giovedì 5 aprile 2018

Sunset 26. Grande passione sportiva



«Billy!» Esclamò Carlo, appena sceso dall'auto.
Mi voltai verso casa e feci un cenno a Jacob dal mio punto riparato, sotto la veranda. Sentivo Carlo salutarli a gran voce.
«Farò finta di non averti visto al volante, Jake» Disse papà al ragazzo rimproverandolo
«Alla riserva la patente si prende prima» rispose Jacob, mentre aprivo la porta e accendevo la luce della veranda.
«Ah si, come no». Mi sentii sciogliere, sentendo mio padre che rideva.
«Dovrò pure muovermi in qualche modo, no?» Riconobbi la voce profonda di Billy all'istante, malgrado gli anni trascorsi. Sentirla riusciva sempre a riportarmi all'infanzia, alle ginocchia sbucciate e alle canne da pesca troppo alte per me.
«Billy!» Esclamai con calore, salutando con la mano verso l'auto in cui era seduto. Volevo togliere la patina di imbarazzo che si era creata poco prima. Jake ci guardava incuriosito, quindi Billy si sforzò di sorridermi come se niente fosse, ma vedevo che era ancora teso.
«Ciao, Belarda».
Entrai, lasciando la porta aperta alle mie spalle, e prima di appendere il giubbotto attesi tutte le luci.
Poi restai sulla soglia ad osservare papà e Jacob che tiravano fuori Billy dall'auto e lo facevano accomodare sulla sedia a rotelle.
Feci largo ai tre che entrarono in fretta, scrollandosi per asciugarsi dalla pioggia.
«Che sorpresa!» Esclamò Carlo
«È una vita che non ci si vede» rispose Billy
«Scusate» dissi un po' timidamente «Ma voi non siete sempre a pescare insieme?»
«No, tuo padre tradisce il mio andando a pesca con i Clearwater» si intromise Jacob, che ancora stava sorridendo in quel modo aperto che mi metteva subito allegria «Cattivo, ispettore Cigna».
«Spero che non sia un momento sbagliato» Brontolò Billy Black e mi inchiodò di nuovo con quegli occhi scuri ed indecifrabili.
«No, va benissimo. C'è la partita, perché non rimanete?» offrì mio padre, posando la giacca e la pistola da servizio e scrollando ancora i capelli ingrigiti come un cane indisciplinato
«Questo era il piano: il nostro televisore si è rotto la settimana scorsa».
Billy guardò di traverso suo figlio «E ovviamente, Jacob era impaziente di rivedere Bella». Jacob, serio, chinò la testa, mentre io cercavo di capire cosa avessi fatto a Billy di male; forse era perché avevo spaventato suo figlio? Hmm, magari sulla spiaggia ero stata troppo convincente.
«Avete fame?» Chiesi, diretta in cucina. Non vedevo l'ora di sfuggire allo sguardo indagatore di Billy
«No, abbiamo mangiato prima di venire qui» rispose Jacob
«E tu, papà?» chiesi, già da dietro l'angolo
«Certo. Serve aiuto?»
«No, grazie, pa'».
Lo sentì precipitarsi in salotto di fronte alla TV, e il rumore della sedia a rotelle di Billy che lo seguiva. Jacob era curiosamente silenzioso, per un ragazzone di quell'altezza e quell'età, non riuscivo a sentirlo.
Quello che udii con chiarezza fu invece il "maaaoooo" di un ben noto micio ruffiano, che salutò papà e cercò di ingraziarsi il nuovo arrivato con i suoi versetti adorabili. Che fanatico.
Ovviamente, dopo più o meno tre battiti di palpebre, i due padri si sciolsero cercando di rimanere seri e virili mentre vezzeggiavano il micio come un bebè.
«Miiicio, miicio. Vuoi bene a papà?»
«Ah ah, che denti che ha»
«Ahh, hai visto che bello, Billy?»
«E che dolce. Gli animali sanno essere molto meglio delle persone»
«Eh, vero, verissimo».
I sandwich al formaggio erano già in padella, e mentre affettavo un pomodoro mi accorsi di una presenza accanto a me.
«E allora, come va?» chiese Jacob
«Finchè c'è la salute. Belle skills da ninja Jacob» sorrisi. Era difficile resistere al suo entusiasmo, specie visto che sembrava pronto a fare un balletto nella mia cucina senza un motivo apparente «E tu? Hai finito la macchina?»
«No» si rabbuiò «Mi manca ancora qualche pezzo. Questa è in prestito». Con il pollice indicò la parete alle sue spalle, accennando all'auto nel vialetto
«Mi dispiace. Io non ho visto nessuna sfera cilindrica, ma confido ancora che il mio amico Mike possa aiutarti»
«Cilindro freni» sorrise «Il pick-up ha qualche problema?» chiese subito dopo
«No»
«Ah. Lo davo per spacciato».
Abbassai lo sguardo sulla padella, sollevando un sandwich per controllarne il fondo «Il mio amore di Chevy è perfetto, grazie»
«L'altra era una bella macchina, quella argentata» la voce di Jacob era piena di ammirazione «Però non ho riconosciuto il guidatore. Pensavo di conoscere la maggior parte dei ragazzi della zona».
Annuii appena, senza staccare gli occhi dai sandwich che avevo appena girato. Sapevo che Jacob era innocente, ma mi indispettiva che complimentasse la macchina di Capelli-pazzi.
«A papà sembrava di conoscerlo».
Hmm. Jacob re del gossip.
«Jacob, mi passi i piatti? Sono nella credenza, sopra il lavandino»
«Certo».
Mi allungò le stoviglie in silenzio. Speravo che il discorso finisse lì, perché somigliava sempre più inquietantemente a quelle domande che ti fanno le vecchiette o i vecchietti per strada, quando pensano di conoscere la tua famiglia. E allora, come va? Quel bel giovinotto con cui ti abbiamo vista perché siamo nascoste in tutti gli angoli? A quale famiglia appartiene? Ci vieni a guardare i cantieri con me? No? Gioventù bruciata con Uotsappi.
«Insomma, chi era?» Chiese Jacob, sistemando i due piatti sul piano di cottura accanto a me.
Mi arresi con un sospiro «Quel bruttone di Edward Cullen».
Con mia grande sorpresa scoppiò a ridere e alzai lo sguardo su di lui. Sembrava vagamente imbarazzato.
«Ah, questo spiega tutto» Disse «Mi chiedevo perché mio padre avesse reagito così»
«Oh!» dissi innocentemente «Già, i Cullen non gli piacciono. Ma io non sono una Cullen, perché guarda male anche me?»
«Vecchio superstizioso» mormorò Jacob tra sé e sé
«Pensi che dirà qualcosa a Carlo?». Non riuscii a trattenermi, le parole mi sfuggirono ansiose e veloci. No, no, Carlo coinvolto no. I Quileute magari avevano delle licantrope a proteggerli, ma mio padre aveva al massimo Dracula il gatto miagolone.
Per un istante Jacob mi colpì con uno sguardo indecifrabile – oh, oggi tutti mi guardavano in modi ambigui – e solo dopo rispose «Secondo me no: l'ultima volta Carlo gli ha fatto una testa così. Da allora non parlano granché. Quella di stasera è una specie di riconciliazione: non credo che avrà voglia di tornare sull'argomento»
«Ah». Ero molto, molto stupita.
Davvero papà aveva litigato con i nostri amici di famiglia per difendere quei viscidoni steroidati? Povero papà. Beh, il fatto che io avessi un ordine restrittivo legale contro un viscidino avrebbe dovuto aiutarli a passare dalla stessa parte perlomeno.
Io e Jacob portammo la cena a Carlo e rimasi in salotto a dare un'occhiata alla partita mentre Jacob si mise immediatamente a chiacchierare. Pensavo che mi avrebbe annoiata a morte, ma nessuno aveva accennato di quale sport fosse la partita di stasera.
Quando finì la pubblicità di un costoso profumo in cui si vedevano cavalli sudati e donne vestite da veneri dorate, la voce del commentatore annunciò, accompagnando le immagini di ragazzi che saltavano su un campo apparentemente interamente costituito da trampolini elastici, che la seconda parte del campionato di dodgeball stava per iniziare e che sarebbe stato uno spasso.
«Dodgeball?!» Esclamai
«Che c'è?» domandò Jacob, con un sorrisone «Pensi che sia uno sport stupido?»
«Io? No» scossi la testa «Solo, non me l'aspettavo... io... pensavo che sarebbe stato un campionato di baseball o qualcosa del genere».
Comparve una schermata scintillante con i nomi delle squadre che avemmo visto in questo confronto, i Flying Lions contro i Winged Turtles, accompagnata da una musica incredibilmente catchy. Subito dopo comparve la prima schermata di presentazione per i Flying Lions, ragazzoni dai capelli folti con divise gialle e marroni; sotto ciascuna delle loro foto era scritto il loro nome con un font aggressivo.
«Dodgeball» Ripetei, incantata.
I Winged Turtles non sembravano tosti come i Flying Lions, con le loro magliette verdoline e le loro espressioni placide. Beh, avevano quasi tutti espressioni placide, eccetto un ragazzo dai capelli neri e le braccia ricoperte di tatuaggi che sembrava aver mangiato un limone particolarmente acido.
«Non so le regole» Ammisi a bassissima voce, chiedendomi se fosse meglio che nessuno mi sentisse oppure se mi sentissero e mi spiegassero le regole prendendomi un po' in giro perché ero un'ignorante.
Jacob rise pianissimo
«È facile, non preoccuparti» mi spiegò «Si gioca in sei contro sei e con tre palloni per volta. I palloni stanno al centro del campo e quando la partita inizia si corre per aggiudicarsi i palloni. Poi si lanciano i palloni contro l'avversario»
«Come nella palla avvelenata»
«Non ci ho mai giocato, ma dev'essere una cosa del genere»
«E se l'avversario viene preso è eliminato»
«Si. Bisogna schivare i palloni per non farsi eliminare, ma se si riesce a prendere la palla al volo si può eliminare un avversario e far rientrare il compagno. Vince la squadra che elimina il maggior numero di giocatori avversari durante la partita. Ah, ed è divisa in set, come la pallavolo».
Annuii: sembrava semplice. Sembrava divertente. Sembrava anche uno di quei giochi in cui avrei fatto schifo come giocatrice.
La partita iniziò e mi incantò. I ragazzi sfoggiavano diverse attitudini e le due squadre si muovevano in modo davvero distinto fra loro, come se appartenessero a due diverse scuole di arti marziali. I palloni venivano lanciati in modo violento, tutti sembravano avere i nervi a fior di pelle e contemporaneamente divertirsi un mondo mentre correvano, schivavano, saltavano sui trampolini contorcendosi in pose da ballerini per evitare i colpi degli avversari.
Il ragazzo dei Winged Turtles, quello con i tatuaggi sulle braccia, urlava contro i Flying Lions e schivava muovendosi appena, mentre giocava di braccia per afferrare i palloni apparentemente senza sforzo.
«Mio Dio» Disse mio padre «Rosco Snow è una specie di mostro»
«Secondo me Liam lo schiaccia appena si scalda» ridacchiò malignamente Billy Black.
Rosco Snow lanciò la palla e prese dritto sulla fronte questo Liam, eliminandolo.
L'ispettore Cigna esultò, lanciando in aria le braccia.
Ben presto fui completamente assorbita dalla partita, mesmerizzata dai replay fra un set e l'altro. Grazie ai trampolini i ragazzi sembravano muoversi come personaggi di un anime giapponese, facendo capriole nell'aria e schivando con balzi da gatti.
Dracula, seduto sulla spalliera del divano, faceva le fusa godendosi lo spettacolo.
Fu una serata incredibilmente breve. Avevo un sacco di compiti da fare, ma non volevo lasciare da soli papà e Billy e soprattutto volevo guardare il dodgeball.
Infine la partita terminò, con una bella vittoria da parte dei Winged Turtles. Rosco Snow non sembrava felice di aver vinto, aveva comunque la faccia di qualcuno a cui hanno fatto assaggiare qualcosa di orribile.
«Pensi che tu e i tuoi amici tornerete presto alla spiaggia?» Chiese Jacob, mentre spingeva il padre sulla soglia
«Non saprei»
«Ci siamo divertiti, Carlo» disse Billy
«Tornate per la prossima partita» suggerì Carlo
«Certo, certo. Ci saremo. Buonanotte» Guardò verso di me e il suo sorriso scomparve «E tu stai attenta, Bella» aggiunse serio
«Come un soldato al fronte, signor Black» risposi, cercando di fargli capire che ero più che attenta, attentissima.
Quando papà fini di salutare il suo amico e Jacob e Billy se ne furono andati, iniziai a salire le scale.
«Aspetta, Belarda».
Mi arrestai dov'ero. Carlo era rilassato, ancora sorridente per la visita inaspettata, e sembrava così giovane e bello che mi venne voglia di imparare a disegnare solo per ritrarre il sorriso di papà.
«Stasera non siamo riusciti a parlare» Mi disse, come se questa cosa lo addolorasse «Com'è andata la giornata?»
«Bene. La mia squadra di badminton ha vinto quattro partite su quattro» gli rivelai, fiera
«Caspita, non sapevo che giocassi a badminton!»
«Eh, che dire... se devo essere sincera non è che ne sono tanto capace, ma il mio compagno è molto bravo»
«Chi è?»
«Ehm... Mike Newton»
«Ah, si, giusto. Mi avevi detto che il figlio dei Newton era tuo amico» Sollevò la testa «Brava gente, la sua famiglia».
Rimase per qualche istante a meditare. C'era qualcosa di struggente nei suoi occhi, quando meditava.
«Perché non hai invitato lui al ballo di sabato?» Mi chiese all'improvviso
«Papà!» ridacchiai «Ha appena iniziato a uscire con la mia amica Jessica. E poi lo sai anche tu che non so proprio ballare»
«Ah si» mugugnò. Poi sorrise, per scusarsi «Perciò non è un problema se sabato sei fuori casa... Io ho organizzato una battuta di pesca con i ragazzi della centrale. Le previsioni dicono che farò davvero caldo. Ma se preferisci rimandare il viaggio finché non trovi qualcuno che ti accompagni posso restare a casa. So bene che ti lascio un po' troppo spesso qui da sola...»
«Papà, ti stai comportando benissimo. La solitudine non è mai stata un problema per me. E poi ho Dracula!» strizzai l'occhio e lui rispose con il suo sorriso increspato di piccole rughe.
Quella notte dormii meglio, ero troppo stanca e sollevata per sognare cose strane. Quando mi svegliai, alla luce grigio perla del mattino, mi sentivo beata. Proprio beata, come se mi avessero appena beatificata e appena fossi scesa dal letto uno stuolo di suorine fossero state pronte a prendersi cura di me.
Il nervosismo della mattinata precedente, passata a rispondere alle stupide domande di Edward, non mi toccava più: decisi di dimenticarmene del tutto. Mi sorpresi a fischiettare, mentre mi sistemavo il fermacapelli, scendendo dalle scale. Papà se ne accorse immediatamente, non per nulla era un detective.
«Siamo di buonumore, stamattina?» Commentò a colazione.
Mi strinsi nelle spalle «È venerdì».
Cercai di sbrigarmi, per essere pronta non appena Carlo fosse uscito. Avevo preparato lo zaino, indossato le scarpe, lavato i denti, ma malgrado mi fossi affacciata alla porta di casa nell'esatto istante in cui l'auto della polizia si allontanava, Edward era già lì: mi aveva preceduto come sempre, quello sporco stalker schifoso che nessun ordine restrittivo sembrava in grado di fermare. Mi aspettava sulla sua auto metallizzata, con i finestrini abbassati e il motore spento.
Entrai a prendere una bottiglia di birra, non si sapeva mai se potesse servire...
Uscii di nuovo.
«Figlio di buona donna» Lo apostrofai «Che cavolo vuoi stamattina?».
Lui scese dalla macchina con un movimento flessuoso, drizzandosi come un giovane germoglio, e mi sorrise con un sorriso abbagliante. Immaginai di spaccargli la bottiglia di birra contro le labbra, senza più sorprendermi dei pensieri violenti che solo quel pazzo riusciva a scatenare in me.
«Dormito bene?» Chiese, con l'aria di qualcuno che pensava che la sua voce fosse molto affascinante
«Si. Non ho pensato a te un solo istante. La tua nottata com'è stata?»
«Piacevole». Sorrideva, divertito, come per una battuta che non potevo capire.
La capivo eccome: era stato a caccia, il deficiente, altrimenti non sarebbe stato così rilassato. Che deficiente. Che deficiente. Che schifoso deficiente.
«Ho una proposta da farti» Disse lui
«Vattene» sbottai, stringendo le dita sul collo della bottiglia di birra
«Prima ascoltami, ti prego. Siamo partiti con il piede sbagliato, ma...» si infilò una mano in tasca e mi allarmai subito «...Non preoccuparti, non è un'arma...»
«Io mi preoccupo lo stesso» bofonchiai
«Tu sei armata» ridacchiò lui «Anche se quella bottiglia non potrebbe farmi un granché, in effetti».
Che si convincesse pure della mia inoffensività, un punto in più per me.
«Bella» Sussurrò, mostrandomi due pezzi di carta lucida «Che ne pensi di fare pace?».
Strizzai gli occhi, chiedendomi dapprima perché mai avrei dovuto fare pace con l'offerta di due foglietti plastificati. Poi vidi cosa c'era stampato sopra. Cioè, non riuscivo a leggere tutte le piccole scritte che li affollavano, ma vedevo chiaramente il simbolo della WWE, la mia federazione di wrestling preferita.
Erano biglietti per uno spettacolo della WWE.
Edward aveva fatto ricerche riguardo a tutte le sciocchezze che gli avevo detto il giorno prima, oppure solo su quello che gli avevo detto essere il mio film preferito, e doveva aver scoperto che la WWE non c'entrava troppo con il cinema. E si era procurato dei biglietti.
«Sabato» Disse lui, quando vide che mi ero immobilizzata e sembravo sotto shock «Cioè domani, a Seattle ci sarà uno spettacolo. Ho comprato due biglietti. È tutto esaurito... che ne pensi di venirci con me?».
Iniziai a tremare. A tremare sul serio, con il sudore sui palmi delle mani e lo stomaco stretto in una stretta euforica e tormentata nello stesso momento.
Edward non poteva saperlo.
Lui non poteva leggermi nella mente e io non l'avevo detto a nessuno a cui lui potesse leggere nella mente, perché un pochino me ne vergognavo... Edward doveva averlo indovinato, non poteva sapere che il mio grande sogno segreto era vedere uno show della WWE dal vivo.
A volte sognavo arene gremite ed erano sogni meravigliosi. Sognavo di sentire il calore delle luci, il fischio dei fuochi artificiali, l'urlo del pubblico.
Sognavo di vedere i miei wrestler preferiti combattere dal vivo e sentirmi piccola piccola nell'essere nello stesso edificio con quei bestioni allenati per fare cose incredibili.
Edward continuava a sorridere.
Lui era il mio incubo, con il mio sogno stretto fra le mie mani.
Era un paradosso, perché metteva in conflitto le mie uniche due certezze nella vita: non avrei mai accettato di andare da qualche parte con Edward e non avrei mai rifiutato l'opportunità di vedere uno show della WWE.
«Non sapevo che ci fosse uno show sabato, a Seattle» Balbettai, sconcertata.
Sapendo di non potermi permettere biglietti e viaggi, non controllavo le tappe della WWE, dunque non sapevo che sarebbe arrivata così vicina a me. E comunque, come giustamente Edward si era premurato di farmi sapere, era tutto esaurito... chissà chi aveva ammazzato per procurarsi quei due biglietti.
«Io ho le mie fonti» Disse lui, sommamente divertito
«E le tue fonti» replicai, cercando di riprendermi «Sanno anche che match ci saranno?»
«Forse...»
«Sii serio! Almeno che wrestler ci saranno?»
«Questa è facile! CM Punk...» primo colpo al cuore «...Bobby Lashley, John Morrison...» secondo colpo al cuore, più forte del primo «...Kane...» No. NO. Non posso rifiutare «...The Undertaker...».
Non riuscii a sentire i nomi del resto delle superstar, che comunque erano solo altre quattro. C'era Undertaker. Stavo per rifiutare di andare ad uno show in cui, per chissà quale colpo di fortuna cosmico e allineamento stellare, c'era Undertaker.
Strinsi i denti e mi diressi verso il mio Chevy: non potevo rimanere a parlare con quel maledetto vampiro per un solo secondo di più altrimenti avrei ceduto alla sua offerta.
«Allora? Bella? Bella?» Chiese lui, trotterellandomi dietro
«Sai dove te li puoi infilare quei biglietti?!» ringhiai, sentendomi subito in colpa per quell'affronto nei confronti di biglietti di uno show WWE in cui c'era Undertaker
«Bella, ascolta...».
Mi lanciai dentro il Chevy. Posai la bottiglia di birra sul sedile passeggero. Il motore si accese solo al terzo tentativo, con un rumore di tosse.
«Bella!» Edward poggiò una mano sul mio finestrino «Ho un pass per il backstage, vuoi davvero che io lo butti?».
Piangendo, misi in moto la macchina e mi allontanai, lasciandomi alle spalle Edward. Un biglietto della WWE poteva costare dai quaranta dollari a diverse centinaia, a seconda del posto e dell'evento, inoltre bisognava calcolare il viaggio per raggiungere l'arena e la fortuna di trovare un posto non troppo lontano e soprattutto di riuscire ad aggiudicarsi uno dei preziosi biglietti. Ma frequentare Edward poteva costarmi la vita, che sicuramente costa un botto di più di qualche centinaio di dollari.
Piangendo per aver auto-infranto il mio sogno, frustrata come un riccio femmina in calore chiuso in una scatola di plexiglass mentre un maschio passeggia tranquillo per il prato davanti a lei, arrivai a scuola.
Le lezioni furono una poltiglia confusa di minuti impastati di frustrazione. Consciamente sapevo che la cosa migliore era cercare di farsi coinvolgere da qualunque altra cosa, ma al posto mio chi ci sarebbe riuscito? Insomma, avevo appeno avuto un'occasione d'oro, e dover rinunciare a qualcosa del genere per colpa di quel mostro era ancora più amaro che non averne mai la possibilità.
A peggiorare ancora la situazione, in nessuna delle prime ore incontrai né Jess né Mike né Angela, e mi sentivo troppo timida ed abbattuta per provare a stringere amicizia o seguire la lezione.
Conoscevo il modo irritante in cui i miei sentimenti si palesavano chiaramente sul mio viso, con o senza il mio consenso, e sapevo che compagni e insegnanti mi avevano vista arrossata e con costante sguardo omicida.
A quel punto ero già arrivata all'ora della mensa avendo quasi perso nel nulla ore intere.
Mi precipitai subito al tavolo in cui vedevo si erano già seduti i miei amici, raccattando solo una bottiglietta d'acqua e una ciambella – del cui ripieno non ero sicura, ma avrei scoperto più tardi che era al cioccolato – e felice di vedere che c'erano persone pronte a distrarmi. Persino Eric.
Ero pronta a lagnarmi come una bimba a cui è caduto in un tombino il lecca-lecca che ha comprato con i soldini della paghetta, ma con mia ancora più grande frustrazione, mi resi conto che non avrei potuto fare una cosa del genere ed aspettarmi che Mike non avrebbe provato a mediare con Capelli-pazzi. E ora che sapevo la verità, l'ultima cosa che volevo era quello si avvicinasse ad uno qualunque dei miei amici.
Lanciai un breve sguardo dietro di me ad Edward lo sfascia-sogni ed ai suoi fratelli. Erano tutti seduti al solito posto, nelle stesse posizioni in cui li avevo visti la prima volta, con lo sguardo perso nel vuoto. Li avevano di nuovo sostituiti con un poster? Ma il sangue di quale fattone bevevano prima di venire a scuola?
Il fratello dai capelli pazzi e di bronzo si voltò lentamente a guardarmi, inquieto.
Mi voltai di nuovo di scatto.
«Oggi ti mantieni leggerina, Belarda?» Mi stuzzicò Jessica.
Io guardai la mia ciambella, che a metà del vassoio sembrava così sola «Così pare»
«Che hai? Cioè, hai una faccia come se ti fosse morto il gatto» scherzò Mike, rabbuiandosi subito «Dracula sta bene, vero?»
«Oh, si, Dracula è okay. Solo che...» mi mordicchiai il labbro «Uh... Papà aveva accettato di andare a vedere con me dal vivo il wrestling, ma quando siamo andati a comprare i biglietti era tutto esaurito. C'era Undertaker, e non potrò vederlo. Ci sono rimasta male»
«Così male?» chiese Jessica, inappropriatamente scettica
«Shh, Jessica, tu mi piaci, ma non puoi capire il dolore che si prova a vedersi negate le proprie arti marziali preferite» venne in mio soccorso Newton, in tono soave
«Mike, io faccio arti marziali. Tu no, guardi solo Calci e Colpi»
«Pugni Calci, prego, si chiama così la migliore trilogia mai esistita!» la corresse lui stizzito, poi si voltò verso di me con un sorriso incoraggiante.
«Ti prego, dimmi che non vuoi tirarmi su con qualcosa che ha a che fare con quei film» Dissi a labbra strette, cercando di sembrare vulnerabile e immeritevole di simile strazio
«Ma è uscito il terzo, e per ora ci danno pochi compiti! Dai Belarda. Io e te, al cinema, a vedere le mosse spettacolari che ti faranno dimenticare qualunque Undertaker. No, non volevo dire il suo nome, scusa Belarda, non essere triste!».
Nessun plagio delle avventure da inceratore professionista di Daniel-san mi avrebbe potuto far dimenticare Undertaker.
Ma forse Mike si. O almeno distrarmi un po'. Di certo le occhiate spiritate di Jessica erano distraenti.
«Quindi che fate?» Domandò Jessica, sospettosa
«Andiamo al cinema» rispose Mike «Vero, Bella? Vero? Dai, è uscito Pugni Calci tre! Daidaidaidaidai!»
«Jessica, tu ci vieni?» chiesi, dopo aver preso un minuscolo morso alla ciambella «Così almeno ci puoi dire se quello che fanno è realistico oppure se fanno tipo come in Dragonball».
Jessica sorrise, battendo con la forchetta contro il vassoio
«Mi piacerebbe tantissimo» disse
«Evviva!» esultai
«Ma non posso»
«Cosa?»
«Non posso, Belarda. Mi dispiace, ma ho promesso a mia madre che oggi sarei andata con lei, dobbiamo fare una cosa madre-figlia, gliel'ho promesso»
«Maddai!»
«Maddai niente, Belarda. Vai con Mike, vi divertirete»
«Ma tu sei l'esperta»
«E senza di me vi divertirete di più perché nessuno si lagnerà dei calci volanti impossibili, fidati» ridacchiò «Poi mi raccontate».
Mangiai la mia ciambella in silenzio. Se fossimo usciti in tre mi avrebbero distratto meglio con le loro chiacchiere, mi avrebbero coinvolta, forse mi avrebbero persino presa in giro e fatta arrossire e tutto questo avrebbe cancellato dalla mia testa il chiodo fisso che ci si era piantato.
«Allora ci vieni?» Domandò timidamente Mike
«Si, ci vengo» risposi, sospirando profondamente «Ma guai a te se il film fa schifo».
Non appena arrivai a casa, papà si accorse quasi subito che qualcosa non andava in me e prese a seguirmi da una stanza all'altra mentre preparavo da mangiare, seguito a sua volta da Dracula. Sembravamo una goffa processione al chiuso.
«Belarda» Disse alla fine, quando ci sedemmo a tavola per mangiare le orecchiette di grano arso con coregone e asparagi che avevo preparato «C'è qualcosa che non va?»
«No, papà» mentii, più aspramente di quanto avessi desiderato
«Sembri così triste... è andata male a scuola?»
«No»
«Hai litigato con qualcuno dei tuoi amici?»
«No, papà».
Vidi il suo pugno stringersi fino a diventare bianco e capii immediatamente cosa stava per domandarmi.
«Cullen ti ha dato fastidio di nuovo?»
«No, papà» risposi prontamente «È tutto ok. Ah, a proposito, oggi pomeriggio vado con Mike Newton al cinema, andiamo a vedere Pugni Calci 3»
«Con Newton?»
«L'ho appena detto»
«È stato lui a metterti di cattivo umore?»
«No. Va tutto bene, te l'ho detto, papà».
Lui non pareva convinto, glielo si leggeva in faccia. Non pareva convinto neppure del piatto che avevo preparato, perché gli lanciava strane occhiate e non aveva messo in bocca neanche un'orecchietta.
«Che cos'è?» Mi domandò, con la faccia di Gringo, quello della pubblicità della carne Montana, con gli occhi mezzi chiusi.
Sorrisi, inclinando un po' la testa «Oh, orecchiette di grano arso con coregone e asparagi»
«Cos'è il coregone?»
«Coregonus lavaretus» risposi, pronta
«E sarebbe...?»
«Un pesce, papà»
«Ah. Un pesce. Che tipo di pesce?»
«Un pesce d'acqua dolce».
L'ispettore Carlo Cigna guardò la pasta come se fosse un mostro vivo prima di infilarsi in bocca una singola orecchietta e masticarla molto, ma molto lentamente.
«Non è velenoso. E poi l'hai pescato tu» Risi, con la bocca piena. Oltre a non essere velenoso, il coregone era anche piuttosto buono
«Però lo vedi che ti faccio ridere, almeno» ribatté lui, sorridendo quando si accorse che la pasta aveva un buon sapore «Belarda, piccola, cosa ti è successo?».
Per un attimo fui sul punto di cedere e di raccontarglielo, ma mi chiesi se avrebbe riso di me. Papà non era crudele ovviamente, questo mai, ma poiché non gli avevo mai accennato alla mia passione segreta per gli uomini in abiti attillati e minimali che si menavano l'un l'altro sul ring, temevo che non avrebbe capito il mio dolore e che avrebbe cercato di minimizzare. E poi non volevo che sapesse che effettivamente quel broncio che portavo era colpa, di nuovo, di Edward Cullen.
«Non preoccuparti» Dissi «Ho solo...».
Cosa avevo "solo"? Dovevo inventarmi una scusa convincente? Cosa avevo avuto... una giornataccia a scuola? No, era andata sufficientemente bene. Avevo litigato con un'amica? Ma con chi: andavo d'accordo con le mie amiche. Ero stata insultata da qualcuno? Certo che no e non volevo inventarmi un'insultatrice random perché mio padre avrebbe capito che mentivo, conoscendo tutti i ragazzi e le ragazze del paese.
«... Ho dormito male» Dissi infine «Ho fatto dei brutti sogni e quindi ora mi sento piuttosto stanca. Mi dispiace, papà»
«E sei sicura di non voler riposare un po' oggi pomeriggio, invece di andare al cinema con il tuo amico Newton?»
«Lui ci tiene tanto. Gli piace quel film» mi strinsi nelle spalle «Credo che non me lo perdonerebbe se non ci andassi»
«Davvero?»
«Nah...» ridacchiai «Però ci tiene davvero tanto, papà. Quindi devo farlo per lui»
«Solo se te la senti»
«Me la sento, me la sento... tu finisci le tue orecchiette».
Quando finimmo di mangiare, e papà prese a lavare i piatti, salii al piano di sopra seguita da Dracula. Mi misi a leggere un po' su Wattpad, continuando la storia di quel ragazzo trans cinese che si era innamorato di una ragazza in fissa con la biologia. Più la leggevo, più volevo essere lei, la ragazza biologa.
A parte essere bellissima, in quel modo delicato e raro e non convenzionale che possono sfoggiare solo i fiori più rari, lei era fortunata. Si, fortunata, perché ad essersi invaghita di lei non era un vampiro pazzo, ma un ragazzo gentile che le faceva sorprese bellissime e che non la stalkerava e non le comprava biglietti per la WWE per poi riprenderseli se lei decideva che non voleva andarci con lui.
Piansi un paio di volte, colpita. Normalmente non piangevo mai leggendo storie d'amore, ma vuoi la mia situazione di stress, vuoi che questa fosse diversa dalle altre, questa volta mi ero commossa alla grande e singhiozzavo.
Abbracciai lo schermo del mio vecchio, lentissimo computer scassone tutto macchiato e con le cacche di mosca
«Fatemi entrare in questa storia» sussurrai.
In realtà ero abbastanza contenta della mia vita e delle sue magiche avventure, ma in quel momento, ripetiamolo, ero frustrata e stavo leggendo una cosa bellissima. Anche l'uomo più ricco e felice del mondo potrebbe sognare di attraversare la contea insieme agli hobbit, no? Oppure di frequentare Hogwarts. Era quello che provavo in quel momento.
Volevo vivere in un libro, una realtà magica dove quello che desideravo, in un modo o nell'altro, poteva accadere. Certo, non volevo vivere in un libro tipo "Una serie di sfortunati eventi", ma quello non lo desidera nessuno... volevo vivere in uno di quei libri strani, dove fatti e coincidenze si concatenavano e intrecciavano per creare una trama interessante.
Oh, ma chi volevo prendere in giro?
Tutto quello che volevo era vivere in una storia in cui avrei potuto avere i miei biglietti per lo show della WWE che si sarebbe svolto l'indomani a Seattle.
Mi asciugai gli occhi e iniziai a prepararmi per quando Mike fosse passato a prendermi. Mentre mi spazzolavo i capelli, guardai fuori dalla finestra, sollevata di non vedere la Volvo argentata del coso pazzo. Strizzai gli occhi: c'era qualcosa sul marciapiede. Qualcosa che era stato calpestato. Due pezzi di carta?
Il mio cuore saltò un battito, poi prese ad andare a mille.
«Oh mio... Dracula» Quasi balbettai.
Schiacciati per terra, con i segni delle scarpe di Edward sopra, c'erano due pezzi di carta che ad occhio e croce corrispondevano esattamente alla dimensione dei biglietti della WWE.
Corsi come una pazza, terrorizzata dall'idea che qualcuno potesse vederli e raccoglierli prima di me, e mi fiondai fuori mentre mio padre gridava «Che succede, Belarda?».
Ed eccoli lì. Avevo detto ad Edward che non mi interessavano, così lui li aveva gettati per terra. "Non farmeli buttare" aveva detto, ma mica avevo capito che voleva buttarli davvero per terra.
Con le lacrime agli occhi per la commozione, li staccai dal cemento cercando di non spiegazzarli.
I biglietti.
I biglietti erano nelle mie mani
I biglietti erano nelle mie mani.
Me li infilai dentro la camicia, proprio sopra il cuore, iniziai a saltare e gridare frasi sconnesse fra cui "Booyaka booyaka" e "Deadman Walking" e corsi dentro, facendo il rumore di un dinosauro.
«Che succede, Belarda?» Disse mio padre, incorniciato sulla soglia della cucina. Era preoccupato come può esserlo un padre che ha visto la propria figlia adolescente correre fuori e poi ritornare dentro emettendo strani versi.
«Niente, niente!» Non riuscivo a smettere di sorridere, mi faceva quasi male la faccia «Ero troppo contenta. Ho ricevuto una chiamata...»
«Da chi?»
«Da Mike. Ha i biglietti per andare a vedere la WWE»
«Ma dai?» sorrise anche lui «Che bello! Non sapevo che piacesse anche a te»
«A te piace?»
«Certo. Ma pensavo che tu la trovassi stupida, Belarda... sei una signorina così intelligente e impegnata...».
Scoppiai in una risata di cuore
«Chi è il tuo preferito?» domandai, giusto per riuscire a smettere di sghignazzare
«Ehm... il mio preferito» si grattò la testa «Undertaker, credo»
«Allora troverò il modo di portarti un suo autografo» gli promisi
«Non credo che ne rilasci»
«Non m'importa papà. Questa settimana posso fare qualunque cosa. Per ora sono io la protagonista di questo libro»



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