lunedì 18 ottobre 2021

La Cattedra del Giocatore - 1. La Porta

 
 
Al banco di registrazione, l'uomo aveva dato un nome falso.
La donna che aveva il compito di scrivere le generalità dei giocatori lo aveva guardato da sotto gli occhiali con l'aria di chi aveva capito esattamente con chi aveva a che fare.
«Devo scrivere Manuel Karas? Davvero?» Domandò.
L'uomo annuì.
La donna scrisse, con un sospiro.
«Sei il quinto Karas che si iscrive questo mese» Commentò, esasperata «Non diventate più bravi a giocare solo perché prendete il suo nome, lo sapete?»
«Lo so. Io sono pessimo» rispose l'uomo, tetro.
La sua voce era tetra tanto quanto il suo tono ed entrambi facevano il paio con il suo aspetto: aveva capelli castani scuri, lunghi e lisci, che gli incorniciavano la faccia come tende di velluto, chiaramente tinti visto che la corta barba uniforme era invece ormai imbiancata. Indossava una camicia nera a sottili strisce argentate, un po' aperta sul petto e infilata in un paio di pantaloni di pelle, a loro volta rimboccati dentro alti stivali scuri.
«Se sei pessimo non dovresti essere qui» Disse la donna «Dovresti tornare a casa. Da tua moglie o tuo marito o il tuo cane o qualunque cosa ti aspetti a casa»
«Voglio solo perdere tutti i miei soldi» rispose l'uomo. Pronunciava la lettera S in modo strascicato e questo faceva apparire la sua parlata ancora più triste.
«Beh, se ti preme così tanto di perderli tutti potresti anche darli a me adesso» Scherzò la donna, poi alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di lui.
Erano vuoti, quegli occhi, due pozzi neri e asciutti in cui non sembrava agitarsi nulla, neppure un anelito di vita.
«Età?» Domandò lei
«Sessantadue» rispose l'uomo
«Ah. Portati benissimo, vedo. Genere dichiarato?»
«Come scusi?»
«Genere di... ok, uomo, donna o qualcosa di diverso?»
«Uomo»
«Specie?»
«Come scusi?»
«Specie. Lei è un essere umano?»
«Ah. Sì, certo... potrei essere qualcos'altro?».
La donna sospirò, continuando a scrivere.
«Telefono e indirizzo? E per favore, almeno questi che siano veri».
L'uomo glieli disse, senza mentire.
«Quanti soldi ha portato, signor Karas?»
«Cinquantamila euro: è tutto quello che possiedo»
«Glieli cambio subito in fiches. Li metta sul tavolo».
L'uomo estrasse le banconote dalla sua borsa di pelle e mise i mazzetti ordinatamente sul tavolo. La donna li prese uno ad uno, strappò la fascetta e li infilò nella macchina contasoldi. Alla fine aprì un cassetto e pescò una manciata di fiches colorate, dischetti scintillanti di plastica glitterata con sopra scritti numeri bianchi, che mise direttamente nelle mani dell'uomo.
«Firmi qui, adesso, e poi la registrazione sarà finita».
«Ho le mani occupate...»
«Può firmare anche con la bocca»
«Non è particolarmente divertente, questa cosa»
«Deve firmare. Metta da parte quelle e usi le mani, oppure mi permetta di prenderle una goccia di sangue...».
Una goccia di sangue. Chi avrebbe accettato una goccia di sangue come firma legalmente valida?
«Prendi il mio sangue».
La donna estrasse un piccolo ago d'oro da dentro un minuscolo astuccio di plastica. La punta brillava acuta, allegra, e con quella lei gli punse il lato del polso, attese che una gocciolina rossa si formasse e poi usò quel sangue per sporcare il contratto, nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la firma. L'uomo non disse niente: non gli interessava di questi giochetti, lui voleva un gioco più grande.
«Bene, signor Karas. Vede quella porta laggiù?»
«Come potrei non vederla?»
«Alcuni non ne sono capaci. E non parlo solo dei ciechi... comunque, la vede?»
«Sì»
«La attraversi e si ritroverà nella sala da gioco. Si diverta pure. Perda tutti i suoi soldi, come desidera»
«Grazie»
«Oh. E lasci qui la sua borsa, non è ammesso portarla dentro. Gliela custodirò io».
L'uomo si sfilò la tracolla e la passò alla donna, poi si diresse verso la porta. La porta che torreggiava come un palazzo, apparentemente così grande che ci si chiedeva come la parete potesse contenerla, come potesse non spaccare il tetto. Più ci si avvicinava al pannello di ottone e più ci si chiedeva se non fosse un'illusione ottica.
Era bella, la porta: figure di carte da gioco, fiamme e teschi, bassorilievi che mandavano bagliori metallici, si snodavano per tutta la sua superficie come un serpente composto di tutti questi elementi, una S mostruosa e meravigliosa che terminava in una testa di donna piangente.
L'uomo allungò la mano verso la maniglia e la spinse verso il basso, poi attraversò la soglia ed entrò, richiudendosi alle spalle il monolitico pannello di ottone.
Le luci al neon gli fecero stringere gli occhi.
«Benvenuto, Manuel» Disse una voce allegra, pastosa, con note graffiate come di sabbia al vento «Non credevo davvero che l'avresti fatto, oh, non credevo davvero... ma vieni, vieni a sedere al tavolo con noi!».
 

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