lunedì 8 giugno 2015

Il Tomahawk del Windigo - Parte 2

Scritto da Sarah Darkness e Elisabetta Palmeri
  Il tomahawk del Wendigo - Parte 2
<Parte 1

Pomeriggio d'attesa
Il cellulare vibrò di nuovo.
«E ora comincia a chiederle scusa» gli consigliò Alfredo.
«Che ti ha dato la signora?» gli domandò Dolfo, guardandolo appena dallo specchietto.
Jackie aprì la mano: era un minuscolo acchiappasogni. Carino.
«Hai visto, Jackie? Hai trovato pure il regalo!» sorrise Manlio gioviale.
«Lavoratela» gli consigliò l’uomo seduto al suo fianco «Non abbiamo molto tempo».
Jackie iniziò rapidamente a scrivere un messaggio.
«Una telefonata no, eh?» Sogghignò Manlio. Jackie lo ignorò: scrivere era più facile, riusciva ad essere più delicato, a ragionare di più e, ovviamente, a non dire cose avventate. E poi lei avrebbe apprezzato.
Il motel si avvicinava all'orizzonte quando il ragazzo era riuscito finalmente a convincerla, non sapeva neanche lui come, a fare quell'affare.
"Solo per te" Aveva scritto lei "E per evitare che la cosa che state per prendere finisca nelle mani sbagliate".
Poco importava che, con un oggetto così terribile, persino le mani del signor Innocenti potessero essere sbagliate.
«A che punto sei?» Domandò quasi delicatamente Rodolfo, accostando.
Jackie alzò la testa, spostando lo sguardo dallo schermo del telefonino alla faccia dell'uomo
«Credo di avercela fatta. Credo che... sia così».
Sia Manlio che Dolfo sorrisero, due sorrisi da sciacalli.
Il motel era grigio fuori e grigio dentro, cemento grezzo all'esterno e muri grumosi all'interno, ma non era troppo brutto e c'era anche un piccol bar vicino che sembrava frequentato esclusivamente da belle ragazze.
«'Mericane, gniammi» Commentò Manlio, guardando fuori dalla finestra
«Tanto non ti vogliono, quindi non fare il pedofilo, che se sono bambino io, loro sono neonate» commentò Jackie.
La loro stanza era la numero quindici, minuscola, con tre lettini che sembrava impossibile stessero tutti nello stesso locale senza toccarsi fra loro. La finestra, almeno, era bella grande, ma il posto era comunque caldissimo.
La prima cosa che fece Jack una volta entrato, fu lasciarsi cadere nel letto più lontano, vicino alla porta del bagno; Manlio fece altrettanto, ma buttandosi sul piccolo letto matrimoniale posto al centro della stanza (non molto più grande di quelli singoli), mentre Alfredo si ritirava in bagno; Rodolfo invece si mise subito alla ricerca del telecomando.
«Che mangiamo stasera?» Domandò Manlio.
«Italiano, che domande!» rispose Dolfo, iniziando uno zapping feroce contro la tv.
«Cinese!» propose Jackie, alzando le mani in aria con entusiasmo
«Mai!» urlò la voce soffocata dell’occupante del bagno
«Sì!» esclamò il giovane «Voglio tutti quegli spaghettini di soia piccoli piccoli come un gomitolo di capelli!»
«Smettila di dire queste porcherie!» lo rimproverò Manlio, irritato «Non le devi mangiare quelle schifezze! Quei fetenti danno gatti e cani morti!»
Jackie scoppiò a ridere «L’unica cucina italiana che accetto è quella di Lyana» sorrise, chiudendo gli occhi «Altro che spaghetti coi polpettoni!»
«Che ti hanno fatto di male gli spaghetti coi polpettoni?» gli abbaiò contro Dolfo, la cui voce venne coperta dal “mmmmmm” avido del loro amico
«Niente! È che li facciamo solo noi!» rise il ragazzo.
«Aaah!» si lamentò l’altro, scocciato.
«“Aaah!” un corno! Tanto lo so che mancano pure a te le sue torte e i suoi sughi! » lo prese in giro «E non dirmi che non è così!»
«Oooh, le sue pastiere!» sospirò Manlio col tono di uno che stava più ricordando una bella donna, che un dolce.
Rodolfo diede un colpo di tosse, poi dichiarò a voce alta
«Tanto cinese non mangiamo»
«Sei noioso» borbottò Jackie
«Sono tradizionalista» lo corresse l'uomo, controllandosi noncurante l'orologio.
In quel momento, il telefono del ragazzo squillò; Jackie lo prese, guardando il nome che compariva sullo schermo. Era lei. Si affrettò a rispondere, premette il pulsante, ma la voce della ragazza lo sorprese prima che lui potesse dire "Ciao".
«Jackie, ascolta, stavo pensando a quello che mi hai detto. E ho pensato che dovevo sentire la tua voce»
Anche se era una frase semplice, il cuore del ragazzo fece tre capriole nell’udire quelle parole.
«Avevo deciso di chiamarti prima di andare a dormire, ma hai fatto prima tu!» Le disse felice, senza riuscire a trattenere un sorriso che gli altri non poterono fare a meno di notare e che li contagiò «Ciao».
La ragazza rimase in silenzio e Jackie se la immaginò a mordersi un labbro, trattenendo un sospiro «Ciao» Sorrise a bassa voce.
Rimasero in silenzio per qualche istante.
«Mi hai chiamato solo per questa storia?» gli domandò Jack, fingendosi offeso
«Oh, Jackie!» s’innervosì lei «Non cercare di scherzare! Non è la prima volta e nemmeno la seconda che mi tirate in mezzo ai vostri pagamenti!»
«Scusa…> cercò di farfugliare, dispiaciuto del suo improvviso scatto di rabbia, ma l’altra non l’ascoltò
«È la diciassettesima volta! E non sarà nemmeno l’ultima, vero?!» lo accusò «Non voglio conoscere nessuna di quelle persone! E se chiamassi il signor Innocenti e gli raccontassi tutto?»
Jackie sentì come un blocco di ghiaccio scendergli nello stomaco «Ti prego…» la supplicò « … Non dirglielo»
« … »
«Lui sa che ci aiuti di tua volontà…»
«Ah!» fece lei «E così che si dice quando non mi date scelta?»
«Sì!» disse Dolfo e il ragazzo gli fece cenno di tacere, mentre si alzava e correva fuori dalla stanza, verso le scale.
«Ti prego, baby, calmati…» La scongiurò sentendosi un verme come tutte le volte.
«Non chiamarmi baby» lo zittì lei, prima di sospirare per il casino che proveniva da casa sua «Jackie, davvero: non potete chiedermelo prima? Almeno per gentilezza?»
«Ehm…» l’uomo si sedette sulle scale, controllando che nessuno lo stesse ascoltando «… Amore mio, il signore Ahanu è stato un osso duro…»
«Mmm»
«Dico davvero!» esclamò l’altro «Avresti dovuto vederlo, era un matusalemme ma con un fisico da paura! Ed era tanto gentile! Avresti adorato lui e sua moglie, la signora Saye. Era una vecchina adorabile. Sareste andate d’accordo… mi ha fatto anche un regalo»
«Davvero?» domandò lei atona.
«Non ti dico bugie, me lo ha fatto per davvero. È un acchiappasogni…» le raccontò «… E vorrei che lo avessi tu».
Dall’altra parte della chiamata, la ragazza rimase in silenzio. Poi commentò «La vedo un po’ dura con te in America e me in Italia»
«Eh… » ridacchiò lui «… Magari il signor Innocenti mi permetterà di fare una bella vacanza, che ne sai…»
«Lo spero per te» fece lei mentre le sue parole venivano coperte da schiamazzi terribili «Ascolta una cosa… »
«Ti ascolto»
«Il signor Ahanu è davvero una brava persona? Non è come quel pazzo che ho dovuto lasciare per un mese nelle catacombe... »
« Oh, no, no!» si affrettò a rassicurarla «È gentilissimo e cortesissimo, un pezzo di pane. Gli sono brillati gli occhi quando ha sentito di te. Ti tratterà bene. Fallo anche tu»
«Lo faccio sempre» brontolò lei.
«Lo s » sorrise lui «Hai un cuore d’oro».
Lyana sbottò in un accenno di risata, poi gli parlò con una voce infinitamente malinconica « Jack, non ho voglia di discutere con te… non mi va di litigare»
«Eh, lo vedo» la prese in giro lui, ridendo «Perdonaci…»
«Vi perdono» mormorò la sua amica «Anche se non ve lo meritate. La prossima volta non vi aiuterò»
«Lo so, lo so» disse Jackie in una cantilena allegra
«Smettila, sei tremendo!»
«Lo so, lo so!» ripeté nello stesso modo e lei si aprì in una risata «Come va la pasticceria? »
« Va tutto bene, grazie» rispose lei in tono dolce «Abbiamo clienti di tutti i tipi: pazzi, maghi, professori, lupi mannari, avvocati… tutti».
Un tonfo sonoro provenne da casa sua e lei ringhiò infuriata.
«Fate piano!»
«Che è stato?!» domandò Jack
«Hanno fatto cadere una sedia!» si disperò Lyana
«Il tuo fratellino?»
«E mio cugino…» precisò «Oddio, che stanchezza… si è rotta…»
Jack si guardò intorno «Tuo cugino vive ancora con te?»
«Ah-ha… » gli rispose.
«E Ale?» le chiese « Come va con Ale?»
Steliana non gli rispose. Non subito.
«Lo sai tu?» gli domandò a sua volta con fare acido «È tornato in Alaska ad allevare quello schifo di bestie! Spero se lo mangino!».
Jack rimase in silenzio, lasciandola sfogare: odiava l’uomo a cui si era legata. Una volta ne era stato geloso, ma ora l’odiava e si sentiva legittimato nel farlo. Soprattutto da quella volta che aveva deciso di ripartire nonostante l’altra fosse finalmente riuscita a rimanere incinta una seconda volta, non ritornando nemmeno per aiutarla quando ebbe un aborto spontaneo. Era diventato un’altra persona dopo l’orribile fine della loro prima gravidanza.
«Gli ho detto che se non torna entro la fine del mese, porto tutto da sua madre e non lo voglio più sentire, né vedere»
«Davvero?» le domandò Jack apparendo un pò troppo emozionato.
«Davvero» grugnì l’altra a denti stretti «Mi sono rotta di essere seconda ai suoi animali»
«Quindi non hai accettato la sua proposta… insomma… il fidanzamento?»
«No» mormorò dopo alcuni secondi.
No. Jackie sperava di aver capito bene. "No, non ho accettato il suo fidanzamento" Piuttosto che un "No, invece ho accettato il suo fidanzamento". Il no è una cosa molto, molto vaga, specie se è mormorato.
E poi quello non la meritava, perciò perchè, perchè si ostinavano ancora a provarci?
«Non... non ho... cioè... ok» Disse il ragazzo, perchè gli sembrava poco educato dire "non ho capito bene" «Se non vuoi parlarmene va bene, ma... mi piacerebbe sapere».
« No, no, figurati… » lo rassicurò dolcemente « … non preoccuparti. E che…»
Un nuovo tonfo, seguito da una serie di colpi sonori e delle grida sguaiate, che Jack non capì, costrinsero la donna a gridare nella sua lingua. Non era un asso in italiano, ma riuscì ugualmente a capire cosa strillò ai suoi parenti.
«Smettete immediatamente questo gioco meschino!» tuonò e qualcuno le disse qualcosa «Non m’interessa! Non potete distruggermi casa!»
«Ma stiamo…» cominciò una voce «… Dai, è divertente!» piagnucolò presumibilmente la vocina di Dani, il suo fratellino.
«No che non lo è!» urlò Steliana «Il vicino di sotto lavora all’ambasciata turca!»
« Ma è uscito» si lamentò una voce più adulta; suo cugino, s’immaginò «L’abbiamo visto dalla finestra»
«Non m’interessa! » ringhiò « Smettila di insegnargli questi giochi idioti! »
«Ma è divertente!» protestò l’altro.
«Non è divertente!» si arrabbiò sempre di più la cugina «Ha fatto questo gioco anche a scuola!»
«E allora?»
«E allora ha un compagno che è nato ad Ankara, razza di imbecille!».
Jack scoppiò a ridere: aveva sentito il tonfo ovattato di un cuscino e poi gli scatti di una pistola giocattolo. Steliana doveva avergli sparato contro con la nerf rosa che le aveva regalato tanti anni prima. Lei adorava le nerf custome. E lui adorava regalargliele.
«Ma sei pazza!? Non li vedo! Smettila!» La supplicò suo cugino «Smettila!» gridò.
«Sta’ zitto e pentiti!»
«Mai»
«Insegnagli un gioco normale!»
«Ma noi giocavamo a questo da bambini!»
«Lascia i tuoi giochi razzisti fuori da casa mia o ti stacco la testa!»
«Hey, calmati, Xena!» cercò di distrarla Jack, alzando la voce per farsi sentire sopra le sue urla che lo stavano facendo diventare sordo «O spenderai una fortuna ed io avrò soltanto ascoltato la tua voce soave!»
«Smettila pure tu!» lo attaccò Steliana e lui scoppiò a ridere, subito seguito da lei. Glielo aveva detto in un tono infantile, quasi quanto quello del suo fratellino.
«Stai strillando come un’arpia!»
«Basta!» rise lei, cercando di suonare minacciosa «E non li salvare! Sto mantenendo la famiglia del falegname e di Yusuf con tutti i danni che devo pagare!»
« E che mai avranno fatto!» la canzonò lui.
«Lascia perdere…» cambiò discorso «… Non puoi capire»
«E va bene, ti credo!» annuì Jack, a cui non interessava affatto quel discorso: voleva capire la storia del fidanzamento «E quindi mi stavi dicendo?»
«Ah… » sospirò la sua amica, che non era molto ansiosa di ripetersi «… Quando mi ha detto che doveva ripartire per qualche mese mi sono arrabbiata come… come…»
«Un’arpia. » le suggerì lui e l’altra rise: amava la sua risata. Era così dolce.
«Come un’arpia, sì!» ridacchiò, per poi incupirsi «Allora gli ho gridato contro di tutto»
«Perché ti riesce bene…» mormorò Jackie
«Oh!» lo zittì «Se non la smetti ti picchio! » lo minacciò « Dai, sul serio… »
«Scusami» disse subito lui «Continua, ti prego, non volevo fare il coglione anche se… beh, l’ho fatto»
«Già» fece lei, ma non sembrava essersela presa «Non fa niente… Vabbè, comunque gli ho vomitato addosso tutta la mia rabbia e gli ho detto di andarsene dai suoi amati cani»
«E lui?»
«E lui doveva partire due giorni dopo» mormorò Steliana «Ha passato le giornate con sua madre e io non gli ho permesso di parlarmi. Allora l’ultima notte…»
Fece una breve pausa.
«… Ha insistito perché lo ascoltassi e…»
Jackie sentì di avere la gola secca.
«… Mi ha dato l’anello, promettendomi che sarebbe tornato presto e che mi avrebbe sposato. Diventando una vera famiglia».
L’italoamericano non trovò nemmeno la forza di deglutire: sentiva le gambe molli e l’addome di gelatina «… E tu?» le domandò in un soffio.
Lyana respirò più forte: aveva la voce rotta «Gli detto che doveva prima dimostrarmelo e sono andata a dormire. Ha cercato di mettermelo… ma non ho voluto…»
Jackie si morse l’indice, teso.
«Tanto non tornerà» mormorò la sua amica «E io mi sono stancata. Lo dovevo lasciare, ma sentivo di aver tanto bisogno di lui dopo… dopo… quello»
«E non vi siete più parlati?»
«Non gli voglio parlare» gli spiegò lei «Tanto mi parlerà di nuovo di quei cani strani. Non so nemmeno che sta descrivendo… Oh, Lyana…» imitò la voce di Ale «… Sono bellissimi! Sono nati ieri! Tutti col pelo a spuntoni e gli occhietti neri, con quei dentini aguzzi! Non so che razza di cuccioli di cane gli passino tra le mani: mostri di Chernobyl, credo… » ironizzò, tornando a parlare con la sua voce «Invece tu?» gli domandò, mentre lui le chiedeva «Quindi non vuoi sposarlo?»
Rimasero entrambi in silenzio.
«… No» Disse soltanto, in un primo momento «Jackie, lo sai tu, lo so io: non tornerà. Non alla fine di questo contratto come mi ha promesso».
Jackie inspirò a fondo, allontanando un pò il cellulare dall'orecchio per evitare che lei ne sentisse il rumore. Oh si, oh si, lui non tornava, si disse, lui non sarebbe tornato, lei non lo avrebbe sposato...
Cercando di nascondere la felicità, riavvicinò il telefonino ed esalò
«Buon per te. Davvero. Cioè, lo so che sarebbe stato meglio se lui fosse stato... diverso. Ma non è diverso. E allora è meglio se non torna, giusto?».
La ragazza esitò un istante, poi a Jackie parve quasi di poter sentire il suo sorriso, un sorriso flebile dall'altra parte del mondo
«Giusto» disse.
Ancora un colpo, come di un mobile trascinato contro il pavimento. Jackie ridacchiò
«Ti faranno impazzire!»
«Sono già impazzita» replicò lei
«Adesso chiudi, dai, sennò i soldi volano dalla finestra. Chiamate intercontinentali!»
«D'accordo. Ciao... ah, ripetimi quando dobbiamo fare quella cosa con lo sciamano?»
«Domani. Al tramonto»
«Ok. Ciao»
«Ciao».
La chiamata si interruppe.
Jackie strinse forte il telefono e trattenne il respiro, infilandosi la testa tra le ginocchia.
Era andato tutto bene: non ce l’aveva con lui. Si sarebbe tenuta libera per l’indomani e non li avrebbe fatti attendere. Ahanu avrebbe scelto loro, lo aveva detto chiaro e la sua amica avrebbe conquistato il suo cuore. Avrebbero avuto un altro contatto per il futuro. E poi non si sarebbe sposata!
Jack non poteva descrivere la moltitudine di emozioni che gli stavano facendo battere il cuore all’impazzata, mozzandogli il respiro.
Si alzò con uno slancio che lo fece saltellare sui gradini e, facendo una giravolta come se stesse ballando, ritornò verso la sua stanza. Ma quando fu nelle vicinanze vide i volti di tutti i suoi amici schiacciati contro il vetro della finestra.
«Che state facendo?!» abbaiò.
«Guardiamo» Risposero in coro i due
«Più vaghi di così no, eh?» li canzono Jack, poi si avvicinò e cercò di guardare anche lui, ma la mole di entrambi i colleghi copriva quasi completamente il vetro.
Spazientito, sbuffò
«Vi fate più in la'?».
Rodolfo si scansò un poco, ma proprio qualche centimetro, giusto perchè il più giovane potesse dare un'occhiatina fuori.
C'erano due persone giù in strada, una ragazza alta e castana, con i capelli corti, e un uomo che le somigliava molto, che avevano tutta l'aria di stare combattendo con dei coltelli da sopravvivenza. Le ragazze del bar davanti li stavano fissando e probabilmente si stavano anche scambiando commenti sull'aspetto dell'uomo che, bisognava dirlo, aveva l'aria spavalda e attraente.
«Ma che stanno facendo?» domandò Jackie, aggrottando le sopracciglia.
«Non lo so» fece Manlio «Ma lei è carina»
«Sì» acconsentì il ragazzo « Anche se da lontano tutto appare più bello. Potresti avere spiacevoli soprese. »
«Nah!È carina davvero! »
«E anche il fidanzato non è male…» commentò Dolfo.
Jack e Manlio si voltarono a guardarlo storto.
«… Voglio dire!» continuò l’altro, agitato «Quelle cosce lunghe al bar non gli staccano gli occhi di dosso!»
«Mh» fece Jackie, facendo un enorme sforzo per non prenderlo in giro «Sì, infatti è meglio guardare loro»
«Tu non puoi!» replicarono i suoi amici. 
 
«E perché, di grazia?»
«Perché devi pensare all’amica tua» rispose il più corpulento dei due «Le hai detto che deve farmi la pastiera?»
«No» alzò gli occhi al cielo Jackie «Glielo puoi chiedere tu di persona se convinci Alberto a mandarmi in vacanza e mi accompagni!»
Manlio rise «Vedremo» Poi aggiunse «Ma sono veri coltelli quelli che hanno?»
«Che voglia di tirargli i petardi…» sospirò il più giovane, sconsolato.
Ma di petardi in tasca, il giovane non ne aveva. D'improvviso, però, la ragazza fu ferita di striscio sopra il polso destro e lanciò un'imprecazione così italiana che non c'erano dubbi riguardo al suo paese d'origine.
«Sono compaesani» Si stupì Rodolfo, facendosi un pò indietro «Possiamo parlargli»
«E dirgli che? Che sono dei pazzi che si tagliano con i coltelli» scherzò Manlio, ridendo poi della propria battuta.
Jackie non disse nulla, ma era interessato: sentiva che in qualche modo non era un caso che quelle persone fossero lì, sotto il loro albergo, italiani... e forse interessati al loro stesso oggetto.
Certo non sarebbe stata una cattiva idea controllare. Magari scendere per andare a cena e parlare in dialetto nelle loro vicinanze, fingendo una casualità e invitandoli con loro con la scusa di aiutarli in quel paese straniero. Gli puzzava che fossero in una cittadina così triste e senza alcun tipo di attrattive. Non era mica Las Vegas!
Jackie ci era nato in quel continente, ma i suoi colleghi no, si erano trasferiti da bambini: sarebbe stata una cosa carina fingere di volerli aiutare e magari farli sentire più a loro agio parlandogli nella loro lingua. E scoprire che cosa cavolo ci facevano lì, con quei coltelli da battaglia. Magari sentirli dire che anche loro dovevano presentarsi da Ahanu. Carpire informazioni e giocare d’astuzia contro di loro. Oppure eliminarli, semplicemente.
Si voltò a guardare i suoi compagni: Alfredo e Dolfo indossavano completi italiani un po’ trasandati, con quelle orribili bretelle e le catenine d’oro, impeccabile il primo e canottiera in vista il secondo; Manlio invece indossava una tuta sportiva dai colori improbabili. Lui, Jackie, invece amava i completi scuri, con cravatte rosse, viola o bianche, come le sue camice. Tanto per essere diverso dai suoi colleghi, ma erano ugualmente lo stereotipo degli italoamericani mafiosi. E ne erano orgogliosi.
Però potevano andare, erano presentabili e non troppo minacciosi.
«Vado avanti io» Disse Jackie
«Cosa?»
«Andiamo a conoscerli. Potrebbero essere utili. Oppure anche no. Ma io voglio conoscerli»
«Sono dei matti» borbottò Dolfo «Ti tagliano a fettine. Pensavo che fossero australiani, però, non paiono italiani»
«Andiamo» disse il più giovane, come se non avesse sentito nulla
«Jackie, no!» cercarono di fermarlo mentre si avviava alla porta
«Non mi taglieranno a fettine» disse l’altro «Sarò più veloce io con la pistola! »
«Ma non dire cazzate!» Sbottò Dolfo «In uno scontro pistola-pugnale, è quello con il coltello in vantaggio se ti sta vicino!»
«Tranquillo» fece Jackie «Alfredo, vieni sì o no? Sto morendo di fame!».
La porta del bagno si aprì e finalmente ne uscì Alfredo con un’aria arcigna.
«Ah, ma sei vivo allora. Pensavo fossi caduto dentro la tazza… »
«Ma sta zitto!» lo aggredì lui «Chi sono quei due?»
«Andiamo a vedere».
Alfredo grugnì una serie di frasi che nessuno riuscì a comprendere. Afferrò la giacca e se la mise sulle spalle.
«Quindi sei d’accordo?» domandò Jack, indeciso se aprire la porta o no.
Alfredo lo guardò negli occhi come un cattivo vecchio stile, poi sbuffò
«Quelli sono nel nostro territorio. Non possono mettersi a fare i buffoni nel nostro territorio, siamo noi gli italiani veri, qui».
Jackie sorrise per non mettersi a ridere. Oh, le sciocchezze sul maschio alfa e il suo branco usate per nascondere una semplice curiosità.
«E sia» Disse il ragazzo, aprì la porta e prese a scendere le scale, sentendo i passi di Alfredo seguirlo da molto, molto vicino, abbastanza da aver paura che se avesse rallentato quello lì gli fosse finito addosso.
In strada la ragazza e l'uomo avevano ricominciato a combattere, lei si era fasciata il polso e ogni tanto emtteva brevi grida che somigliavano a ringhi, come per spaventare l'avversario.
Dolfo e Manlio uscirono dietro Jackie e Alfredo e rimasero lì, con l'effetto generale di essere quattro mafiosi italoamericani ammucchiati e capitati per caso in una città del Far West, chiaramente nel film sbagliato.
Più si avvicinarono e più cominciarono a credere che i due sconosciuti fossero parecchio bravi a maneggiare quei coltelli. Trovarono solo sciocco farlo così, in mezzo alla strada, alla portata di tutti. Se li avesse notati qualche sbirro avrebbero passato una bruttissima nottata.
Il che diede a tutti loro da pensare.
Avvicinandosi per primo, Jackie si annunciò scoppiando in una breve risata seguita da un caloroso applauso «Ma che bravi!» disse in italiano, per poi tornare a parlare in inglese «Siete artisti di strada?».


Continua...

Parte 3>

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