mercoledì 6 dicembre 2023

La Principessa Starnutina

C'era una volta una giovane principessa che aveva un nome bello ed elegante, ma era da tutti conosciuta come la Principessa Starnutina a causa di un suo certo problema: era sempre afflitta da una pioggia di starnuti, tanti che la gente poteva trovarla anche solo sentendo il suono dei suoi etcí etcí.
«Starnutina, sei nella tua stanza?» Chiedeva il Re.
E da dentro Etcí.
«Ah, allora sei lì».

Etcí nei corridoi, Etcí nella sala da pranzo, Etcí pure in bagno e durante le passeggiate nella meraviglia del suo giardino.
Il Re, che la amava moltissimo, si dispiaceva nel vederla ridotta sempre in questo stato, con la povera Principessa che dal grande starnutire aveva sempre mal di testa, gli occhi che piangevano e non riusciva a finire una frase che subito uno starnutone la interrompeva.
«Papà» Disse un giorno Starnutina «Vorrei provare ad allontanarmi dal castello, che» e qui la poverina fu interrotta da un sonoro etcí! «Sniff, sniff, che ogni volta che sono nei giardini mi pare, etcí!, di soffrire un po' meno del mio male. Forse, se cambiassi aria un pochetto... etcí!».
La Principessa fece segno al Re di continuare lui, che lei si era stancata di fare un lungo discorso e interrompersi sempre; per fortuna il Re aveva capito e dispose di mandare la figliola in campagna per tre giorni, nella speranza che l'intuizione di lei fosse felice. La Regina si oppose, obiettando che non era il caso di fare allontanare una ragazza così cagionevole, ma il viaggio infine si organizzò, e il Re mandò con la ragazza una servitrice fidata, che era come una zia per la principessa e le avrebbe fatto compagnia.

Ci voleva mezza giornata di viaggio per arrivare in campagna, e la servitrice notò che la Principessa non era poi così Starnutina durante il cammino: piuttosto che un'allergia pesante, di quelle che fanno piangere gli occhi e starnutire a profusione, sembrava avere solo un raffreddorino, ed anche la principessa se ne rallegrò.
I giorni in campagna furono meravigliosi per la nostra Principessa: si alzava col canto del gallo e faceva colazione con la servitrice (che lei chiamava sempre "Zia"), poi esplorava i campi e il boschetto vicino e bastava la vista di un grillo, dell'erba illuminata dal sole, di un paio di cornacchie in volo, per renderla felice come una bimba. Per pranzo mangiava fuori sull'erba e preparava dei piatti semplici (ma squisiti, perché la nostra Starnutina sempre principessa era), e stava fuori finché non arrivava la sera e tornava a fare compagnia alla cara Zia.
Era sempre rispettosa del bosco, e mai si era divertita tanto! Pareva che fosse cresciuta sotto un pino invece che dentro una culla sfarzosa.
Il secondo giorno vide un grosso serpente nero che prendeva il sole su un sasso, tutto srotolato e rilassato come chi non ha un pensiero al mondo, che pareva un gioiello per come brillava alla luce del giorno.

Alla Principessa parve così bello e placido che avrebbe avuto dispiacere a disturbarlo, perciò augurò:
«Tante belle cose, compare milordo», e in punta di piedi lo aggirò e continuò la sua passeggiata.
«E belle altrettante te ne vengano, principessa» Le parve di udire, ma era una voce così sottile e gentile, e poi lei era tutta sola, che si persuase di averla solo immaginata. Piuttosto, l'essere riuscita a non disturbare il serpente le fece realizzare che era stata silenziosa: da quando era arrivata, i suoi brutti starnuti erano spariti del tutto!
Tutta eccitata della scoperta (se n'era accorta anche prima, ma il primo giorno non aveva sperato osare che gli starnuti che l'avevano perseguitata sin dalla sua prima adolescenza fossero davvero spariti per sempre), tornò a casa per festeggiare con la sua accompagnatrice.
«Zia!» Esclamò «Mi sento quasi che quel caro serpente debba festeggiare con noi. Cosa posso lasciargli?»
«Ho sentito dire» Disse la servitrice «Che i serpenti vanno matti per il latte»
«Non mangiano animaletti? Davvero gli piace il latte?» Ripeté la principessa dubbiosa
«Così ho sempre sentito dire. Dicono che ne siano così ghiotti che entrino anche nelle stalle per bere il latte direttamente dalle bestie che lo producono».

La principessa non era convintissima, ma si fidò della cara zia e si procurò una scodellina del miglior latte di capra che trovò, lo scaldò un poco (che ai serpenti piacciono le prede calde) e andò a portarlo alla roccia a cui aveva visto il serpente. Quello non c'era per il momento, ma la principessa lo lasciò comunque lì.
«Buon pro vi faccia» Disse, e se ne tornò a casa sua.
I serpenti di latte non ne bevono in realtà, ma, nonostante l'errore della servitrice, la generosità della principessa non andò comunque sprecata perché il serpente nero non era un animale comune, ma un membro di quel popolo magico che noi umani a volte chiamiamo fate. S'era fatto rettile perché, a parer suo, non c'era nessuna forma in cui fosse più bello farsi riscaldare la pelle dal sole che da serpente; se aveva apprezzato che la principessa non lo avesse disturbato durante il suo bagno di sole, in quanto fata e non serpente gradì ancora di più quell'offerta di latte, che condivise con le altre fate sue sorelle che vivevano nel bosco con lui.
Mentre sorseggiavano ognuna un po' di latte dentro certi graziosi bicchierini decorati, chiacchieravano tra loro, e le fate decisero infine di fare a loro volta qualcosa per la principessa gentile.
Nel frattempo erano finiti i tre giorni di viaggio e la Principessa non-tanto-Starnutina se n'era tornata al castello insieme alla servitrice.
Lei riabbracciò prima il padre e poi la madre, tutta felice di essere guarita, ma non appena ebbe finito di abbracciare la Regina ebbe solo il tempo di dire:
«Papà Maestà, finalmente ho smesso di...!» e subito uno starnuto troncò la sua frase a metà.
La principessa era sbalordita e frustrata, ma ancora più era disperata la corte: un giorno la principessa avrebbe ereditato il regno, ma come si può avere una regina che è allergica al castello?

«Maestà» Disse uno dei consiglieri del re, aggiustandosi gli occhiali «Il Nano Muto forse potrà dirci la ragione del male della principessa».
Infatti proprio in quei giorni stava arrivando in città un artista molto particolare, un nano che era in grado di raccontare storie bellissime senza dire mai una parola grazie all'ausilio di un teatrino che aveva costruito tutto lui, solo con la carta, e di un misero lume. Si diceva anche che fosse un grande saggio, e che le storie narrate dai suoi pupazzi di carta fossero in grado di rivelare grandi verità a chi assistesse a questi spettacoli.
Il nano fu mandato a chiamare per esibirsi a corte, sotto la promessa di una lauta ricompensa, e in soli due giorni (in cui la povera Principessa Starnutina era stata tormentata peggio di prima dal suo solito problema) era pronto ad imbastire il suo spettacolo per i reali.
Anche stavolta il nano non disse una parola, ma aprì il suo teatrino di carta pieghevole, che da chiuso pareva proprio un libro, ed iniziò a muovere i cavalieri e le amazzoni di carta, gli animaletti e i draghi bianchi, ognuno così bello che sarebbero stati un piacere da guardare anche senza storia alcuna, e il lume proiettava le loro figure grandi sulla parete per permettere di vedere la storia anche alle persone distanti.

Il Re e la Principessa guardavano con uguale entusiasmo la storia, sorridendo felici, bisbigliando ogni tanto e inspirando rumorosamente ai colpi di scena, ma la Regina ad ogni secondo si rabbuiava di più.
Alla fine si alzò dal trono e sbottò:
«Tutte falsità, non è vero! Come osi accusarmi di fronte alla mia Corte? Continua così e vedrai se non ti farò impiccare!».
Il nano non rispose nulla, fermando le sue umili marionette di carta.
Lui raccontava solo attraverso le proiezioni, e in assenza di parola, era facile che ognuno vedesse dunque una storia diversa: così come i pupazzi proiettavano le ombre sul muro, gli spettatori proiettavano una storia sui pupazzi e ci vedevano dei dettagli diversi.

Il Re e la Principessa Starnutina, che erano buoni e gentili, vedevano una storia che li interessava e sapeva anche farli ridere, mentre la Regina si era tradita nel vedere le proprie malefatte in quella carta e le sue ombre e si era così sentita accusata dal nano.
«Come ti permetti! Io non farei mai niente del genere alla principessa! E poi com'è che lo sapresti tu, dove sono le tue prove?».
Conoscendo la madre ed insospettita da queste parole, la Principessa Starnutina chiese subito alla servitù di controllare le stanze della regina, e la sua fedele Zia le portò una strana boccetta rinvenuta tra i profumi: una polverina inodore fine fine fine, giallo pallido, apparentemente innocua, ma bastava aprire la boccetta in cui stava e... Subito anche la povera servitrice iniziò a starnutire!
A quel punto era chiaro che qualcosa di losco era avvenuto, e dopo molte pressioni, la Regina confessò: erano anni che somministrava quella polvere, che veniva creata macinando i semi essiccati del Fior Pizzicore, alla principessa, mettendola sul suo pettine, sulle sue posate, sul suo cuscino, sui suoi abiti, persino spargendola sulle proprie mani per farla stare male quando la abbracciava, come aveva fatto al suo ritorno qualche giorno prima.
La Regina e il Re ne erano immuni, perché la Regina, che nella vita non aveva niente da fare, aveva cosparso dell'olio essenziale del Fior Pizzicore il pettine che Sua Maestà usava per i baffi e lo aveva impastato nel proprio rossetto, così che quell'aroma, l'unico capace di farlo, neutralizzasse gli effetti della polvere ricavata dai semi.
La Regina sperava che così solo la figlia sembrasse fragile e che, vedendo la Principessa cagionevole, il Re non avrebbe abdicato in suo favore e lei avrebbe potuto tenere il suo potere di regina un po' più a lungo, e ancora insisteva che la principessa fosse comunque troppo debole per quel ruolo.

Ecco da dove veniva il male della Principessa!
Il mistero era finalmente svelato.
Nonostante il Re fosse triste di questo, perché le aveva voluto molto bene, la Regina fu punita aspramente: tutti i suoi gioielli e i suoi beni preziosi furono dati in ricompensa al Nano Muto, compresa la corona reale, e da quel momento ella non fu più Regina.
Una volta che la Principessa era guarita e poteva benissimo dedicarsi ai doveri a cui si preparava da tutta la vita, il Re abdicò quel giorno stesso in favore della figlia, e poté godersi il resto dei suoi giorni in pace, senza regine cattive che mettevano cose strane sul suo pettinino per baffi e senza più la responsabilità della corona.
Quanto alla Principessa Starnutina, lei prese volentieri il posto del padre e negli anni a venire starnutí solo qualche volta, e regnò con grande intelligenza e bontà; in più, ora che non era più né Principessa né Starnutina la gente prese a chiamarla col suo vero nome: Regina Aureliana.
Ma c'è da rivelarvi un'altra cosa: il giorno in cui Aureliana aveva scoperto la verità, prima che il Nano se ne andasse carico e contento dei gioielli della madre, questi era andato a parlare alla principessa, e a gesti le aveva fatto capire che gli era stato proprio chiesto di venire qui da qualcuno.
«Di chi si tratta, caro mio? Chiunque sia stato è ora un grande amico per me, poiché ha fatto la mia fortuna».
Il Nano a questo punto sorrise sotto la barbona e con un gesto sinuoso del braccio imitò un serpente.
Poi rise senza voce, prese il suo teatrino e se ne andò, e dicono che ancora oggi non si sia fermato e si possa avere la fortuna di incontrarlo... Ogni volta che immaginiamo una grande storia guardando della semplice carta.

Larga la foglia,
Stretta la via,
Dite la vostra che ho detto la mia!

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