rory ci rimase male: come, dopo tutto il tempo passato a cercarla, se ne volava via? Si ripromise mentalmente di non pensare più di prenderne una di fronte a loro, anche se ancora non era riuscito a capire come avesse fatto a leggergli nel pensiero.
Forse, però, si era semplicemente stancata di stare lì, non è che le farfalle stanno sempre in un solo posto finché qualcuno non le caccia. Le farfalle si muovono in continuazione … magari era solo che non era venuto nell'attimo giusto.
Un po' deluso, abbassò lo sguardo staccandolo dall'animaletto.
Fece per rialzarsi, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Stava per imparare una meno piacevole cosa sul bosco.
Pensò che la farfalla né fosse stata infastidita da lui né si fosse stancata del posto.
Perché due occhietti lo fissavano nella semioscurità. Una risatina risuonò mentre l'essere che lo osservava rideva compiaciuto di essere stato finalmente visto.
Rory si alzò goffamente e con la velocità massima che gli imponevano le membra rilassate sul prato, impaurito.
La figura uscì dagli alberi.
In fondo, il bambino se lo aspettava, e lo guardò come se fosse stato lì fermo da secoli. Perché quello era il posto migliore per trovare una farfalla … e un leprecauno.
L'altro non ne parve particolarmente contento, visto che digrignò i dentini cercando di mettergli paura. Non voleva che lo si ignorasse, voleva essere al centro dell'attenzione, e in quell'istante voleva essere al centro dell'attenzione di Rory. Doveva guardarlo! Doveva vederlo e avere una reazione buffa, proprio come piaceva a lui!
Lo spiritello rise di nuovo, portandosi le mani davanti alla bocca come per impedirsi di ridere più forte. Cosa c'era di tanto spassoso il bambino non lo aveva ancora capito.
«Ancora tu?» disse Rory, fissando il leprecauno con durezza «Che cosa vuoi? Perchè ce l'hai proprio con me?».
Il leprecauno lo guardò con aria di sfida e, inaspettatamente, aprì la bocca ed emise un suono, rivolto a Rory. Infatti, strillò una specie di “Aaaah!” rauco, senza emozione. Non è mai stato specificato che il suono avesse un significato.
Rory lo guardò, stranito.
Lo spiritello ripeté di nuovo quello strano verso, ma Rory non riusciva proprio a capire che cosa diamine stesse facendo. Si guardò intorno, per capire se non fosse rivolto a qualcos'altro anziché a lui. Il suo sguardo ondeggiò verso il “precipizio” e Rory decise di allontanarsi di qualche passo. Così, per sicurezza.
Il leprecauno ridacchiò, osservandolo attentamente e, anche quando smise, quel sorrisetto continuò ad aleggiare sul suo faccino da birbante.
Rory esitò un attimo, soppesando le possibilità. Da un lato poteva scappare, senza certezza di riuscire a seminarlo, dall'altra poteva affrontarlo a parole, senza certezza di essere risparmiato da qualche stregoneria di quella specie di brigante in miniatura.
Aveva un lotta interiore che gli impediva di fare entrambe le cose, almeno finché non ci fosse stato un vincitore.
Il leprecauno lo guardò incuriosito e fece un passo avanti.
Rory cominciò a correre via di scatto. Non voleva stare di nuovo con quella specie di diavoletto, pronto a usare le sue stregonerie per puro dispetto contro di lui, e soprattutto non voleva che gli si avvicinasse.
Il piccoletto parve sconcertato dalla reazione di Rory e perse qualche secondo a fissarlo con una faccia piuttosto ebete, poi si riscosse e si lanciò all'inseguimento della sua preda.
Oh, finalmente il cucciolo d'uomo aveva deciso di fare qualcosa di divertente! Ma non era ancora abbastanza, era solo sfiancante. Ci voleva qualcosa per renderlo più spassoso. Chissà che cosa poteva fargli fare… Un sorrisetto furbo gli si stampò in faccia. Niente di buono, considerato il senso dell'umorismo di quelli della sua specie.
Rory continuò a correre. Si chiedeva quale razza di sfortuna lo avesse assalito per incontrare due volte di seguito lo stesso leprecauno, che ce l'aveva proprio con lui. Ma che cosa gli aveva fatto? Intanto cominciava ad avere il fiatone ma il suono scoordinato dei piedini dietro lui non cambiò di una virgola. Lo stava raggiungendo, e questa era l'ultima cosa che voleva. Evitò all'ultimo secondo di spiaccicarsi contro un albero a tutta velocità e, a poco a poco, rallentò contro la propria volontà.
Il leprecauno tese una manina, senza smettere di inseguire con un certo compiacimento Rory. Ma, anzicché verso il bambino, contro una pietra poco lontana. Sulla sua faccina si dipinse un'espressione concentratissima.
Una strana energia, calda e formicolante, si condensò alla base della spalla, per attraversare poi in pochi secondi il braccio e il polso, fino ad arrivare alla mano sporca di terra. Le dita del leprecauno ebbero uno scatto nervoso, poi la pietra fu avvolta per qualche attimo da una luce bianca e sottile. Quanto bastava per depositarla poco avanti ai piedi di Rory, che continuava a correre ignaro.
Emise un fischio lungo e acuto che fece girare all'istante il bambino e gli sorrise. A Rory non piacque quel sorriso. Beh, a dir la verità a Rory non piaceva niente di quella piccola belva magica.
Ci cascò come un pollo.
Poco dopo aver girato la testa, il piede si scontrò contro il sasso e Rory girò di nuovo la testa sorpreso. Vide il mondo cambiare inclinazione quasi al rallentatore ... poco prima di sbattere con il muso sull'erba.
Il leprecauno dietro di lui, nel frattempo, rideva così forte e senza riprendere fiato che era a corto d'aria e piegato in due. Rory pensò che non ci trovava davvero niente di esilarante nello schiacciarsi il naso contro il terreno. E si era anche fatto male ad un piede.
Si mise seduto, con quella risatina insistente nelle orecchie, avvampando d'imbarazzo. Non c'era nulla di cui vergognarsi, eppure sentendo quella risata tanto divertita, Rory si convinse di aver fatto qualcosa di tanto buffo da essere stupido.
Si portò una mano al naso, intatto ma dolorante, e fulminò il leprecauno con un'occhiataccia, cattiva quasi quanto quella che sua madre aveva fatto allo zio Paul.
Lo spiritello non lo degnò di uno sguardo, continuando a ridere come un matto.
Rory, irritato, si alzò. Lo guardò intensamente e, visto che continuava a prendersi gioco di lui senza accennare a smettere, lo lasciò semplicemente lì a sghignazzare da solo e se ne andò.
Ultimamente stava piantando un sacco di persone, facendole sembrare stupide. Ma non si sentiva certo in colpa per questo … stava facendo la cosa giusta.
Il piccolo re rosso svanì, scocciato.
Il leprecauno se ne accorse solo dopo qualche minuto e, per la prima volta, si sentì giocato e molto scemo. Smise all'istante di ridere e si allontanò, pensieroso. Gliela avrebbe fatta pagare …
Rory uscì dal boschetto e si guardò intorno.
Non voleva più vedere il muso sporco di un leprecauno per almeno tutto il resto della giornata, quindi tornare indietro era fuori discussione. Cosa fare per passare il resto del tempo?
Già sentiva la noia in agguato, in attesa che lui non trovasse nulla da fare.
E a Rory non piaceva la noia. Quando si annoiava si sentiva formicolare mani e piedi, come se non potessero sopportare di non essere impegnati in qualche attività divertente. E poi andava a finire sempre che, con grande disapprovazione di sua madre, si metteva a correre urlando per tutto l'orto per fare qualsiasi cosa che non fosse stare a rigirarsi i pollici.
Rory si sedette sotto un albero a riflettere e si rannicchiò contro la corteccia rugosa, poggiandoci la testolina e laciandoci scivolare sopra uno sguardo distratto, mentre si interrogava su cosa fare. I suoi occhi seguirono i solchi tracciati in un modo curiosamente armonioso sul legno. Si chiese se, disegnandoli, avrebbero mai potuto apparire altrettanto belli, o sarebbero sembrati superflui e fuori posto.
Sbadigliò, senza neppure coprirsi la mano con la bocca: tanto non c'era nessuno. Si asciugò una lacrima apparsa all'angolo dell'occhio, e si sistemò meglo contro il tronco. Per qualche motivo, si sentiva comodo come se fosse stato nel proprio lettino.
Sbadigliò ancora, più a lungo, aprendo la bocca come un forno.
Non gli sarebbe dispiaciuto se qualcuno gli avesse ficcato in bocca dei biscotti, rifletté, anche ancora crudi. I biscottini erano tanto buoni …
Chiuse gli occhi, e non poté impedirsi un altro sbadiglio.
Sbattè le palpebre, poi chiuse gli occhi, cominciando a sentirsi piacevolmente intorpidito, poi chiuse gli occhi.
Scivolò dolcemente nell'incoscienza senza neppure accorgersene.
Beh, di sicuro, non aveva più bisogno di decidere che cosa fare …
Kieran guardò ansiosamente fuori dalla finestra. Dove si era cacciato quel bambino?
Lo cercò con gli occhi e, dopo qualche secondo di smarrimento, lo trovò accoccolato sotto un albero a sonnecchiare.
Gli si gonfiò il cuore di tenerezza. Com'era dolce quel piccolo re rosso … cominciò a pensare a che brutto periodo avesse dovuto essere per lui.
Pensò che, forse, qui a mettergli paura non era lo zio Paul, ma lui e Roisin. Quanto doveva essere confuso quel povero piccino? Li aveva visti urlare e cacciare via quello stregone, trattarlo con disprezzo, e pensò addirittura che, nel tentativo di proteggerlo, era riuscito a trascurarlo.
Quanto tempo era che non giocavano insieme?
Era stato così freddo con lui, così … era assurdo. Il cuore gli si strinse in una morsa, nel guardare quella creaturina così fragile. Cosa pensava ora di loro? Non poteva capire la loro giusta avversione per lo stregone, e Kieran ripugnava la sola idea di dirgli che lo avevano appena mandato in casa di uno stregone.
Avrebbe avuto paura, non avrebbe potuto capire … come spiegarlo senza spaventarlo o renderlo diffidente?
Kieran uscì fuori e a passo lento, senza fare rumore, si avvicinò al bambino.
Un sorriso spontaneo gli si disegnò sul volto.
Preoccupazioni, preoccupazioni! Da quando aveva conosciuto quel maledetto stregone la sua vita era piena di preoccupazioni, ma, in fondo, a cosa serviva preoccuparsi? Rory stava bene. Il suo piccolo petto andava regolarmente su e giù, nel dormire sonni tranquilli. Era sano, come testimoniava il suo visino paffuto e rilassato.
Dove poteva mai essere il problema? Poteva esserci un problema?
Kieran scosse la testa, e ogni cruccio si dissolse come neve al sole.
L'uomo si chinò a prendere delicatamente Rory in braccio, stando attento a non svegliarlo. Provò un moto di orgoglio e tenerezza. Era il suo bambino. Il suo piccolo Rory, e nessuno stupido stregone avrebbe mai potuto fargli del male.
Mai.
Roisin gli gettò un'occhiata vedendolo passare, ma non disse nulla. Il suo sguardo si soffermò su Rory qualche istante di più, poi distolse gli occhi, persa nei propri pensieri.
Kieran lo adagiò nel suo lettino e lo sistemò per bene, con delicatezza, controllando di tanton che in tanto che Rory dormisse ancora, sperando di non svegliarlo.
«Sogni d'oro» sussurrò.
Quando Rory si svegliò, ancora mezzo addormentato, seppe subito che aveva dormito per un bel po' di tempo. Più di un ora, comunque. Si alzò lentamente a sedere e sbadigliò, stiracchiandosi e sentendosi piacevolmente ristorato. Si rese conto che aveva avuto bisogno di dormire: adesso si sentiva proprio in gran forma, pronto a fare qualunque cosa.
Poi arrivarono i ricordi, e si guardò intorno, confuso. Ricordava chiaramente di essersi addormentato sotto un albero, e adesso si ritrovava nel suo letto. Non che la cosa gli dispiacesse. In un primo istante, elettrizzato, pensò a qualcosa di misterioso, poi un po' del suo entusiasmo scemò rendendosi conto che molto più probabilmente sua madre aveva deciso che non era saggio lasciarlo dormire fuori.
Aveva avuto ragione, pensò Rory, rabbrividendo l'idea che il leprecauno avesse potuto trovarlo addormentato.
Scese dal letto, e uscì dalla stanza, guardandosi intorno alla ricerca di uno dei suoi genitori.
Una voce calda e familiare lo accolse «Ben svegliato, guerriero!».
Rory si girò e guardò suo padre, entusiasta. Ecco, questo era un sorriso vero.
«Salve, padre!» salutò «Quanto ho dormito?»
«Cosa importa? Un soldato può dormire quanto vuole dopo la guerra!» esclamò Kieran e prese in braccio Rory
«Quale guerra?» chiese il bambino ridendo «Non ho mai combattuto!»
«Sei un piccolo guerriero, invece, proprio come tuo padre!» ribatté l'uomo, sistemandosi meglio in braccio il bambino «Ti va di giocare, soldato?»
«Si! Si! Si!» approvò Rory con foga «Giochiamo alla guerra, generale!» propose subito dopo, sorridendo raggiante
«E guerra sia, soldato!».
Uscirono fuori, e giocarono insieme per talmente tanto tempo che praticamente non videro il Sole scendere sempre di più, fino a sfociare in un meraviglioso tramonto.
«Ti ho preso, non hai via di scampo!» disse Rory, ridendo, correndo dietro al padre in fuga per gioco con un bastone nella manina «Ormai non hai più possibilità, arrenditi, o assaggerai il filo della mia spada!».
In realtà Rory non aveva idea di cosa fosse il filo di una spada, ma aveva già sentito dire quella frase dal padre e pensava che, in qualche modo, calzasse a pennello con la situazione.
«Non mi prenderai!» urlò Kieran di rimando, agitando il suo bastone «E anche se mi raggiungessi, anch'io ho un filo di spada da farti assaggiare! Preparati alla sconfitta!».
Rory accellerò, stuzzicato dalla battuta teatrale del padre, e riuscì a toccare con la punta del suo rametto la gamba del padre che, con un finto urlo da animale ferito, cadde in modo un po' troppo posticcio, ma almeno cadde.
Il bambino, facendo attenzione a non toccare la lama immaginaria, disarmò il padre e disse teatralmente, puntando il proprio bastone contro il petto di Kieran «L'offesa inflittami è stata troppo forte; deve essere lavata col sangue!».
Spinse appena un po' di più il ramo contro la camicia del padre e quello lanciò un finto gemito di dolore, poi crollò il capo per terra.
Non si mosse più.
Rory rise, ma il padre continuò a non muovere un solo muscolo. Il bambino aggrottò le sopracciglia.
«Padre?» chiamò, pungolandolo con un dito «Padre?».
Kieran rimase immobile.
Rory si zittì, scrutando il corpo del suo papà.
Con uno scatto fulmineo, Kieran abbracciò Rory facendogli emettere un urletto spaventato e gli sussurrò in un orecchio «Preso! Sono lo spirito del soldato che hai ucciso, e sono venuto per vendicarmi!».
Superato lo spavento iniziale di Rory, entrambi scoppiarono in una risata.
Poi Kieran indicò con un dito il cielo a Rory, sorridendo.
Il bambino ne rimase estasiato.
Il cielo era diventato un tripudio di colori, mentre il Sole appariva rosso. Il Sole rosso! E il cielo era diventato tutto arancione, con tante strane sfumature: c'era anche un rosa fresco e delicato come un petalo di ciclamino, c'era il nero delle ombre nette sulle nuvole, e il dorato, caldo e luminoso come una colata d'oro …
Era da mozzare il fiato.
Rimasero a guardarlo, parlando fra loro ma mai distogliendo del tutto l'attenzione da quello spettacolo finché il Sole non scomparve del tutto.
Allora, e solo allora, padre e figlio rientrarono dentro, prendendosi per mano.
Rory si rese conto di essere di nuovo un po' stanco, ma la lieva fatica era quasi del tutto nascosta dalla gioia. Si allontanò saltellando e fece per uscire dalla stanza, quando sentì Kieran e Roisin confabulare fra di loro a bassa voce. Rory aggrottò la fronte
Girandosi piano, per non farsi notare, vide che le loro facce erano strane, diverse dal solito. Le labbra di Rory divennero una linea sottile di disapprovazione, perché lui sapeva.
Suo padre sembrava esasperato, sua madre spaventata.
«Io lo so di cosa state parlando» si ritrovò a dire ad alta voce, sentendo una rabbia calda e sgradevole invadergli la gola e la bocca e mischiarsi alle parole che ne uscivano «Lo so».
I suoi genitori sobbalzarono alla voce del suono del piccino che li guardava
«Rory ...» esordì Roisin, ma fu interrotta dal bambino
«State parlando dello zio Paul. Non dovete parlare male dello zio Paul» disse il bambino, arrabbiato, infervorandosi «Lo zio Paul non ha mai fatto male a nessuno, quindi smettetela! Non dovete parlare male di lui!»
«Ma Rory … » intervenne Kieran, con lo stesso risultato di Roisin
«Lo zio Paul è una persona buona, non dovete parlare male di lui. Lo vedo che facce fate, quando parlate di lui. E parlate sempre a bassa voce, come se qualcosa di brutto e spaventoso. Ma lo zio Paul è una persona buona, non dovete avercela con lui! Capito? Lui è buono!».
Rory non era un bambino particolarmente prolisso, quindi quella aggressiva e lunghissima difesa da parte del piccolo spiazzò i genitori, che rimasero in silenzio per qualche secondo, sufficiente a fare sbollire del tutto Rory.
«Bambino mio» Articolò la madre a fatica, deglutendo «Perché non vai a riposarti un po'?»
«Ma mamma ...» tentò di protestare Rory, pur sapendo già che era una partita persa
«Niente ma, Rory. Il fatto è che ti vedo piuttosto stanco, figlio mio e, per l'amor del cielo, hai bisogno di riposo ...»
«Va bene, mamma ...» si arrese Rory. C'era una luce talmente disperata negli occhi supplichevoli di Roisin che non se la sentiva proprio di dirle di no.
Il bambino si allontanò.
Non appena Rory scomparve alla vista, nella sua stanzetta, Roisin esplose. Tanti ricordi le vorticavano spietatamente in mente, e, semplicemente, non poté frenarsi …
Rory che difendeva Paul, arrabbiandosi con sua madre e suo padre …
Rory che, entusiasta, parlava di ciò che aveva fatto con il suo dolce zio Paul ...
Rory che, eccitato, spiegava il nuovo gioco insegnatogli da Sheridan …
Basta, basta! Era troppo!
«Oh, Kieran!» esclamò la donna, prendendolo per le spalle con foga «Cosa dobbiamo fare, Kieran? Non possiamo lasciare che lo rovinino così … ma, se non lo mandiamo ...» lasciò la frase incompleta
«Troveremo una soluzione ...»
«E se non la trovassimo?»
«La troveremo» insisté Kieran, con convinzione
«E se quel becchino si prendesse nostro figlio per sempre, o lo deviasse com'è deviato lui? E se noi non potessimo fare niente per impedirlo? Kieran, io non lo voglio nella mia vita! Non lo voglio!» urlò Roisin con il viso chiazzato di rabbia, allontanandosi di scatto da lui in modo brusco.
L'uomo rimase per un attimo spiazzato dalla furia della moglie, ma si riprese immediatamente «La troveremo, Roisin, credimi. Troveremo una soluzione a questo inferno. Dio ci aiuterà, in fondo loro sono seguaci del diavolo. Dio ci aiuterà» ripeté lui, avvicinandosi alla moglie istintivamente
«Beh, però con il grano Iddio non ci ha aiutato! E adesso come faremo, moriremo di fame? E se il Signore non ci aiuta, che cosa faremo con il mio bambino? Non voglio che al mio piccolo ...» si interruppe e sbatté le palpebre, come se fosse appena uscita da sotto un incantesimo.
Sospirò stancamente e, passandosi una mano sui lineamenti delicati mormorò «Ma che cosa sto dicendo? Mio Dio, sto diventando matta … parlare in quel modo del Signore … si, lui ci aiuterà, e troveremo un rimedio a tutto questo». Roisin si riavvicinò al marito, inspirando ed espirando lentamente per calmarsi e dandosi della stupida e dell'irrispettosa.
«Non voglio!» Sbottò ancora una volta la donna, senza riuscire a frenarsi «Dannazione!».
Il silenzio scese, pieno di cose non dette, di pensieri inespressi.
Cosa ne sarebbe stato ora di loro?
Dare il loro bambino a quei becchini senza neppure provare a fare qualcosa era categoricamente fuori discussione ...
Dopo qualche attimo di silenzio, Kieran sbottò «Beh, domani, parlo io con quel diavolo di stregone. Vedrai che riusciremo a risolvere tutto, tesoro …» poi vedendo che, Roisin stava tremando di fronte a lui, tra nervosismo e rabbia residua, aggiunse, accarezzandole i capelli teneramente «Ma ora calmati, Roisin. Andrà tutto bene ...» .
Roisin lo abbracciò e chiuse gli occhi, mentre i battiti del suo cuore rallentavano un pò.
«Questa situazione mi fa paura» confessò «Quello stregone e quel mostro di sua moglie mi fanno paura. Vorrei fosse solo un maledettissimo sogno. Vorrei che il mio piccolo Rory stesse bene, senza l'influenza di quei due dannati becchini. Ma immagino che non sia possibile, vero?» sussurrò lei, con amarezza.
Kieran non disse nulla, si limitò ad accarezzarle i capelli.
Pensò.
Cosa avrebbe potuto dirgli?
Non essere te stesso con mio figlio? Non ti azzardare mai più ad essere un becchino mostruoso come sei di fronte a lui, e la stessa cosa vale per tua moglie?
No, doveva lavorarci su. Ma, nel frattempo, la cosa più importante, era la creatura così fragile che stringeva fra le braccia, rassicurarla, farle capire che era tutto a posto …
“Mentirle ...” disse una piccola e fastidiosa vocina nel suo cervello. Beh, se per rassicurarla doveva mentirle, allora lo avrebbe fatto. Praticamente, dirle che era tutto a posto era un enorme bugia, ma Roisin era così fragile … Ma, in fondo, una soluzione vera esisteva. Parlare con Dio a volte era difficile, ma a cosa servivano i suoi ministri in terra se non a mettersi in contatto con il supremo?
«Roisin» Mormorò l'uomo, con un mezzo sorriso
«Che c'è, Kieran?»
«Domani andrò dal prete. Lui saprà come aiutarci. Benedirà la nostra casa, ci aiuterà, ed esorcizzerà ogni possibile demone abbia anche solo la vaga intenzione di toccare Rory. Schiacceremo quei mostri, non ci hanno lasciato altra scelta … e adesso andiamo a dormire, tesoro. Domani li schiacceremo, vedrai».
Dalla sua camera, Rory sentì i passi dei genitori che si dirigevano verso la loro cameretta. Forse quei due credevano che lui non li avesse sentiti? Oh, ma li aveva sentiti eccome, era fin troppo facile attraverso quei muri approssimativi, attraverso quelle porte che non si chiudevano bene … e mamma e papà volevano fare del male allo zio Paul. Ma non era giusto, questo Rory lo sapeva perchè se lo sentiva dentro.
Il bambino si nascose sotto le coperte ed iniziò a pensare. Quello che sapeva, fino ad ora, era che i suoi genitori non si fidavano dello zio Paul. E non era giusto, perché lo zio Paul era tanto buono.
Con una fitta di sensi di colpa, pensò che magari era proprio colpa sua se adesso i genitori si erano spaventati tanto quella sera: forse non avrebbe dovuto raccontare tutto.
Ma cosa poteva saperne un bambino come lui? Nessuno gli aveva detto cosa doveva fare, cosa doveva dire e cosa non doveva dire. O almeno, se glielo avevano detto, in quel momento lui non lo ricordava.
Sporse la testa da sotto le coperte e si mise a fissare il tetto per quello che la vaga luminosità della cameretta gli permetteva di vedere. Le venature del legno gli erano sempre sembrate familiari, ma adesso ai suoi occhi apparivano in qualche modo aliene.
Perché la sua casa era così piccola e quella di zio Paul così grande? Era strano. La sua casa era di legno, piccola e scricchiolante, quella di zio Paul era enorme e aveva il tetto alto. Forse, pensò Rory, il tetto alto serviva per fare entrare Sheridan. Zio Paul, poi, era ricco, quindi poteva comprarsi una casa enorme. E la farina. Zio Paul poteva comprare il cibo che a loro adesso serviva, perché le spighe erano avvizzite.
Alcune lacrime fecero capolino dagli occhi di Rory.
“Zio Paul può aiutarci”.
L'improvvisa consapevolezza gli fece spuntare un sorrisetto stentato sul volto del bambino, subito dopo sostituito da una smorfia. Era inutile che lo zio Paul potesse aiutarli, se tanto la mamma non voleva vederlo mai più e il papà voleva combattere contro di lui e fargli del male.
Rory buttò da un lato le coperte e si alzò. Si preparò, si mise a tracolla la piccola borraccia con l'acqua e in punta di piedi si diresse verso la porta, pregando dentro di se che non scricchiolasse proprio ora, che quel vecchio legno non lo tradisse …
Allungò la manina verso il pannello e chiuse gli occhi. La porta si aprì senza emettere un solo gemito. Stupito per il successo, Rory uscì a piedi nudi fuori ed iniziò a correre per il prato. Non era mai uscito da solo così tardi, ma doveva farlo, adesso, non aveva altra scelta. Non poteva tradire zio Paul.
A piedi nudi arrivò al villaggio, da solo, e si fermò nel mezzo della strada, ansimando. Si guardò intorno alla ricerca della strada giusta quando vide venirgli incontro un grosso cane emaciato dal pelo grigio e riccio, con gli occhi giallastri e le zanne scoperte. L'animale si fermò a metà della distanza e agitò la coda spelacchiata e ricurva, portata alta, un paio di volte, poi iniziò ad avanzare più lentamente, poggiando le grosse zampe a terra quasi con cautela. I muscoli si contraevano vistosamente sulla sua schiena, sotto la pelle, e le costole sporgevano tanto che potevano contarsi con chiarezza, come sul busto scarnificato di un cadavere. Rory inclinò la testa e andò incontro all'animale, anche se avrebbe voluto correre da Paul e Sheridan immediatamente: il suo istinto gli suggeriva che mettersi a correre, in quel momento, non sarebbe stata una buona idea.
Il cane gli annusò il collo con il grosso tartufo umido, poi gli sbuffò su una spalla e aprì la bocca, ansimando con la lingua rossa penzoloni. Rory gli accarezzò goffamente la testa, stropicciandogli il pelo arruffato
«Buono, bello ...» gli disse piano, poi lo superò per dirigersi verso la casa del becchino.
Il cane lo seguì, scodinzolando vivacemente come se si aspettasse dal bambino un grosso pezzo di pane. Rory accelerò e anche l'animale lo seguì al trotto, affiancandoglisi, finché non trovarono l'edificio che il bambino cercava. Il cane si sedette al suo fianco mentre Rory pensava a come avrebbe potuto farsi aprire alla porta senza fare troppo rumore.
Una donna corpulenta comparve dal fondo della strada e gli si avvicinò con la preoccupazione dipinta sul volto. Era alta e vestita di bianco e rosso, con i capelli scuri raccolti in una lunga treccia che ricadeva sulla schiena. Rory la salutò con educazione
«Buonasera, signora»
«Piccolo» disse lei, con la voce venata di paura «Che cosa fai qui, tutto da solo?»
«Sto aspettando che mi aprano ...»
«Oh no» la donna si esibì in un sorriso ampio tutto denti «Devi avere sbagliato casa … qui ci abita solo il becchino con sua moglie ...»
«Si» Rory annuì con foga «Si, si, sono loro».
Il sorriso della donna scomparve d'improvviso e i suoi occhi si posarono sul grosso cane grigio e magro. Anche Rory lo guardò e gli mise una mano su una spalla, accarezzandolo piano
«Signora» disse poi «Mi può aiutare?»
«C-certo» la donna si raddrizzò con un che di formale nell'atteggiamento, ma invece di bussare alla porta del becchino indicò il cane «E tu cosa fai con quel cagnaccio?»
«Non so. Mi ha seguito»
«Quello lì è una bestiaccia, non è buono a nulla, cerca di non starci troppo vicino, va bene?»
«Va bene» disse Rory, sapendo che bisogna dare ragione agli adulti, ma sapendo anche che non avrebbe rispettato quella raccomandazione.
Dopotutto il “cagnaccio” sembrava simpatico. E suo padre diceva sempre che aveva bisogno di prendersi un cane da caccia e perché non portarsi a casa quello lì? Era grande e grosso, poteva essere molto utile, anche se di sicuro aveva bisogno di mangiare, perchè per ora sembrava morto di fame.
La donna bussò alla porta un paio di volte, poi girò di scatto la testa verso il bambino, facendolo sobbalzare sul posto
«Sei sicuro che devi venire qui?»
«Sicuro, signora»
«Perché?»
«Mio zio Paul mi aspetta, signora» rispose lui, con una certa impazienza, irritato da quella donna sconosciuta che faceva tutte quelle domande su cose che non la riguardavano.
Con un schiocco, i battenti della finestra al piano superiore si aprirono e spuntò il becchino con indosso quella che sembrava una camicia bianca e un berrettino floscio, calato fin quasi sugli occhi, in testa
«Chi è?» chiese con quella sua voce zuccherosa e impastata di sonno
«Sono io, zio» salutò il bambino, sventolando una mano.
Il becchino fece un mezzo sbadiglio, poi guardò incuriosito la donna che poco prima era stata vicina a Rory andarsene a passo veloce
«Vengo ad aprirti ...».
Dopo qualche istante, Rory entrò in casa, seguito dal cane grigio che cosparse di zampate sporche il pavimento. Lo zio Paul li accolse con indosso non una camicia, ma un camicione lungo fino ai piedi, tutto bianco, mentre reggeva il moggio con una mano
«Allora» disse, perplesso e assonnato «Che cosa ci fai qui a quest'ora?»
«Zio, devo dirti una cosa...»
«Va bene, va bene, dimmela...»
«Mamma e papà domani vogliono farti del male».
La notizia non parve scuotere particolarmente il becchino, gli fecero solo comparire un mezzo sorrisetto sul volto paffuto
«Davvero?» chiese, fingendosi veramente interessato
«Si. Papà ha detto che vuole… vuole chiamare il prete...»
«Davvero?» ripeté il becchino «E che cosa mi fa il prete?»
«Papà ha detto… che ti schiaccerà»
«Ah, veramente? No, davvero, dev'essere un prete enorme»
«Non lo so, ma papà ha detto così e quindi...»
«Senti, piccolo, un prete è uno che non fa male alla gente, gli fa solo bene, sai? Il prete è quello che fa le messe, che ci ricorda la parola di Gesù. Perché dovrebbe farmi del male?»
«Perché...» Rory socchiuse gli occhi.
Non gli veniva in mente un motivo per cui un prete dovesse fare del male allo zio Paul, l'ipotesi in sé era assurda. Forse suo padre stava solo scherzando?
Paul sorrise indulgente
«Comunque grazie mille per avermelo detto, piccolo. Davvero, sono felice che tu lo abbia fatto, perché questa cosa mi servirà»
«Prego» pigolò Rory, gonfiando il petto
«Ora vai a casa a dormire, va bene? Anzi, ti accompagno. Per strada potresti incontrare cattiva gente, lo sai? Non uscire più da solo la notte»
«Va bene» Rory annuì, ripromettendosi comunque di non accettare il consiglio
«E questo cucciolone chi è?» l'attenzione del becchino si concentrò sul cane «Che cosa ci fa qui?»
«Mi ha seguito» spiegò il bambino «Non so di chi è»
«Ah, a giudicare da come è ridotto, poverino, non è di nessuno … shh, shh» zio Paul posò un dito sul naso del cane, prevenendo l'abbaiare che già si preannunciava in un uggiolio prolungato «Sh! Ora ti daremo qualcosa da mettere sotto i denti, bello, vieni, vieni».
Con passettini brevi e veloci che facevano ondeggiare l'abito bianco intorno alle sue caviglie, Paul si diresse verso la credenza
«Aspetta, aspetta» ridacchiò, quando vide il cane muoversi nervosamente intorno a lui ed emettendo brevi latrati «Ora ci occupiamo di te! Un po' impaziente il nostro nuovo amico, no?»
«Già» assentì Rory, osservando come rapito le strane orecchiette ripiegate del cane che fremevano e ogni tanto si muovevano con strani scatti, come se fosse un tic
«Ecco qua, ecco qua, bello!».
Zio Paul si piegò verso l'animale porgendogli un pezzo di pane raffermo sui palmi aperti. Il cane lo addentò immediatamente con irruenza, facendo sentire il rumore dei denti che sgranocchiavano la scorza dura, poi se lo trascinò in un cantuccio dove ci si acciambellò intorno e continuò a muovere freneticamente le mascelle, spezzando la porzione e ingoiando bocconi. La sua coda si muoveva così velocemente che sembrava sfuocata. Paul rise di gusto
«Guarda che fame da lupo!» esclamò «Chi avrà lasciato che questo poveraccio diventasse così tutto pelle e ossa? Però, bisogna ammetterlo, è bello vivace per essere così affamato!»
«Quando sono arrivato mi è venuto intorno» Rory deglutì «Stava soffrendo. L'ho visto nei suoi occhi»
«Si» il becchino annuì «Stava soffrendo. Gli uomini sono molto più crudeli degli animali»
«Ma la mamma dice sempre che ...»
«La mamma, la mamma! Ormai sei un ometto, Rory. Inizia a pensare con la tua testa»
«Devo rispettare la mamma. Lo dice Gesù»
«Si, questo devi farlo» Paul annuì ancora una volta, con foga «Sia mai che non si rispetti la mamma! Ricordati, un uomo non è un uomo vero se non ricambia i favori e la mamma ci fa sempre il favore più grande, lo sai?»
«Si»
«Però questo non toglie che ci sono anche cose che una mamma … o un papà … non sanno. Non sono per forza i più saggi, sai? Questo è quello che si crede fin quando si è piccolini come te. Poi, quando si cresce, si inizia a capire e la prima cosa che capirai sarà che mamma e papà non hanno sempre ragione»
«E allora chi ha sempre ragione?»
«Nessuno. Nessuno al mondo»
«Allora se ho una domanda ...»
«Ogni persona sa cose diverse. Ci sono persone che sanno rispondere a tutte le domande sulle pecore e persone che sanno tutto su come si cuce un bel vestito o si cucinano i migliori biscotti del mondo, ma nessuno sa tutto di tutto. Questa è una delle cose belle dell'umanità, piccolo: abbiamo bisogno di quello che sanno gli altri. Se non ci fosse chi sa cucire bene non potremmo avere questi bei vestiti e se non ci fosse chi sa come si abbatte un albero nel modo giusto e poi si taglia, non avremmo delle belle case. Ognuno sa delle cose diverse, ed è anche tanto bello scoprire quello che le persone sanno. Sai, è come un gioco»
«Oh».
Rory era divertito dall'idea, dal pensiero che adesso avrebbe visto la gente per strada e avrebbe potuto incontrare persone che sapevano tutto sugli animali del bosco, oppure sulle nuvole, sulle pecore o sui biscotti. Tutti avevano bisogno di tutti e lui, più degli altri, aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse come si faceva a far fare pace ai suoi genitori con zio Paul. Ma esisteva qualcuno così? Beh, se ognuno sapeva delle cose diverse e le persone erano veramente tantissime, come gli aveva confessato una volta suo padre, era evidente che qualcuno doveva saperlo.
Zio Paul aveva un sorriso largo e indulgente, mentre accompagnava Rory alla porta
«Adesso sarebbe meglio se tu andassi a casa, che ne dici?»
«Si, certo» Rory annuì.
Suo padre e sua madre si sarebbero preoccupati immensamente, se non l'avessero trovato a letto.
Paul accese una vecchia lanterna e, senza neppure cambiarsi, uscì nella notte insieme a Rory, come un bianco fantasma ciccione che accompagna un bambino in un paese abbandonato, in qualche spettrale favola quasi dimenticata.
Il cane, che aveva smesso di mangiare, trotterellò dietro ai due, tenendo alta la coda come non aveva mai fatto prima di allora. Paul non potè fare a meno di pensare che, con un po' di carne sulle ossa, quella bestia sarebbe stata proprio bella a vedersi al fianco di un nobile signore, come cane da passeggio. Allora si avvicinò al cane e gli sfiorò la testa con le dita della mano libera, poi accostò la lanterna al muso ispido e lo studiò
«Sai, Rory» disse «Questo potrebbe servirci»
«Il cane?» chiese il bambino
«Si. Avevamo proprio bisogno di un cane. Intanto potrà farti la guardia, questa notte, che ne dici?».
Rory sorrise, felice, ed annuì. Aveva già avuto l'idea di portare il cane a casa, ma sapere di aver l'appoggio dello zio Paul lo rendeva lieto.
Percorsero la strada parlando piano. In lontananza videro fiammelle verdastre e blu aleggiare sul terreno. Rory sapeva, perchè sua madre aveva detto così, che quelle erano le anime dei defunti che durante la notte potevano girare per i campi. Era strano, però, perchè non giravano mica: stavano ferme lì, con una vaga fosforescenza, a tremolare.
«Perché non camminano?» Domandò Rory, mentre il grosso cane randagio si allontanava da lui per avvicinarsi alle fiammelle
«Oh, ragazzo … forse dovrebbero camminare?» chiese Paul, divertito
«Si. Sono le anime dei morti che la notte passeggiano, quindi devono camminare»
«Non credo proprio. Sono solo dei piccoli fuochi fatui, niente affatto le anime dei morti ...»
«Ma la mamma ha detto che ...»
«Oh, la tua mamma, ne sono sicuro, ti ha detto tantissime cose interessanti. Ma questo non significa che siano vere per forza»
«Allora … come succede che quelle cose compaiono?»
«Si tratta di una sostanza chimica, il fosforo, che di notte si illumina. Si dice che è “fosforescente”. Ha questa capacità di brillare. E fa quelle fiammelle, che vengono detti fuochi fatui. Molta gente dice che sono le anime dei morti perché i fuochi fatui compaiono vicino ai morti, visto che quando una persona muore rilascia fosforo nell'aria. Nei cimiteri, specie quelli grandi e in prossimità delle paludi, dovresti vedere che spettacolo! Un giorno ti porterò a vedere un cimitero bellissimo, non come quello che ho dietro casa»
«Anche il tuo è bellissimo» confessò Rory, facendo ridacchiare di nuovo il becchino
«Oh, non è il mio cimitero! Quello è il cimitero del paese. Io ho solo il compito di seppellirci i morti»
«Beh, ma è un po' come se fosse tuo» insistè il bambino
«Si, un po' si» il becchino annuì, poi alzò la testa «Guarda!» esclamò, indicando il cielo.
Rory riuscì ad alzare la testa appena un millesimo di secondo prima che quello che doveva accadere accadesse: una luce bianca attraverso il cielo, tagliandolo in due parti con un lampo, e poi scomparendo.
«Una stella cadente!» Esclamò il bambino
«Proprio così. Anche se non è proprio una stella ...»
«E allora cos'è?»
«Una cosa che somiglia un po' ad una stella, perchè brilla e viene dal cielo, ma molto più piccola. Un sasso gigante»
«Un sasso?» Rory lo pronunciò come se fosse qualcosa di disgustoso
«Si, un sasso» confermò Paul, annuendo piano e continuando a camminare, con il cane che era tornato indietro e gli annusava il bordo della vestaglia «Un gigantesco sasso che, quando cerca di arrivare sulla terra prende fuoco e quindi brilla. Prende fuoco perché va velocissimo e inizia a sfregare contro l'aria. Quando una cosa viene sfregata molto velocemente, sai, si riscalda. Prova con le mani».
Rory, anche se sapeva già la storia dello sfrega-riscalda, ci riprovò per sentire quella deliziosa sensazione di tepore al palmo delle mani. Doveva dire, però, che non se la ricordava così fastidiosa. Annuì piano
«Si. Vero, si scaldano»
«Ecco. Ora immaginati un calore mille, no, duemila volte più grande»
«Quante sono duemila volte?»
«Mi dimentico sempre chi sei» Paul aggrottò la fronte «Avresti dovuto crescere con me da quand'eri più piccolo. Vabbè, non importa. Sei intelligente, ragazzo. Duemila volte sono … tantissime. Un gatto è duemila volte più grande di una formica, o una cosa del genere … e tuo padre è mille volte più grande di un topolino»
«Beh, allora una stella deve bruciare proprio parecchio» sorrise Rory
«Si, prende fuoco e brilla forte. L'hai vista come sembrava aver tagliato il cielo!».
Si che l'aveva vista: era come un tuono. Bellissima, anche se era durata un solo istante.
«Però non è possibile che fosse una stella» Disse all'improvviso Rory «Mamma mi ha detto che le stelle non sono così»
«Infatti non sono così. Quella non era una stella, era un sasso caduto. Le stelle, quelle vere, non possono cadere mai. Sono molto forti, le stelle».
Arrivarono a casa. La casetta di Rory non sembrava che una capannuccia in mezzo all'immensità delle terre circostanti. Le spighe che la circondavano erano nere e morte.
Nell'oscurità brillavano fiocamente alcune lucciole, che si nascosero dietro la casetta.
Rory le fissò affascinato, lasciandosi condurre dallo zio Paul che lo teneva come suo solito per mano, tenendo gli occhi fissati su quelle piccole stelline.
«I tuoi genitori sono svegli?» chiese lo zio Paul, sottovoce, più che altro fra sé e sé.
Rory non si prese il disturbo di rispondergli, rendendosi conto che in casa c'era un vocifero fitto fitto e spaventato.
«Mi sa di si, eh» Osservò inutilmente l'ometto, poi guardò verso Rory. «Andiamo» incitò, e bussò gentilmente quattro volte contro il pannello di legno.
Le voci smisero all'istante di parlare.
Rory si sentì teso, reso nervoso più da un presentimento che da una consapevolezza vera e propria. Non voleva che Paul e i suoi genitori si incontrassero. Nella sua testa erano come due mondi diversi che avrebbero dovuto stare separati, perché ogni volta che si scontravano succedeva una specie di piccolo cataclisma che, a lungo andare, avrebbe fratturato la crosta terrestre del gigantesco universo che racchiudeva il mondo di zio Paul e di mamma e papà.
Ci fu silenzio a lungo, o così parve al bambino, prima che qualcuno aprisse alla porta.
Era Kieran, che guardò il nuovo arrivato con risolutezza, prima di realizzare cosa esattamente si fosse presentato alla porta della loro casetta. Una figuretta tremante dietro di lui segnalava la presenza spaventata di Roisin.
L'uomo raggelò e un lampo di paura passò nei suoi occhi, quando vide la manina di Rory stretta dentro quella del becchino. Deglutì.
Paul parve accorgersene perché aggrottando leggermente la fronte lasciò andare dolcemente la mano di Rory.
Kieran guardò il figlio, mentre si sentiva soffocare dagli interrogativi, poi guardò il becchino e si sforzò di non mandarlo al diavolo. Per Rory. Rabbividì pensando a quante cose tremende succedevano per Rory.
Come quella notte di tempesta, la notte più bella e più terrificante della sua intera esistenza, la notte che aveva paradossalmente illuminato la sua vita con l'arrivo del suo piccolo guerriero. La stessa in cui era cominciato l'incubo, in cui erano arrivati quegli orrendi stregoni. Perché erano arrivati? Per Rory. E con loro era arrivata la consapevolezza di ...
Scosse la testa come per scacciare un pensiero funesto, come effettivamente stava facendo, e coraggiosamente rivolse uno sguardo grondante odio all'ometto grasso e pallido di fronte alla sua porta. Il messaggio era chiaro: “Lascia mio figlio”.
Paul parve intimidito da quello sguardo, tirandosi istintivamente indietro, poi disse dolcemente a Rory «Buonanotte, piccolo» e si allontanò nel buio, lasciando appena il tempo al bambino di rispondergli allegramente «Sogni d'oro!».
Kieran seguì la figura panciuta dell'uomo con gli occhi ridotti a due fessure, fino a che questa non sparì alla vista.
«Entra» disse poi al figlio, con un filo di voce, ma abbastanza autoritario da non ammettere rifiuti. Si fece un po' indietro per permettergli di passare.
Rory deglutì, mentre il suo presentimento si concretizzava. Sarebbe stata una lunga notte …
Non appena lo vide, Roisin gli corse in contro e lo abbracciò, mormorando qualcosa con voce tanto fievole da essere incomprensibile e Rory si godette la rassicurante stretta materna.
Quando la donna lo lasciò andare, l'uomo si schiarì la gola per attirare l'attenzione dei due
«Rory» debuttò Kieran «Ciò che hai fatto è sbagliato. Te ne rendi conto?»
Rory abbassò umilmente il capo «Si, padre»
«Non si esce di notte. Mai. Per nessun motivo. Non alla tua età, Rory, dove non puoi ancora difenderti, ma sarebbe meglio non farlo mai, neanche alla mia età. La notte è popolata di cose orrende, figlio mio, nell'oscurità ...» la voce gli si strozzò in gola, e sviò rapidamente argomento per evitare che il suo stesso discorso prendesse una piega indesiderata «Non farlo più, mi raccomando. Mai. Più». Più che una raccomandazione, dal tono della voce assomigliava più ad un ordine.
Rory non disse nulla, guardandosi i piedi con aria colpevole
«D'altronde» aggiunse Kieran stancamente «Ora siamo tutti assonnati, quindi, signorino, ne riparliamo domani». Kieran non aveva mai chiamato Rory “signorino”. Sapeva che era una parola che in qualche modo non gli piaceva, neanche quando veniva pronunciata in modo calmo, perciò la aggiunse di proposito nella sua ramanzina «E ti toccherà dormire con noi. Non possiamo permetterci che scappi ancora nel bel mezzo della notte, con tutte queste cose brutte in libertà».
Senza rialzare la testa, Rory sorrise. Magari era una brutta situazione e, si, lo facevano per tenerlo d'occhio, ma che cosa ci voleva più di due adulti all'erta che lo tenevano d'occhio ogni momento per farlo sentire al sicuro?
Come promesso, quella notte dormì con i suoi genitori, nel mezzo del lettone. Curiosamente, non appena si coricò fu aggredito dal sonno che, più che addormentarlo, lo fece praticamente svenire.
Era caldo, con il respiro regolare di mamma e papà che lo rassicurava, la loro presenza … non poteva fare a meno di scivolare dolcemente fra le braccia di Morfeo.
Fu una bella notte. Sognò confusamente e si svegliò una volta sola, quando ancora la notte era giovane, ma bastò accertarsi che i suoi genitori fossero ancora lì e il sonno non tardò a portarlo di nuovo con sé, come il mare fa con certi oggetti abbandonati sulla spiaggia.
Non sognò più, fu un sonno nero, tranquillo e senza sogni, dolce, e durò per tutta la notte.
Fuori dalla casa, la notte era gelida. Ma per un animale come lui non era un problema: il suo manto lo proteggeva da ogni freddo. Era fatto apposta quelle temperature, nessun tipo di gelo irlandese poteva spaventarlo. L'animale puntò i suoi occhi bramosi sulla porta e si avvicinò pian piano, con la cautela della bestia selvatica.
Il cane randagio grattò inutilmente alla porta di quella casa addormentata, poi si accoccolò di fornte all'uscio, ad aspettare fedelmente che arrivasse l'alba, per incontrare di nuovo quel piccolino tanto gentile.
Chiuse gli occhi e cadde pian piano addormentato, mentre la luna lo sorprendeva a scodinzolare allegramente.
Chissà, forse stava sognando di Rory.
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