Giunsi nell'aula di
inglese ancora irritata, anche se non potevo non ammettere a me stessa
il bruscolo di orgoglio per essere riuscita a fare andare via
capelli-pazzi. Quando entrai non mi accorsi nemmeno che la lezione era
già iniziata.
«Grazie per essersi unita a noi, signorina Swan» Disse il professor Mason, sarcastico.
Arrossii e mi affrettai a prendere posto per sfuggire allo sguardo dell'insegnante.
Quando mi trovai da
sola al banco, mi preoccupai del fatto che Mike non si fosse seduto
vicino a me come faceva di solito, ma lo vidi distante, a chiacchierare
di nascosto con la ragazza con cui si era seduto a biologia durante
l'esperimento con le radici di cipolla. Volevo avvicinarmi e parlargli,
ma la lezione era già iniziata e non volevo rischiare un altro
rimprovero da parte del professore.
Alla fine riuscii, tra
un brano di spiegazione e l'altro, a farmi restituire un cenno di saluto
furtivo da un banco all'altro. Non sembrava arrabbiato con me, ma mi
aveva evitato. Ci era davvero rimasto così male che non fossi andata al
ballo con lui?
Beh, era ingiusto.
Provai un certo senso di colpa misto ad irritazione, riesumata dalla
chiacchierata con Cullen, ma la sua amicizia era più importante.
Così lo raggiunsi non
appena la lezione fu finita, per vedere se c'era qualcosa da chiarire
con lui. Certo, a noi si unì subito anche Eric che mi aspettava come al
solito all'uscita – meritava una chiacchierata anche lui, ma adesso non
avevo le energie – ma dal fatto che restituì subito il mio sorriso, capì
che entrambi avevano risolto qualunque dispiacere il mio rifiuto gli
avesse dato.
«Ehi, fiocco di neve» Lo salutai «Tutto a posto?»
«Niente fiocchi di
neve» lui scosse la testa eccitato, aggiustandosi lo spallaccio dello
zaino con una mano sola «Hai visto le previsioni del tempo?».
Mike mi si affiancò
mentre camminavamo, esaltato per le previsioni del tempo di quel fine
settimana. Sembrava che la pioggia dovesse concedersi una breve pausa,
perciò, forse, sarebbe finalmente riuscito ad organizzare la gita in
spiaggia.
«Finalmente!» Esclamai,
senza dover neppure sforzarmi di ostentare il mio entusiasmo,
sentendomi di nuovo un po' bambina. Pioggia o no, la temperatura più
alta che potevamo aspettarci era intorno ai dieci gradi, e questo
significava niente caldo soffocante e niente neve che si scioglieva
nelle calze. E probabilmente significava anche che Mike era stato
impegnato ad organizzare la gita con la ragazza di biologia durante
l'ora di inglese, e non ad ignorarmi di proposito per fortuna, il che mi
rassicurò sul fatto che non ce l'avesse con me. E confermava anche la
mia teoria sul fatto che il signor Mason non era un insegnante molto
coinvolgente.
Ammetto che trascurammo
Eric, abbastanza da fargli decidere di smettere di girarci attorno come
un avvoltoio sulla statale. Nessun rimpianto.
Il resto della
mattinata passò in un baleno. Mike sembrava inseguire i suoi amici come
un cagnolino a caccia di una prelibatezza ogni volta che riuscivo a
vederlo tra una lezione e l'altra, e mi faceva sorridere vedere con
quanto entusiasmo stava avvisando i partecipanti della gita delle grandi
idee che voleva usare per l'uscita. Allo stesso tempo, Jessica non
riusciva più a smettere di parlare del ballo, specie ora che Mike aveva
accettato.
Probabilmente tutti noi
che mangiavamo allo stesso tavolo a mensa saremmo stati invitati, e
questo valeva la presenza almeno mia, di Jessica, Mike, Angela ed Eric, e
di tutti gli altri i cui nomi sentivo troppo poco spesso e finivano col
diventare nomignoli buffi nella mia testa. La vittima più frequente dei
miei attacchi di amnesia era Lauren, una tipa a cui non andavo a genio e
che identificavo come "Salame Monello" per la sua andatura dritta e
impettita e i vestiti fascianti da insaccato.
Jessica mi stava giusto
parlando dei suoi progetti per il ballo – Lauren e Angela avevano
invitato i ragazzi, sarebbero andate tutte assieme – senza accorgersi
che cambiai atteggiamento nel momento in cui passammo dalla porta della
mensa.
Edward Cullen stava
riuscendo a rovinarmi l'ora del pranzo: era uno dei momenti di strazio
in cui ero obbligata a stare nella sua stessa stanza. Bastò uno sguardo
deciso verso il suo tavolo per farmi sospirare di sollievo. Gli altri
quattro c'erano, lui no. Era tornato a casa? Seguii Jessica, che
continuava a chiacchierare durante la fila, riuscendo finalmente a
prestarle attenzione. Presi quello che i miei compagni ingordi mi
avevano lasciato, cioè mezza ciambella – chi ordina solo metà
ciambella? Grrr, capelli-pazzi doveva averci messo lo zampino prima di
filare a casa impaurito dalla mia arma segreta – accompagnata da una
fetta di pizza e una bottiglia di limonata. Volevo solo sedermi al
tavolo dei miei amici e non pensare ai crimini contro l'umanità, come
lasciare solo mezza ciambella ad una povera ragazza.
«Edward Cullen ti sta
fissando di nuovo» Disse Jessica, sorprendendomi con un repentino cambio
di argomento e quel nome. «Chissà come mai oggi se ne sta da solo».
Alzai la testa di
scatto. Seguii lo sguardo di Jessica fino ad Edward che, sotto i baffi,
sorrideva da un tavolo vuoto, dalla parte opposta rispetto a quello che
occupava di solito. Incrociato il mio sguardo, con un dito mi fece segno
di raggiungerlo. Dato che rimanevo a fissarlo incredula da tanta
sfacciataggine, strizzò l'occhio.
«Ce l'ha con te?» Chiese Jessica, in tono sospettoso e sprezzante.
Aveva ragione ad
esserlo, e mi sentivo delusa del fatto che volesse ancora parlare con me
dopo che avevo chiaramente mostrato di non essere interessata. «Beh,
forse vuole aiuto con i compiti di biologia, visto che si è accorto che
non ha davvero il microscopio negli occhi» Sbottai. Jessica mi guardò
come se avessi bestemmiato, poi ridacchiò, e il suo buonumore riuscì a
calmarmi un poco. Le avevo raccontato al telefono quell'episodio, per
contraccambiare qualcuno degli aneddoti che mi forniva in quantità, in
qualità di chiacchierona inguaribile. Quid pro quo.
«Ad ogni modo, non voglio averci niente a che fare. Andiamo a sederci, dai» Conclusi.
Mentre mi allontanavo percepivo lo sguardo di lui addosso.
Poi, senza neppure
sentire un rumore dal suo tavolo, lui ci sorpassò tutto gambe lunghe e
capelli lunghi e si occupò fluidamente un posto al nostro tavolo,
sedendosi nella sedia vuota accanto alla mia, sfrattando Angela che era
troppo timida per reclamarla.
Rimasi impalata accanto alla sedia. Non ero sicura di come avrei dovuto reagire, questo era inaspettato.
«Ti faccio compagnia, oggi» Affermò lui, con un sorriso
«Vampiri vampiri?» tentai, titubante. Lui si rabbuiò, ma non si mosse.
Probabilmente non era
una mossa altrettanto efficace senza effetto sorpresa. Beh, di certo non
mi avrebbe cacciata dal mio gruppo di amici col suo fare da fighetto.
Mi sedetti con un gesto meccanico, osservandolo circospetta, e Jessica
mi si sedette accanto. Il gruppo ci fissava, senza spiccicare parola, ma
sapevo che si stavano chiedendo tutti che ci faceva Cullen al nostro
tavolo. Aveva ricominciato a sorridere. Difficile credere che un ragazzo
così irritante potesse essere vero. Speravo che sparisse all'improvviso
in una nuvoletta di fumo, ma sapevo che era sperare un po' troppo.
Forse aspettava che aprissi bocca.
Lo accontentai. «Cosa
stai facendo, Edward?» Sillabai, come parlando ad un rintronato. Non ero
sicura che non fosse il tono giusto da usare.
«Bè... ». Fece una
pausa, e poi riprese di slancio a parlare. «Ho pensato che se proprio
devo andare all'inferno, tanto vale andarci in grande stile».
Attesi che aggiungesse qualcosa di più sensato. Gliene diedi la possibilità. I secondi passavano.
«Va bene. Vai
all'inferno tutto fashion, te lo dico io di andare all'inferno. Quello
che stai facendo è strano e imbarazzante, e qualunque siano i tuoi
problemi, devi finirla, okay? Smettila. Lasciami in pace». Mike si
allarmò moltissimo alle mie parole, sapevo che era dalla mia parte.
Lo amai per la faccia
arrabbiata che rivolse a Cullen. «Non sei più figo se fai così. Non lo
sei. Smettila. Sai bene che non ho la più pallida idea di dove tu voglia
arrivare con questo, a parte irritarmi a morte»
«Certo che lo so».
Sfoderò un altro sorriso e cambiò discorso. «Credo che i tuoi amici
siano arrabbiati con me perché ho monopolizzato la conversazione»
«Anche io». Strinsi i denti, mentre sentivo ancora gli sguardi dei miei giustamente arrabbiati amici che lo perforavano.
«Non è detto che la restituisca, però» Disse lui, con una luce maliziosa negli occhi.
Io deglutii.
Rise. «Sembri preoccupata»
«Noooo» risposi
sarcastica «Non mi preoccupa per niente che un ragazzo bipolare prima mi
eviti come se io lo avessi accoltellato nel sonno e poi si piazzi al
mio tavolo, dicendo che farei meglio ad evitarlo mentre mi sta alle
calcagna. Anzi, ne sono felicissima. E dimmi, a cosa devo tutto
questo?». L'ultima frase era uscita fuori dalla mia cornice di sarcasmo,
seria e rabbiosa.
«Te l'ho detto, sono
stanco di sforzarmi di starti lontano. Perciò, ci rinuncio». Sorrideva
ancora, i suoi occhi ocra però si erano fatti seri.
Ostentava ancora quel suo sorriso falso per darsi un'aria affabile, pur sapendo che mi stava dando sui nervi.
«Rinunci?» Ripetei io,
indignata. Ma che cavolo voleva? Sembrava che avesse ignorato finora
tutti gli altri membri della scolaresca, e giusto con me si era messo a
fare il cretino? «No, non buttare via la tua purezza. Sforzati».
«Si, rinuncio a
sforzarmi di fare il bravo. D'ora in poi farò solo ciò che mi va e
prenderò quel che viene». Il sorriso svanì e nella sua voce c'era una
punta di durezza, che, devo essere sincera, mi inquietò.
«Perché, che hai fatto finora?»
Riecco il suo sorriso sghembo.
«Che stai facendo con
la tua faccia?» Mi sfuggì, irritata «Usala come le persone normali. Non
puoi continuare a sorridere, e smettere di sorridere, e sorridere e
smettere. Non sembri affascinante, sembri uscito da uno dei tuoi amati
horror, con i capelli dritti e le occhiaie e la faccia tutta gommosa.
Sembri zio Fester con i capelli che ha preso la scossa». Risatine dal
mio tavolo.
«Non sei gentile,
Belarda» Mi riprese, come se avesse avuto un qualche diritto di farmi la
paternale. Provai un moto di trionfo quando vidi con che disagio si
sforzò di mantenere il sorriso sulla faccia «Voglio solo ricominciare da
capo. È una grossa frustrazione che tu non mi conceda questa
possibilità, lo sai?»
«No» ribattei subito io
squadrandolo «Non riesco proprio a immaginare cosa ci sia di frustrante
nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel frattempo
faccia anche piccole osservazioni criptiche e ti segua e ti inviti fuori
quando gli hai detto chiaro e tondo che non lo fili più».
Fece una smorfia.
«Oppure» Continuai io,
lasciando che tutto il nervosismo accumulato si sciogliesse «ammettiamo
che questo qualcuno abbia fatto anche una serie di gesti strani – dal
cambiare comportamento a caso dopo che gli hai salvato la vita un giorno
diventando mr. Amicizia Psicopatica al trattarti come un'emarginata il
giorno dopo – senza mai spiegare il suo comportamento, mai, malgrado
avesse promesso di farlo. Quindi ora basta, mi sono rotta, e non ti
voglio più appresso, perché hai un caratteraccio. Sono stata chiara?»
«Mi dispiace Belarda. È proprio per questo che voglio ricominciare»
«Davvero?»
«Si. Sei una persona interessante».
Abbassai lo sguardo sul
cibo che non aveva toccato, cercando di calmarmi e pensare lucidamente.
Non so bene come interpretò il mio silenzio, forse era convinto di
avermi lusingata, perché aggiunse: «Quando parlo con te mi lascio sempre
scappare troppe cose. Questo è uno dei problemi».
«Uno dei tuoi
problemi, già» Calcai molto sul numero. Per dispetto lui continuava a
sorridere, ma stavo per ridergli in faccia visto che aveva le
sopracciglia aggrottate ed era chiaramente frustrato dal fatto che non
gli fossi corsa tra le braccia, fascinoso com'era quando andava
all'inferno «La lista è lunga. Forse un giorno li saprò tutti»
«Ci conto»
«La traduzione di tutto questo è che adesso ti alzi e te ne vai dal tavolo?»
«Mi alzo e me ne vado...» bofonchiò lui, scettico
«Magari ora, eh» borbottai io.
Fece un ghigno. «Be', immagino che potremmo anche provarci»
«Su, non è difficile.
Hai delle gambe lunghe con dei piedi attaccati alla fine, li ho visti.
Sapevi che potevi usarli anche per allontanarti da me?»
«Potrei esserti amico,
però, Belarda. Anche se ti avviso da subito che non sarò un buon amico,
per te». Dietro il sorriso, l'avvertimento suonava serio.
«Tu non sai quello che
dici e non hai capito niente di cosa ti ho detto io». Lo accusai, visto
che era un'insistenza offensiva e che mi faceva sussultare lo stomaco:
speravo che non fosse uno di quei ragazzacci che ti vengono dietro a
tutte le ore del giorno. Uno stalker. Oh, ma ne avrei parlato col Dottor
Cullen, poteva starne certo, e a Seattle avrei comprato prima di tutto
la mia bomboletta di spray al pepe.
«Si, perché tu non mi dai ascolto. Sto ancora aspettando che tu ci creda. Se sai quello che fai...»
«A quanto pare ti sei fatto un'opinione molto precisa della mia intelligenza» lo interruppi. Ridussi gli occhi a una fessura.
Sorrise, come per scusarsi.
«Perciò, dato che per ora non so quello che faccio, possiamo provare ad essere amici?».
Mi sforzai di capire da
dove avrebbe potuto tirare simili somme da quella conversazione
ingarbugliata. Che avesse ammesso di non capire un accidente era un
passo avanti, che stesse cercando di usare le mie parole contro di me in
questo modo era una corsa da gambero.
«Mi sembra una proposta insensata».
Fissavo le mie mani che
stringevano la bottiglietta di limone. Non avevo ancora neanche
cominciato a mangiare, ma in qualche modo mi sembrava che se lo avessi
fatto gliela avrei data per vinta. Non sapevo come levarmelo di torno.
«Cosa pensi?» Chiese lui, curioso.
Levai lo sguardo verso i suoi occhi dorati, così intensi da darmi le vertigini, e come al solito sputai la verità.
«Sto cercando di capire se i miei amici mi seguirebbero a mangiare fuori, se me ne andassi adesso e ti lasciassi indietro».
Lui ebbe un sussulto,
ma si sforzò di sorridere. Dovevo averlo veramente punto sul vivo con
quel discorso sulla sua faccia, ma distraeva anche me.
«E hai fatto qualche passo avanti?» Chiese, disinvolto.
«Ragazzi...» Cominciai rivolgendomi al gruppo, ma allora Mike esplose, mettendosi dritto e rovesciando la sedia rumorosamente
«Questo è ridicolo!»
«Bella, cosa, vuoi andartene tu?» esclamò Jessica, indignata «Ma è venuto lui qui!»
«Senti Cullen, vattene
da questo tavolo e smetti di importunare Belarda o giuro che ti riporto
al preside, e non me ne frega niente se hai il fratello di cinquecento
chili, ti gonfio di botte nel parcheggio».
Questo sembrò divertire
ancora di più il nostro disturbatore, e il suo sorrisetto scemo da un
lato fece andare ancora di più in bestia sia me che Mike. Persino
Angela, con la vocetta flebile che le veniva quando era contrariata,
cominciò a protestare, unendosi ad Eric e agli altri del tavolo.
Persino Lauren mi spalleggiò, se non altro per mettersi contro Cullen.
«Lasciala stare!»
«È il nostro tavolo, e non ti ci vogliamo se devi fare l'inquietante con lei»
«Bella non deve andare da nessuna parte, c'è sempre stata lei qui!»
«Ti sei preso la mia sedia...»
«Sei un cafone, e se
non te ne vai subito a sederti a quel tavolo vuoto o di nuovo con i tuoi
fratelli, io e Belarda andiamo veramente a riportarti in presidenza».
La voce di Mike era quella più decisa, seguita da quella di Jessica che squittiva accanto a me.
Capelli-pazzi aveva
smesso di sorridere. La sua faccia era divenuta una maschera di granito,
i suoi lineamenti equilibrati – al contrario del suo cervello –
disegnavano un'espressione fredda che toglieva calore anche ai suoi
occhi ambrati.
«Non ci sarebbe nulla da riportare. Ci deve essere un equivoco».
Senza aggiungere una
parola, si alzò con movimenti aggraziati dal suo posto, prese il suo
vassoio di cibo il cui destino era già segnato dallo sprecone, e con le
labbra assottigliate lasciò libero il posto di Angela.
Non andò neppure a
sedersi con i fratelli, che lo guardavano con un rimprovero che mi fece
quasi sentire dispiaciuta per lui – solo quasi, eh – e riprese il posto
al tavolo vuoto a cui aveva cercato di attirarmi. Angela scivolò di
nuovo al suo posto, in fretta.
«Coniglio» Sussurrai sottovoce.
«Non mi ha neanche riscaldato la sedia» Angela fece una smorfia accanto a me.
Alzai lo sguardo sui
ragazzi che mangiavano al mio stesso tavolo. Non avevo idea di come ci
si sentisse ad avere qualcuno che ti aiutava a combattere le tue
battaglie prima di adesso, e un'ondata di gratitudine mi si allargò dal
petto, probabilmente facendomi sorridere come un'ebete.
«Grazie, ragazzi» Dissi, un po' timidamente.
Una nuova esplosione, più calorosa, accese il chiacchiericcio dei miei amici che cercarono di rassicurarmi
«Bella, non devi
preoccuparti» Jessica si allungò a stringermi una mano «Te lo terremo
lontano, quello strambo. L'ho sempre detto che era strano»
«Che snob. Cerca di
stare con le ragazze che non lo vogliono e quelle a cui piace non le
guarda neanche» Lauren arricciò il naso.
«È stato un piacere» Disse soddisfatta una delle ragazze
«Ma è vero che ti segue?» Si premurò di chiedere Eric. Io annuì, e i miei amici si scambiarono sguardi preoccupati.
Mi concentrai sul tappo
della limonata, cercando di svitarlo. La sorseggiai, guardando il
tavolo e studiando le loro reazioni alternativamente.
«Da quanto va avanti questa cosa, Bella?» Mi chiese Mike, sporgendosi inconsciamente verso di me
«Non lo so di preciso»
scossi la testa «Il fatto che mi segua è recente. Prima mi ignorava del
tutto. Ma si è fatto insopportabile da... dopo l'incidente, più o meno. È
sempre stato strano e irritante, ma non mi cercava»
«Forse si è fissato con te perché gli hai salvato la vita» osservò Jessica, lanciando un'occhiata furtiva a Tyler.
«Non lo so, ora non voglio pensarci. Possiamo non parlane?» Sospirai
«Secondo te è
pericoloso?» chiese Angela. Non mi fece irritare che avesse riportato
l'attenzione su Edward perché sentivo la preoccupazione nella sua voce,
ed un altro po' di gratitudine mi riscaldò.
«Può darsi. Non lo so di preciso, ma non è normale, e non è tanto prevedibile»
«Sicura che non lo vuoi dire al preside?» Chiese Mike, dubbioso.
Ci pensai su. Non
volevo certo incoraggiarlo e non reagire ad una cosa del genere, ma
probabilmente c'era qualcosa dietro, forse un esaurimento nervoso, che
sarebbe stato meglio sapesse prima la famiglia. Se era malato e si
faceva curare senza darmi più fastidio, non c'era motivo di rovinargli
la carriera scolastica, nonostante fosse un aspirante strumento
scientifico «Lo dirò direttamente a suo padre. Se ne occuperanno loro. E
se insisterà la scelta oscillerà tra dirlo al preside e dirlo a mio
padre».
L'allusione non fu
difficile da cogliere, visto che tutti loro sapevano che ruolo rivestiva
il mio buon paparino nella comunità di Forks.
Eric sembrò scontento
della mia decisione di non coinvolgere la scuola, ma la conversazione
tornò alla normalità dopo un paio di battute, e potemmo tornare a
mangiare e chiacchierare in pace.
Fummo tra i primi a
lasciare la mensa, e mi concessi un'ultima sbirciata ad Edward. La
prossima ora era di biologia col professor Banner, e avrei dovuto
dividere un banco con lui. Tuttavia lui mi guardò fugacemente e poi
rimase a fissare il muro. Poi il tavolo. Grande cambiamento.
Gli gettai un'ultima occhiata dalla porta, e in effetti era ancora lì, immobile.
Magari si era offeso e non si sarebbe presentato a lezione. Una ragazza può sperare.
Mike aveva colto
l'occasione delle indesiderate attenzioni di Edward per farmi da
bodyguard oltre che accompagnatore ufficiale per i corridoi. Voleva
tenere d'occhio la mia situazione con Cullen, e poi era un altro modo
per passare del tempo con me.
Divertiva entrambi
questo approccio da spionaggio, io mi sentivo importante e lui si
sentiva responsabile. Ero felice che l'avessimo presa sul ridere.
Tra l'altro, aveva smesso di piovere.
Giocammo fino in
classe, comportandoci come spie paranoiche, e per fortuna il professor
Banner non era ancora arrivato per sentirci definire l'un l'altra "Il
Pacchetto Segretissimo" e "L'Agente Muscolone", perché erano picchi di
vero trash che non avrei condiviso con molti altri. Mi accomodai svelta
al mio posto – che sollievo, quello di lato a me era vuoto – e salutai
Angela, accomodata nel banco accanto al mio.
Poi arrivò il
professore e richiamò la classe all'ordine. Si destreggiava a fatica
tenendo tra le braccia alcune scatolette di cartoncino. Le appoggiò sul
tavolo di Mike e gli disse di passarle al resto della classe.
«Bene, ragazzi, ora
prendete un oggetto da ogni scatola» Disse, infilandosi un paio di
guanti di gomma estratti dalla tasca del camice. Lo schiocco secco dei
guanti attorno ai suoi polsi risuonò come un cattivo presagio. «Il primo
è un cartoncino di controllo» Proseguì, mostrandoci un quadrato bianco
diviso in quattro sezioni. «Il secondo è un applicatore a quattro aghi»,
e mostrò un aggeggio che sembrava un pettine sdentato, «e il terzo è
una lancetta sterile». Afferrò un oggetto di plastica blu e lo aprì in
due. La punta era invisibile dalla distanza in cui stavo, ma mi fece
comunque rivoltare lo stomaco.
«Farò il giro dei banchi con un contagocce per preparare i cartoncini, perciò, per favore, prima di iniziare aspettate me».
Cominciò dal tavolo di
Mike, lasciando cadere con attenzione una goccia d'acqua su ognuno dei
quadrati del cartoncino. «Poi vi chiederò di pungervi un dito con la
lancetta...» prese la mano di Mike e gli conficcò la punta sul
polpastrello del dito medio. La mia fronte si velò di sudore freddo.
All'inizio non ne capii il motivo. Ero sempre stata in grado di
sopportare la vista di un po' di sangue. Dopotutto in infermeria avevo
visto Tyler subito dopo l'incidente, che era un pezzo di carne da cui
usciva una litania di scuse in confronto ad una singola gocciolina sul
dito di Mike.
«Sporcate con una
gocciolina di sangue ciascuno degli aghi dell'applicatore». Continuò la
dimostrazione stringendo il dito di Mike fino a fargli versare del
sangue. Io deglutivo convulsamente, con lo stomaco sottosopra.
«Poi fate combaciare
l'applicatore e il carboncino» Concluse, mostrandoci per bene il
quadrato sporco di sangue. Chiusi gli occhi, cercando di ascoltarlo
senza badare alle orecchie che mi fischiavano.
«La prossima settimana
la Croce Rossa organizzerà una giornata di donazioni a Port Angeles,
perciò mi sembrava utile farvi scoprire qual è il vostro gruppo
sanguigno». Sembrava orgoglioso di sé. «Ai minori di diciotto anni serve
il consenso dei genitori: i moduli sono sulla cattedra».
Continuò il giro della
classe, con il contagocce in mano. Io appoggiai la guancia al piano
freddo e nero del tavolo, sforzandomi di non rimettere, o svenire, o
qualunque cosa mi provocasse quella brutta sensazione alla bocca dello
stomaco e debolezza agli arti. Sentivo il pigolio, le lamentele e le
risatine dei miei compagni di classe che si pungevano le dita. Iniziai a
respirare lentamente, con la bocca.
«Belarda, stai bene?» Chiese il professor Banner. Sentivo la sua voce molto vicina, e sembrava allarmata.
«Conosco già il mio gruppo sanguigno, professore». Risposi con un sussurro. Avevo paura di alzare la testa, pesante com'era.
«Ti senti debole?»
«Si, signore» mormorai,
prendendomela con me stessa. Doveva essere stato il cibo della mensa,
forse quella maledetta mezza ciambella. Non avrei dovuto prendere
qualcosa di non intero, e la signora della mensa non avrebbe dovuto
passarmela... ma ero stata io a chiederla. Dovevo essere più accorta, ma
a tavola lasciavo parlare più lo stomaco che il cervello.
«Qualcuno può portare Belarda in infermeria, per favore?».
Anche senza sollevare il capo sapevo che il volontario sarebbe stato Mike. Il mio Agente Muscolone.
«Riesci a camminare?» Chiese il professor Banner.
«Si» Sussurrai. Fatemi uscire da qui, sto per vomitare, pensavo.
Sembrava che Mike non
vedesse l'ora di mettermi un braccio attorno alla vita e di tenermi
stretta a sé. Mi appoggiai a lui di peso, ma cercai di aiutarlo per non
farmi trascinare via, e soprattutto di non vomitare sul mio migliore amico.
Non mi chiese nulla per il momento, rispettando il fatto che non me la sentivo di rispondergli.
Mike mi guidò
lentamente attraverso il campus. Nei dintorni della mensa, lontana
dall'edificio 4 e perciò dallo sguardo del professor Banner, mi fermai.
«Possiamo avvicinarci al bidone dell'immondizia?» Lo implorai.
Mi aiutò ad
avvicinarmi, e mi tenne i capelli guardando dall'altro lato – altra cosa
per cui essergli grati e offrire amicizia incondizionata – mentre
svuotavo lo stomaco. Sembrava che non dovessi avere altro da buttare
via, ma la mia testa girava ancora, un po' pesante.
Mi aiutò ad accomodarmi sul ciglio del sentiero. Così andava meglio.
«Caspita, sei diventata verde, Bella» Disse Mike, nervoso.
«Bella?». Da lontano, qualcun altro mi chiamava.
No! Per carità, lasciatemi qui ad immaginare di essermi solo immaginata quella voce ormai terribilmente familiare.
«Cos'è successo, si è
fatta male?». Ora la voce era più vicina, sembrava turbata. Non la stavo
immaginando. Mi sforzai di tenere gli occhi ben chiusi, speravo di
vomitare di nuovo sulle scarpe di Cullen, così potevo avere la scusa per
la mia malefatta. Beh, forse era un filo troppo disgustoso. Magari se
ne sarebbe andato da solo.
Mike sembrava teso.
«Niente di preoccupante, Cullen. Non so cos'è successo, non si è nemmeno
punta il dito» Ammise «Però non sono affari tuoi».
«Bella». La voce di Edward era proprio accanto a me, più sollevata ora «Mi senti?».
«No» Bofonchiai. «Vattene».
Rise.
«Smettila di ridere
quando sono seria. Voglio che tu te ne vada. Non ti voglio attorno». Mi
sforzai di aprire gli occhi. «Giuro che se non te ne vai ti vomito
addosso»
«Serve aiuto?» chiese serafico l'infingardo, sogghignando.
«La stavo portando all'infermeria» Spiegò Mike, irrigidendo la mascella «Intendo io la stavo portando all'infermeria. È compito mio. E non abbiamo bisogno di scorta».
«Tu hai davvero paura» Realizzai, ad alta voce.
Edward mi guardò confuso, ostinandosi a sorridere anche se era chiaro che non mi seguiva.
«Sei mancato a lezione
oggi. Lo avrai saputo da tuo padre che ci sarebbe stata questa lezione,
magari hanno chiesto i materiali all'ospedale, e non hai partecipato
perché non vuoi trovarti attorno quando c'è sangue, non è così?».
Mike approfittò del
silenzio che avevo creato tra me e zio Fester capelluto per sollevarmi
tra le sue braccia, come un cavaliere dall'armatura scintillante. Il
sorriso di Edward non gli arrivava agli occhi. Quello di Mike si.
«Sei conciata proprio male» Mi disse, con un ghigno.
«Scusa la lesa maestà, e
grazie per la maturità con cui cerchi di dirmi che non sono un bocciolo
di rosa quando ho appena finito di vomitare l'anima. Ora che hai riso
della mia disgrazia, risorgerò come l'araba fenice, grazie magico
Eduardo».
Mike non diede tempo a
capelli-pazzi di rispondere e si allontanò tenendomi tra le braccia,
sbuffando ogni set di otto passi. Probabilmente era una delle migliori
scene di mic drop che mi sarebbero capitate nella mia vita, ma evitai di
fare pose da diva in quanto a) non volevo mettere Mike in difficoltà
nel trasportarmi e b) il movimento ondeggiante della sua camminata aveva
risvegliato qualche porzioncina di nausea in me.
Non so come riuscì ad
aprire la porta tenendomi sollevata, probabilmente con un calcio da
vecchio western o da quei filmacci di kung fu che piacevano a lui, ma
avevo richiuso gli occhi e capii che eravamo al coperto perché
all'improvviso sentii caldo.
«Oh, cielo» Esclamò una voce femminile.
«Si è sentita male durante biologia» Spiegò Mike.
Aprii gli occhi.
Eravamo in segreteria, e il mio amico, a cui stavano cominciando a
tremare le braccia nello sforzo di tenermi avanzava a grandi passi
vacillanti lungo il bancone dell'entrata, verso la porta
dell'infermeria. La signorina Cope, la rossa che stava all'ingresso, la
aprì precedendolo di corsa.
Forse mi ero goduta un
filo troppo il piacere di non dover usare i piedi, ed era meglio
smettere di fare il Cristo in una Pietà. «Puoi mettermi giù, grazie
Mike» Dissi, in tono di scuse «Ora va meglio».
L'infermiera, una
specie di nonna premurosa che profumava di Chanteclair e medicine,
insomma uno strano odore chimico a metà tra il piacevolmente cremoso e
lo schifosamente cremoso, alzò gli occhi da un libro meravigliata,
mentre Mike mi depositava di slancio sul materassino di vinile marrone
dell'unica branda, affrettandosi pur di non farmi sforzare. Non fu
esattamente delicato e il foglio di carta ruvida crepitò come una
scarica di proiettili, ma apprezzai lo sforzo. Poi si spostò e rimase in
piedi appoggiato alla parete, nel punto più vicino possibile. Il suo
sguardo era acceso.
«Ho avuto nausea e debolezza» Dissi all'infermeria interdetta «Sono reduce da cibo della mensa».
L'infermiera annuì con aria saggia. «C'è sempre qualcuno che fa questa fine».
Lui soffocò una risata.
----------
Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui
Nessun commento:
Posta un commento