venerdì 6 aprile 2018

Sunset 27 - Pugni Calci




Alle quattro e mezza udii una macchina parcheggiare sotto casa e qualcuno che percorreva il vialetto e suonava il campanello. Mi alzai con calma, lasciando che fosse papà ad aprire e arrivai, seguita da Dracula, proprio mentre l'ispettore Cigna si faceva da parte per lasciare entrare Mike.
«Ciao!» Lo salutai.
Indossavo un maglione color crema e il mio paio di jeans più vecchi, con una borsetta a tracolla nella quale tenere il telefono, i soldi e i miei preziosi biglietti che non mi fidavo a lasciare a casa (anche se non c'era motivo per essere preoccupati) e che comunque sentivo di dover portare sempre con me.
«Belarda» Mike sorrise, annuendo come in risposta ad una domanda immaginaria «Sei già pronta?»
«Prontissima» risposi, allegra.
Dracula miagolò e andò a strusciarsi contro le caviglie di Mike.
«Venduto» Sussurrò papà, rivolto al gatto «Fai le fusa a tutti»
«È un gatto amichevole, signor Cigna» cercò di giustificarlo Mike
«E tu, mi raccomando, guida piano»
«Certo, signore»
«Ma che film andate a vedere?»
«Uno di arti marziali»
«E il wrestling?»
«Il wrestling?» chiese Mike, confuso «Quello a cui Belarda non può andare sabato? Mi dispiace tantissimo che i biglietti siano esauriti».
Oh no. Non pensavo che avrebbero potuto scoprire così in fretta la mia montatura. Corsi verso Mike, resa coraggiosa e propositiva dai biglietti nella mia tracolla, e gli afferrai un braccio all'altezza del gomito, affrettandomi a dire
«Ormai a papà l'ho detto che domani ci andiamo»
«Ci andiamo?» disse confuso Mike, guardandomi negli occhi nel tentativo di capire che cavolo mi fosse preso
«Certo» risposi, con un gran sorriso.
Mike capì immediatamente che doveva stare al gioco, anche se continuava ad essere un po' impacciato e titubante, così annuì
«Va va b-bene, signor Cigna, ci ha scoperti. Ma adesso d-dobbiamo andare, che facciamo tardi per il film»
«Non me la contate giusta» iniziò a dire mio padre, ma prima che potesse aggiungere un'altra parola io trascinai fuori Mike di corsa e lo spinsi al posto di guida della sua automobile.
Mi sedetti sul sedile passeggero, chiusi la portiera sbattendola e ordinai «Partiamo»
«Bella... che succede? Che ti prende?» mi domandò lui, girando la chiave
«Ti spiego tutto, ora vai»
«Stai nascondendo qualcosa a tuo padre?»
«Si. Si, ma niente di grave, per amor del cielo! Parti parti».
L'ispettore Cigna ci guardava, sospettoso, dalla soglia. Aveva le sopracciglia aggrottate e le mani sui fianchi. Forse non avrei dovuto fuggire in modo così sospetto con un ragazzo, ma mi sarei inventata qualcosa per giustificare tutto.
Guardai dritta davanti a me, tamburellando sul cruscotto finché non svoltammo la curva; nessuno dei due disse una parola, come per paura che ci avrebbe potuti sentire finché riusciva a vederci.
Ma non appena svoltammo la fatidica curva...
«Allora?» Mi chiese subito Mike impaziente «Per cosa mi stai facendo mentire ad un pubblico ufficiale?»
«Per questi» dissi, ed estrassi i due biglietti spiegazzati e li sventolai nell'aria.
Gli ci vollero almeno tre occhiate furtive, dalla strada ai rettangoli di cartaccia che avevo in mano – ma erano i miei rettangoli di cartaccia – per riconoscere il simbolo nero all'angolo.
Non che fosse facile, con la pedata che ci aveva lasciato quello sporcaccione di Edward.
«Belarda!» Quasi urlò «Ma costano un casino quelli, perché non vuoi che lo sappia tuo padre? Gli hai speso tutti i soldi? Li hai rubati? Su, parla!»
«Li ho trovati a terra» dissi sinceramente «Ma non voglio che lo sappia perché... Beh, sono due giorni che Cullen viene sotto casa mia. Non si avvicina, mi guarda da lontano» volevo minimizzare, non era il caso che Mike si mettesse in testa di difendermi da quel mostro «Rispetta l'ordine restrittivo, insomma. Ma stamattina mi si è avvicinato e per scusarsi e fare la pace mi ha offerto di andare con lui a vedere uno spettacolo della WWE».
Mike mi guardò inorridito per un secondo «Non avrai accettato, Bella!»
«Certo che no. Infatti sono arrivata tristissima a scuola, lo sai. Solo che quando ho rifiutato lui mi ha detto che era un peccato e di "non farglieli buttare". Poi me ne sono andata, ma quando sono tornata da scuola...».
Mike boccheggiò «No. Non può essere così scemo, non li avrà letteralmente buttati?»
«Si, proprio lì, per terra. E guarda, infatti sono tutti schifiati, ci ha pure lasciato la pedata!»
«Ma porca la miseria! Belarda, congratulazioni! Ma non sarà rubare?» chiese, improvvisamente dubbioso
«No, li aveva buttati sul mio giardino. E poi, se volesse denunciarmi, dovrebbe spiegarci che ci faceva sotto casa mia. E non gli conviene»
«Grande, Bella!» mi allungò un batti cinque che schioccò per l'abitacolo, e fui fiera di me.
«Però... perché non l'hai detto a tuo padre?» Mi chiese lui a sorpresa, mentre mi guardavo nello specchietto dell'auto per aggiustarmi una ciocca di capelli anti-gravità
«Perché non si è avvicinato assolutamente oltre a stamattina, e se non mi si può avvicinare probabilmente mi lascerà stare prima o poi».
Lui non sembrava affatto convinto «Bella, se fa di nuovo una cosa del genere tu avverti qualcuno».
Non mi piaceva mentire a Mike. Non mi piaceva mentire, punto. Se Edward fosse stato umano e non parte di una famiglia schifosamente ricca e vampirica che corrompeva la polizia, è quello che avrei detto a qualunque ragazza: tieni lontani gli stalker pazzi con tutto quello che hai.
Ma qui dovevo trovare altre strade.
«Certo» Dissi, ma ovviamente facevo schifo a dire bugie anche di una parola sola e il mio amico scosse la testa, ma lasciò cadere l'argomento.
Arrivammo al cinema in men che non si dica, o almeno così parve.
Nel momento in cui stringevo il mio biglietto dopo la lunga fila cicaleggiante al botteghino (chiedendomi com'era possibile che un film del genere avesse una lunga fila al botteghino) avevo avuto il tempo di sentirmi raccontare tutta la storia di Pugni Calci 1 e Pugni Calci 2, le scene extra, e prendere per sbaglio una cicca sotto la scarpa. Mi sentivo un po' frastornata, e Mike mi spinse praticamente di peso dentro la sala ancora illuminata.
«Andiamo, andiamo! Bella, vedrai che calci! Vedrai che pugni! Vedrai che Pugni Calci!» Esclamò contentissimo, e mi riscossi un po'. Che bambinone, il mio Mike.
Prendemmo posto a metà della quinta fila, ma eravamo entrambi d'accordo sul fatto che non volevamo stare proprio sotto lo schermo di proiezione, perché non ci saremmo riusciti a godere il film da troppo vicino.
«Comunque casomai era bello il naso del vecchio sensei» Mi assicurò lui, saltellando sulla poltroncina rossa per testarne la consistenza
«Ma finiscila».
Il cinema non era enorme, ma già con le luci accese mi ispirava fiducia. Le poltroncine erano rosse e comode, con un tappeto cremisi che si srotolava come la lingua di un camaleonte tra i due gruppi di posti a sedere; il lampadario era bello e complicato, ma soprattutto era molto più bello perché non ci ero sotto e non avevo paura che potesse cadermi in testa da un momento all'altro.
Non aveva un aspetto moderno, ma questo contribuì a rendermi almeno un po' più emozionata.
C'è una magia nel cinema, nel modo lo schermo attira lo sguardo come la fiamma per la retorica falena, nel buio totale, nel cameratismo delle persone di cui è difficile distinguere le facce che sono lì per guadare il tuo stesso film ed emozionarsi, nell'odiare unanimi le coppiette sbaciucchione che prendono sempre i primi posti, nell'odore di pop-corn e i bisbigli al buio inondati dalle voci dei personaggi di cui tutti stiamo osservando segretamente le vite.
In breve, la magia del cinema avrebbe forse potuto rendere bello, o sopportabile, anche il peggiore dei film.
Mike si illuminò di un'idea. Oh, le idee di Mike.
«Vuoi i pop-corn?» Mi chiese eccitato. Ah, non era una cattiva idea.
«Si, sarebbe forte. Ti tengo il posto allora, vai!».
Mike si defilò in fretta, scansando dei colleghi spettatori che entravano nella sala ancora illuminata, e misi possessivamente una mano sul suo posto guardando in cagnesco chi passava troppo vicino.
Quando improvvisamente le luci si spensero.
Ma non stava per entrare Undertaker, ne ero abbastanza certa, ed entrai in agitazione: Mike si sarebbe perso l'inizio del film! Ma eravamo lì per lui!
Era parecchio che non andavo al cinema, e mi ero dimenticata che prima della proiezione vera e propria ti bombardano di trailer di altre pellicole.
Ero fortunata. Erano tutti di horror scarsi e pieni di jump scare. Una bambola satanica con gli occhi storti fece sobbalzare tutti in sala urlando qualcosa che non capii, ma che alle mie orecchie somigliava alla parola "Uggia".
Mike tornò raggiante con una bustona enorme di pop corn e due bicchieri di carta, in cui versammo i pop corn per avere ognuno i propri.
«È più comodo ed igienico così» Mi disse lui, tutto fiero della propria trovata, ignorando la bambola maledetta Isabella che si scioglieva urlando sullo schermo. Ma che schifo.
«Belarda, è tutto okay? Hai una faccia...»
«Mike, sta per iniziare il film!» additai la fine del trailer con urgenza.
Ci componemmo sulle nostre sedie, gli occhi fissi sul grande schermo e macinando pop corn a rotazione come macchine agricole.
E il film ebbe inizio.
La schermata nera e silenziosa iniziò a dissolversi, lasciando spazio ad una luce bianco-azzurrina, e man a mano che il paesaggio si definiva il rumore del vento si intensificava, spandendosi nella sala buia ad onde.
La telecamera scivolò sui contorni delicati di montagne lontane, e si spostò senza fretta per inquadrare il fianco di una montagna di roccia scura e umida di neve, anche se non stava nevicando.
Un uomo la stava risalendo, ignorando stoico il vento e il freddo. Non stava indossando alcun tipo di equipaggiamento da scalata, non ne aveva bisogno: senza tema di fallire mani e piedi si poggiavano esattamente nei punti giusti della roccia.
La mano si attaccò ad una sporgenza scivolosa, e le dita sembrarono perdere la presa, ma la ristabilirono in fretta. La punta del suo piede, nascosta da uno stivale con la pelliccia, si infilò in una fortuita crepa nel fianco della montagna, sostenendo appena il suo peso.
Il fiato caldo dell'uomo si condensava in nuvolette pallide nell'aria carica e densa, sollevandosi in svolazzi goffi da sotto il cappuccio della mantella di lana nera che lo ricopriva, rendendo invisibile il suo volto.
La scalata terminava bruscamente, con una superficie quasi piana su cui l'uomo atterrò con un salto facendo svolazzare gli abiti lunghi e la sua mantella, rialzandosi lentamente ad osservare ciò che si stagliava contro il cielo chiaro.
Noi spettatori assistemmo allo spettacolo di un pezzo della sua mascella rivolta verso l'alto e il bordo del suo cappuccio sventolante nella brezza aggressiva, ad osservare la costruzione arroccata sulla roccia. Rossa, ma violacea nella luce smorta dell'ambiente gelido ed impietoso, questa costruzione sembrava nata per appartenere a quel paesaggio. Aveva il tetto a punte come quelle di un tempio giapponese, circondata da un recinto verniciato dello stesso color rubino dell'edificio.
L'uomo emise un grugnito di disprezzo tra i denti – si trasformò subito in un sospiro di condensa portato via dal vento – , e mentre un tamburo rullante creava suspense, uscì dall'inquadratura che lo riprendeva dall'alto a passo deciso e silenziosissimo.
Cambio di scena.
L'ambiente era scuro e molto rumoroso, quasi il saloon di un western. Uomini vestiti in kimono colorati di colori caldi o neri, donnine truccate fino a diventare anonime che servivano del tè, risate grasse e volgari dagli avventori, tutti di aspetto orientale.
Un vecchio dalla lunghissima barba ed un abito nero e blu stava seduto da solo ad uno dei tavoli di legno grezzo che dominava l'interno del locale, ricordandomi un po' il capanno delle ragazze-lupo, e guardava attraverso gli occhi socchiusi in una tela di rughe gli avventori. Una donnina dipinta gli portò una tazza di tè verde fumante, che lui accettò ed iniziò a sorseggiare senza un cenno né una parola.
La porta si spalancò all'improvviso lasciando entrare la luce forte e pallida da ferire gli occhi, e la figura dell'uomo incappucciato si stagliò ancora più nera in contrasto, immobile per un secondo.
«Chiudi quella porta, che entra freddo, straniero!» Strillò un uomo grasso con tanti anelli a cui era abbracciata una signorina ridacchiante in abito rosa, e con la stessa flemma del vecchio, l'uomo incappucciato richiuse la porta alle sue spalle precipitando per un attimo il locale nel buio.
Ignorato dagli altri chiassosi avventori, andò direttamente al tavolo del vecchio lasciando una scia di pedate di neve umide sul legno.
Il vecchio soffiò sul suo tè e dopo un lungo sorso concesse al nuovo arrivato un'occhiata. L'uomo si appoggiò con un solo braccio sul tavolo, rigidamente.
«Cosa ci fai qui?» Chiese il vecchio con voce crocchiante come un foglio di cartapecora, di cui si vedeva solo un gomito fasciato di blu nell'inquadratura. L'uomo incappucciato si spostò impercettibilmente sul posto, raddrizzando appena la schiena.
Non rispose.
Il vecchio sospirò e posò bruscamente il tè sul tavolo, facendo risuonare forte il rumore della tazza contro il legno. «Va' via. Stai interferendo con la mia missione»
«Mi sono migliorato». La voce dell'uomo incappucciato era inaspettatamente giovanile, e non suonava provata dalla lunga scalata che gli ci era voluta per arrivare qui. Tuttavia mormorava.
«Non mi interessa»
«Sono diventato più forte»
«Non mi interessa. Rovinerai la mia missione. Allarmerai la Setta dei Gargoyle»
«Maestro, loro non sono nulla in confronto a noi»
«Non sono il tuo sensei, e non lo sarò più. E tu non puoi nulla contro di loro. Sono giorni che cerchiamo di fermarli, e finalmente si stanno riunendo qui. C'è persino il loro capo»
«Riprendetemi come vostro allievo, sensei. Vi posso dimostrare il mio valore. Sono arrivato qui proprio per questo»
«Non mi interessa»
«Sono diventato degno».
Il vecchio strinse ancora di più gli occhi, chinandosi lentamente verso di lui. «Davvero? E cos'è che sapresti fare adesso, che non sapevi fare prima?»
Il giovane si alzò con uno scatto. La sua sedia che cadde al suolo fece un botto sproporzionato, facendo cessare tutte le conversazioni all'interno del locale.
«Vi farò tutti fuori» Disse il giovane incappucciato, e da che non c'era stato altro che silenzio, l'aria si riempì di un ritmo sincopato dato da dei colpi mirati su tamburi di pelle, sempre più forte.
L'uomo grasso lo indicò con gli occhi socchiusi, poi strillò una cosa tipo "Hai!", e tutti gli avventori uomini si misero in cerchio intorno al giovane incappucciato.
Primo piano degli occhi a mandorla del ragazzo, che guardavano a destra e a sinistra.
All'aggiungersi della chitarra elettrica nella colonna sonora il primo degli avversari del ragazzo si fece avanti con un pugno mirato dritto al suo volto ("Haaaaiii!"), ma lui lo parò subito e con movimenti precisi e rigidi lo afferrò dal braccio e lo fece volare vergognosamente lontano oltre le proprie spalle, mandandolo a fracassare un tavolo e apparentemente morire così, per poi mettersi finalmente in posizione di combattimento con l'arrivo della batteria e venire aggredito da un secondo avversario che ("Haaaaaaaiiiiiiii!") lui evitò e a cui, afferrata la testa, tirò due ginocchiate in successione sotto il mento e torse il collo mandandolo a cadere rovinosamente accanto ai propri piedi. Lottò contro tutti gli avversari rapidissimi e i cui "Haaaiii" erano sempre più lunghi e bestiali, ma questo non li aiutò a battere il giovane incappucciato nelle scene celerissime che si susseguivano, a cui il cappuccio non voleva calare nonostante i salti anti-gravità, le piroette su se stesso, le schivate portentose, gli scambi di pugni tanto rapidi da essere quasi invisibili. Si fecero avanti uno alla volta, rispettando l'ordine e continuando a girargli intorno fin quando non veniva il loro turno, per poi mangiare miseramente la polvere.
Poi la tastiera elettrica.
L'ultimo dei suoi avversari era vestito da ninja con il disegno di un gargoyle verde sul petto. Si abbassò il cappuccio, ed era un bellissimo giovane orientale dai capelli neri spettinabili da pubblicità del balsamo, con una lunga cicatrice sottile che gli attraversava tutto il volto.
L'uomo incappucciato non restituì il favore, e dopo un breve inchino, si slanciarono l'uno contro l'altro con degli "Haaiii" da fare accapponare la pelle.
«Nooo, è Jinkon Konjin!» sibilò Mike a bocca piena di pop corn «Credevo fosse morto in Pugni Calci 1!»
Dopo una raffica di pugni diretti ai rispettivi colli che evitarono muovendo rigidamente testa e collo da un lato all'altro e senza quasi spostare il resto del corpo, tale Jinkon Konjin si librò nell'aria e cercò di assestare un ardito calcio aereo all'uomo incappucciato, che lo evitò facendo la ruota tre volte, e la gamba del temuto assassino della Setta dei Gargoyle si abbatté sul tavolo del vecchio spaccandolo esattamente in due.
Suddetto anziano osservò compiaciuto lo scontro, continuando a sorseggiare tè senza neanche alzarsi dalla sedia.
L'uomo incappucciato passò al contrattacco, e così Jinkon Konjin, ma per quanto i loro colpi fossero ormai sfocatissimi, non sembrava riuscissero ad avere ragione l'uno dell'altro.
L'uomo grasso, che doveva essere il capo della Setta dei Gargoyle, incitava Jinkon ad uccidere il suo avversario, ma non si aspettava che l'uomo incappucciato utilizzasse la sua mossa finale.
Erano entrambi stanchi e avevano i vestiti un po' sbrindellati tranne per il cappuccio del giovane scalatore di monti, ma l'incappucciato raccolse le sue forze e si contorse come un bruco: alzò un braccio e una gamba dallo stesso lato del corpo contemporaneamente e colpì l'avversario con un pugno e un calcio rimanendo in equilibrio sulla gamba sinistra.
E poi ancora, e ancora, e la colonna sonora si intensificò per farci capire a quale incredibile momento storico stessimo assistendo, e Jinkon Konjin cadde in ginocchio con del sangue all'angolo della bocca, e si buttò per terra e svenne ad occhi aperti, oppure morì. Il giovane col cappuccio gli chiuse gli occhi lasciandolo a terra un po' scomposto.
Senza più nessuno a proteggerlo, il combattente più forte si avvicinò al capo della Setta dei Gargoyle. L'uomo grasso tremava con gli occhi spalancati grandi come piattini, e apparentemente la sua donna era morta di infarto off-screen, visto che ce l'aveva defunta addosso.
L'uomo si chinò e gli bisbigliò «Questo è per Jinkon Konjin».
Inquadratura del vecchio sadico che sorride mentre si sente l'urlo dell'uomo grasso, freddato dal nostro protagonista. Rumore di passi, scorsa dall'alto verso il basso del protagonista che si avvicina al vecchio mentre nella colonna sonora non rimangono che i tamburi, sempre più fievoli.
«Bentornato, Johnny-san» Disse il vecchio.
«Mi chiedeva cosa so fare ora, sensei» Disse il giovane, lasciando finalmente cadere il magico cappuccio.
Il ragazzo aveva i capelli castano scuro, e qualche lineamento più occidentale rispetto agli altri, ma per altro sembrava il fratello di Jinkon Konjin. Magari lo era, non ero attentissima alla spiegazione della trama di Mike.
«Più pugni, più calci. Tre volte di più».
La sala scoppiò in un boato di apprezzamento mentre io mi tenevo la pancia cercando di non ridere come una matta, e lì seppi di essere fregata. Jessica aveva ragione a non venire per le mosse tecniche.
Cos'era che avevo appena visto?
Mike aveva gli occhi brillanti, così brillanti che quasi potevo vederci vorticare delle stelline. Non potevo ridere. Non potevo ridere. Non potevo ridere...
Sullo schermo, tutto si fece brillante. Il vecchio e il ragazzo adesso si trovavano sul marciapiede di quella che pareva una metropoli molto affollata, piena di persone dai lineamenti orientali. Camminavano sul marciapiede, tutti e due senza cappuccio, e l'aria sembrava sfrigolare per il calore.
«Maestro» Disse il ragazzo «Siete sicuro di sapere dove stiamo andando?».
Il Maestro gli rifilò un colpo di taglio sul naso, facendolo sobbalzare.
«Tu sei troppo impaziente» Disse, scuotendo gravemente la testa «Hai imparato così tanto, eppure ancora non riesci ad applicarlo alla tua vita. Devi pazientare, Johnny-san».
Stacco di inquadratura. Cantiere pericolosissimo con le travi che oscillano a mezz'aria e muratori che vanno dall'anoressico all'obeso sparsi in giro. Uno dei muratori era chiaramente interpretato dallo stesso attore che aveva fatto uno degli avversari che Johnny-san aveva ammazzato all'inizio del film, sapientemente riciclato con una parrucca ricciola e una canottiera sporca.
Il vecchio e il ragazzo entrarono nel cantiere e il vecchio fece un noiosissimo discorso con un capocantiere dall'elmetto verde riguardo alla gente che faceva la fame nel paese.
«Maestro...» Sussurrò il ragazzo, tutto rigido
«Non ora, Johnny-san»
«Maestro...».
All'improvviso tre muratori attaccarono il maestro e l'allievo con spranghe di acciaio.
«In Pugni Calci 2, ti ricordi che te l'ho detto, c'era una scena come questa, ma con stecche di legno» mi ricordò Mike, tutto emozionato
«Si, me lo ricordo» dissi, annuendo.
Johnny-san schivò rigidamente i colpi del muratore con la parrucca ricciola, poi fece un salto e con un calcio rotante lo disarmò della sua spranga, per poi roteare di nuovo su se stesso e colpirlo all'orecchio con un pugno.
«Ahhhh!» Gridò il muratore-parrucca-ricciola «Maledetto!» mentre cercava di recuperare la spranga, ma Johnny-san gli schiacciò una mano con il tacco della scarpa rompendogli tutte le ossicine, poi lo scaraventò a terra con una ginocchiata alla faccia.
In un nonnulla, il ragazzo mise fuori gioco anche gli altri due muratori, ma all'improvviso un gruppo di ragazzi vestiti con abiti sporchi di macchie di cemento iniziarono a scendere saltando come gatti impazziti dall'edificio in costruzione, balzando senza paura su travi ondeggianti e cornicioni non finiti.
«Che figata» Commentò Mike «Vorrei fare anch'io qualcosa del genere».
Io ero quasi certa che per fare quella scena tutti gli attori fossero stati muniti di imbracature di sicurezza e fossero "pilotati" da fili e corde cancellati in post produzione, ma chi ero per ammazzare l'entusiasmo di Mike?
Ci fu una grande battaglia. Johnny da solo contro tutti i ragazzi sporchi, con calci e pugni che volavano all'impazzata.
Il maestro se ne stava dietro di lui, ad osservarlo, lisciandosi la barba bianca con una mano e annuendo di quando in quando ai colpi più spettacolari.
Alla fine solo Johnny rimase in piedi.
«Vogliamo parlare con il tuo capo» Disse il maestro, rivolto al capocantiere, che non solo non aveva partecipato alla rissa furibonda, ma non aveva neppure aperto bocca fino ad ora.
Il capocantiere, con faccia spaventatissima, annuì e li scortò.
Cambio di inquadratura: vicolo cieco sporco sporchissimo, con i topi sudici che mangiavano da un bidone della spazzatura sudicio posizionato su un asfalto sudicio e imbrattato d'olio. I nostri eroi, insieme al capocantiere, comparvero nel vicolo e quest'ultimo bussò ad una porta di metallo sudicia.
Si aprì una finestrina nella porta e due occhi cattivi e iniettati di sangue spuntarono
«Parola d'ordine?»
«La bilancia è tratta» disse il capocantiere.
In sala ci fu una risatina generale e alcuni commenti entusiasti. Mike mi afferrò per il gomito
«Mio Dio» disse «È la frase che il generale Mushu dice nel primo film perché non conosce i modi di dire e ne confonde due diversi».
Sorrisi, ma sapevo di non essere convincente.
I protagonisti, con il capocantiere, entrarono in quella che sembrava una bettola mafiosa, con gente vestita da mafiosi: cappelli neri, completi gessati, qualcuno persino occhiali da sole (al chiuso) e sigarette. L'aria era fumosa, pesante, probabilmente irrespirabile. La gente giocava a carte.
L'uomo con gli occhi cattivi e iniettati di sangue, il portiere, li scortava e chiese loro
«Cercate qualcuno in particolare o siete qui per affari... generici?»
«Cerchiamo qualcuno» disse il maestro, parlando molto lentamente mentre un primissimo piano ci mostrava i suoi occhi che vagavano per la stanza alla ricerca di qualcosa di preciso.
L'uomo dagli occhi cattivi si leccò le labbra
«E chi?»
«Ryoichi Ikegami».
Tutti smisero immediatamente di giocare a carte o di ridere sguaiatamente e guardarono verso il vecchio. C'era di chiedersi come lo avessero sentito se parlava così piano e se c'era così tanto chiasso.
«Ryoichi, eh?» Domandò un uomo in fondo alla sala, un ragazzo seduto a cavallo di una sedia, con il pizzetto e la coda di cavallo «E chi lo cerca?».
Il maestro avanzò lentamente verso di lui
«Io lo cerco» disse «E chi sono non è affare tuo»
«Molto bene. Il sensei Ryoichi è dietro quella porta» quello con il pizzetto indicò la porta con un cenno del capo «Ma se vuoi vederlo, prima dovrai batterti con me, vecchio. Il sensei non ammette smidollati alla sua presenza».
Subito Johnny-san si fece avanti
«Maestro!» esclamò «Lasci che combatta io al posto suo! Gli farò vedere chi sono davvero!»
«No» il vecchio scosse la testa, incrociando le braccia «Altrimenti non avrei il rispetto che merito. Io dovrò combattere contro di lui»
«Ma maestro... la vostra ferita...»
«Johnny-san... non interferire».
Il vecchio si fece avanti, dritto e fiero, stando a significare che accettava la sfida. Il tizio con il pizzetto si alzò in piedi e fu subito chiaro che aveva un vantaggio sleale: era enorme, di gran lunga il più grosso orientale che avessi mai visto; per giunta da dentro la giacca estrasse dei nunchaku e li fece roteare con abilità.
«Vedremo come te la cavi contro di me, vecchio» Disse, ma le risate dei suoi colleghi sgherri erano poche e sparse: l'attenzione sia degli spettatori che degli avventori mafiosi era tutta concentrata sul combattimento che stava per avere luogo.
Il giovane col pizzetto fu il primo a muoversi, roteando dieci volte i nunchaku da sotto le ascelle a sopra le spalle in un filosofico ciclo, poi si slanciò con un piede dritto verso il maestro in un calcio volante in una bellissima scena laterale, durante il quale il maestro stava ritto con le braccia dietro la schiena.
Si inquadrarono gli occhi furbi del maestro, come sempre ridotti solamente a fessure furbe, e con inaspettata agilità il sensei fece una spaccata da ballerina Ètoile dell'Operà di Parigi, prima di rialzarsi senza peso ed evitare muovendo il busto i nuovi attacchi del suo giovane avversario assestati con i suoi nunchaku.
Improvvisamente il maestro estese il braccio come la spiritromba di una bellissima farfalla ed eluse tutte le difese dell'uomo col pizzetto nella prima e ultima scena al rallentatore del film, tenendo le dita contratte come nello stile kung fu dell'aquila, e gli diede una manata dritto sul naso.
Da lì la velocità di riproduzione tornò normale.
L'avversario ululò e si gettò all'indietro su un tavolo, rovesciando tutto ciò che vi stava sopra sul pavimento in un putiferio di schegge tintinnanti; il maestro ansimò e giunse le mani come in preghiera, concentrandosi profondamente.
«Maestro, non avrete intenzione di usare le tecniche segrete!» Disse Johnny-san, facendomi dubitare con la sua eloquenza che sarebbero rimaste segrete molto a lungo
«Ciò non ti riguarda, giovane. Stai al tuo posto!» ringhiò il sensei, e si slanciò con un balzo incredibile verso l'avversario in lenta ripresa, e il suo salto era così ben spiccato che lo fece volare in aria abbastanza a lungo da poter scalciare levitando: tirò un calcio ad un piede dell'uomo sul tavolo, che ritrasse la gamba urlando.
Poi il maestro fu bruscamente ripreso di fianco, perché si voltò, brusco lui stesso, e con una manata a dita distese falciò una sedia che si disgregò in un turbinio di schegge, lasciando solo due dei piedi utilizzabili.
L'Ikea sarebbe stata fiera.
Il sensei prese i due piedi della sedia e si erse contro il suo avversario che aveva finalmente deciso di usare i nunchaku, e tra scontri rapidissimi dei bastoni contro l'arma nemica e una colonna sonora ricca di flauti e percussioni orientaleggianti, pareva quasi che i due fossero pari. Ma di nuovo il sensei eluse le difese del nemico, tirandogli stavolta una bastonata sul naso, che lo spedì ancora più distante.
«Ti faccio a pezzi, brutto vecchio!» Strillò con voce chioccia l'uomo col pizzetto, che sembrava avere i nunchaku attaccati ai palmi con la colla. Si rialzò dopo avere attraversato una lastra di vetro che fungeva da separè tra due diverse parti del locale, e lo si notava dal fatto che aveva una striscia rossa sopra un occhio, lo sguardo molto più arrabbiato e gli brillavano i vestiti di vetri.
Ma il sensei era caduto in ginocchio. La musica rallentò moltissimo, ripartendo coi soli tamburi ma decisamente più cadenzati. Tu-tu-tum turuturutum. Tu-tu-tum turururutum.
Piegato da un lato e con un braccio attorno al torace, ansimava.
«La ferita maledetta che si è fatto per proteggere il padre di Johnny-san dagli uomini di Ryoichi-sensei nel flashback di Pugni Calci 2! Sapevo che avrebbe segnato la sua caduta!» Esclamò Mike mangiandosi le unghie.
Gli diedi delle pacche sulla spalla di conforto.
«Maestro!» Gridò Johnny-san (con un primo piano drammatico)
«Johnny-san... se dovessi perdere... dovrai sconfiggerlo tu» rantolò il vecchio, artigliandosi i pettorali
«No, maestro! Voi vincerete!».
L'uomo con i nunchaku si abbatté sul vecchio e iniziò a percuoterlo velocissimamente con i nunchaku, con tanto di inquadrature ravvicinate delle botte.
«Noooooo!» Gridò Johnny, al rallentatore, con il sudore che gli scendeva lungo la faccia (o forse erano lacrime).
Alla fine, il maestro cadde riverso a terra, con il gigante orientale che troneggiava sopra di lui con i nunchaku insanguinati.
«Non siete degni di vedere il sensei Ryoichi» Disse il bestione, gettandosi il nunchaku in spalla
«Aspetta!» gridò l'allievo «Devi ancora sfidare me»
«Porta via quel rottame del tuo maestro. È ancora vivo, credo».
Johnny guardò verso il maestro, poi corse a sollevarlo tra le braccia e lo rassicurò con una sequela di parole che sembravano copiate da tutti i film cliché della terra.
Stacco di inquadratura, voci sfumate, il maestro su una barella in una corsia di ospedale. Johnny la seguiva correndo e dicendo «Va tutto bene, va tutto bene».
Ci fu poi la classica sequenza in cui i medici scuotono molto la testa e dicono parole difficili per una dozzina di minuti prima di concludere con un "non sarà più lo stesso".
Johnny-san piangeva.
Stacco di inquadratura: Johnny-san in un dojo tutto di legno.
«Il vecchio dojo abbandonato!» Esclamò Mike, afferrandomi un polso e stritolandomelo «Il maestro lo ha vinto perché era stato messo in palio nel primo film, in uno scontro contro un altro maestro, ed è stato qui che gli ha insegnato la tecnica dei pugnicalci!».
Tutto molto imbarazzante. Annuii, cercando di sembrare felicissima.
Johnny-san si legò una striscia di tessuto rosso sulla fronte. Al centro della striscia c'era un cerchio nero, con ricamati un pugno e un piede.
«Ommioddio» Ormai Mike mi stava rompendo il polso «La bandana del suo maestro. È la bandana del suo maestro!»
Ci fu un flashback, riconoscibile dal fatto che lo schermo sfarfallò di bianco e la visione era annebbiata.
C'era il maestro, nel letto di ospedale, tutto pieno di tubicini. Johnny-san gli stava a fianco.
«Maestro...»
«Johnny-san... prendi la mia fascia»
«No, maestro, avevate detto che...»
«Sei pronto, Johnny-san. Sei pronto».
Mike mi lasciò il polso per premersi entrambe le mani sulla bocca. Aveva gli occhi lucidi, ma era chiaro che si stava sforzando di non piangere e non voleva che io lo guardassi. Tornai a concentrarmi su quello che succedeva sullo schermo.
Johnny-san iniziò ad allenarsi. Tirava pugni e calci, ovviamente, altrimenti il film avrebbe avuto un titolo diverso. Poi una voce sfumata risuonò, forse quella del maestro, ma non si capiva molto bene con tutto l'autotune che ci avevano infilato.
«Tre pugni».
Johnny-san tirò tre pugni velocissimi.
«Tre calci».
Johnny-san tirò tre calci velocissimi.
«Lascia che il sacro potere del tre ti guidi alla vittoria».
Johnny-san urlò, come Goku quando deve diventare super-saiyan, poi fece un salto mortale all'indietro ("uno standing moonsault" disse la mia mente di appassionata di wrestling) e atterrò come un supereroe.
«Sono pronto».
Cambio di inquadratura. Di nuovo la scena dell'entrata nella bettola dei mafiosi, con la stessa parola d'ordine di prima.
Ci fu una lunga, lenta, scena con colonna sonora di tensione in cui Johnny-san camminava facendo scricchiolare il pavimento e la gente lo guardava con le sigarette agli angoli della bocca.
«Sono qui» Disse Johnny-san, quando finalmente la musica si fu spenta «Per Ryoichi Ikegami».
Di nuovo il ragazzone con il pizzetto e il codino si alzò, immenso, e di nuovo sfoderò i nunchaku.
«Dovrai passare sul mio corpo».
Il combattimento iniziò immediatamente, ferocissimo e senza esclusione di colpi. Johnny-san, tuttavia, afferrò il nunchaku e lo sbatté come se fosse un bastone sulla fronte del suo avversario, spiccando un balzo, poi iniziò a massacrarlo di calci da tutte le parti, dal mento fino alle ginocchia.
Alla fine il bestione franò per terra, con un gran boato, sulle assi di legno nella stessa posizione in cui aveva lasciato il maestro nel loro ultimo scontro.
«Non sei neanche degno di ricalcare la sua posa!» Ringhiò Johnny-san (e stavolta mi ci volle un grande autocontrollo per non ridere) prima di assestargli un calcio che lo fece rotolare su un fianco.
«Puoi passare» Rantolò il bestione, sputando una boccata di sangue.
Il giovane e imbattibile marzialista non se lo fece ripetere due volte e finalmente attraversò la porta.
Si capiva subito chi era Ryoichi Ikegami: era l'unico ad avere un kimono bianco in mezzo a tutti quei criminali con il completo. Era un signore attempato, con un naso stranamente affilato nonostante fosse orientale, che stava sorseggiando del té da una tazzina di ceramica.
«Sono qui» Disse Johnny-san «Per i documenti delle terre di mio padre. Come ti avevo promesso, sono tornato».
Ryoichi Ikegami rise piano, posando la tazzina.
«Johnny... piccolo Johnny... tuo padre non è riuscito a battermi, cosa ti fa credere che tu possa farcela?».
Primi piani sugli occhi di Ryoichi e di Johnny.
«Io ho avuto un maestro migliore» Sussurrò il ragazzo, mettendosi in posizione di combattimento.
Ryoichi fece un cenno annoiato
«Non qui» disse «Al mio dojo. Non si combatte dove si dovrebbe divertirsi».
«Che farabutto!» Esclamò Mike, afferrandomi nuovamente il polso «Guarda che gran farabutto! Lui ha combattuto contro il padre di Johnny-san proprio nella sala da té della sua città!».
Ah ah. Che villain incredibile. Uh, non avevo mai visto niente di più malvagio. Certo. Sicuro. Non che fosse un cattivo che faceva battute di ripicca da bimbo di dieci anni. No. Certo che no, Mike. Vai tranquillo. Sicuro. È un cattivo scritto benissimo.
No, certo che non sono ironica. Sono proprio sarcastica, che è un filo diverso.
Stacco di inquadratura.
Johnny con la felpa e la fascia del suo maestro contro Ryoichi con il kimono bianco, uno davanti all'altro, ad un paio di metri di distanza l'uno dall'altro. La scena era sottolineata da una musica orientaleggiante e tesa, che lentamente diventava più veloce, finché non fu proprio sferzante. Al culmine della melodia, i due guerrieri si lanciarono l'uno contro l'altro e presero a combattere ad una velocità quasi impossibile da seguire che ero quasi certa che fosse stata velocizzata al computer. Mentre combattevano emettevano urla quasi inumane, acutissime ("haaaaaaaaiiii" ma con voce di bambina posseduta), il che rinforzava la mia idea che l'intera scena, compreso l'audio, fossero stati velocizzati in post produzione.
Ryoichi subì un solo calcio, ma si riprese come se nulla fosse e colpì con un pugno Johnny-san allo stomaco, facendolo cadere per terra.
Johnny si rialzò dolorante. Primo piano sugli occhi contornati da pelle scintillante di sudore.
«Sei come tuo padre» Disse Ryoichi «Ed evidentemente il tuo maestro non è bravo abbastanza».
Johnny strinse i denti e si drizzò.
"Tre pugni" Disse una voce incorporea, di donna "Tre calci".
Il ragazzo strinse un pugno. Il ragazzo indurì una gamba. Ryoichi si scagliò contro di lui, ma Johnny fu più veloce e lo colpì con una sequenza velocissima: un pugno con la mano destra e un calcio con la gamba destra, poi di nuovo e poi di nuovo ancora.
«Tre pugni. Tre calci» Disse il giovane, guardando Ryoichi «Tre pugnicalci».
Mi dovetti premere una mano sulla bocca per non ridere. Mike, invece, sembrava pronto a saltare sulla sedia, aggrappato ai braccioli saldamente.
«La tecnica segreta» Disse «Oh mio Dio, l'ha usata. Ha usato la tecnica».
A me non sembrava così impossibile da realizzare. Forse persino io, che non avevo mai fatto arti marziali in vita mia, sarei riuscita a replicarla. Ma vabbé...
Il film si concluse con il giovane Johnny che veniva considerato "degno" e vincitore e Ryoichi gli riconsegnava i documenti con le terre di suo padre. Nella scena finale il ragazzo stava in piedi su una collinetta fangosa e guardava quel mucchio di erbacce che erano stati i terreni di suo padre, ormai incolti da tempo immemore, e diceva «È qui che crescerò i miei figli».
Titoli di coda.
Ci furono scrosci di applausi in sala e, per gentilezza, mi unii anch'io.
«Il miglior Pugni Calci fino ad ora!» Esclamò Mike, alzandosi in piedi «Bellissimo!».
Quando uscimmo dalla sala ero leggermente frastornata. Questo era quello che Mike amava di più, la sua massima idea di intrattenimento? Beh, non mi sembrava un granché, ma non me la sentivo neanche di giudicarlo, non io che amavo il wrestling.
«Senti, Belarda...» Mi disse lui, ancora con un gran sorriso stampato in faccia, mentre ci dirigevamo di nuovo alla macchina «... Tu hai due biglietti per il wrestling»
«Si?»
«E non ci vai con tuo padre, giusto?»
«No. Purtroppo lui domani sarà a pesca»
«Quindi con chi ci vai?»
«Non lo so» dissi, rendendomi conto all'improvviso che non sapevo davvero chi invitare
«Che ne pensi di me?»
«Di te?» gli diedi una spintarella giocosa «Mike, domani c'è il ballo della scuola. Se non ci vai con Jessica, lei sai cosa fa di te? Ti spappola peggio di come il tizio con i nunchaku ha fatto col maestro»
«Ah» lui si morse l'interno di una guancia «Non ci avevo pensato. È vero, domani c'è il ballo, ci devo andare. L'ho anche detto ai miei. Allora con chi ci vai?».
Ci pensai. Non potevo andarci con Mike perché lui andava al ballo, non potevo andarci con papà perché andava a pesca, non potevo andarci con Dracula perché era un gatto, tutte le mie amiche donne erano al ballo, non potevo scegliere una sola delle ragazze-lupo della riserva perché altrimenti le altre si sarebbero offese, quindi mi rimaneva una sola scelta...
«Ci inviterò un amico di infanzia» Dissi «Jacob Black. Quel ragazzino con cui parlavo quando siamo andati a La Push, ti ricordi?»
«Ah, si... quello con tutti quei capelli»
«"Con tutti quei capelli"» ridacchiai «Non ha molti più capelli di me»
«Ma sono tanti, per un ragazzo»
«Ma dai! Siamo moderni, i ragazzi possono portare i capelli come gli pare»
«Certo, e chi dice niente? Ho solo detto che ha un sacco di capelli».
Decidemmo di andare a prenderci un gelato e passammo ancora qualche minuto a spasso prima di tornare alla macchina. Mike li spese a imitare alcune delle mosse del protagonista del film e fece volare dappertutto gocce di gelato sciolto.
Nonostante il film fosse stato tremendo (e tutto doppiato da schifo, cosa che mi ero dimenticata di citare), dovevo ammettere che mi ero divertita... o mi ero divertita proprio perché il film era stato tremendo?
Mike mi riaccompagnò a casa e lo salutai con un bacio sulla guancia che lo fece diventare rosso come un peperone.
«Vado al ballo con Jessica» Mi ricordò lui «E tu mi corteggi così?»
«Stupidino! Noi italiani salutiamo così la gente, baciandoli sulle guance»
«Ah. Si, certo» goffamente, anche lui mi diede un bacetto leggerissimo su una guancia «Però non farlo sapere a Jessica»
«Tranquillo. La tua tresca segreta è al sicuro».
Tutto rosso, lui ripartì e io mi sentii felice, tranquilla, sollevata.
Quando rientrai in casa, papà mi stava aspettando praticamente dietro la porta, con le mani sui fianchi.
«Belarda Cigna» Mi disse, serio «Cosa mi nascondi?»
«Ho due biglietti per la WWE» gli dissi «Ma non vado con Mike a vederla»
«Ah no?» d'improvviso era confuso «E con chi ci vai? Non con Cullen spero!» fece gli occhi rotondi come quelli di un gufo tanto era terrorizzato all'idea che uscissi con Edward
«Certo che no!» risposi, disgustata «Ci vado con Jacob. Cose tra ragazzini, non ti interesserebbe sapere tutto il giro che c'è voluto per procurarsi i biglietti e per finire ad andarci con Jacob»
«Davvero? È tutto qui?»
«Si papà» feci un sorriso, sincera finalmente «È tutto qui. È solo ed esclusivamente una storia di biglietti della WWE. A proposito, mi daresti il numero di Billy? Ho bisogno di chiamare Jacob per dirgli una cosa»
«Quindi non ci vai più con Mike?» chiese lui, sospettoso, mentre cercava nella rubrica cartacea che teneva in un cassetto
«È quello che ho detto, papà. Ci vado con Jacob»
«E ti fai accompagnare da lui?»
«Papà, Jacob è troppo piccolo per avere la patente, giusto?»
«Ehm... si»
«Quindi vado a prenderlo io».
Lui, rigido, mi passò la rubrica aperta sulla pagina su cui, in lettere appena leggibili, era segnato il numero di Billy Black. Lo copiai sul mio telefono e poi gli ridiedi la rubrica.
«Grazie papà»
«Ti sei divertita al film?»
«Si!»
«Sono contento. Che film era?»
«Pugni Calci 3. Il migliore della saga, dicono»
«Ah. Stasera la fai tu, la cena?».
Risi di gusto
«Certo, papà. Ci sono altre alternative? Ma prima fammi chiamare Jacob».
Salii in camera mia e chiamai a casa di Billy. Fu direttamente il figlio a rispondere, probabilmente perché suo padre non era molto contento di dover spingere in giro la sedia a rotelle.
«Pronto?»
«Pronto, Jacob Black?»
«Si, chi parla?»
«Sono Belarda Cigna»
«Belarda! Ciao! Vuoi parlare con papà?»
«No, voglio parlare con te. Fai qualcosa domani?»
«Io... ehm... perché?»
«Perché voglio invitarti ad un appuntamento che, se sei intelligente, non potrai rifiutare»
«Sono liberissimo» disse lui, forse con un po' troppo zelo
«Bene. Ho due biglietti per lo spettacolo di Seattle della WWE. Smackdown, Jacob. Smackdown!»
«COSA?! Seria, Bella?»
«Seria serissima»
«Adoro la WWE! Certo che ci vengo, certo, Bella!»
«Allora passo a prenderti io, domani. Ci metteremo circa tre ore e quaranta per raggiungere Seattle, quindi...»
«Quindi ci andiamo con la mia macchina. È meglio del tuo Chevy, senza offesa»
«Niente offesa» ero determinata, niente doveva andare storto in quel giorno, non potevo rischiare di rimanere in panne «Vengo a casa tua con la mia macchina, la lascio lì e poi guido la tua»
«Va... va bene» disse lui, un po' dubbioso «Perché non posso guidare io?»
«Niente deve andare storto» dissi, duramente «Niente»
«Ci tieni tanto, vero?» la sua voce si addolcì un poco
«Tu non hai idea. Se qualcosa va storto, io ammazzo il mondo. Dobbiamo andarci, Jacob!»
«Per chi ti sei presa una cotta?» lui rise «È per vedere Randy Orton?»
«Non so neanche se ci sarà Randy Orton!»
«E allora chi?»
«Meglio che non te lo dica. E poi non è una cotta!» quasi strillai, arrossendo anche se nessuno mi stava osservando
«È una cotta, fidati. Lo sento dalla voce»
«Ma stai un po' zitto. Voglio solo vedere del buon wrestling»
«Allora dovresti guardare le federazioni indipendenti»
«Ne parliamo domani, altrimenti scarichiamo tutto il credito»
«Va bene. A che ora passi?»
«Vengo lì alle cinque e prepariamo tutto il preparabile, d'accordo?»
«Nessun problema, Belarda. Ci sarò sicuramente, è da non perdere!».
Chiusi la chiamata e guardai lo schermo del telefonino, sentendomi come attraversata da una scarica di elettricità. Solo che questa volta era elettricità buona, che mi dava la carica, e non la strana sensazione di essere fulminati che mi dava stare seduta al buio accanto ad Edward Cullen.
Misi a posto il telefono e scesi a preparare la cena. Papà sembrava meno teso, per fortuna, forse captando la mia sincerità e la mia felicità, e seguì tutto il procedimento di preparazione della cena con lo sguardo, facendo di tanto in tanto domande.
«Quindi alla fine ci vai davvero, a vedere la WWE?» Mi domandò, a bruciapelo
«Si, papà»
«Hai detto che mi procurerai un autografo di Undertaker».
Lo avevo quasi dimenticato, perciò trasalii facendo schizzare del sugo contro la mia maglietta. Forse ero stata un po' avventata nel fare quella promessa che non ero sicura di realizzare, ma ormai l'avevo fatta e ogni promessa è debito...
«Si, papà» Dissi, seria
«Mi raccomando» disse lui, divertito «Ci tengo davvero»
«Non mettermi pressione»
«Hai paura, piccola?»
«Posso sentirti sghignazzare dentro. Come una iena spirituale».
Questa battuta lo fece ridere sul serio. Mi ripulii dal sugo la maglietta e lo rimbeccai
«E comunque non ho paura per niente. Non potrà mai essere peggio di Edward Cullen»
«Su questo hai ragione, piccola».
Niente poteva fare più paura di Edward Cullen.

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Bonus: Abbiamo disegnato l'epico poster di "Pugni Calci 3" ed eccolo per voi! Rifatevi gli occhi:
Bonus: Abbiamo disegnato l'epico poster di "Pugni Calci 3" ed eccolo per voi! Rifatevi gli occhi: 

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