mercoledì 28 febbraio 2018

Sunset 11. Tutti contro Edward


Giunsi nell'aula di inglese ancora irritata, anche se non potevo non ammettere a me stessa il bruscolo di orgoglio per essere riuscita a fare andare via capelli-pazzi. Quando entrai non mi accorsi nemmeno che la lezione era già iniziata.
«Grazie per essersi unita a noi, signorina Swan» Disse il professor Mason, sarcastico.
Arrossii e mi affrettai a prendere posto per sfuggire allo sguardo dell'insegnante.
Quando mi trovai da sola al banco, mi preoccupai del fatto che Mike non si fosse seduto vicino a me come faceva di solito, ma lo vidi distante, a chiacchierare di nascosto con la ragazza con cui si era seduto a biologia durante l'esperimento con le radici di cipolla. Volevo avvicinarmi e parlargli, ma la lezione era già iniziata e non volevo rischiare un altro rimprovero da parte del professore.
Alla fine riuscii, tra un brano di spiegazione e l'altro, a farmi restituire un cenno di saluto furtivo da un banco all'altro. Non sembrava arrabbiato con me, ma mi aveva evitato. Ci era davvero rimasto così male che non fossi andata al ballo con lui?
Beh, era ingiusto. Provai un certo senso di colpa misto ad irritazione, riesumata dalla chiacchierata con Cullen, ma la sua amicizia era più importante.
Così lo raggiunsi non appena la lezione fu finita, per vedere se c'era qualcosa da chiarire con lui. Certo, a noi si unì subito anche Eric che mi aspettava come al solito all'uscita – meritava una chiacchierata anche lui, ma adesso non avevo le energie – ma dal fatto che restituì subito il mio sorriso, capì che entrambi avevano risolto qualunque dispiacere il mio rifiuto gli avesse dato.
«Ehi, fiocco di neve» Lo salutai «Tutto a posto?»
«Niente fiocchi di neve» lui scosse la testa eccitato, aggiustandosi lo spallaccio dello zaino con una mano sola «Hai visto le previsioni del tempo?».
Mike mi si affiancò mentre camminavamo, esaltato per le previsioni del tempo di quel fine settimana. Sembrava che la pioggia dovesse concedersi una breve pausa, perciò, forse, sarebbe finalmente riuscito ad organizzare la gita in spiaggia.
«Finalmente!» Esclamai, senza dover neppure sforzarmi di ostentare il mio entusiasmo, sentendomi di nuovo un po' bambina. Pioggia o no, la temperatura più alta che potevamo aspettarci era intorno ai dieci gradi, e questo significava niente caldo soffocante e niente neve che si scioglieva nelle calze. E probabilmente significava anche che Mike era stato impegnato ad organizzare la gita con la ragazza di biologia durante l'ora di inglese, e non ad ignorarmi di proposito per fortuna, il che mi rassicurò sul fatto che non ce l'avesse con me. E confermava anche la mia teoria sul fatto che il signor Mason non era un insegnante molto coinvolgente.
Ammetto che trascurammo Eric, abbastanza da fargli decidere di smettere di girarci attorno come un avvoltoio sulla statale. Nessun rimpianto.
Il resto della mattinata passò in un baleno. Mike sembrava inseguire i suoi amici come un cagnolino a caccia di una prelibatezza ogni volta che riuscivo a vederlo tra una lezione e l'altra, e mi faceva sorridere vedere con quanto entusiasmo stava avvisando i partecipanti della gita delle grandi idee che voleva usare per l'uscita. Allo stesso tempo, Jessica non riusciva più a smettere di parlare del ballo, specie ora che Mike aveva accettato.
Probabilmente tutti noi che mangiavamo allo stesso tavolo a mensa saremmo stati invitati, e questo valeva la presenza almeno mia, di Jessica, Mike, Angela ed Eric, e di tutti gli altri i cui nomi sentivo troppo poco spesso e finivano col diventare nomignoli buffi nella mia testa. La vittima più frequente dei miei attacchi di amnesia era Lauren, una tipa a cui non andavo a genio e che identificavo come "Salame Monello" per la sua andatura dritta e impettita e i vestiti fascianti da insaccato.
Jessica mi stava giusto parlando dei suoi progetti per il ballo – Lauren e Angela avevano invitato i ragazzi, sarebbero andate tutte assieme – senza accorgersi che cambiai atteggiamento nel momento in cui passammo dalla porta della mensa.
Edward Cullen stava riuscendo a rovinarmi l'ora del pranzo: era uno dei momenti di strazio in cui ero obbligata a stare nella sua stessa stanza. Bastò uno sguardo deciso verso il suo tavolo per farmi sospirare di sollievo. Gli altri quattro c'erano, lui no. Era tornato a casa? Seguii Jessica, che continuava a chiacchierare durante la fila, riuscendo finalmente a prestarle attenzione. Presi quello che i miei compagni ingordi mi avevano lasciato, cioè mezza ciambella – chi ordina solo metà ciambella? Grrr, capelli-pazzi doveva averci messo lo zampino prima di filare a casa impaurito dalla mia arma segreta – accompagnata da una fetta di pizza e una bottiglia di limonata. Volevo solo sedermi al tavolo dei miei amici e non pensare ai crimini contro l'umanità, come lasciare solo mezza ciambella ad una povera ragazza.
«Edward Cullen ti sta fissando di nuovo» Disse Jessica, sorprendendomi con un repentino cambio di argomento e quel nome. «Chissà come mai oggi se ne sta da solo».
Alzai la testa di scatto. Seguii lo sguardo di Jessica fino ad Edward che, sotto i baffi, sorrideva da un tavolo vuoto, dalla parte opposta rispetto a quello che occupava di solito. Incrociato il mio sguardo, con un dito mi fece segno di raggiungerlo. Dato che rimanevo a fissarlo incredula da tanta sfacciataggine, strizzò l'occhio.
«Ce l'ha con te?» Chiese Jessica, in tono sospettoso e sprezzante.
Aveva ragione ad esserlo, e mi sentivo delusa del fatto che volesse ancora parlare con me dopo che avevo chiaramente mostrato di non essere interessata. «Beh, forse vuole aiuto con i compiti di biologia, visto che si è accorto che non ha davvero il microscopio negli occhi» Sbottai. Jessica mi guardò come se avessi bestemmiato, poi ridacchiò, e il suo buonumore riuscì a calmarmi un poco. Le avevo raccontato al telefono quell'episodio, per contraccambiare qualcuno degli aneddoti che mi forniva in quantità, in qualità di chiacchierona inguaribile. Quid pro quo.
«Ad ogni modo, non voglio averci niente a che fare. Andiamo a sederci, dai» Conclusi.
Mentre mi allontanavo percepivo lo sguardo di lui addosso.
Poi, senza neppure sentire un rumore dal suo tavolo, lui ci sorpassò tutto gambe lunghe e capelli lunghi e si occupò fluidamente un posto al nostro tavolo, sedendosi nella sedia vuota accanto alla mia, sfrattando Angela che era troppo timida per reclamarla.
Rimasi impalata accanto alla sedia. Non ero sicura di come avrei dovuto reagire, questo era inaspettato.
«Ti faccio compagnia, oggi» Affermò lui, con un sorriso
«Vampiri vampiri?» tentai, titubante. Lui si rabbuiò, ma non si mosse.
Probabilmente non era una mossa altrettanto efficace senza effetto sorpresa. Beh, di certo non mi avrebbe cacciata dal mio gruppo di amici col suo fare da fighetto. Mi sedetti con un gesto meccanico, osservandolo circospetta, e Jessica mi si sedette accanto. Il gruppo ci fissava, senza spiccicare parola, ma sapevo che si stavano chiedendo tutti che ci faceva Cullen al nostro tavolo. Aveva ricominciato a sorridere. Difficile credere che un ragazzo così irritante potesse essere vero. Speravo che sparisse all'improvviso in una nuvoletta di fumo, ma sapevo che era sperare un po' troppo.
Forse aspettava che aprissi bocca.
Lo accontentai. «Cosa stai facendo, Edward?» Sillabai, come parlando ad un rintronato. Non ero sicura che non fosse il tono giusto da usare.
«Bè... ». Fece una pausa, e poi riprese di slancio a parlare. «Ho pensato che se proprio devo andare all'inferno, tanto vale andarci in grande stile».
Attesi che aggiungesse qualcosa di più sensato. Gliene diedi la possibilità. I secondi passavano.
«Va bene. Vai all'inferno tutto fashion, te lo dico io di andare all'inferno. Quello che stai facendo è strano e imbarazzante, e qualunque siano i tuoi problemi, devi finirla, okay? Smettila. Lasciami in pace». Mike si allarmò moltissimo alle mie parole, sapevo che era dalla mia parte.
Lo amai per la faccia arrabbiata che rivolse a Cullen. «Non sei più figo se fai così. Non lo sei. Smettila. Sai bene che non ho la più pallida idea di dove tu voglia arrivare con questo, a parte irritarmi a morte»
«Certo che lo so». Sfoderò un altro sorriso e cambiò discorso. «Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ho monopolizzato la conversazione»
«Anche io». Strinsi i denti, mentre sentivo ancora gli sguardi dei miei giustamente arrabbiati amici che lo perforavano.
«Non è detto che la restituisca, però» Disse lui, con una luce maliziosa negli occhi.
Io deglutii.
Rise. «Sembri preoccupata»
«Noooo» risposi sarcastica «Non mi preoccupa per niente che un ragazzo bipolare prima mi eviti come se io lo avessi accoltellato nel sonno e poi si piazzi al mio tavolo, dicendo che farei meglio ad evitarlo mentre mi sta alle calcagna. Anzi, ne sono felicissima. E dimmi, a cosa devo tutto questo?». L'ultima frase era uscita fuori dalla mia cornice di sarcasmo, seria e rabbiosa.
«Te l'ho detto, sono stanco di sforzarmi di starti lontano. Perciò, ci rinuncio». Sorrideva ancora, i suoi occhi ocra però si erano fatti seri.
Ostentava ancora quel suo sorriso falso per darsi un'aria affabile, pur sapendo che mi stava dando sui nervi.
«Rinunci?» Ripetei io, indignata. Ma che cavolo voleva? Sembrava che avesse ignorato finora tutti gli altri membri della scolaresca, e giusto con me si era messo a fare il cretino? «No, non buttare via la tua purezza. Sforzati».
«Si, rinuncio a sforzarmi di fare il bravo. D'ora in poi farò solo ciò che mi va e prenderò quel che viene». Il sorriso svanì e nella sua voce c'era una punta di durezza, che, devo essere sincera, mi inquietò.
«Perché, che hai fatto finora?»
Riecco il suo sorriso sghembo.
«Che stai facendo con la tua faccia?» Mi sfuggì, irritata «Usala come le persone normali. Non puoi continuare a sorridere, e smettere di sorridere, e sorridere e smettere. Non sembri affascinante, sembri uscito da uno dei tuoi amati horror, con i capelli dritti e le occhiaie e la faccia tutta gommosa. Sembri zio Fester con i capelli che ha preso la scossa». Risatine dal mio tavolo.
«Non sei gentile, Belarda» Mi riprese, come se avesse avuto un qualche diritto di farmi la paternale. Provai un moto di trionfo quando vidi con che disagio si sforzò di mantenere il sorriso sulla faccia «Voglio solo ricominciare da capo. È una grossa frustrazione che tu non mi conceda questa possibilità, lo sai?»
«No» ribattei subito io squadrandolo «Non riesco proprio a immaginare cosa ci sia di frustrante nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel frattempo faccia anche piccole osservazioni criptiche e ti segua e ti inviti fuori quando gli hai detto chiaro e tondo che non lo fili più».
Fece una smorfia.
«Oppure» Continuai io, lasciando che tutto il nervosismo accumulato si sciogliesse «ammettiamo che questo qualcuno abbia fatto anche una serie di gesti strani – dal cambiare comportamento a caso dopo che gli hai salvato la vita un giorno diventando mr. Amicizia Psicopatica al trattarti come un'emarginata il giorno dopo – senza mai spiegare il suo comportamento, mai, malgrado avesse promesso di farlo. Quindi ora basta, mi sono rotta, e non ti voglio più appresso, perché hai un caratteraccio. Sono stata chiara?»
«Mi dispiace Belarda. È proprio per questo che voglio ricominciare»
«Davvero?»
«Si. Sei una persona interessante».
Abbassai lo sguardo sul cibo che non aveva toccato, cercando di calmarmi e pensare lucidamente. Non so bene come interpretò il mio silenzio, forse era convinto di avermi lusingata, perché aggiunse: «Quando parlo con te mi lascio sempre scappare troppe cose. Questo è uno dei problemi».
«Uno dei tuoi problemi, già» Calcai molto sul numero. Per dispetto lui continuava a sorridere, ma stavo per ridergli in faccia visto che aveva le sopracciglia aggrottate ed era chiaramente frustrato dal fatto che non gli fossi corsa tra le braccia, fascinoso com'era quando andava all'inferno «La lista è lunga. Forse un giorno li saprò tutti»
«Ci conto»
«La traduzione di tutto questo è che adesso ti alzi e te ne vai dal tavolo?»
«Mi alzo e me ne vado...» bofonchiò lui, scettico
«Magari ora, eh» borbottai io.
Fece un ghigno. «Be', immagino che potremmo anche provarci»
«Su, non è difficile. Hai delle gambe lunghe con dei piedi attaccati alla fine, li ho visti. Sapevi che potevi usarli anche per allontanarti da me?»
«Potrei esserti amico, però, Belarda. Anche se ti avviso da subito che non sarò un buon amico, per te». Dietro il sorriso, l'avvertimento suonava serio.
«Tu non sai quello che dici e non hai capito niente di cosa ti ho detto io». Lo accusai, visto che era un'insistenza offensiva e che mi faceva sussultare lo stomaco: speravo che non fosse uno di quei ragazzacci che ti vengono dietro a tutte le ore del giorno. Uno stalker. Oh, ma ne avrei parlato col Dottor Cullen, poteva starne certo, e a Seattle avrei comprato prima di tutto la mia bomboletta di spray al pepe.
«Si, perché tu non mi dai ascolto. Sto ancora aspettando che tu ci creda. Se sai quello che fai...»
«A quanto pare ti sei fatto un'opinione molto precisa della mia intelligenza» lo interruppi. Ridussi gli occhi a una fessura.
Sorrise, come per scusarsi.
«Perciò, dato che per ora non so quello che faccio, possiamo provare ad essere amici?».
Mi sforzai di capire da dove avrebbe potuto tirare simili somme da quella conversazione ingarbugliata. Che avesse ammesso di non capire un accidente era un passo avanti, che stesse cercando di usare le mie parole contro di me in questo modo era una corsa da gambero.
«Mi sembra una proposta insensata».
Fissavo le mie mani che stringevano la bottiglietta di limone. Non avevo ancora neanche cominciato a mangiare, ma in qualche modo mi sembrava che se lo avessi fatto gliela avrei data per vinta. Non sapevo come levarmelo di torno.
«Cosa pensi?» Chiese lui, curioso.
Levai lo sguardo verso i suoi occhi dorati, così intensi da darmi le vertigini, e come al solito sputai la verità.
«Sto cercando di capire se i miei amici mi seguirebbero a mangiare fuori, se me ne andassi adesso e ti lasciassi indietro».
Lui ebbe un sussulto, ma si sforzò di sorridere. Dovevo averlo veramente punto sul vivo con quel discorso sulla sua faccia, ma distraeva anche me.
«E hai fatto qualche passo avanti?» Chiese, disinvolto.
«Ragazzi...» Cominciai rivolgendomi al gruppo, ma allora Mike esplose, mettendosi dritto e rovesciando la sedia rumorosamente
«Questo è ridicolo!»
«Bella, cosa, vuoi andartene tu?» esclamò Jessica, indignata «Ma è venuto lui qui!»
«Senti Cullen, vattene da questo tavolo e smetti di importunare Belarda o giuro che ti riporto al preside, e non me ne frega niente se hai il fratello di cinquecento chili, ti gonfio di botte nel parcheggio».
Questo sembrò divertire ancora di più il nostro disturbatore, e il suo sorrisetto scemo da un lato fece andare ancora di più in bestia sia me che Mike. Persino Angela, con la vocetta flebile che le veniva quando era contrariata, cominciò a protestare, unendosi ad Eric e agli altri del tavolo.
Persino Lauren mi spalleggiò, se non altro per mettersi contro Cullen.
«Lasciala stare!»
«È il nostro tavolo, e non ti ci vogliamo se devi fare l'inquietante con lei»
«Bella non deve andare da nessuna parte, c'è sempre stata lei qui!»
«Ti sei preso la mia sedia...»
«Sei un cafone, e se non te ne vai subito a sederti a quel tavolo vuoto o di nuovo con i tuoi fratelli, io e Belarda andiamo veramente a riportarti in presidenza».
La voce di Mike era quella più decisa, seguita da quella di Jessica che squittiva accanto a me.
Capelli-pazzi aveva smesso di sorridere. La sua faccia era divenuta una maschera di granito, i suoi lineamenti equilibrati – al contrario del suo cervello – disegnavano un'espressione fredda che toglieva calore anche ai suoi occhi ambrati.
«Non ci sarebbe nulla da riportare. Ci deve essere un equivoco».
Senza aggiungere una parola, si alzò con movimenti aggraziati dal suo posto, prese il suo vassoio di cibo il cui destino era già segnato dallo sprecone, e con le labbra assottigliate lasciò libero il posto di Angela.
Non andò neppure a sedersi con i fratelli, che lo guardavano con un rimprovero che mi fece quasi sentire dispiaciuta per lui – solo quasi, eh – e riprese il posto al tavolo vuoto a cui aveva cercato di attirarmi. Angela scivolò di nuovo al suo posto, in fretta.
«Coniglio» Sussurrai sottovoce.
«Non mi ha neanche riscaldato la sedia» Angela fece una smorfia accanto a me.
Alzai lo sguardo sui ragazzi che mangiavano al mio stesso tavolo. Non avevo idea di come ci si sentisse ad avere qualcuno che ti aiutava a combattere le tue battaglie prima di adesso, e un'ondata di gratitudine mi si allargò dal petto, probabilmente facendomi sorridere come un'ebete.
«Grazie, ragazzi» Dissi, un po' timidamente.
Una nuova esplosione, più calorosa, accese il chiacchiericcio dei miei amici che cercarono di rassicurarmi
«Bella, non devi preoccuparti» Jessica si allungò a stringermi una mano «Te lo terremo lontano, quello strambo. L'ho sempre detto che era strano»
«Che snob. Cerca di stare con le ragazze che non lo vogliono e quelle a cui piace non le guarda neanche» Lauren arricciò il naso.
«È stato un piacere» Disse soddisfatta una delle ragazze
«Ma è vero che ti segue?» Si premurò di chiedere Eric. Io annuì, e i miei amici si scambiarono sguardi preoccupati.
Mi concentrai sul tappo della limonata, cercando di svitarlo. La sorseggiai, guardando il tavolo e studiando le loro reazioni alternativamente.
«Da quanto va avanti questa cosa, Bella?» Mi chiese Mike, sporgendosi inconsciamente verso di me
«Non lo so di preciso» scossi la testa «Il fatto che mi segua è recente. Prima mi ignorava del tutto. Ma si è fatto insopportabile da... dopo l'incidente, più o meno. È sempre stato strano e irritante, ma non mi cercava»
«Forse si è fissato con te perché gli hai salvato la vita» osservò Jessica, lanciando un'occhiata furtiva a Tyler.
«Non lo so, ora non voglio pensarci. Possiamo non parlane?» Sospirai
«Secondo te è pericoloso?» chiese Angela. Non mi fece irritare che avesse riportato l'attenzione su Edward perché sentivo la preoccupazione nella sua voce, ed un altro po' di gratitudine mi riscaldò.
«Può darsi. Non lo so di preciso, ma non è normale, e non è tanto prevedibile»
«Sicura che non lo vuoi dire al preside?» Chiese Mike, dubbioso.
Ci pensai su. Non volevo certo incoraggiarlo e non reagire ad una cosa del genere, ma probabilmente c'era qualcosa dietro, forse un esaurimento nervoso, che sarebbe stato meglio sapesse prima la famiglia. Se era malato e si faceva curare senza darmi più fastidio, non c'era motivo di rovinargli la carriera scolastica, nonostante fosse un aspirante strumento scientifico «Lo dirò direttamente a suo padre. Se ne occuperanno loro. E se insisterà la scelta oscillerà tra dirlo al preside e dirlo a mio padre».
L'allusione non fu difficile da cogliere, visto che tutti loro sapevano che ruolo rivestiva il mio buon paparino nella comunità di Forks.
Eric sembrò scontento della mia decisione di non coinvolgere la scuola, ma la conversazione tornò alla normalità dopo un paio di battute, e potemmo tornare a mangiare e chiacchierare in pace.
Fummo tra i primi a lasciare la mensa, e mi concessi un'ultima sbirciata ad Edward. La prossima ora era di biologia col professor Banner, e avrei dovuto dividere un banco con lui. Tuttavia lui mi guardò fugacemente e poi rimase a fissare il muro. Poi il tavolo. Grande cambiamento.
Gli gettai un'ultima occhiata dalla porta, e in effetti era ancora lì, immobile.
Magari si era offeso e non si sarebbe presentato a lezione. Una ragazza può sperare.
Mike aveva colto l'occasione delle indesiderate attenzioni di Edward per farmi da bodyguard oltre che accompagnatore ufficiale per i corridoi. Voleva tenere d'occhio la mia situazione con Cullen, e poi era un altro modo per passare del tempo con me.
Divertiva entrambi questo approccio da spionaggio, io mi sentivo importante e lui si sentiva responsabile. Ero felice che l'avessimo presa sul ridere.
Tra l'altro, aveva smesso di piovere.
Giocammo fino in classe, comportandoci come spie paranoiche, e per fortuna il professor Banner non era ancora arrivato per sentirci definire l'un l'altra "Il Pacchetto Segretissimo" e "L'Agente Muscolone", perché erano picchi di vero trash che non avrei condiviso con molti altri. Mi accomodai svelta al mio posto – che sollievo, quello di lato a me era vuoto – e salutai Angela, accomodata nel banco accanto al mio.
Poi arrivò il professore e richiamò la classe all'ordine. Si destreggiava a fatica tenendo tra le braccia alcune scatolette di cartoncino. Le appoggiò sul tavolo di Mike e gli disse di passarle al resto della classe.
«Bene, ragazzi, ora prendete un oggetto da ogni scatola» Disse, infilandosi un paio di guanti di gomma estratti dalla tasca del camice. Lo schiocco secco dei guanti attorno ai suoi polsi risuonò come un cattivo presagio. «Il primo è un cartoncino di controllo» Proseguì, mostrandoci un quadrato bianco diviso in quattro sezioni. «Il secondo è un applicatore a quattro aghi», e mostrò un aggeggio che sembrava un pettine sdentato, «e il terzo è una lancetta sterile». Afferrò un oggetto di plastica blu e lo aprì in due. La punta era invisibile dalla distanza in cui stavo, ma mi fece comunque rivoltare lo stomaco.
«Farò il giro dei banchi con un contagocce per preparare i cartoncini, perciò, per favore, prima di iniziare aspettate me».
Cominciò dal tavolo di Mike, lasciando cadere con attenzione una goccia d'acqua su ognuno dei quadrati del cartoncino. «Poi vi chiederò di pungervi un dito con la lancetta...» prese la mano di Mike e gli conficcò la punta sul polpastrello del dito medio. La mia fronte si velò di sudore freddo. All'inizio non ne capii il motivo. Ero sempre stata in grado di sopportare la vista di un po' di sangue. Dopotutto in infermeria avevo visto Tyler subito dopo l'incidente, che era un pezzo di carne da cui usciva una litania di scuse in confronto ad una singola gocciolina sul dito di Mike.
«Sporcate con una gocciolina di sangue ciascuno degli aghi dell'applicatore». Continuò la dimostrazione stringendo il dito di Mike fino a fargli versare del sangue. Io deglutivo convulsamente, con lo stomaco sottosopra.
«Poi fate combaciare l'applicatore e il carboncino» Concluse, mostrandoci per bene il quadrato sporco di sangue. Chiusi gli occhi, cercando di ascoltarlo senza badare alle orecchie che mi fischiavano.
«La prossima settimana la Croce Rossa organizzerà una giornata di donazioni a Port Angeles, perciò mi sembrava utile farvi scoprire qual è il vostro gruppo sanguigno». Sembrava orgoglioso di sé. «Ai minori di diciotto anni serve il consenso dei genitori: i moduli sono sulla cattedra».
Continuò il giro della classe, con il contagocce in mano. Io appoggiai la guancia al piano freddo e nero del tavolo, sforzandomi di non rimettere, o svenire, o qualunque cosa mi provocasse quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco e debolezza agli arti. Sentivo il pigolio, le lamentele e le risatine dei miei compagni di classe che si pungevano le dita. Iniziai a respirare lentamente, con la bocca.
«Belarda, stai bene?» Chiese il professor Banner. Sentivo la sua voce molto vicina, e sembrava allarmata.
«Conosco già il mio gruppo sanguigno, professore». Risposi con un sussurro. Avevo paura di alzare la testa, pesante com'era.
«Ti senti debole?»
«Si, signore» mormorai, prendendomela con me stessa. Doveva essere stato il cibo della mensa, forse quella maledetta mezza ciambella. Non avrei dovuto prendere qualcosa di non intero, e la signora della mensa non avrebbe dovuto passarmela... ma ero stata io a chiederla. Dovevo essere più accorta, ma a tavola lasciavo parlare più lo stomaco che il cervello.
«Qualcuno può portare Belarda in infermeria, per favore?».
Anche senza sollevare il capo sapevo che il volontario sarebbe stato Mike. Il mio Agente Muscolone.
«Riesci a camminare?» Chiese il professor Banner.
«Si» Sussurrai. Fatemi uscire da qui, sto per vomitare, pensavo.
Sembrava che Mike non vedesse l'ora di mettermi un braccio attorno alla vita e di tenermi stretta a sé. Mi appoggiai a lui di peso, ma cercai di aiutarlo per non farmi trascinare via, e soprattutto di non vomitare sul mio migliore amico.
Non mi chiese nulla per il momento, rispettando il fatto che non me la sentivo di rispondergli.
Mike mi guidò lentamente attraverso il campus. Nei dintorni della mensa, lontana dall'edificio 4 e perciò dallo sguardo del professor Banner, mi fermai.
«Possiamo avvicinarci al bidone dell'immondizia?» Lo implorai.
Mi aiutò ad avvicinarmi, e mi tenne i capelli guardando dall'altro lato – altra cosa per cui essergli grati e offrire amicizia incondizionata – mentre svuotavo lo stomaco. Sembrava che non dovessi avere altro da buttare via, ma la mia testa girava ancora, un po' pesante.
Mi aiutò ad accomodarmi sul ciglio del sentiero. Così andava meglio.
«Caspita, sei diventata verde, Bella» Disse Mike, nervoso.
«Bella?». Da lontano, qualcun altro mi chiamava.
No! Per carità, lasciatemi qui ad immaginare di essermi solo immaginata quella voce ormai terribilmente familiare.
«Cos'è successo, si è fatta male?». Ora la voce era più vicina, sembrava turbata. Non la stavo immaginando. Mi sforzai di tenere gli occhi ben chiusi, speravo di vomitare di nuovo sulle scarpe di Cullen, così potevo avere la scusa per la mia malefatta. Beh, forse era un filo troppo disgustoso. Magari se ne sarebbe andato da solo.
Mike sembrava teso. «Niente di preoccupante, Cullen. Non so cos'è successo, non si è nemmeno punta il dito» Ammise «Però non sono affari tuoi».
«Bella». La voce di Edward era proprio accanto a me, più sollevata ora «Mi senti?».
«No» Bofonchiai. «Vattene».
Rise.
«Smettila di ridere quando sono seria. Voglio che tu te ne vada. Non ti voglio attorno». Mi sforzai di aprire gli occhi. «Giuro che se non te ne vai ti vomito addosso»
«Serve aiuto?» chiese serafico l'infingardo, sogghignando.
«La stavo portando all'infermeria» Spiegò Mike, irrigidendo la mascella «Intendo io la stavo portando all'infermeria. È compito mio. E non abbiamo bisogno di scorta».
«Tu hai davvero paura» Realizzai, ad alta voce.
Edward mi guardò confuso, ostinandosi a sorridere anche se era chiaro che non mi seguiva.
«Sei mancato a lezione oggi. Lo avrai saputo da tuo padre che ci sarebbe stata questa lezione, magari hanno chiesto i materiali all'ospedale, e non hai partecipato perché non vuoi trovarti attorno quando c'è sangue, non è così?».
Mike approfittò del silenzio che avevo creato tra me e zio Fester capelluto per sollevarmi tra le sue braccia, come un cavaliere dall'armatura scintillante. Il sorriso di Edward non gli arrivava agli occhi. Quello di Mike si.
«Sei conciata proprio male» Mi disse, con un ghigno.
«Scusa la lesa maestà, e grazie per la maturità con cui cerchi di dirmi che non sono un bocciolo di rosa quando ho appena finito di vomitare l'anima. Ora che hai riso della mia disgrazia, risorgerò come l'araba fenice, grazie magico Eduardo».
Mike non diede tempo a capelli-pazzi di rispondere e si allontanò tenendomi tra le braccia, sbuffando ogni set di otto passi. Probabilmente era una delle migliori scene di mic drop che mi sarebbero capitate nella mia vita, ma evitai di fare pose da diva in quanto a) non volevo mettere Mike in difficoltà nel trasportarmi e b) il movimento ondeggiante della sua camminata aveva risvegliato qualche porzioncina di nausea in me.
Non so come riuscì ad aprire la porta tenendomi sollevata, probabilmente con un calcio da vecchio western o da quei filmacci di kung fu che piacevano a lui, ma avevo richiuso gli occhi e capii che eravamo al coperto perché all'improvviso sentii caldo.
«Oh, cielo» Esclamò una voce femminile.
«Si è sentita male durante biologia» Spiegò Mike.
Aprii gli occhi. Eravamo in segreteria, e il mio amico, a cui stavano cominciando a tremare le braccia nello sforzo di tenermi avanzava a grandi passi vacillanti lungo il bancone dell'entrata, verso la porta dell'infermeria. La signorina Cope, la rossa che stava all'ingresso, la aprì precedendolo di corsa.
Forse mi ero goduta un filo troppo il piacere di non dover usare i piedi, ed era meglio smettere di fare il Cristo in una Pietà. «Puoi mettermi giù, grazie Mike» Dissi, in tono di scuse «Ora va meglio».
L'infermiera, una specie di nonna premurosa che profumava di Chanteclair e medicine, insomma uno strano odore chimico a metà tra il piacevolmente cremoso e lo schifosamente cremoso, alzò gli occhi da un libro meravigliata, mentre Mike mi depositava di slancio sul materassino di vinile marrone dell'unica branda, affrettandosi pur di non farmi sforzare. Non fu esattamente delicato e il foglio di carta ruvida crepitò come una scarica di proiettili, ma apprezzai lo sforzo. Poi si spostò e rimase in piedi appoggiato alla parete, nel punto più vicino possibile. Il suo sguardo era acceso.
«Ho avuto nausea e debolezza» Dissi all'infermeria interdetta «Sono reduce da cibo della mensa».
L'infermiera annuì con aria saggia. «C'è sempre qualcuno che fa questa fine».
Lui soffocò una risata.





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