«Resta un po' sdraiata,
piccola» Disse l'infermiera «Poi devi bere per idratarti. Ti ricordi
che cosa hai mangiato di particolare in mensa, cosa può averti fatto
male?»
«Una ciambella» dissi «Una ciambella vecchia. Mezza ciambella» quasi balbettai
«Mezza ciambella»
ripeté l'infermiera, con aria professionale «Per fortuna non è un ottimo
terreno di coltura per chissà quali agenti patogeni. Dovrebbe passarti
presto. Devi andare in bagno tesoro, e bere tantissimo. Rimarrai un po'
qui in osservazione in infermeria, poi potrai andartene»
«Grazie» risposi, grata.
Per fortuna non era
niente di grave. La nausea stava già diminuendo, ora che ero sdraiata e
mi sentivo più al sicuro, con un bicchierone di acqua fresca infilato a
forza nella mano sinistra, di quelli con la cannuccia rosa.
Edward si affacciò alla
porta ed emise un colpetto di tosse, come se volesse farsi notare.
L'infermiera lo vide subito e gli sorrise
«Cullen!» esclamò «Che succede? Stai male?»
«No» rispose lui, entrando nella stanza anche con il corpo «Sono venuto a vedere come sta Bella».
Io e Mike ci guardammo,
chiedendoci probabilmente la stessa identica cosa: c'era un modo
davvero efficace, che ne so, qualche prodotto a base di diazinone, per
liberarsi per sempre di quella zecca con i capelli?
«Non ho bisogno di lui» Dissi, cercando di essere gentile perché l'infermiera era una persona tanto dolce «Ho già Mike»
«Anche lui deve tornare
in classe» mi interruppe la donna, indicando il mio amico «Anche se
prima potete salutarvi. Quanto a te, Edward, tu puoi pure tornare in
classe subito».
Edward fece un passo in
avanti e si fermò con le gambe leggermente divaricate, gli occhi gialli
fissi come quelli di un serpente
«Devo restare con lei».
Pronunciò quelle parole con tanta autorevolezza da mettere a tacere l'infermiera, che pure sembrava contrariata.
«Vado a prendere una bustina di sali e vitamine da aggiungerti all'acqua» Mi disse lei, uscendo in fretta dalla stanza.
«Avevi ragione» Farfugliai, con gli occhi ancora socchiusi
«Certo, come al solito...» disse Edward, tutto tronfio «Ma a cosa ti riferisci adesso, di preciso?»
«Non frequentarti è davvero il meglio per me»
«Per qualche minuto mi
hai messo davvero paura» ammise lui, dopo un breve silenzio. Dal tono di
voce sembrava che stesse confessando una debolezza umiliante «Pensavo
che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per seppellirlo nel
bosco»
«Divertente» dissi, ironica. Tanto lui non capiva l'ironia.
Mike, che era già
pronto ad uscire dalla stanza, ci ripensò e si voltò verso Edward; era
rosso in faccia e sembrava starsi trattenendo dal rifilargli un pugno di
quelli che io amo chiamare "saltadenti".
«Senti» Disse, puntando
il dito contro quella faccia color marmo «Non solo non è divertente, è
anche offensivo ed è totalmente insensato! Perché mai dovrei rubare un
cadavere per seppellirlo nel bosco? Io non abito nel bosco! Non faccio
sacrifici alle divinità nei boschi! E soprattutto io non trafugherei il
cadavere di qualcuno, perché non sono uno psicopatico come te!».
Edward, che fino ad ora
era stato tutto frizzi e lazzi e finti segreti inconfessabili, cambiò
di nuovo repentinamente umore, perché lui era così, insensato, e ringhiò
a Mike
«Ho il diritto di sentirmi preoccupato per Bella»
«No, non ce l'hai!» sbottammo contemporaneamente io e Mike, sincronizzati.
Edward non mi lanciò
neanche una delle sue occhiate di odio, riservandole tutte al mio amico,
che uscì dalla stanza per tornare a lezione facendomi un piccolo cenno
di saluto con la mano.
«Seriamente» Disse
Edward, di nuovo tranquillo «Ho visto cadaveri con un colorito migliore.
Ero preoccupato di dover vendicare il tuo omicidio»
«Povero Mike» ribattei «Gli fai saltare i nervi, lo sai?»
«Mi detesta con tutte le sue forze» quasi canticchiò Edward, allegro
«Ah si, da cosa l'hai
capito?» chiesi, ironica, ma ricordiamo che Cullen non sapeva leggere
l'ironia nel tono delle persone e quindi rispose
«La sua espressione era inconfondibile».
Mi alzai dal lettino e
corsi verso il bagno. Sentii Edward che mi gridava dietro per sapere
dove stavo andando e mi dovetti trattenere dall'urlargli "a produrre un
tuo simile per farti compagnia".
Quando tornai in infermeria e ripresi il mio bicchiere per bere una lunga sorsata, lui era ancora lì. Mi venne una curiosità...
«Come hai fatto a vedermi? Voglio dire, pensavo che avessi marinato la scuola».
A quel punto stavo già
meglio, mi sentivo la pancia meno pesante e non stavo sudando in modo
sospetto, anche se ormai puzzavo del tipico odore delle persone
ricoperte di sudore freddo.
«Ero in macchina,
ascoltavo un CD» Rispose Edward. Una risposta che solo lui avrebbe
potuto darmi: aveva marinato la scuola per chiudersi in macchina e
guardare tutti da lontano mentre ascoltava un CD, probabilmente di
musichette trionfali che lo facessero sentire un dio incontrollabile e
in controllo di tutti.
Udii la porta aprirsi e
vidi l'infermiera che stringeva un pacchetto di carta dalla quale
estrasse una bustina piena di qualche liquido effervescente.
«Ecco qui, cara» Mi disse, prendendomi il bicchiere e riempiendolo con acqua e sali «Tutto per te».
Bevvi avidamente: aveva
un sapore strano, un misto di dolce e salato con un retrogusto
amarognolo che era tipico del magnesio, ma mi piaceva.
«Mi sembra che vada già meglio» Aggiunse l'infermiera, sollevata nel vedere il mio colorito che stava ritornando normale
«Penso di si» risposi.
L'infermiera era
chiaramente intenzionata a farmi sdraiare di nuovo, ma a quel punto la
porta si aprì e sbucò la testa della signorina Cope.
«Ce n'è un altro» Annunciò, laconica.
A quel punto, dalla
porta entrò Mike, barcollante, trascinandosi dietro un mio compagno di
classe, Lee Stephens, giallo di nausea. Io ed Edward ci accostammo alla
parete per fargli spazio.
«Oh no» Borbottò Edward «Esci, torna in segreteria, Bella».
Restai a guardarlo, sorpresa.
«Fidati: vai».
Non mi fidavo di lui,
ovviamente, quindi non vedevo perché avrei dovuto abbandonare Mike nei
guai o evitare l'occasione di prenderlo in giro perché stava facendo la
crocerossina a tutti, oggi.
«Ehi, Mike» Gli feci l'occhiolino «Oggi ti prendi cura di tutti?».
Mike incespicò sotto il peso di Lee mentre lo aiutava a sdraiarsi
«Si» disse, fra i denti «Ma è una faticaccia».
L'infermiera cacciò sia
me che Edward dall'infermeria, visto che a quel punto occupavamo solo
spazio che le avrebbe potuto essere utile. Schizzai fuori
dall'ambulatorio, sperando di seminare Cullen, ma lo sentii subito
dietro di me: inutile correre, cosone aveva le gambe lunghe.
«Hai obbedito all'istante». Era meravigliato.
«Che avrei dovuto
fare?» Dissi tra i denti «Opporre resistenza quando un'infermiera mi
diceva di uscire dalla stanza perché è arrivato qualcuno che sembra
pronto a morire? Sentivo odore di sangue» dissi, storcendo il naso
«L'odore del sangue non si sente» mi contraddisse lui
«Solo perché hai un
pessimo olfatto, non significa che siamo tutti come te» ribattei «Specie
quando è tanto, si sente eccome. Sa di ruggine, con una puntina di...
di... non sono bene come spiegarlo, il sangue è inconfondibile».
Mi fissava con
un'espressione indecifrabile. Quasi mi dimenticavo che lui era
terrorizzato dal sangue e da tutto quello che era ad esso correlato,
come i vampiri.
«Scusa» Dissi «Mi dimenticavo che sei fobico».
La sua espressione si
fece ancora più indecifrabile, perché era composta da troppe
micro-espressioni che si alternavano, dando l'impressione che la sua
faccia sfarfallasse tra la rabbia, l'incredulità e il "io so che tu lo
sai che io lo so".
A quel punto uscì anche
Mike, che squadrò prima me e poi Edward. Cosone aveva ragione: Mike lo
detestava, glielo si poteva tranquillamente leggere negli occhi. Poi si
rivolse di nuovo a me, con uno sguardo stanco
«Sembra che tu stia meglio» mi accusò
«Eh si» mi strinsi
nelle spalle «Mi dispiace che tu abbia dovuto accompagnare anche Lee. Ti
sarai perso tutta la lezione, appresso a noi»
«Si, beh... nessuno si
aspettava che a Lee facesse così tanta impressione vedere il proprio
sangue, si è sentito peggio per il sangue che per la ferita in sé. Sai,
ha avuto un giramento di testa dopo che si è punto il dito ed è caduto
proprio sopra...»
«Non parlare di sangue di fronte ad Edward» dissi, a voce fin troppo alta «È fobico»
«Me ne dimenticavo»
Mike sogghignò, poi guardò Edward «Mi dispiace così tanto, Cullen. Ecco
perché oggi hai marinato la scuola! Avremmo dovuto saperlo».
Ci fu un istante di assoluto, plumbeo silenzio.
«Allora...» Disse Mike, allegro «Vieni, questo fine settimana?»
«Dove?»
«Dove?»
«Alla spiaggia, è ovvio».
Mentre Mike parlava,
lanciò un'altra occhiataccia ad Edward, che finalmente stava zitto,
dritto accanto al bancone ingombro di carte, immobile come una statua e
con lo sguardo perso nel vuoto.
«Certo» Risposi, contenta «Ho già detto che ci sarò»
«Appuntamento al
negozio di mio padre alle dieci». Lanciò un'occhiata verso Edward,
badando a non lasciarsi sfuggire troppe informazioni per evitare di
ritrovarselo dietro. I suoi gesti sottintendevano che l'invito era
assolutamente riservato.
«Ci sarò»
«D'accordo. Ci vediamo in palestra» disse, dirigendosi poi con passo incerto verso la porta.
«Ci vediamo» risposi.
Mi rivolse un ultimo
sguardo, con un'espressione imbronciata sul viso rotondo, le spalle
cadenti. Fui presa da un'ondata di compassione. Lui sapeva quello che io
sapevo... non ci saremmo visti in palestra, avevo intenzione di
sfruttare il mio malore per saltare il resto delle lezioni e andarmene a
casa anticipatamente.
«Non ginnastica» Dissi, convinta.
«Me ne occupo io».
Non mi ero accorta che Edward si era avvicinato, ma ora lo sentivo sussurrare al mio orecchio «Siediti e impallidisci».
Non era difficile: io
ero sempre pallida e lo svenimento di prima mi aveva lasciato un velo di
sudore ancora umidiccio sul viso che mi faceva risplendere come una
statua di madonnina smaltata. Mi accomodai su una delle sedie pieghevoli
cigolanti e abbandonai il capo contro la parete, chiudendo gli occhi e
sperando che Edward facesse almeno una cosa buona in tutta la sua vita e
mi aiutasse a farla franca.
Udii Cullen parlare piano, al bancone
«Signorina Cope?»
«Si?».
Non l'avevo sentita tornare alla scrivania.
«La prossima lezione di
Bella è in palestra, e non credo che si senta abbastanza bene. A dire
la verità, credo che sia più opportuno se l'accompagnassi a casa.
Potrebbe preparare una giustificazione per lei?»
«Anche tu hai bisogno
di una giustificazione, Edward?» cinguettò la signorina Cope. Perché io
non ero capace di fare cose del genere? Perché?
«No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà un problema»
«Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?».
Feci un debole cenno, fingendo quel tanto che bastava.
«Riusci a camminare o
vuoi che ti porti in braccio?» Edward dava le spalle alla segretaria e
la sua espressione si fece sarcastica.
«Cammino».
Mi alzai con prudenza,
anche se in effetti stavo bene. Lui mi aprì la porta, con un sorriso
gentile, contaminato però da uno sguardo ironico. Andai incontro alla
nebbiolina fredda e sottile che aveva ammantato il mondo. Era una bella
sensazione perché sembrava lavarmi il sudore appiccicoso dalla faccia e
mi faceva sentire più umana e meno statua di madonnina.
«Dovrei ringraziarti»
Dissi ad Edward, che mi seguiva «Ma dopo tutto quello che hai
combinato... credo che mi limiterò a non insultarti per i tuoi errori
passati...»
«Non c'è di che»
Guardava dritto di fronte a sé, strizzando gli occhi a causa della
pioggia «Allora, sei in partenza? Questo sabato, intendo».
Speravo che a lui non
passasse per la testa l'idea di unirsi alla gita, per quanto poco
probabile fosse: non sembrava avere intenzione di lasciarmi in pace.
«Dove andate, di preciso?» Continuò lui
«Giù a La Push, a First Beach».
Studiai la sua
espressione, nel tentativo di leggerla. Aggrottò le sopracciglia, quasi
impercettibilmente, mi lanciò un'occhiata di sottecchi e sorrise a denti
stretti. Mio Dio, avrebbe potuto essere un ragazzo attraente se non
avesse fatto tutte quelle smorfie inutili.
«Non mi sembra di essere stato inviato»
«Infatti, nessuno ti ha invitato» feci un sospiro «E io non lo farò di sicuro»
«Hai ragione. Per
questa settimana è meglio che io e te non esageriamo, con il povero
Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi». I suoi occhi danzavano:
l'idea lo divertiva più di quanto fosse lecito.
Eravamo arrivati dietro
il parcheggio. Svoltai a sinistra, in direzione del pick-up. Qualcosa
mi tirò per il giubbotto e mi trattenne.
«Dove pensi di andare?»
Chiese lui, indignato. Stringeva un lembo della mia giacca a vento e
provavo di nuovo un del tutto comprensibile odio verso di lui e
soprattutto verso la sua incapacità di tenersi le mani in tasca.
«Vado a casa» Risposi «Non ti sembra ovvio?»
«Non hai sentito? Ho
promesso di portarti a casa sana e salva. Pensi che ti lasci guidare in
quelle condizioni?». Era ancora indignato e ciò non aveva il minimo
senso.
«Quali condizioni? E il mio pick-up?» ribattei io
«Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola».
Stava cercando di
trascinarmi verso la sua auto, senza mollare il mio giubbotto. L'unica
alternativa per liberarmi sarebbe stata cadere all'indietro, ma avevo
l'impressione che non mi avrebbe mollata neanche stesa per terra. Stava
cercando di costringermi, era un rapimento! Cosa avrei dovuto fare?
Colpirlo? Scatenare una rissa nel parcheggio? Non sembrava una buona
idea, anche perché Cullen era molto più alto di me e io non ero una gran
guerriera.
«Mollami!» Ringhiai.
Non mi dava ascolto. Cercai di divincolarmi, ma lui mi fece andare
avanti barcollando lungo il marciapiede e mi lasciò libera soltanto
davanti alla Volvo. Feci per scappare, ovviamente, ma lui mi riacciuffò.
«È aperta» Disse, laconico.
Mi fermai, lo guardai
negli occhi. Quello che aveva fatto era imperdonabile. Quello che aveva
fatto era spregevole. Nessuno, e dico nessuno, poteva trascinarmi in
quel modo contro la mia volontà, poteva farmi incespicare lungo il
marciapiede, poteva trattarmi come se fosse superiore a me e dirmi di
entrare nella sua macchina. La sua stupida Volvo in cui non sarei entrata mai e poi mai nella vita.
«Se vuoi arrivare da qualche parte nella vita, devi ricordare a te stesso che sei orribile» mormorai
«Eh?» Domandò Edward, poi allungò una mano per aprire la portiera e l'altra per spingermi dentro.
Proprio quello che speravo facesse.
Sfornai la mia seconda e ben più tosta arma segreta scaccia-capelli-pazzi: urlai.
«AIUTO! AIUTO, CULLEN VUOLE RAPIRMI!»
«Cosa?!» fece lui, furibondo, rattrappendo entrambe le mani come se gliele avessi bacchettate violentemente
«AIUTO!».
Della gente si affacciò dalle finestre. La signorina Cope si fiondò fuori e io corsi verso di lei
«Aiuto! La prego, aiuto!»
«Cosa succede?» lei mi guardò stralunata, mentre Cullen se ne stava imbambolato dietro di me.
Finsi di essere
sconvolta e in effetti un po' lo ero: non avrei mai pensato che Edward
fosse davvero capace di cercare di rapire una ragazza. Magari di
disturbarla, magari di insultarla, ma rapirla? Quasi non mi sembrava
vero.
«La prego, signorina Cope!»
«Che cosa succede?» La donna mi posò una mano su una spalla «Che succede, Belarda?»
«Edward mi stava trascinando verso la sua macchina. L'ho pregato di lasciarmi... io l'ho pregato»
«Non è vero!» mentì Edward, senza neppure il coraggio di avvicinarsi
«Voleva farmi entrare per forza nella sua macchina. Voglio solo andare a casa!».
Un bidello e due
professori arrivarono quando sentirono gli schiamazzi di due alunni
affacciati ad una finestra, oltre alle mie grida, e dovetti ripetere
loro la mia storia. Il professor Varner fulminò Cullen con lo sguardo
«Si dovrebbe solo vergognare, signor Cullen...»
«Ma...» fece per dire lui
«Niente MA!» tuonò
l'insegnante «Si allontani subito! Suo padre riceverà una lettera dalla
scuola e questa nota disciplinare graverà sui suoi voti»
«Ma non avete le prove»
disse Edward, allargando le mani, fingendosi innocente «Lei mi sta
incastrando, professore, non le ho fatto niente».
Uno dei ragazzi affacciati alla finestra rise forte
«Cullen» Urlò, con tono
di scherno «Stavamo tutti e due guardandoti da qui. Sei un deficiente a
trascinare le ragazze nel parcheggio, dove tutti possono vederti».
Edward batté le
palpebre due volte, poi, senza aggiungere nulla, salì sulla sua Volvo
argentata (ancora una volta il desiderio di abbozzargliela a calci era
forte) e mise in moto. Il professor Varner mi si avvicinò
«Belarda, come ti senti?»
«Sto bene» risposi
«Sei molto pallida, sei sicura di stare bene?»
«È perché sono stata male per il cibo» lo rassicurai «Sono appena uscita dall'infermeria»
«Vuoi che chiamiamo tuo padre?»
«Si. Si, per favore. Gli fate sapere voi di Cullen?»
«Certamente» rispose la
signorina Cope, accarezzandomi i capelli con le punte delle dita «Non
ti devi preoccupare di niente. Parleremo con tuo padre e con il padre di
Edward. Sembrava un così bravo ragazzo, non ha mai dato problemi a
nessuno...»
«Sembrava» borbottai.
Mi chiedevo come fossi
possibile che nessuno, in quella scuola, si fosse accorto prima d'ora di
che razza di pazzo criminale fosse Edward Cullen. Ma avrei messo io
fine alla sua carriera da bulletto di campagna... i suoi giorni di re
del mondo erano contati.
Ma se dopo quella
forzatura, quella sorta di tentato rapimento, credevo che Edward fosse
un criminalucolo, i miei sospetti si sarebbero trasformati in qualcosa
di molto più inquietante quando, sei giorni dopo, mi sarebbe arrivata la
webcam notturna da installare in camera mia...
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