venerdì 12 giugno 2015

Il Tomahawk del Windigo - Parte 3


Scritto da Sarah Darkness e Elisabetta Palmeri
  Il tomahawk del Wendigo - Parte 3
<Parte 2

Invito ad una cena italiana
I due italiani si fermarono e si limitarono a guardarli da lontano. Jackie sapeva di essere spesso e volentieri considerato affascinante, però incuteva anche timore. Soprattutto quando non lo conoscevano.
«La nennella si è fatta male?» domandò in dialetto Manlio.
La donna e l’uomo si guardarono muovendo solo gli occhi.
«Ehm...» Iniziò la ragazza, ma il suo compagno intervenne
«Non siamo artisti di strada. Siamo solo esibizionisti» disse in italiano, esibendo un largo sorriso bianco e splendente.
Erano esibizionisti. L'uomo parlava con un accento lievissimo, ma che poteva essere del Sud Italia. Terroni esibizionisti in una cittadina americana.
«Voi di dove siete?» Domandò invece la ragazza, in inglese «Parlate un ottimo italiano, davvero»
«Pugliesi?» cercò di indovinare l'uomo
«Anche» ridacchiò Jackie, infilandosi le mani nelle tasche «I miei nonni erano della Campania. Avellino. »
«Oh!» fece «Come i Soprano!».
Ci fu un attimo di perplessità, poi i quattro uomini cominciarono a ridere forte e i due li accompagnarono, capendo che non si erano affatto offesi.
«Sì, ma solo io! » precisò Jackie.
«Io vengo da Napoli» rispose Manlio.
«Io da Palermo» disse Alfredo un po’ più tenebroso del normale.
«Insomma l’unico pugliese è Dolfo!» rise di nuovo Manlio, circondando le spalle dell’amico con un’energia tale da farlo barcollare.
«Io sono l’unico nato in America» spiegò cortesemente il più giovane «E voi invece? Da dove venite di bello? E soprattutto…» continuò, spalancando le braccia ed indicando la cittadina «… Che cavolo ci fate qui?!»
«Noi viaggiamo un sacco» Rispose l'uomo, smettendo di sorridere, ma comunque di buonumore «Piacere, mi chiamo Giacomo, detto Jack, Harker» si presentò, tendendo una mano senza puntare nessuno di preciso, come a sperare che qualcuno, chiunque, gliela stringesse
«E io sono Francesca Harker» dichiarò la ragazza, senza però tendere la mano, scrutando tutti con fare sospettoso.
Manlio fu il primo a stringere la mano di Jack Harker, mentre Francesca avanzava di mezzo passo e domandava a voce alta
«E voi invece cosa siete venuti a fare qui? Noi siamo eccentrici e tutto il resto... bla bla... e voi».
«Ah… » fece Manlio « …viaggio di lavoro. Un lavoro palloso. Manlio Tuccini»
Alle sue spalle, come sempre, Dolfo ridacchiò e si guadagnò una gomitata in pieno petto.
«E questo coglione è Rodolfo Salerni!»
«Alfredo Neri» mormorò l’uomo coi baffoni a cui piaceva considerarsi il capo del gruppo.
L’uomo che diceva di chiamarsi Jack Harker gli sorrise, poi si rivolse al più giovane e gli tese la mano. Per un attimo l’altro non sembrò accettarla, poi fece un passo avanti e gliela strinse. Una stretta salda.
«Jack Guerrieri» si presentò e Francesca fece scorrere gli occhi da uno all’altro, assaporando la tensione.
«Oh, che cazzata!» spezzò l’atmosfera Dolfo «Lui è il nostro piccolo Jackie! Nessuno lo chiama Jack da… beh, pensò da quando è diventato un ometto!».
Piccolo. Francesca guardò Jack Guerrieri dal basso verso l’altro: era tutto fuorché piccolo, era decisamente alto. Molto più dei suoi amici di sicuro. Però sembrò che quel nomignolo lo ferisse profondamente nell’orgoglio.
«Siete giunti qui da tanto?» domandò Alfredo a Francesca «Siete alla ricerca del sogno americano?»
«Il sogno americano?» Francesco rise brevemente «No. Siamo qui solo momentaneamente. L'America, comunque, è fantastica».
Mentre parlava, la ragazza guardava fisso Jackie, piuttosto che Alfredo, come se lui non fosse importante, tenendo le palpebre socchiuse. Jack Harker si mise a parlare a ruota della libertà americana e di come, si, in fondo stessero davvero inseguendo il sogno americano.
Ma Francesca rimase irritantemente in silenzio, lasciando che fosse il suo compagno a rispondere alle domande che le facevano.
All’improvviso Jackie incrociò il suo sguardo e le fece l’occhiolino, tornando poi completamente inespressivo, come se nulla fosse accaduto. Anzi, non la degnò più di attenzione e cominciò a scrivere qualcosa sul suo costosissimo cellulare.
Francesca inarcò un sopracciglio e non disse niente, chiedendosi se suo zio l’avesse notato e, sicuramente pensò, l’aveva fatto.
«Quindi anche voi per affari!» Esclamò Manlio infine «Ma alloggiate qui vicino?» domandò a Jack Harker
«Non proprio, no» disse lui in tono gioviale.
«Oh, beh…» fece l’altro «Siamo contenti di aver incontrato dei connazionali! Quando eravamo giovani era più facile! Più bello!» gli raccontò, senza entrare nei dettagli «Ci odiavano tutti e ci trattavano come topi di fogna! Era sempre una festa quando incontravamo altri italiani!»
«Eh lo so, lo so! » gli disse Jack accondiscendente
«Uè…» intervenne Alfredo «Mettete via quei cosi. Ci sono i piedipiatti».
In fretta, i due Harker celarono i coltelli mentre una voltante passava lì vicino e, per loro fortuna, nessuno degli spettatori di prima ebbe voglia di metterli nei guai.
«Qui passano spesso» disse loro «Non hanno niente da fare e girano girano girano… »
Dolfo si accorse di Jackie e gli diede uno scappellotto «Basta con quella diavoleria! » lo rimproverò, facendogli alzare gli occhi al cielo «Hai fatto il tuo lavoro! »
«Sì, sì » fece Jackie, tanto per tenerlo buono «Sto sempre al cellulare! »
«Certo!».
Manlio li ignorò «Ma avete da fare?»
«Ehm… » fece il signor Harker, colto alla sprovvista.
«Stiamo cercando un ristorante italiano! Perché non venite con noi? Ci divertiremo!» cercò di attirarli col suo bambinesco entusiasmo «Sarete nostri ospiti! Un benvenuto in questo paese!»
«Eh…» fece Dolfo «… Se trovi un ristorante buono! Altrimenti altro che benvenuto, li fai scappare!».
Francesca si avvicinò a Jack e gli sussurrò qualcosa in un dialetto che gli altri non compresero. L'uomo ridacchiò, poi fece una sorta di gesto teatrale, aprendo le braccia
«Vi invitiamo noi al ristorante! Ne conosciamo uno splendido»
«Ma è italiano?» domandò Dolfo, con un pizzico di circospezione
«Si, si certo che è italiano!»
«Proprio italiano italiano» aggiunse Francesca, ma c'era qualcosa di strano nella sua voce «Italiano come noi. Mio zio, poi, si chiama Giacomo, neanche Jack»
«Non svelare l'arcano» disse a bassa voce, in un mormorio divertito e vibrante, l'uomo
«Ah, è tuo zio» riprese parola Jackie, sollevando le sopracciglia «Bene» e riabbassò le pupille sul telefonino.
Francesca allargò appena il suo sorriso «Come sei concentrato!»
«Che dire…» fece lui «… Amo il mio lavoro»
Sorrise. Un sorriso un po’ assente. Mise via il telefono e batté le mani una sola volta.
«Alfredo, qui ci invitano! » esclamò con una certa gioia «Un ristorantino splendido! Italiano!» elencò, rimarcando ciò che Giacomo aveva precisato «Potremmo davvero passare una bella serata tutti insieme! Odio questa città dimenticata da Dio!»
«Ci fidiamo?» domandò Alfredo con un mezzo ghigno
«E certo!» fece Jackie, calcando con forza su ogni parola mentre gesticolava «Hanno detto che è buonissimo! E se non lo capisce un vero italiano se un ristorante è buono, chi altro può saperlo?»
Sorrise a Giacomo e sua nipote.
«Non è vero?!».
Il signor Harker annuì
«Stasera, passiamo a prendervi... il ristorante non è troppo lontano da qui, ci si può arrivare a piedi, ma se viva passiamo con il pick-up...»
«Meglio a piedi, c'è bel tempo, aria fresca» rettificò Francesca, che pareva seccata all'idea che quei tizi posassero le loro chiappe sui sedili della sua macchina
«Ma se loro vogliono...» provò lo zio
«Fanno anche esercizio all'aria aperta. E poi se ci ubriachiamo tutti non c'è nessuno che deve guidare»
«Hai intenzione di ubriacarti?»
«Chi lo sa?» lei si strinse nelle spalle, ma la sua espressione era così neutra che non sembrava proprio avesse intenzione di ubriacarsi
«Sono d’accordo con la signorina Harker» disse Jackie, inaspettatamente «Se è così vicino perché andare in macchina? E poi possiamo bere tutti noi».
Sia Francesca che Jackie si sorrisero: un sorriso, però, distante. Manlio intanto non sembrò molto contento della scelta, ma non fece il bastian contrario.
«Allora per che ore preferite?» domandarono ai due italiani «Qui in America si cena molto presto»
«A noi non piace» continuò Jack «Ma se ceniamo presto possiamo spostarci in qualche locale. Magari ne troviamo uno carino...»
«Oh, vuoi camminare tanto tu» gli disse Giacomo.
Jackie alzò entrambi le mani, invitandolo in un modo cortese a permettergli di parlare «Se camminando trovo un McDonald’s o un Burger King potrei anche rivalutare questo buco di città: evidentemente non è così dimenticata da Dio come pensavo»
«Se entrate in un McDonald, sappiate che lo farete senza di me» disse Francesca, ma senza tetraggine «Io ho da fare, se avete tempo da perdere nei negozi di panini pieni di additivi»
«Guarda che curano gli ingredienti» cercò di convincerla suo zio
«E allora perchè tu non li mangi mai?»
«Non è mai capitato» Giacomo si strinse nelle spalle «Per me è ok, se entriamo in un McDonald's»
«Per me no» Francesca parve rivolgersi direttamente a Jackie, come se fosse l'unica persona fra quelle presenti di cui potesse fidarsi «E spero che abbiate abbastanza cavalleria da non fare scappare l'unica donna della serata, hm?»
«Hey, hey, rilassati, principessa guerriera…» le disse con fare rassicurante, mentre i suoi amici ridevano sinceramente divertiti dal suo temperamento «… Se il McDonald’s raggiunge una città vuole dire che non è sperduta, non significa che dobbiamo andarci per forza»
«Ah, bene, ottima verifica!»
«Non so che tipo di gente hai conosciuto, ma non è lì che invito una donna. Sono più il tipo da pizza»
«Che tipo di pizza?» gli chiese.
«Una tonda e necessariamente servita da un cameriere. Magari in un bel localino tranquillo»
«Allora esistono ancora i cavalieri» disse lei.
«Siamo rari» sorrise lui «E poi non riuscireste a sopravvivere ai panini originali»
«In che senso?» domandò Giacomo.
«Sono più grossi, più dopati e più cattivi» gli spiegò Jackie gentilmente «Ma ci sono tanti locali dove dei cuochi degni di questo nome preparano dei panini altrettanto giganteschi e molto più deliziosi. Vero, Manlio?»
«Altroché!»
«E quindi tu sei il tipo di ragazzo che non frequenta i fast food?» domandò Francesca a Jackie e lui scoppiò a ridere.
«Siamo in America, questo è semplicemente impossibile!».
Questa volta, anche Francesca sorrise. Suo zio le si avvicinò come un granchio, di lato, le diede una leggera gomitata e poi ritornò al suo posto con lo stesso passo.
Lei lo ignorò completamente, costringendolo a ripetere la manovra.
«E la smetti!» Sbottò lei, facendo ridere piano i presenti
«Ora ho smesso» dichiarò serafico Giacomo, alzando le mani e mostrando i palmi «Allora» continuò, guardando Rodolfo «Ci vediamo stasera?»
«Va bene» replicò l'uomo, infilandosi le mani in tasca «A stasera»
«Abbiamo un sacco da fare» disse velocemente la ragazza, prendendo per il gomito suo zio «Vero zio?»
«Avete improvvisamente un sacco da fare?» Jackie sollevò un sopracciglio
«Esattamente» replicò Francesca «Ho improvvisamente necessità di fare qualcosa di urgente. Un sacco di cose urgenti».
E trascinò via Giacomo, che però mandò un bacio in punta di dita non si sa bene a chi.
I quattro italiani rimasero lì per la strada a guardarli andarsene fino a sparire dietro un angolo. Che coppia strana quei due…
«Oh, Jackie!» Gli sussurrò Rodolfo, deliziato «Aveva tante cose urgenti da fare per te!»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia «Ma che dici?»
«Deve farsi carina per stasera! Quanto t’invidio!»
«Ma smettila» disse lui «La ritroveremo esattamente così»
«E Lyana?» gli domandò Manlio.
«E Lyana?» ripeté Jackie, tirando fuori un pacco di sigarette ed accendendone una «Non stiamo ancora insieme lei ed io».
Rodolfo e Alfredo gliene scroccarono un paio «Secondo me… » disse Alfredo « … se fumi avrà da ridire»
«Per questo fumo ora»
«Facevi così anche con Lyana: diventavi una ciminiera prima di vederla!» rise Manlio
«Oh, ridendo e scherzando è lei che mi ha fatto smettere la prima volta»
«Eeeeh, l’amore!» cantò Dolfo sulle note di That’s Amore.
Jackie fece un sorrisetto sghembo, poi continuò a fumare, tirando una boccata ed espirandola poi con forza. Guardò il fumo risalire pigramente e disperdersi contro il cielo azzurro, sciogliendo i suoi ricci dapprima in onde e poi in fili, infine in un nulla luminoso. Non riusciva a smettere di pensare che forse quei due, lo zio e la sua nipotina con i coltelli, avevano qualcosa a che fare con l'affare del tomahawk e che probabilmente avevano ottima merce di scambio da offrire.
Ma non buona come la nostra” Si disse e qualcosa dentro di lui gioì.
Passarono il pomeriggio a girare pigramente per la minuscola cittadina e no, non c'era un Mc Donald's né un Burger King, in compenso c'erano almeno quattro di quegli strani negozietti dove vendevano souvenir locali, cose come scorpioni vivi, maschere tribali e statuette che rappresentavano i complessi rocciosi più famosi o cowboy e capi indiani, oltre che pacchi di caramelle dozzinali e persino panini.
«Scorpioni vivi a un dollaro!» Commentò, quasi lugubremente, Manlio «Io non spenderei neanche un dollaro per quella roba. Che diavolo ci fanno?»
«Li mangiano» disse serio Jackie, per vedere se quello ci cascava
«Oh, Giuseppe e Maria!» esclamò l'uomo «Li mangiano?»
«Si. Ma prima tagliano il pungiglione. Però li mangiano vivi»
«Maronna mia!».
Cercando di non ridere, Jack si allontanò di qualche passò per non farsi scoprire. Buttò la cenere nella scatoletta argentata che si portava sempre dietro (altro insegnamento della sua amica) e guardò la vetrina dei souvenir attraverso i suoi occhiali da sole.
Il viaggio in Italia gli sembrava sempre più probabile e credeva fosse una buona idea portare con sé qualche dono; tanto perché era estremamente importante che non facesse passi falsi e filasse tutto liscio come l’olio. Di certo i souvenir nativi americani, o comunque strani come quelli, a Roma non dovevano essere comuni. Anzi, non avrebbero dovuto proprio esserci…
Non aveva mai conosciuto il piccolo Dani, ma sapeva che sarebbe stato diffidente con lui dopo la brutta esperienza avuta con il suo quasi cognato… quindi perché non prendergli un giocattolo insolito per alleggerire la tensione che si sarebbe creata al momento delle presentazioni? Jackie non se la cavava con i giocattoli, anche se era bravo coi bambini e sopportava malamente i moderni idoli dei più piccoli: amava i fumetti americani coi supereroi o, meglio, con gli antieroi e temeva che il bambino apprezzasse di più i manga. Un giocattolo più singolare avrebbe potuto alimentare la sua curiosità, evitando un qualsiasi dilemma dovuto all’appartenenza di generazioni diverse.
Guardò i tamburi e s’immaginò un bambino di sei anni, molto simile a Lyana, suonarli nel cuore della notte.
Magari non un tamburo…
C'era anche uno di quei lunghi tubi di legno decorati e riempiti di pietruzze finissime che, rovesciato come una clessidra, emetteva un rumore simile all'infrangersi delle onde. Jackie lo fece per un paio di volte, ma si disse che non era roba per un bambino. Perchè non un antara, un flauto orizzontale a canne? Se il bambino imparava a suonarlo sarebbe stata una cosa buona.
Beh, però aveva sei anni e anche un flauto può emettere rumori, anche se non molesti come quelli di un tamburo, nel cuore della notte...
«Posso aiutarti?» Gli chiese improvvisamente una ragazza molto carina, spuntando da dietro il bancone.
Aveva lineamenti un pò da pellerossa, ma doveva essere una mezzosangue, e indossava una maglietta dei Guns 'n roses.
«Sì, per cortesia» le disse, sfoggiando un sorriso affasciante «Sto cercando un regalo per un bambino di sei anni»
«Bene!» esclamò, arrossendo appena ed avvicinandosi.
«Non conosco i suoi gusti»
«Aveva in mente qualcosa?»
«Solo un dettaglio» le disse Jackie «Qualcosa che non emetta suoni molesti!».
La proprietaria del negozio scoppiò in una bella risata e Jackie fece altrettanto.
«Ogni cosa in mano ad un bambino può diventare molesta!» Scherzò lei «Comunque scartiamo gli strumenti musicali e simili» sorrise.
Jack sorrise a sua volta «Sono molto ignorante su questa cultura» le rivelò assolutamente sincero «Non voglio essere offensivo… ma non c’è qualche gioco… tradizionale…» tentò a bassissima voce per far risultare la frase meno terribile «… Che potrebbe… affascinarlo? Puoi insultarmi»
La commessa scosse la testa e cercò di non scoppiargli a ridere in faccia «Quando ero piccola facevo impazzire la mia famiglia mettendomi una foglia in bocca e cacciando fischi acutissimi. Poi la nascondevo sotto la lingua e non mi scoprivano mai» raccontò.
«Ma questo include suoni molesti!»
«Vero!» trillò lei «Armi giocattolo potrebbero andare? No? Abbiamo delle piccole tende indiane per bambini. O costumi. Forse le bambole è meglio di no… » rifletté tra se e sé, cominciando a muoversi per il negozio «… Abbiamo degli animali intarsiati. Molto carini»
«Hmm» mormorò Jackie, osservando quello che lei gli mostrava, una fila di piccoli animali graziosi, seguita da un'altra serie di bestiole di legno un pò più grandi di una mano.
C'erano bisonti e sciacalli (ma gli sciacalli potevano essere benissimo dei lupi o dei cani), pochi cervi, un paio di aquile o forse falchi, e sembravano robusti abbastanza da poter essere regalati ad un bambino piccolo oltre che belli abbastanza da non essere esposti, anche se non erano così precisi da poter fare indovinare l'esatta specie a colpo d'occhio.
«Oh, sono molto belli» Disse Jackie
«Li facciamo io e mio fratello» ammise piena d'orgoglio la ragazza «Non sono di importazione, il legno è quello della nostra terra»
«Beh… » fece « Allora penso di aver trovato il regalo perfetto» affermò, cominciando a tirare fuori il portafoglio «Sarei alla ricerca anche di un dono per una ragazza. Pensavo ad una collana» .La commessa fece un gran sorriso, capendo al volo la situazione.
«Di cui ovviamente non capisco nulla»
«Mi dica solo il suo colore preferito» gli venne incontro.
Jackie ci pensò su qualche minuto «Di certo non avete il rosa argentato, per cui direi… bianco»
«Guardi…» disse lei, mostrandogli una rastrelliera sul bancone piena di pacchettini «… Questi sono dei set: collana, anello e orecchini. Questo… questo… e questo sono bianchi. Questi due sono bianco e rosa invece questo bianco e argento. Le incarto i giocattoli intanto, mentre decide?»
«Oh, sì, magari» le rispose Jack mentre rimuginava sul fatto che avrebbe potuto indicargliene uno e basta. I consigli dei suoi amici sarebbero stato inutili: dalla loro bocca sarebbero uscite soltanto cose come collane di perle, orecchini di perle, bracciali di perle, una macchina di perle. Jackie odiava le perle perché si rovinavano. O almeno così gli diceva sempre sua nonna.
E sempre perle gli dicevano invece gli uomini, come se una donna non potesse amare null'altro che delle sferette rotonde di colore pallido.
La commessa indicò i giocattoli, uno alla volta, come per chiedergli quali voleva.
«Non tutti, giusto?» Domandò, con un sorriso, ridacchiando subito dopo
«Non tutti» ripetè Jackie, scuotendo appena la testa «Il bisonte» disse e avrebbe voluto scegliere anche lo sciacallo o il lupo, ma aveva paura di sbagliare animale e così disse «Il cervo».
La ragazza li prese e glieli incartò con velocità e maestria; Jackie era sicuro che non avrebbe dato mostra di sé in quel modo con altri clienti, che non sarebbe stata altrettanto professionale.
«Ecco» Disse lei «I giocattoli sono pronti... e per i gioielli?».
L’uomo annuì e rimase a guardare le mani sapienti dell’altra impacchettare anche il dono per la sua amica.
«Sono per la mamma del bambino?» domandò la ragazza in un tono estremamente gentile.
«Più o meno» rispose «Sono fratello e sorella»
«Ah!»
«Ma anche mamma va bene, visto che l’ha tirato su lei».
Jackie le fece l’occhiolino e l’altra si morse le labbra, non trattenendo un altro sorriso.
«Fidanzata?» azzardò.
«No»
“Non ancora.” Si disse deciso.
«Tu lo sei?» domandò, senza lasciarle il tempo di rispondergli «Ti prego, si gentile: il mio cuore potrebbe non reggere la delusione».
La ragazza ebbe un attimo di vivido smarrimento, come quando si svolta un angolo e ci si trova di fronte un grosso tizio con una maschera di Halloween ingombrante e terrificante e per un millesimo di secondo non si sa ancora se quello che si ha di fronte è un essere umano e il cuore batte veloce, troppo veloce, per un solo attimo, come una morsa stretta nel petto e subito rilasciata che ti lascia schiacciato e intontito.
Non si aspettava quella domanda. Lei, poi, non era mai stata neppure invitata ad uscire da nessuno, figuriamoci fidanzarsi! In quel paese la conoscevano tutti e non la amava nessuno, anche se tutti dicevano che era bella.
«No, io... non sono fidanzata» Rispose, quasi tutto d'un fiato.
Jackie era soddisfatto della reazione e della risposta, ma a lei parve solo per la risposta.
«Beh, questa piccola città non ha ancora finito di stupirmi a quanto pare!» esclamò Jackie con un moderato fare teatrale «Cavalli bianchi che appaiono nel bel mezzo dell’autostrada, sciamani vecchissimi con fisici mozzafiato, due italiani pazzi che si combattono per strada con due coltellacci e ora pure bellissime ragazze senza fidanzato! Dimmi la verità…» la supplicò «… Su quale pianeta mi trovo?».
Allungò una mano verso di lei.
«Il mio nome è Jack. Perdonami se ti ho messo in imbarazzo»
L’altra gliela strinse lentamente: aveva una stretta delicatissima e due mani insolitamente morbide per essere un’artigiana.
«Mi chiamo Ivy» Si presentò lei «E non preoccuparti... non mi hai messa in imbarazzo, sono solo... molto sorpresa. Generalmente gli stranieri non mi fanno di queste domande, io sono solo... la ragazza del negozio di souvenir»
«La bella ragazza del negozio di souvenir» quasi bisbigliò lui, come se fosse rivolto ad uno suo amico immaginario, poi tornò al suo tono normale «Bene così allora, che io non ti abbia messa in imbarazzo»
«Da dove vieni?» domandò a bruciapelo lei, aggrottando un po' le sopracciglia, in un modo che la faceva sembrare pensierosa
«New York» le rispose altrettanto in fretta.
Non era vero, era di Washington, ma non gli importava. Non diceva mai da dove veniva.
«Accidenti» fece Ivy «Sei davvero lontano da casa!»
«Troppo» affermò Jackie «Ma posso vantarmi di essere stato in tanti posti. Tipo qui»
Le sorrise di nuovo.
«Sei mai stata a New York?»
Ivy scosse la testa con aria dolce «Mai»
«Bella» commentò «Particolare. Non come qui, ovviamente» fece, scherzando «Qui trovi sciamani pazzi»
«Dai… » rise lei «… Sei stato da lui? Sul serio?»
«Sì, perché? Lo conosci?»
«Si. Certo, tutti lo conoscono, qui. Tanto tempo fa... beh, quelli come lui erano importanti. Ma oggi è diverso, no? Gli sciamani non sono più come una volta, ma lui, beh, lui è come... come se volesse tornare a quei tempi. Parla strano» ridacchiò «Ma l'avrai visto da te. Comunque è buono»
«Non ne dubito» replicò lui, poi si guardò intorno «La città è così piccola» disse, come se potesse vedere tutte le case intorno a sé a colpo d'occhio e da dentro il negozietto «Sembra una di quella in cui tutti sono parenti»
«Alla lontana, ma è così» rispose lei, arrossendo un po' senza saperne il perchè
«Anche lo sciamano? Siete parenti?»
Lei non gli rispose, ma fece un gesto con la mano come per dire “così così”.
«Quando mio fratello ed io eravamo troppo piccoli per rimanere da soli… » prese a spiegargli «… Nostra madre ci portavano dai vecchi Ahanu e Saye. Eravamo lontani parenti e poi era consuetudine farlo. Letteralmente…» rise «… Ci parcheggiavano lì. Anche perché volevano che imparassimo la storia dei nostri antenati»
«Io non so proprio nulla dei nativi americani» ammise Jackie, per nulla imbarazzato «Ogni volta che apro bocca sento di aver detto qualcosa di offensivo»
«Ma no!» lo rassicurò lei
«Ma sì!» rincarò.
Lei sorrise, scuotendo un po' la testa
«Io credo proprio di no. La gente è... strana, con la nostra cultura. O con le culture degli altri in generale. C'è chi la prende deliberatamente in giro, pensando di non offenderci, e chi pensa che provare a capire la nostra cultura sia di per sé offensivo. Sono tutti... ehm... non capiscono»
«Non capisco neanche io» rise piano lui
«No, non capiscono che è semplice» spiegò lei «Noi non ci offendiamo se cercate di capirci. O se provate ad usare espressioni della nostra lingua e della nostra cultura, anzi, siamo contenti della vostra curiosità. Credo che funzioni così, beh, un po' per tutti i popoli...»
«Davvero?»
«Ma certo» disse Ivy in tono dolce «Sono sicura che Ahanu non si è offeso per ciò che hai detto»
«Lo spero proprio» mormorò l’uomo «Perché vado in giro con certi zoticoni»
Ivy annuì una volta sola «Quelli là?»
«Quelli là» ripeté Jackie automaticamente. Poi si girò e vide Manlio e Rodolfo toccare qualsiasi cosa esposta all’esterno del negozio facendo facce strane. Si voltò verso la ragazza e si liberò in un sospiro distrutto «Signore, dammi la forza…»
«Sono terribili come sembrano?»
«Anche peggio» le rivelò lugubre.
Lei sorrise, poi il suo sorriso scomparve quando Manlio guardò nella loro direzione e gridò
«Oh, senti, ma dobbiamo stare qui tutto il giorno?»
«Che altro hai da fare?» replicò, una punta spazientito, Jackie
«Chennesoio... vedere altri negozi?»
«E vacci, no, a vedere gli altri negozi!»
«E tu vuoi essere lasciato qui?» domandò Rodolfo, zampettando verso di lui con un ghigno da gatto del Chesire, pieno di sottintesi
«No, poi vi raggiungo» tagliò corto il più giovane, incrociando le braccia sul petto e facendo quasi immediatamente un gesto di impazieza con la destra.
I due uomini, sorridendo entrambi in modo sinistro, uscirono dal negozio dandosi di gomito.
«Come dicevo» Riprese Jackie, guardando Ivy «Anche peggio».
La ragazza però non sorrideva più.
L’atteggiamento dei suoi amici l’aveva fatta sentire a disagio. Jackie inclinò la testa di lato, assumendo un’espressione dolce e assieme addolorata.
«Mi spiace, sanno essere davvero pessimi» Le sussurrò «Ma sono meno terribili di quanto tu possa pensare»
Ivy inarcò le sopracciglia «Davvero?»
Gli angoli della bocca di Jackie tremolarono «… Ehm…».
Lei sorrise un mezzo secondo, come se un colpo l'avesse spaventata inducendola ad assumere quell'espressione, poi disse
«Va bene, non fa niente... l'hai detto. Sono... sono...»
«Mettono la gente a disagio» cercò di aiutarla Jackie
«Si. Lo fanno»
«Mettono a disagio anche me. Sono due zoticoni maleducati»
«Non preoccuparti. Non è vero che le persone si possono capire da chi frequentano... a volte non è colpa loro».
Jackie sostenne il suo sguardo con un’espressione morbida. Trovava le parole dell’altra vere e anche comode per lui. Non aveva mai avuto grandi aspirazioni e non era stato lui a cercare di frequentare persone simili: erano sempre state presenti nella sua vita. I suoi genitori erano morti in un incidente stradale quando lui era soltanto un bambino e loro, amici di suo padre, si erano occupati di lui come avevano potuto quando i suoi nonni non potevano farlo. La sua unica preoccupazione al giorno d’oggi era aiutare i suoi nonni, che stavano diventando sempre più vecchi e pericolosi per loro stessi e il signori Innocenti pagava bene: con quei soldi niente era un problema e non aveva mai pensato di fare qualche altra cosa se non il suo dipendente. Non aveva mai pensato di lasciare quel lavoro nemmeno per la donna per cui era ossessionato.
Ciò non toglieva, comunque, che i suoi compagni potevano essere davvero un handicap in molte situazioni… tipo quella.
«Ivy! Ivy!» Chiamò una voce virile, leggermente ruvida, da qualche parte nel fondo del negozio
«È mio cugino» si affrettò a chiarire lei «Ha bisogno di aiuto, per ora, si è fratturato una gamba poco tempo fa... ma, senti, se hai bisogno di aiuto o qualcosa...» lei prese un bigliettino dal bancone e ci scribacchiò sopra velocemente una serie di cifre «...Questo è il mio numero di telefono. Non chiamare a quello del negozio, che c'è sul biglietto da visita, sennò ti rispondono altre persone».
Lei sorrise nel dargli il pezzo di cartoncino, poi si allontanò salutando rapidamente con la mano.
Dopotutto i suoi compagni non avevano rovinato tutto...
Anche se non poteva più vederlo, né sentirlo, Jackie la salutò a sua volta e, presi i pacchetti, si diresse verso l’uscita. Si domandò se gli altri si fossero allontanati tanto ma, quando uscì di fretta dal negozio di souvenir, non fece in tempo a fare qualche passo che quasi vi si scontrò.
«Hey, bimbo, sta attento!» Protestò Alberto, lasciandolo di stucco
L’uomo inarcò un sopracciglio «Che diavolo state facendo qui?»
I tre sghignazzarono.
«Perché non siete in giro?»
«Siamo qui a ricordarti di trattare bene la tua amica fino a domani» lo canzonò Rodolfo, mentre riprendevano a camminare tutti assieme.
«La tratto sempre bene»
«Ah-ha…» fecero gli altri.
«Piuttosto, che ore sono?»
«Non è presto» rispose Rodolfo, guardandosi l'orologio «Ma manco tardi... sono le sei e trenta»
«Veramente?» Jackie aggrottò le sopracciglia «Fate sul serio?»
«Si»
«Non s'è accorto che il tempo passava, il bimbo» ghignò Manlio
«No, ma che... che dici? Abbiamo scambiato giusto quattro chiacchiere, non può essere passato così tanto tempo!»
«Vabbò, abbiamo pure girato un poco in città e tutto il resto»
«Quindi non è presto» insisté lui «Non ci siamo dati un orario preciso, forse dovremmo tornare»
«Che c’è?» fece Alfredo « Ora sei ansioso di andare a cena fuori? Non è bene che smani! Ti sei già lavorato la ragazzina del negozio, vuoi anche l’altra?»
«Hai già Lyana!» rise Manlio «Lasciaci qualcosa a noi!»
«Fottiti!» imprecò Jack, mentre sentiva il cellulare vibrare e si affrettava a prenderlo.
I suoi amici lo derisero «Guarda che se fai così ti va male con tutte e due!»
Rodolfo cercò di leggere il messaggio «Se ci provi con una non puoi dedicarti ad un’altra femmina! Davanti a lei poi!»
«Fatti i cazzi tuoi» ringhiò brevemente Jackie, sottraendo il telefonino dalla portata dello sguardo di Rodolfo.
Tutti risero.
Il cavallo bianco, probabilmente lo stesso che gli aveva sbarrato la strada prima, comparve da un angolo, al trotto leggero, e sparì subito dopo dietro un gruppetto di fabbricati.
«Questo posto è terribile» Commentò Manlio, chiedendosi immediatamente perchè avesse usato proprio il termine "terribile". Nessuno lo guardò o commentò.
Fecero dietrofront e cominciarono a camminare nella direzione del motel. Alle spalle di Manlio, Jackie rispondeva rapidamente ai messaggi della sua amica senza guardare dove metteva i piedi: aveva da tempo imparato a seguire l’ombra della mole di Manlio e, dopo qualche tempo, i suoi tre amici avevano passivamente accettato la sua tecnica.
«Ho deciso» disse all’improvviso e tutti lo degnarono di un lieve sguardo «Andrò un mese in Italia».
Immediatamente smisero di guardarlo e Rodolfo si liberò in un sospiro rassegnato.
«Pensa a tenere la pistola carica, bimbo» Replicò Alfredo con voce cupa «Se ci vuoi arrivare in Italia».
Rientrarono in silenzio e iniziarono a prepararsi, ognuno con i suoi piccoli riti, Manlio e Alfredo che si contendevano il bagno dapprima a bassa voce, minacciosamente, poi sempre più rumorosamente finchè Rodolfo non ci entrò per primo, sotto il loro naso, fregandoli. Jackie si sedette sul letto, un piede per terra e l'altra gamba sollevata, ancora con il telefono in mano.
Un corvo si posò sul davanzale della finestra aperta, guardò dentro come se si aspettasse che non ci fosse nessuno, giusto per un secondo, e poi volò via lanciando un piccolo grido rauco che riscosse Jackie dalla conversazione.
Quella città era troppo strana, pensò, e non gli stava piacendo affatto… a parte la dolce Ivy, ovvio. Lei era ok. E magari lo era anche la signora Sayen. Ma tutto il resto era terribile. Voleva tornare a Washington al più presto: non sapeva ancora con che razza di avversari si sarebbero scontrati l’indomani e quella sera, forse, ne avrebbero conosciuti due.
Poggiò il telefono sul comodino e caricò le pistole gemelle che portava sempre con sé, mise loro la sicura e le lasciò sul letto, accanto al resto delle munizioni che si sarebbe portato. Fece un rapido calcolo e si annotò il numero sull’avambraccio, in modo che nessuno avrebbe potuto leggerlo
poiché sarebbe stato coperto dalla camicia e poi, ai lati, vi scrisse altri due numeri a caso.
Guardò nuovamente la finestra, ma il corvo non era più tornato a spiarli.
Il telefono vibrò ancora e Jack si stese sul letto per raggiungerlo.
«Hey…» lo richiamò Alfredo al presente «… Hai controllato se sono in strada? »
«Perché devo farlo io? » domandò a sua volta in tono incolore « C’è Dolfo vicino alla finestra»
«Devi farlo tu perchè devi fare esperienza» borbottò Alfredo
«Tipo che non ne ho» mormorò ancora più piano Jackie, talmente piano che l'altro lo guardò con faccia stranita prima di lasciarlo in pace.
E poi fu l'ora. Jackie li guardò, quei suoi compagni, schierati quasi in fila nella piccolezza della stanza: sembravano dei manichini ricoperti di profumo.
Dolfo faceva dei sorrisetti.
«Andiamo, cammina, cammina!» Disse Alfredo «E chiudi quel cellulare, che se ti chiama la tua mentre sei con l'altra ti scordi pure di parlarle!».
Sospirando, Jackie lo seguì: se era così allegro, voleva dire che Dolfo aveva avvistato quella gente fuori dalla finestra e gli aveva fatto qualche segno.
Non aveva alcuna intenzione di spegnere il cellulare: voleva continuare a mantenere il contatto con la sua amica; non poteva cedere proprio adesso e a nessuno importava! Tuttavia Alfredo aveva ragione, perché nessuna ragazza avrebbe apprezzato un uomo che dedicava tutta la sua attenzione ad un’altra donna. E quando le scriveva era capace di dimenticarsi di tutto per ore intere.
Avrebbe dovuto essere felice, ma fu con una certa aria lugubre che scese le scale, alle spalle dei suoi amici, diretto verso quella serata che si prospettava assurda. Però loro gli parevano abbastanza contenti. Manlio spalancò addirittura le braccia come se si stesse rivolgendo a dei vecchi amici quando li raggiunsero: abbracciò il suo omonimo con calore ed il suo entusiasmo non risparmiò nemmeno Francesca. Sbarrò talmente tanto gli occhi che Jackie non riuscì a trattenere uno scrocio di risa assieme ai suoi compagni mentre la vedeva paralizzarsi tra le braccia dell’altro ed essere sollevata da terra.
«Hey!» esclamò, sorreggendola per le spalle quando fu lasciata andare con ben poca grazia « Tutto bene, miss? »
«Non mi chiamo “miss”!» precisò.
«Ok, Xena» si arrese Jackie, chinandosi su di lei per salutarla con una stretta di mano ed un bacio su entrambe le guance « Svolte le tue faccende urgenti? » le domandò, facendole l’occhiolino per farle capire che stava scherzando.
«Io sì» rispose prontamente « E tu? »
Jackie pensò ai regali comprati e alle armi cariche.
«Certamente» le sorrise.


Continua... 
Parte 4>

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