Erano le nove di mattina. Mika fu ricondotto nella sala d’aspetto dopo aver passato la notte in cella.
«Sei fortunato che il tuo ragazzo non ha voluto sporgere denuncia» Gli disse la poliziotta che lo stava scortando «È pure venuto a pregare di liberarti, che era colpa sua, che non c’è reato»
«Achille non è il mio ragazzo» grugnì Mika, cupo
«Già, immagino che non lo sia più, dopo quello che è successo. Ma senti a me: devi imparare a contenere la rabbia e a gestirla. Non va bene questa cosa che picchi la gente. Ti inguai soltanto. E poi se grande e grosso, fai male a qualcuno»
«Pure Achille è grande e grosso»
«È vero. E infatti hai visto che lividi che ti son venuti fuori?».
Passarono di lato ad un agente che stava conducendo un criminale in manette nella direzione opposta, giù nelle carceri. Il pregiudicato, un uomo di mezz’età con la mascella quadrata e gli occhi iniettati di sangue, si girò a guardare il retro dei pantaloni lucenti di Mika, fischiò e fece un commentaccio. Il pugile diventò rosso e strinse i denti.
«Non vuoi picchiarlo» Gli ricordò la poliziotta, severa
«Voglio ucciderlo» sibilò Mika
«Benvenuto nel mondo di noi donne. Noi non ce ne andiamo in giro ad uccidere tutti i maschi che fanno qualcosa del genere, altrimenti il mondo sarebbe spopolato»
«Forse dovete. Così smettono»
«Facile parlare per te: sei grosso e forte. E sei un maschio»
«Una volta non ero grosso e forte» commentò Mika con amarezza.
Il corridoio terminò. Ad aspettare Mika c’erano Cattelan, Emma, Marracash e persino Achille Lauro, con indosso un’elaborata e costosa camicia di Versace su attillati pantaloni a zampa d’elefante di colore fucsia.
«Non ucciderlo» Raccomandò la poliziotta «Sei libero. Ma vedi di non farti più segnalare a disturbare la quiete pubblica. Vai».
Mika si avvicinò al gruppetto, senza togliere gli occhi di dosso ad Achille. Il pugile biondo si stava guardando le unghie perfettamente curate, ignorandolo in maniera deliberata, ghignante.
«Perché hai fatto vincere me?» Domandò duramente Mika
«Amico, tu hai vinto» rispose Achille, finalmente guardandolo
«No. Tu potevi, ancora, combattere»
«Secondo te sono scemo che mi faccio massacrare da te» Achille gli diede due schiaffetti leggerissimi «Te sei matto, amico mio. Hai vinto, sei stato bravo, ma col cavolo che ci metto tutto l’impegno a prende’ cazzotti ‘n faccia, senza manco il paradenti, senza manco una posta in palio, in un incontro clandestino. Sali su un ring vero e poi ne riparliamo».
Mika si girò verso Cattelan.
«Ciao» Gli disse, con un entusiasmo quasi aggressivo
«Oh, ciao» replicò Cattelan, mettendo avanti le manicomio«Ciao a tutti. Ciao Emma!»
«Ciao tesoro» rispose la donna, alzando un pugno chiuso «Qui per supportarti»
«Grazie, Emma!» il sorriso effimero che era comparso sul volto di Mika scomparve quando lui si rivolse di nuovo a Cattelan «Fammi arrivare su un vero ring»
«Sì, vabbè, senza neanche passare dal via» rise Alessandro «Non è facile, lo sai?»
«È facilissimo» lo interruppe Marracash «Partecipa al mio torneo, il Luna Loca, e io ti iscriverò ad una palestra di pugilato, poi all’albo dei professionisti, e ti seguo fino a farti decollare la carriera. Ti rendo un pugile vero… ovviamente devi firmarmi un contratto, ma non sarebbe neanche il primo grande pro che scopro. Guarda Achille: lui era un dilettantino che ho seguito fino alla grandezza. Non è vero, eh?»
«Vero sì» confermò il biondo, appoggiandosi con il gomito alla spalla di Marracash «Questo qui m’ha tirato fuori da un giro brutto brutto, m’ha aiutato a darmi una ripulita e m’ha fatto pugile. Ti ci puoi fidare Mika, te c’hai il potenziale, ti fa campione mondiale».
Mika guardò Cattelan, che faceva “no no” con la testa, lo sguardo spiritato, poi guardò Achille e Marracash, con le loro facce piene di promesse, e infine Emma.
«Che faccio?» Le chiese «Mi fido?»
«Ah, beh…» disse la donna «… Marra è il disonesto più onesto che conosco. Io sono forse dieci anni che lavoro con lui e mi sono sempre trovata bene. Mollalo a quel Cattelan, che ti tratta pure male, e fatti una bella carriera come Cristo comanda, amore».
In quel momento, Alessandro Cattelan si rese conto che quelli lì avevano ragione: che carriera poteva garantire a Mika lui, in quell’esatto momento? Solo una traballante, effimera, e anche se lo avesse effettivamente iscritto all’albo dei professionisti, non sarebbe stato in grado di procurargli match prestigiosi come quelli che gli avrebbe dato Marracash. E poi quello lì aveva scoperto Achille Lauro! Ecco perché un professionista di quel livello aveva accettato di partecipare ad un incontro a sorpresa organizzato in maniera un po’ approssimativa: c’era conoscenza fra i due, forse affetto, e probabilmente un contratto legalmente vincolante. D’altronde però, perché si preoccupava così? Lui voleva liberarsi di Mika, no? Era un piantagrane istintivo ed infantile che faceva a botte con chiunque, difficile da gestire, e che fin dall’inizio Alessandro aveva pensato di mollare a Marracash per fare qualche soldo facile e poi dimenticarsene…
«Giusto» Disse Cattelan, congiungendo le mani a pugno «Era pure nel contratto. Mika, da adesso in poi il mio lavoro con te è finito: il tuo nuovo manager è Marracash. Buona fortuna»
«Grazie» rispose il pugile bruno, sorpreso «Ehi, aspetta, dove… dove vai?»
«A casa. Ho tantissime cose da fare, davvero. Ti verrò a vedere al Luna Loca, te lo prometto! Ma ora devo finire un libro, altrimenti il mio editore mi ammazza… ciao Mika! E arrivederci a tutti quanti!».
Alessandro Cattelan non attese la risposta di nessuno, fece dietro-front e se ne andò a passo di marcia.
«Secondo me mo’ va a casa e piagne» Tirò ad indovinare Achille Lauro
«Non curatevi di lui» disse Marracash «Ad Alessandro non importa che dei soldi. Il dio denaro! Ma ora, Mika, sei dei nostri. Fai parte della nostra famiglia. E noi ti renderemo famoso» mise una mano sulla spalla del pugile dai capelli bruni, stringendo gentilmente le dita «Come hai passato la notte in carcere, amico mio? Stai bene?»
«Eh, infatti» rincarò Emma, stringendosi a loro.
Mika alzò gli occhi al soffitto per radunare ricordi ed idee, seguendo per un po’ il profilo fluttuante di una vecchia ragnatela disabitata che pendeva fra due crepe. Poi aprì la bocca ed iniziò a raccontare.
«Era quasi buio quando sono venuto qui. Mi hanno chiuso in una, una…»
«Cella?» suggerì Emma
«Sì, cella, da solo. Sembrava che avevano paura. Io ero arrabbiato, ma non avevo paura… mi succede spesso, passo la notte in cella. Per le botte, è sempre per le botte. È venuto il buio poi, e si è accesa, fwum! Si è accesa questa lampada gialla e poi ha iniziato a fare un po’ di freddo, perché avevo solo i pantaloni» si strattonò l’elastico dei calzoncini «E avevo anche fame e sete ma ero solo, non c’era nessuno. Dopo un poco, forse tre o quattro ore, che fuori era molto buio, è arrivato un altro nella mia… nella mia cella. Ho chiesto all’agente se potevo avere dell’acqua e poi che avevo freddo e lui mi ha dato una botta con il mazzo delle chiavi sulle dita e se n’è andato»
«Chi è questo?!» domandò Emma, arrabbiatissima «Se lo acchiappo gli faccio sputare pure la parmigiana che ha mangiato nel novantaquattro»
«Uno con l’anello» lo descrisse Mika, mostrando l’anulare della sinistra «Anello da marito, d’oro»
«Vuoi dire la fede, tesoro?»
«La fede, sì. E poi una faccia bella, gli occhi blu, i baffi»
«Bella, sì, come no. Gliela spacco appena lo vedo»
«Non metterti nei guai per me» la pregò Mika «Ci sono già io che finisco in prigione, tu non va bene»
«Amore, non ti preoccupare per me. E poi cosa è successo?»
«Quello nuovo, dentro la cella con me, mi ha parlato. Mi ha detto che lui era innocente, che dovevo aiutarlo… forse era un poco drunk… ehm…»
«Ubriaco?»
«Ubriacco, sì»
«Ubriaco. Una c sola, amore. E che ha fatto questo ubriaco?»
«Niente, cioè, ha pianto. Sua figlia non voleva che lui andasse in prigione di nuovo e se lo scopriva, mi ha detto lui, non gli voleva più bene. Gli ho detto io che sua figlia non smette di volergli bene solo per quello, che se lo ha detto è per spaventarlo, per tenerlo lontano dai guai. Quando si è ripreso un poco, che stava meglio, lui mi ha dato il cappotto perché era piena notte e io stavo tremando» Mika si poggiò i palmi aperti sulle spalle, incrociando le braccia sul petto, e finse un brivido «Ed era caldo, perché c’era stato lui dentro, e sono stato un po’ meglio. Poi ci siamo messi vicini e abbiamo dormito e poi è venuto il giorno e mi hanno detto che era venuto Achille e non c’era denuncia, che ero libero perché non c’era reato. Me l’hanno detto tre volte» alzò tre dita della mano sinistra «E mi hanno portato da voi»
«Oh, amore… quindi hai ancora sete?» indagò Emma
«Sì, molta. Ho la bocca asciutta come il deserto».
Achille Lauro frugò in una borsa di pelle (costosa, come il resto del suo vestiario) che stava appoggiata su una delle sedie di plastica e ne estrasse una lattina verde di Monster, una bevanda energetica ipercaiffeinizzata.
«Tiè, bevi fratello» Disse, lanciandola a Mika che la afferrò al volo «Questa qua te rimette ar monno, tipo che ti svegli dopo otto ore di sonno continuate».
Il pugile bruno si rigirò la lattina fra le mani, poi tirò la linguetta metallica per aprirla.
«Grazie, Achille» Disse, poi iniziò a tracannare la bevanda
«St’attento che è frizzante» lo mise in guardia il biondo «No tutta a ‘na vorta, che te la senti pure dentro ar naso!».
Mika staccò la bocca dalla lattina e fece un verso acuto, prolungato.
«It’s sparkly! Damn, it’s sparkly!» Si lamentò, ma dopo un attimo stava già bevendo il resto.
Marracash e i suoi lo portarono a fare colazione al Suave, dove gli servirono un cornetto caldo al cioccolato, un cappuccino, un bicchierone di spremuta di succo d’arancia e alcune paste fresche.
Mentre Mika mangiava di gusto, Nicky il cameriere arrivò portando i suoi vestiti ben piegati.
«Signore» Disse «Li ha lasciati nell’arena. Fra ieri sera e stamattina il suo cellulare, nella tasca dei suoi pantaloni, ha squillato innumerevoli volte».
Mika si strozzò con il succo d’arancia, tossì dieci volte (con Emma che gli batteva la schiena) e poi, con gli occhi spalancati e ancora lacrimanti, guardò Nicky.
«Il mio telefono?» Domandò, con una voce rasposa da fumatore
«Sì signore» il cameriere gli tese tutti i vestiti.
Mika afferrò il malloppo, se lo mise sulle gambe ed iniziò a rovistare nelle tasche dei pantaloni finché non ne estrasse lo smartphone.
«Mamma!» Esclamò, componendo il numero più in fretta che poteva.
Emma rise. «Oh, hai perso le chiamate di tua madre? Sono guai adesso, bello mio».
Mika si portò il telefono all’orecchio, osando timidamente dire: «Mamàn?».
Dall’altoparlante dell’apparecchietto venne fuori una sequela di parole in francese, vomitate fuori a volume altissimo.
«Meno male che sono orfano» Commentò Nicky, sollevato
«Naaah, la cosa migliore è avere genitori chill come i miei» gli disse Emma «Loro sono super rilassati qualsiasi cosa faccio perché si fidano di me»
«I miei mi tenevano chiuso in gabbia, quand’ero piccolo»
«Per davvero?» Emma aggrottò le sopracciglia, scostando la sedia alla sua sinistra per invitare Nicky a sedersi, così avrebbe potuto ascoltarlo bene anche se a destra Mika stava animatamente parlando con sua madre «Vieni qua, non lo sapevo…».
Il piccolo cameriere dai capelli verdi prese posto accanto alla pugilessa.
«I miei erano iperprotettivi» Spiegò «Mi tenevano sempre chiuso. Non sono andato all’asilo e non ho mai incontrato i miei cugini. Una volta ho cercato di raggiungere dei bambini che giocavano in strada, perché li avevo sentiti ridere dalla finestra, e sono uscito sulle scale del condominio. I miei se ne sono accorti prima che potessi scendere le scale… mi hanno fatto fare su misura una grande gabbia, sei metri per tre, e mi ci hanno chiuso dentro. Per la mia sicurezza. Avevo sei anni circa, mi facevano uscire solo per andare in bagno»
«Erano veramente matti i tuoi genitori» commentò Emma, allibita «Mi dispiace un sacco, Nick»
«Oh, non preoccuparti. Un giorno sono usciti per andare a fare la spesa e sono morti, quando avevo otto anni. Io sono rimasto due giorni chiuso in gabbia, ma avevo da bere e qualcosina da mangiare, poi i miei zii sono entrati nell’appartamento e mi hanno trovato, quindi tutto okay. Sto bene adesso, è da quando avevo otto anni che nessuno mi chiude più in gabbia… il mio psichiatra dice che l’ho superata bene»
«Oh tesoro» Emma gli prese la mano e la tenne stretta «I tuoi genitori non erano iperprotettivi, erano dei bastardi!»
«Non è che mi picchiavano o niente, avevano solo paura che mi facessi male»
«E quindi t’hanno fatto male loro, chiudendoti dentro una gabbia? Ma mandali a quel paese, no?»
«Non me la sento di giudicarli. Tutti facciamo i nostri errori»
«Tipo chiudere un bambino in una schifo di gabbia?»
«Al gruppo di supporto, quando ero piccolo, ho incontrato bambini che avevano genitori molto peggiori dei miei. Tu sei fortunata Emma, te lo devi ricordare… cioè… cioè, signora Marrone, lei è fortunata, lei» le guance di Nicky avvamparono di vergogna.
«Che te ne frega? Dammi del tu» Emma gli sorrise «E non è che perché c’è qualcuno che sta peggio non ti devi indignare. C’è sempre qualcuno che sta peggio di noi, Nicky, sempre! E allora che facciamo, ci facciamo mettere i piedi in testa da chiunque?»
«Ormai è passato»
«Hai ragione, è passato. Ma non significa che devi pensare mai di essertelo meritato, Nicky, o che fosse qualcosa di normale e gli altri sono stati solo fortunati. Tu ti meritavi quello che si meritavano tutti gli altri bambini».
Gli occhi del piccolo cameriere si fecero lucidi. «Devo… d-devo andare» Balbettò «Una cosa d-di là, in cucina».
«Sì, sì, vai. Vai nelle cucine» Emma gli lasciò la mano, lo guardò allontanarsi e aggiunse «Le cucine che non esistono, lo sai tu e lo so io».
Mika poggiò lo smartphone sul tavolo e prese a rivestirsi, cominciando dalla maglia.
«Che dice tua mamma?» Gli domandò Emma, appoggiandosi il mento sulle mani
«Che se non vado subito da lei, mi fa chiudere in una voliera per i pappagalli» rispose Mika
«E… pensi che lo farebbe?» indagò lei preoccupata.
Mika si bloccò, i pantaloni in mano, lo sguardo perplesso. «Certo che no!» Rispose.
Emma tirò un sospiro di sollievo.