Alle quattro e mezza
udii una macchina parcheggiare sotto casa e qualcuno che percorreva il
vialetto e suonava il campanello. Mi alzai con calma, lasciando che
fosse papà ad aprire e arrivai, seguita da Dracula, proprio mentre
l'ispettore Cigna si faceva da parte per lasciare entrare Mike.
«Ciao!» Lo salutai.
Indossavo un maglione
color crema e il mio paio di jeans più vecchi, con una borsetta a
tracolla nella quale tenere il telefono, i soldi e i miei preziosi
biglietti che non mi fidavo a lasciare a casa (anche se non c'era motivo
per essere preoccupati) e che comunque sentivo di dover portare sempre
con me.
«Belarda» Mike sorrise, annuendo come in risposta ad una domanda immaginaria «Sei già pronta?»
«Prontissima» risposi, allegra.
Dracula miagolò e andò a strusciarsi contro le caviglie di Mike.
«Venduto» Sussurrò papà, rivolto al gatto «Fai le fusa a tutti»
«È un gatto amichevole, signor Cigna» cercò di giustificarlo Mike
«E tu, mi raccomando, guida piano»
«Certo, signore»
«Ma che film andate a vedere?»
«Uno di arti marziali»
«Uno di arti marziali»
«E il wrestling?»
«Il wrestling?» chiese
Mike, confuso «Quello a cui Belarda non può andare sabato? Mi dispiace
tantissimo che i biglietti siano esauriti».
Oh no. Non pensavo che
avrebbero potuto scoprire così in fretta la mia montatura. Corsi verso
Mike, resa coraggiosa e propositiva dai biglietti nella mia tracolla, e
gli afferrai un braccio all'altezza del gomito, affrettandomi a dire
«Ormai a papà l'ho detto che domani ci andiamo»
«Ci andiamo?» disse confuso Mike, guardandomi negli occhi nel tentativo di capire che cavolo mi fosse preso
«Ci andiamo?» disse confuso Mike, guardandomi negli occhi nel tentativo di capire che cavolo mi fosse preso
«Certo» risposi, con un gran sorriso.
Mike capì immediatamente che doveva stare al gioco, anche se continuava ad essere un po' impacciato e titubante, così annuì
«Va va b-bene, signor Cigna, ci ha scoperti. Ma adesso d-dobbiamo andare, che facciamo tardi per il film»
«Non me la contate
giusta» iniziò a dire mio padre, ma prima che potesse aggiungere
un'altra parola io trascinai fuori Mike di corsa e lo spinsi al posto di
guida della sua automobile.
Mi sedetti sul sedile passeggero, chiusi la portiera sbattendola e ordinai «Partiamo»
«Bella... che succede? Che ti prende?» mi domandò lui, girando la chiave
«Ti spiego tutto, ora vai»
«Stai nascondendo qualcosa a tuo padre?»
«Si. Si, ma niente di grave, per amor del cielo! Parti parti».
«Si. Si, ma niente di grave, per amor del cielo! Parti parti».
L'ispettore Cigna ci
guardava, sospettoso, dalla soglia. Aveva le sopracciglia aggrottate e
le mani sui fianchi. Forse non avrei dovuto fuggire in modo così
sospetto con un ragazzo, ma mi sarei inventata qualcosa per giustificare
tutto.
Guardai dritta davanti a
me, tamburellando sul cruscotto finché non svoltammo la curva; nessuno
dei due disse una parola, come per paura che ci avrebbe potuti sentire
finché riusciva a vederci.
Ma non appena svoltammo la fatidica curva...
«Allora?» Mi chiese subito Mike impaziente «Per cosa mi stai facendo mentire ad un pubblico ufficiale?»
«Per questi» dissi, ed estrassi i due biglietti spiegazzati e li sventolai nell'aria.
Gli ci vollero almeno tre occhiate furtive, dalla strada ai rettangoli di cartaccia che avevo in mano – ma erano i miei rettangoli di cartaccia – per riconoscere il simbolo nero all'angolo.
Non che fosse facile, con la pedata che ci aveva lasciato quello sporcaccione di Edward.
«Belarda!» Quasi urlò
«Ma costano un casino quelli, perché non vuoi che lo sappia tuo padre?
Gli hai speso tutti i soldi? Li hai rubati? Su, parla!»
«Li ho trovati a terra»
dissi sinceramente «Ma non voglio che lo sappia perché... Beh, sono due
giorni che Cullen viene sotto casa mia. Non si avvicina, mi guarda da
lontano» volevo minimizzare, non era il caso che Mike si mettesse in
testa di difendermi da quel mostro «Rispetta l'ordine restrittivo,
insomma. Ma stamattina mi si è avvicinato e per scusarsi e fare la pace
mi ha offerto di andare con lui a vedere uno spettacolo della WWE».
Mike mi guardò inorridito per un secondo «Non avrai accettato, Bella!»
«Certo che no. Infatti
sono arrivata tristissima a scuola, lo sai. Solo che quando ho rifiutato
lui mi ha detto che era un peccato e di "non farglieli buttare". Poi me
ne sono andata, ma quando sono tornata da scuola...».
Mike boccheggiò «No. Non può essere così scemo, non li avrà letteralmente buttati?»
«Si, proprio lì, per terra. E guarda, infatti sono tutti schifiati, ci ha pure lasciato la pedata!»
«Ma porca la miseria! Belarda, congratulazioni! Ma non sarà rubare?» chiese, improvvisamente dubbioso
«No, li aveva buttati
sul mio giardino. E poi, se volesse denunciarmi, dovrebbe spiegarci che
ci faceva sotto casa mia. E non gli conviene»
«Grande, Bella!» mi allungò un batti cinque che schioccò per l'abitacolo, e fui fiera di me.
«Però... perché non
l'hai detto a tuo padre?» Mi chiese lui a sorpresa, mentre mi guardavo
nello specchietto dell'auto per aggiustarmi una ciocca di capelli
anti-gravità
«Perché non si è
avvicinato assolutamente oltre a stamattina, e se non mi si può
avvicinare probabilmente mi lascerà stare prima o poi».
Lui non sembrava affatto convinto «Bella, se fa di nuovo una cosa del genere tu avverti qualcuno».
Non mi piaceva mentire a
Mike. Non mi piaceva mentire, punto. Se Edward fosse stato umano e non
parte di una famiglia schifosamente ricca e vampirica che corrompeva la
polizia, è quello che avrei detto a qualunque ragazza: tieni lontani gli
stalker pazzi con tutto quello che hai.
Ma qui dovevo trovare altre strade.
«Certo» Dissi, ma
ovviamente facevo schifo a dire bugie anche di una parola sola e il mio
amico scosse la testa, ma lasciò cadere l'argomento.
Arrivammo al cinema in men che non si dica, o almeno così parve.
Nel momento in cui
stringevo il mio biglietto dopo la lunga fila cicaleggiante al
botteghino (chiedendomi com'era possibile che un film del genere avesse
una lunga fila al botteghino) avevo avuto il tempo di sentirmi
raccontare tutta la storia di Pugni Calci 1 e Pugni Calci 2, le scene
extra, e prendere per sbaglio una cicca sotto la scarpa. Mi sentivo un
po' frastornata, e Mike mi spinse praticamente di peso dentro la sala
ancora illuminata.
«Andiamo, andiamo!
Bella, vedrai che calci! Vedrai che pugni! Vedrai che Pugni Calci!»
Esclamò contentissimo, e mi riscossi un po'. Che bambinone, il mio Mike.
Prendemmo posto a metà
della quinta fila, ma eravamo entrambi d'accordo sul fatto che non
volevamo stare proprio sotto lo schermo di proiezione, perché non ci
saremmo riusciti a godere il film da troppo vicino.
«Comunque casomai era
bello il naso del vecchio sensei» Mi assicurò lui, saltellando sulla
poltroncina rossa per testarne la consistenza
«Ma finiscila».
Il cinema non era
enorme, ma già con le luci accese mi ispirava fiducia. Le poltroncine
erano rosse e comode, con un tappeto cremisi che si srotolava come la
lingua di un camaleonte tra i due gruppi di posti a sedere; il
lampadario era bello e complicato, ma soprattutto era molto più bello
perché non ci ero sotto e non avevo paura che potesse cadermi in testa
da un momento all'altro.
Non aveva un aspetto moderno, ma questo contribuì a rendermi almeno un po' più emozionata.
C'è una magia nel
cinema, nel modo lo schermo attira lo sguardo come la fiamma per la
retorica falena, nel buio totale, nel cameratismo delle persone di cui è
difficile distinguere le facce che sono lì per guadare il tuo stesso
film ed emozionarsi, nell'odiare unanimi le coppiette sbaciucchione che
prendono sempre i primi posti, nell'odore di pop-corn e i bisbigli al
buio inondati dalle voci dei personaggi di cui tutti stiamo osservando
segretamente le vite.
In breve, la magia del cinema avrebbe forse potuto rendere bello, o sopportabile, anche il peggiore dei film.
Mike si illuminò di un'idea. Oh, le idee di Mike.
«Vuoi i pop-corn?» Mi chiese eccitato. Ah, non era una cattiva idea.
«Si, sarebbe forte. Ti tengo il posto allora, vai!».
Mike si defilò in
fretta, scansando dei colleghi spettatori che entravano nella sala
ancora illuminata, e misi possessivamente una mano sul suo posto
guardando in cagnesco chi passava troppo vicino.
Quando improvvisamente le luci si spensero.
Ma non stava per entrare
Undertaker, ne ero abbastanza certa, ed entrai in agitazione: Mike si
sarebbe perso l'inizio del film! Ma eravamo lì per lui!
Era parecchio che non
andavo al cinema, e mi ero dimenticata che prima della proiezione vera e
propria ti bombardano di trailer di altre pellicole.
Ero fortunata. Erano
tutti di horror scarsi e pieni di jump scare. Una bambola satanica con
gli occhi storti fece sobbalzare tutti in sala urlando qualcosa che non
capii, ma che alle mie orecchie somigliava alla parola "Uggia".
Mike tornò raggiante con
una bustona enorme di pop corn e due bicchieri di carta, in cui
versammo i pop corn per avere ognuno i propri.
«È più comodo ed
igienico così» Mi disse lui, tutto fiero della propria trovata,
ignorando la bambola maledetta Isabella che si scioglieva urlando sullo
schermo. Ma che schifo.
«Belarda, è tutto okay? Hai una faccia...»
«Mike, sta per iniziare il film!» additai la fine del trailer con urgenza.
Ci componemmo sulle nostre sedie, gli occhi fissi sul grande schermo e macinando pop corn a rotazione come macchine agricole.
E il film ebbe inizio.
La schermata nera e
silenziosa iniziò a dissolversi, lasciando spazio ad una luce
bianco-azzurrina, e man a mano che il paesaggio si definiva il rumore
del vento si intensificava, spandendosi nella sala buia ad onde.
La telecamera scivolò
sui contorni delicati di montagne lontane, e si spostò senza fretta per
inquadrare il fianco di una montagna di roccia scura e umida di neve,
anche se non stava nevicando.
Un uomo la stava
risalendo, ignorando stoico il vento e il freddo. Non stava indossando
alcun tipo di equipaggiamento da scalata, non ne aveva bisogno: senza
tema di fallire mani e piedi si poggiavano esattamente nei punti giusti
della roccia.
La mano si attaccò ad
una sporgenza scivolosa, e le dita sembrarono perdere la presa, ma la
ristabilirono in fretta. La punta del suo piede, nascosta da uno stivale
con la pelliccia, si infilò in una fortuita crepa nel fianco della
montagna, sostenendo appena il suo peso.
Il fiato caldo
dell'uomo si condensava in nuvolette pallide nell'aria carica e densa,
sollevandosi in svolazzi goffi da sotto il cappuccio della mantella di
lana nera che lo ricopriva, rendendo invisibile il suo volto.
La scalata terminava
bruscamente, con una superficie quasi piana su cui l'uomo atterrò con un
salto facendo svolazzare gli abiti lunghi e la sua mantella,
rialzandosi lentamente ad osservare ciò che si stagliava contro il cielo
chiaro.
Noi spettatori
assistemmo allo spettacolo di un pezzo della sua mascella rivolta verso
l'alto e il bordo del suo cappuccio sventolante nella brezza aggressiva,
ad osservare la costruzione arroccata sulla roccia. Rossa, ma violacea
nella luce smorta dell'ambiente gelido ed impietoso, questa costruzione
sembrava nata per appartenere a quel paesaggio. Aveva il tetto a punte
come quelle di un tempio giapponese, circondata da un recinto verniciato
dello stesso color rubino dell'edificio.
L'uomo emise un
grugnito di disprezzo tra i denti – si trasformò subito in un sospiro di
condensa portato via dal vento – , e mentre un tamburo rullante creava
suspense, uscì dall'inquadratura che lo riprendeva dall'alto a passo
deciso e silenziosissimo.
Cambio di scena.
L'ambiente era scuro e
molto rumoroso, quasi il saloon di un western. Uomini vestiti in kimono
colorati di colori caldi o neri, donnine truccate fino a diventare
anonime che servivano del tè, risate grasse e volgari dagli avventori,
tutti di aspetto orientale.
Un vecchio dalla
lunghissima barba ed un abito nero e blu stava seduto da solo ad uno dei
tavoli di legno grezzo che dominava l'interno del locale, ricordandomi
un po' il capanno delle ragazze-lupo, e guardava attraverso gli occhi
socchiusi in una tela di rughe gli avventori. Una donnina dipinta gli
portò una tazza di tè verde fumante, che lui accettò ed iniziò a
sorseggiare senza un cenno né una parola.
La porta si spalancò
all'improvviso lasciando entrare la luce forte e pallida da ferire gli
occhi, e la figura dell'uomo incappucciato si stagliò ancora più nera in
contrasto, immobile per un secondo.
«Chiudi quella porta,
che entra freddo, straniero!» Strillò un uomo grasso con tanti anelli a
cui era abbracciata una signorina ridacchiante in abito rosa, e con la
stessa flemma del vecchio, l'uomo incappucciato richiuse la porta alle
sue spalle precipitando per un attimo il locale nel buio.
Ignorato dagli altri
chiassosi avventori, andò direttamente al tavolo del vecchio lasciando
una scia di pedate di neve umide sul legno.
Il vecchio soffiò sul
suo tè e dopo un lungo sorso concesse al nuovo arrivato un'occhiata.
L'uomo si appoggiò con un solo braccio sul tavolo, rigidamente.
«Cosa ci fai qui?»
Chiese il vecchio con voce crocchiante come un foglio di cartapecora, di
cui si vedeva solo un gomito fasciato di blu nell'inquadratura. L'uomo
incappucciato si spostò impercettibilmente sul posto, raddrizzando
appena la schiena.
Non rispose.
Il vecchio sospirò e
posò bruscamente il tè sul tavolo, facendo risuonare forte il rumore
della tazza contro il legno. «Va' via. Stai interferendo con la mia
missione»
«Mi sono migliorato».
La voce dell'uomo incappucciato era inaspettatamente giovanile, e non
suonava provata dalla lunga scalata che gli ci era voluta per arrivare
qui. Tuttavia mormorava.
«Non mi interessa»
«Sono diventato più forte»
«Non mi interessa. Rovinerai la mia missione. Allarmerai la Setta dei Gargoyle»
«Maestro, loro non sono nulla in confronto a noi»
«Non sono il tuo
sensei, e non lo sarò più. E tu non puoi nulla contro di loro. Sono
giorni che cerchiamo di fermarli, e finalmente si stanno riunendo qui.
C'è persino il loro capo»
«Riprendetemi come vostro allievo, sensei. Vi posso dimostrare il mio valore. Sono arrivato qui proprio per questo»
«Non mi interessa»
«Sono diventato degno».
Il vecchio strinse
ancora di più gli occhi, chinandosi lentamente verso di lui. «Davvero? E
cos'è che sapresti fare adesso, che non sapevi fare prima?»
Il giovane si alzò con
uno scatto. La sua sedia che cadde al suolo fece un botto
sproporzionato, facendo cessare tutte le conversazioni all'interno del
locale.
«Vi farò tutti fuori»
Disse il giovane incappucciato, e da che non c'era stato altro che
silenzio, l'aria si riempì di un ritmo sincopato dato da dei colpi
mirati su tamburi di pelle, sempre più forte.
L'uomo grasso lo indicò
con gli occhi socchiusi, poi strillò una cosa tipo "Hai!", e tutti gli
avventori uomini si misero in cerchio intorno al giovane incappucciato.
Primo piano degli occhi a mandorla del ragazzo, che guardavano a destra e a sinistra.
All'aggiungersi della
chitarra elettrica nella colonna sonora il primo degli avversari del
ragazzo si fece avanti con un pugno mirato dritto al suo volto
("Haaaaiii!"), ma lui lo parò subito e con movimenti precisi e rigidi lo
afferrò dal braccio e lo fece volare vergognosamente lontano oltre le
proprie spalle, mandandolo a fracassare un tavolo e apparentemente
morire così, per poi mettersi finalmente in posizione di combattimento
con l'arrivo della batteria e venire aggredito da un secondo avversario
che ("Haaaaaaaiiiiiiii!") lui evitò e a cui, afferrata la testa, tirò
due ginocchiate in successione sotto il mento e torse il collo
mandandolo a cadere rovinosamente accanto ai propri piedi. Lottò contro
tutti gli avversari rapidissimi e i cui "Haaaiii" erano sempre più
lunghi e bestiali, ma questo non li aiutò a battere il giovane
incappucciato nelle scene celerissime che si susseguivano, a cui il
cappuccio non voleva calare nonostante i salti anti-gravità, le piroette
su se stesso, le schivate portentose, gli scambi di pugni tanto rapidi
da essere quasi invisibili. Si fecero avanti uno alla volta, rispettando
l'ordine e continuando a girargli intorno fin quando non veniva il loro
turno, per poi mangiare miseramente la polvere.
Poi la tastiera elettrica.
L'ultimo dei suoi
avversari era vestito da ninja con il disegno di un gargoyle verde sul
petto. Si abbassò il cappuccio, ed era un bellissimo giovane orientale
dai capelli neri spettinabili da pubblicità del balsamo, con una lunga
cicatrice sottile che gli attraversava tutto il volto.
L'uomo incappucciato
non restituì il favore, e dopo un breve inchino, si slanciarono l'uno
contro l'altro con degli "Haaiii" da fare accapponare la pelle.
«Nooo, è Jinkon Konjin!» sibilò Mike a bocca piena di pop corn «Credevo fosse morto in Pugni Calci 1!»
Dopo una raffica di
pugni diretti ai rispettivi colli che evitarono muovendo rigidamente
testa e collo da un lato all'altro e senza quasi spostare il resto del
corpo, tale Jinkon Konjin si librò nell'aria e cercò di assestare un
ardito calcio aereo all'uomo incappucciato, che lo evitò facendo la
ruota tre volte, e la gamba del temuto assassino della Setta dei
Gargoyle si abbatté sul tavolo del vecchio spaccandolo esattamente in
due.
Suddetto anziano osservò compiaciuto lo scontro, continuando a sorseggiare tè senza neanche alzarsi dalla sedia.
L'uomo incappucciato
passò al contrattacco, e così Jinkon Konjin, ma per quanto i loro colpi
fossero ormai sfocatissimi, non sembrava riuscissero ad avere ragione
l'uno dell'altro.
L'uomo grasso, che
doveva essere il capo della Setta dei Gargoyle, incitava Jinkon ad
uccidere il suo avversario, ma non si aspettava che l'uomo incappucciato
utilizzasse la sua mossa finale.
Erano entrambi stanchi e
avevano i vestiti un po' sbrindellati tranne per il cappuccio del
giovane scalatore di monti, ma l'incappucciato raccolse le sue forze e
si contorse come un bruco: alzò un braccio e una gamba dallo stesso lato
del corpo contemporaneamente e colpì l'avversario con un pugno e un
calcio rimanendo in equilibrio sulla gamba sinistra.
E poi ancora, e ancora,
e la colonna sonora si intensificò per farci capire a quale incredibile
momento storico stessimo assistendo, e Jinkon Konjin cadde in ginocchio
con del sangue all'angolo della bocca, e si buttò per terra e svenne ad
occhi aperti, oppure morì. Il giovane col cappuccio gli chiuse gli
occhi lasciandolo a terra un po' scomposto.
Senza più nessuno a
proteggerlo, il combattente più forte si avvicinò al capo della Setta
dei Gargoyle. L'uomo grasso tremava con gli occhi spalancati grandi come
piattini, e apparentemente la sua donna era morta di infarto
off-screen, visto che ce l'aveva defunta addosso.
L'uomo si chinò e gli bisbigliò «Questo è per Jinkon Konjin».
Inquadratura del
vecchio sadico che sorride mentre si sente l'urlo dell'uomo grasso,
freddato dal nostro protagonista. Rumore di passi, scorsa dall'alto
verso il basso del protagonista che si avvicina al vecchio mentre nella
colonna sonora non rimangono che i tamburi, sempre più fievoli.
«Bentornato, Johnny-san» Disse il vecchio.
«Mi chiedeva cosa so fare ora, sensei» Disse il giovane, lasciando finalmente cadere il magico cappuccio.
Il ragazzo aveva i
capelli castano scuro, e qualche lineamento più occidentale rispetto
agli altri, ma per altro sembrava il fratello di Jinkon Konjin. Magari
lo era, non ero attentissima alla spiegazione della trama di Mike.
«Più pugni, più calci. Tre volte di più».
La sala scoppiò in un
boato di apprezzamento mentre io mi tenevo la pancia cercando di non
ridere come una matta, e lì seppi di essere fregata. Jessica aveva
ragione a non venire per le mosse tecniche.
Cos'era che avevo appena visto?
Mike aveva gli occhi
brillanti, così brillanti che quasi potevo vederci vorticare delle
stelline. Non potevo ridere. Non potevo ridere. Non potevo ridere...
Sullo schermo, tutto si
fece brillante. Il vecchio e il ragazzo adesso si trovavano sul
marciapiede di quella che pareva una metropoli molto affollata, piena di
persone dai lineamenti orientali. Camminavano sul marciapiede, tutti e
due senza cappuccio, e l'aria sembrava sfrigolare per il calore.
«Maestro» Disse il ragazzo «Siete sicuro di sapere dove stiamo andando?».
Il Maestro gli rifilò un colpo di taglio sul naso, facendolo sobbalzare.
«Tu sei troppo
impaziente» Disse, scuotendo gravemente la testa «Hai imparato così
tanto, eppure ancora non riesci ad applicarlo alla tua vita. Devi
pazientare, Johnny-san».
Stacco di inquadratura.
Cantiere pericolosissimo con le travi che oscillano a mezz'aria e
muratori che vanno dall'anoressico all'obeso sparsi in giro. Uno dei
muratori era chiaramente interpretato dallo stesso attore che aveva
fatto uno degli avversari che Johnny-san aveva ammazzato all'inizio del
film, sapientemente riciclato con una parrucca ricciola e una canottiera
sporca.
Il vecchio e il ragazzo
entrarono nel cantiere e il vecchio fece un noiosissimo discorso con un
capocantiere dall'elmetto verde riguardo alla gente che faceva la fame
nel paese.
«Maestro...» Sussurrò il ragazzo, tutto rigido
«Non ora, Johnny-san»
«Maestro...».
All'improvviso tre muratori attaccarono il maestro e l'allievo con spranghe di acciaio.
«In Pugni Calci 2, ti
ricordi che te l'ho detto, c'era una scena come questa, ma con stecche
di legno» mi ricordò Mike, tutto emozionato
«Si, me lo ricordo» dissi, annuendo.
Johnny-san schivò
rigidamente i colpi del muratore con la parrucca ricciola, poi fece un
salto e con un calcio rotante lo disarmò della sua spranga, per poi
roteare di nuovo su se stesso e colpirlo all'orecchio con un pugno.
«Ahhhh!» Gridò il
muratore-parrucca-ricciola «Maledetto!» mentre cercava di recuperare la
spranga, ma Johnny-san gli schiacciò una mano con il tacco della scarpa
rompendogli tutte le ossicine, poi lo scaraventò a terra con una
ginocchiata alla faccia.
In un nonnulla, il
ragazzo mise fuori gioco anche gli altri due muratori, ma all'improvviso
un gruppo di ragazzi vestiti con abiti sporchi di macchie di cemento
iniziarono a scendere saltando come gatti impazziti dall'edificio in
costruzione, balzando senza paura su travi ondeggianti e cornicioni non
finiti.
«Che figata» Commentò Mike «Vorrei fare anch'io qualcosa del genere».
Io ero quasi certa che
per fare quella scena tutti gli attori fossero stati muniti di
imbracature di sicurezza e fossero "pilotati" da fili e corde cancellati
in post produzione, ma chi ero per ammazzare l'entusiasmo di Mike?
Ci fu una grande battaglia. Johnny da solo contro tutti i ragazzi sporchi, con calci e pugni che volavano all'impazzata.
Il maestro se ne stava
dietro di lui, ad osservarlo, lisciandosi la barba bianca con una mano e
annuendo di quando in quando ai colpi più spettacolari.
Alla fine solo Johnny rimase in piedi.
«Vogliamo parlare con il
tuo capo» Disse il maestro, rivolto al capocantiere, che non solo non
aveva partecipato alla rissa furibonda, ma non aveva neppure aperto
bocca fino ad ora.
Il capocantiere, con faccia spaventatissima, annuì e li scortò.
Cambio di inquadratura:
vicolo cieco sporco sporchissimo, con i topi sudici che mangiavano da un
bidone della spazzatura sudicio posizionato su un asfalto sudicio e
imbrattato d'olio. I nostri eroi, insieme al capocantiere, comparvero
nel vicolo e quest'ultimo bussò ad una porta di metallo sudicia.
Si aprì una finestrina nella porta e due occhi cattivi e iniettati di sangue spuntarono
«Parola d'ordine?»
«La bilancia è tratta» disse il capocantiere.
In sala ci fu una risatina generale e alcuni commenti entusiasti. Mike mi afferrò per il gomito
«Mio Dio» disse «È la
frase che il generale Mushu dice nel primo film perché non conosce i
modi di dire e ne confonde due diversi».
Sorrisi, ma sapevo di non essere convincente.
I protagonisti, con il
capocantiere, entrarono in quella che sembrava una bettola mafiosa, con
gente vestita da mafiosi: cappelli neri, completi gessati, qualcuno
persino occhiali da sole (al chiuso) e sigarette. L'aria era fumosa,
pesante, probabilmente irrespirabile. La gente giocava a carte.
L'uomo con gli occhi cattivi e iniettati di sangue, il portiere, li scortava e chiese loro
«Cercate qualcuno in particolare o siete qui per affari... generici?»
«Cerchiamo qualcuno»
disse il maestro, parlando molto lentamente mentre un primissimo piano
ci mostrava i suoi occhi che vagavano per la stanza alla ricerca di
qualcosa di preciso.
L'uomo dagli occhi cattivi si leccò le labbra
«E chi?»
«Ryoichi Ikegami».
Tutti smisero
immediatamente di giocare a carte o di ridere sguaiatamente e guardarono
verso il vecchio. C'era di chiedersi come lo avessero sentito se
parlava così piano e se c'era così tanto chiasso.
«Ryoichi, eh?» Domandò
un uomo in fondo alla sala, un ragazzo seduto a cavallo di una sedia,
con il pizzetto e la coda di cavallo «E chi lo cerca?».
Il maestro avanzò lentamente verso di lui
«Io lo cerco» disse «E chi sono non è affare tuo»
«Molto bene. Il sensei
Ryoichi è dietro quella porta» quello con il pizzetto indicò la porta
con un cenno del capo «Ma se vuoi vederlo, prima dovrai batterti con me,
vecchio. Il sensei non ammette smidollati alla sua presenza».
Subito Johnny-san si fece avanti
«Maestro!» esclamò «Lasci che combatta io al posto suo! Gli farò vedere chi sono davvero!»
«No» il vecchio scosse
la testa, incrociando le braccia «Altrimenti non avrei il rispetto che
merito. Io dovrò combattere contro di lui»
«Ma maestro... la vostra ferita...»
«Johnny-san... non interferire».
Il vecchio si fece
avanti, dritto e fiero, stando a significare che accettava la sfida. Il
tizio con il pizzetto si alzò in piedi e fu subito chiaro che aveva un
vantaggio sleale: era enorme, di gran lunga il più grosso orientale che
avessi mai visto; per giunta da dentro la giacca estrasse dei nunchaku e
li fece roteare con abilità.
«Vedremo come te la cavi
contro di me, vecchio» Disse, ma le risate dei suoi colleghi sgherri
erano poche e sparse: l'attenzione sia degli spettatori che degli
avventori mafiosi era tutta concentrata sul combattimento che stava per
avere luogo.
Il giovane col pizzetto
fu il primo a muoversi, roteando dieci volte i nunchaku da sotto le
ascelle a sopra le spalle in un filosofico ciclo, poi si slanciò con un
piede dritto verso il maestro in un calcio volante in una bellissima
scena laterale, durante il quale il maestro stava ritto con le braccia
dietro la schiena.
Si inquadrarono gli
occhi furbi del maestro, come sempre ridotti solamente a fessure furbe, e
con inaspettata agilità il sensei fece una spaccata da ballerina Ètoile
dell'Operà di Parigi, prima di rialzarsi senza peso ed evitare muovendo
il busto i nuovi attacchi del suo giovane avversario assestati con i
suoi nunchaku.
Improvvisamente il
maestro estese il braccio come la spiritromba di una bellissima farfalla
ed eluse tutte le difese dell'uomo col pizzetto nella prima e ultima
scena al rallentatore del film, tenendo le dita contratte come nello
stile kung fu dell'aquila, e gli diede una manata dritto sul naso.
Da lì la velocità di riproduzione tornò normale.
L'avversario ululò e si
gettò all'indietro su un tavolo, rovesciando tutto ciò che vi stava
sopra sul pavimento in un putiferio di schegge tintinnanti; il maestro
ansimò e giunse le mani come in preghiera, concentrandosi profondamente.
«Maestro, non avrete
intenzione di usare le tecniche segrete!» Disse Johnny-san, facendomi
dubitare con la sua eloquenza che sarebbero rimaste segrete molto a
lungo
«Ciò non ti riguarda,
giovane. Stai al tuo posto!» ringhiò il sensei, e si slanciò con un
balzo incredibile verso l'avversario in lenta ripresa, e il suo salto
era così ben spiccato che lo fece volare in aria abbastanza a lungo da
poter scalciare levitando: tirò un calcio ad un piede dell'uomo sul
tavolo, che ritrasse la gamba urlando.
Poi il maestro fu
bruscamente ripreso di fianco, perché si voltò, brusco lui stesso, e con
una manata a dita distese falciò una sedia che si disgregò in un
turbinio di schegge, lasciando solo due dei piedi utilizzabili.
L'Ikea sarebbe stata fiera.
Il sensei prese i due
piedi della sedia e si erse contro il suo avversario che aveva
finalmente deciso di usare i nunchaku, e tra scontri rapidissimi dei
bastoni contro l'arma nemica e una colonna sonora ricca di flauti e
percussioni orientaleggianti, pareva quasi che i due fossero pari. Ma di
nuovo il sensei eluse le difese del nemico, tirandogli stavolta una
bastonata sul naso, che lo spedì ancora più distante.
«Ti faccio a pezzi,
brutto vecchio!» Strillò con voce chioccia l'uomo col pizzetto, che
sembrava avere i nunchaku attaccati ai palmi con la colla. Si rialzò
dopo avere attraversato una lastra di vetro che fungeva da separè tra
due diverse parti del locale, e lo si notava dal fatto che aveva una
striscia rossa sopra un occhio, lo sguardo molto più arrabbiato e gli
brillavano i vestiti di vetri.
Ma il sensei era caduto
in ginocchio. La musica rallentò moltissimo, ripartendo coi soli tamburi
ma decisamente più cadenzati. Tu-tu-tum turuturutum. Tu-tu-tum
turururutum.
Piegato da un lato e con un braccio attorno al torace, ansimava.
«La ferita maledetta che
si è fatto per proteggere il padre di Johnny-san dagli uomini di
Ryoichi-sensei nel flashback di Pugni Calci 2! Sapevo che avrebbe
segnato la sua caduta!» Esclamò Mike mangiandosi le unghie.
Gli diedi delle pacche sulla spalla di conforto.
«Maestro!» Gridò Johnny-san (con un primo piano drammatico)
«Johnny-san... se dovessi perdere... dovrai sconfiggerlo tu» rantolò il vecchio, artigliandosi i pettorali
«No, maestro! Voi vincerete!».
L'uomo con i nunchaku si
abbatté sul vecchio e iniziò a percuoterlo velocissimamente con i
nunchaku, con tanto di inquadrature ravvicinate delle botte.
«Noooooo!» Gridò Johnny, al rallentatore, con il sudore che gli scendeva lungo la faccia (o forse erano lacrime).
Alla fine, il maestro cadde riverso a terra, con il gigante orientale che troneggiava sopra di lui con i nunchaku insanguinati.
«Non siete degni di vedere il sensei Ryoichi» Disse il bestione, gettandosi il nunchaku in spalla
«Aspetta!» gridò l'allievo «Devi ancora sfidare me»
«Porta via quel rottame del tuo maestro. È ancora vivo, credo».
Johnny guardò verso il
maestro, poi corse a sollevarlo tra le braccia e lo rassicurò con una
sequela di parole che sembravano copiate da tutti i film cliché della
terra.
Stacco di inquadratura,
voci sfumate, il maestro su una barella in una corsia di ospedale.
Johnny la seguiva correndo e dicendo «Va tutto bene, va tutto bene».
Ci fu poi la classica
sequenza in cui i medici scuotono molto la testa e dicono parole
difficili per una dozzina di minuti prima di concludere con un "non sarà
più lo stesso".
Johnny-san piangeva.
Stacco di inquadratura: Johnny-san in un dojo tutto di legno.
«Il vecchio dojo
abbandonato!» Esclamò Mike, afferrandomi un polso e stritolandomelo «Il
maestro lo ha vinto perché era stato messo in palio nel primo film, in
uno scontro contro un altro maestro, ed è stato qui che gli ha insegnato
la tecnica dei pugnicalci!».
Tutto molto imbarazzante. Annuii, cercando di sembrare felicissima.
Johnny-san si legò una
striscia di tessuto rosso sulla fronte. Al centro della striscia c'era
un cerchio nero, con ricamati un pugno e un piede.
«Ommioddio» Ormai Mike mi stava rompendo il polso «La bandana del suo maestro. È la bandana del suo maestro!»
Ci fu un flashback, riconoscibile dal fatto che lo schermo sfarfallò di bianco e la visione era annebbiata.
C'era il maestro, nel letto di ospedale, tutto pieno di tubicini. Johnny-san gli stava a fianco.
«Maestro...»
«Johnny-san... prendi la mia fascia»
«Johnny-san... prendi la mia fascia»
«No, maestro, avevate detto che...»
«Sei pronto, Johnny-san. Sei pronto».
«Sei pronto, Johnny-san. Sei pronto».
Mike mi lasciò il polso
per premersi entrambe le mani sulla bocca. Aveva gli occhi lucidi, ma
era chiaro che si stava sforzando di non piangere e non voleva che io lo
guardassi. Tornai a concentrarmi su quello che succedeva sullo schermo.
Johnny-san iniziò ad
allenarsi. Tirava pugni e calci, ovviamente, altrimenti il film avrebbe
avuto un titolo diverso. Poi una voce sfumata risuonò, forse quella del
maestro, ma non si capiva molto bene con tutto l'autotune che ci avevano
infilato.
«Tre pugni».
Johnny-san tirò tre pugni velocissimi.
«Tre calci».
Johnny-san tirò tre calci velocissimi.
«Lascia che il sacro potere del tre ti guidi alla vittoria».
Johnny-san urlò, come
Goku quando deve diventare super-saiyan, poi fece un salto mortale
all'indietro ("uno standing moonsault" disse la mia mente di
appassionata di wrestling) e atterrò come un supereroe.
«Sono pronto».
Cambio di inquadratura. Di nuovo la scena dell'entrata nella bettola dei mafiosi, con la stessa parola d'ordine di prima.
Ci fu una lunga, lenta,
scena con colonna sonora di tensione in cui Johnny-san camminava facendo
scricchiolare il pavimento e la gente lo guardava con le sigarette agli
angoli della bocca.
«Sono qui» Disse Johnny-san, quando finalmente la musica si fu spenta «Per Ryoichi Ikegami».
Di nuovo il ragazzone con il pizzetto e il codino si alzò, immenso, e di nuovo sfoderò i nunchaku.
«Dovrai passare sul mio corpo».
Il combattimento iniziò
immediatamente, ferocissimo e senza esclusione di colpi. Johnny-san,
tuttavia, afferrò il nunchaku e lo sbatté come se fosse un bastone sulla
fronte del suo avversario, spiccando un balzo, poi iniziò a massacrarlo
di calci da tutte le parti, dal mento fino alle ginocchia.
Alla fine il bestione
franò per terra, con un gran boato, sulle assi di legno nella stessa
posizione in cui aveva lasciato il maestro nel loro ultimo scontro.
«Non sei neanche degno
di ricalcare la sua posa!» Ringhiò Johnny-san (e stavolta mi ci volle un
grande autocontrollo per non ridere) prima di assestargli un calcio che
lo fece rotolare su un fianco.
«Puoi passare» Rantolò il bestione, sputando una boccata di sangue.
Il giovane e imbattibile marzialista non se lo fece ripetere due volte e finalmente attraversò la porta.
Si capiva subito chi era
Ryoichi Ikegami: era l'unico ad avere un kimono bianco in mezzo a tutti
quei criminali con il completo. Era un signore attempato, con un naso
stranamente affilato nonostante fosse orientale, che stava sorseggiando
del té da una tazzina di ceramica.
«Sono qui» Disse Johnny-san «Per i documenti delle terre di mio padre. Come ti avevo promesso, sono tornato».
Ryoichi Ikegami rise piano, posando la tazzina.
«Johnny... piccolo Johnny... tuo padre non è riuscito a battermi, cosa ti fa credere che tu possa farcela?».
Primi piani sugli occhi di Ryoichi e di Johnny.
«Io ho avuto un maestro migliore» Sussurrò il ragazzo, mettendosi in posizione di combattimento.
Ryoichi fece un cenno annoiato
«Non qui» disse «Al mio dojo. Non si combatte dove si dovrebbe divertirsi».
«Che farabutto!» Esclamò
Mike, afferrandomi nuovamente il polso «Guarda che gran farabutto! Lui
ha combattuto contro il padre di Johnny-san proprio nella sala da té
della sua città!».
Ah ah. Che villain
incredibile. Uh, non avevo mai visto niente di più malvagio. Certo.
Sicuro. Non che fosse un cattivo che faceva battute di ripicca da bimbo
di dieci anni. No. Certo che no, Mike. Vai tranquillo. Sicuro. È un
cattivo scritto benissimo.
No, certo che non sono ironica. Sono proprio sarcastica, che è un filo diverso.
Stacco di inquadratura.
Johnny con la felpa e la
fascia del suo maestro contro Ryoichi con il kimono bianco, uno davanti
all'altro, ad un paio di metri di distanza l'uno dall'altro. La scena
era sottolineata da una musica orientaleggiante e tesa, che lentamente
diventava più veloce, finché non fu proprio sferzante. Al culmine della
melodia, i due guerrieri si lanciarono l'uno contro l'altro e presero a
combattere ad una velocità quasi impossibile da seguire che ero quasi
certa che fosse stata velocizzata al computer. Mentre combattevano
emettevano urla quasi inumane, acutissime ("haaaaaaaaiiii" ma con voce
di bambina posseduta), il che rinforzava la mia idea che l'intera scena,
compreso l'audio, fossero stati velocizzati in post produzione.
Ryoichi subì un solo
calcio, ma si riprese come se nulla fosse e colpì con un pugno
Johnny-san allo stomaco, facendolo cadere per terra.
Johnny si rialzò dolorante. Primo piano sugli occhi contornati da pelle scintillante di sudore.
«Sei come tuo padre» Disse Ryoichi «Ed evidentemente il tuo maestro non è bravo abbastanza».
Johnny strinse i denti e si drizzò.
"Tre pugni" Disse una voce incorporea, di donna "Tre calci".
Il ragazzo strinse un
pugno. Il ragazzo indurì una gamba. Ryoichi si scagliò contro di lui, ma
Johnny fu più veloce e lo colpì con una sequenza velocissima: un pugno
con la mano destra e un calcio con la gamba destra, poi di nuovo e poi
di nuovo ancora.
«Tre pugni. Tre calci» Disse il giovane, guardando Ryoichi «Tre pugnicalci».
Mi dovetti premere una
mano sulla bocca per non ridere. Mike, invece, sembrava pronto a saltare
sulla sedia, aggrappato ai braccioli saldamente.
«La tecnica segreta» Disse «Oh mio Dio, l'ha usata. Ha usato la tecnica».
A me non sembrava così
impossibile da realizzare. Forse persino io, che non avevo mai fatto
arti marziali in vita mia, sarei riuscita a replicarla. Ma vabbé...
Il film si concluse con
il giovane Johnny che veniva considerato "degno" e vincitore e Ryoichi
gli riconsegnava i documenti con le terre di suo padre. Nella scena
finale il ragazzo stava in piedi su una collinetta fangosa e guardava
quel mucchio di erbacce che erano stati i terreni di suo padre, ormai
incolti da tempo immemore, e diceva «È qui che crescerò i miei figli».
Titoli di coda.
Ci furono scrosci di applausi in sala e, per gentilezza, mi unii anch'io.
«Il miglior Pugni Calci fino ad ora!» Esclamò Mike, alzandosi in piedi «Bellissimo!».
Quando uscimmo dalla
sala ero leggermente frastornata. Questo era quello che Mike amava di
più, la sua massima idea di intrattenimento? Beh, non mi sembrava un
granché, ma non me la sentivo neanche di giudicarlo, non io che amavo il
wrestling.
«Senti, Belarda...» Mi
disse lui, ancora con un gran sorriso stampato in faccia, mentre ci
dirigevamo di nuovo alla macchina «... Tu hai due biglietti per il
wrestling»
«Si?»
«E non ci vai con tuo padre, giusto?»
«No. Purtroppo lui domani sarà a pesca»
«Quindi con chi ci vai?»
«Non lo so» dissi, rendendomi conto all'improvviso che non sapevo davvero chi invitare
«Che ne pensi di me?»
«Di te?» gli diedi una
spintarella giocosa «Mike, domani c'è il ballo della scuola. Se non ci
vai con Jessica, lei sai cosa fa di te? Ti spappola peggio di come il
tizio con i nunchaku ha fatto col maestro»
«Ah» lui si morse
l'interno di una guancia «Non ci avevo pensato. È vero, domani c'è il
ballo, ci devo andare. L'ho anche detto ai miei. Allora con chi ci
vai?».
Ci pensai. Non potevo
andarci con Mike perché lui andava al ballo, non potevo andarci con papà
perché andava a pesca, non potevo andarci con Dracula perché era un
gatto, tutte le mie amiche donne erano al ballo, non potevo scegliere
una sola delle ragazze-lupo della riserva perché altrimenti le altre si
sarebbero offese, quindi mi rimaneva una sola scelta...
«Ci inviterò un amico di
infanzia» Dissi «Jacob Black. Quel ragazzino con cui parlavo quando
siamo andati a La Push, ti ricordi?»
«Ah, si... quello con tutti quei capelli»
«"Con tutti quei capelli"» ridacchiai «Non ha molti più capelli di me»
«Ma sono tanti, per un ragazzo»
«Ma sono tanti, per un ragazzo»
«Ma dai! Siamo moderni, i ragazzi possono portare i capelli come gli pare»
«Certo, e chi dice niente? Ho solo detto che ha un sacco di capelli».
Decidemmo di andare a
prenderci un gelato e passammo ancora qualche minuto a spasso prima di
tornare alla macchina. Mike li spese a imitare alcune delle mosse del
protagonista del film e fece volare dappertutto gocce di gelato sciolto.
Nonostante il film fosse
stato tremendo (e tutto doppiato da schifo, cosa che mi ero dimenticata
di citare), dovevo ammettere che mi ero divertita... o mi ero divertita
proprio perché il film era stato tremendo?
Mike mi riaccompagnò a casa e lo salutai con un bacio sulla guancia che lo fece diventare rosso come un peperone.
«Vado al ballo con Jessica» Mi ricordò lui «E tu mi corteggi così?»
«Stupidino! Noi italiani salutiamo così la gente, baciandoli sulle guance»
«Ah. Si, certo» goffamente, anche lui mi diede un bacetto leggerissimo su una guancia «Però non farlo sapere a Jessica»
«Tranquillo. La tua tresca segreta è al sicuro».
Tutto rosso, lui ripartì e io mi sentii felice, tranquilla, sollevata.
Quando rientrai in casa, papà mi stava aspettando praticamente dietro la porta, con le mani sui fianchi.
«Belarda Cigna» Mi disse, serio «Cosa mi nascondi?»
«Ho due biglietti per la WWE» gli dissi «Ma non vado con Mike a vederla»
«Ah no?» d'improvviso
era confuso «E con chi ci vai? Non con Cullen spero!» fece gli occhi
rotondi come quelli di un gufo tanto era terrorizzato all'idea che
uscissi con Edward
«Certo che no!» risposi,
disgustata «Ci vado con Jacob. Cose tra ragazzini, non ti
interesserebbe sapere tutto il giro che c'è voluto per procurarsi i
biglietti e per finire ad andarci con Jacob»
«Davvero? È tutto qui?»
«Si papà» feci un
sorriso, sincera finalmente «È tutto qui. È solo ed esclusivamente una
storia di biglietti della WWE. A proposito, mi daresti il numero di
Billy? Ho bisogno di chiamare Jacob per dirgli una cosa»
«Quindi non ci vai più con Mike?» chiese lui, sospettoso, mentre cercava nella rubrica cartacea che teneva in un cassetto
«È quello che ho detto, papà. Ci vado con Jacob»
«E ti fai accompagnare da lui?»
«Papà, Jacob è troppo piccolo per avere la patente, giusto?»
«Ehm... si»
«Quindi vado a prenderlo io».
Lui, rigido, mi passò la
rubrica aperta sulla pagina su cui, in lettere appena leggibili, era
segnato il numero di Billy Black. Lo copiai sul mio telefono e poi gli
ridiedi la rubrica.
«Grazie papà»
«Ti sei divertita al film?»
«Si!»
«Sono contento. Che film era?»
«Pugni Calci 3. Il migliore della saga, dicono»
«Ah. Stasera la fai tu, la cena?».
Risi di gusto
«Certo, papà. Ci sono altre alternative? Ma prima fammi chiamare Jacob».
Salii in camera mia e
chiamai a casa di Billy. Fu direttamente il figlio a rispondere,
probabilmente perché suo padre non era molto contento di dover spingere
in giro la sedia a rotelle.
«Pronto?»
«Pronto, Jacob Black?»
«Si, chi parla?»
«Sono Belarda Cigna»
«Belarda! Ciao! Vuoi parlare con papà?»
«No, voglio parlare con te. Fai qualcosa domani?»
«Io... ehm... perché?»
«Perché voglio invitarti ad un appuntamento che, se sei intelligente, non potrai rifiutare»
«Sono liberissimo» disse lui, forse con un po' troppo zelo
«Bene. Ho due biglietti per lo spettacolo di Seattle della WWE. Smackdown, Jacob. Smackdown!»
«COSA?! Seria, Bella?»
«Seria serissima»
«Adoro la WWE! Certo che ci vengo, certo, Bella!»
«Allora passo a prenderti io, domani. Ci metteremo circa tre ore e quaranta per raggiungere Seattle, quindi...»
«Quindi ci andiamo con la mia macchina. È meglio del tuo Chevy, senza offesa»
«Niente offesa» ero
determinata, niente doveva andare storto in quel giorno, non potevo
rischiare di rimanere in panne «Vengo a casa tua con la mia macchina, la
lascio lì e poi guido la tua»
«Va... va bene» disse lui, un po' dubbioso «Perché non posso guidare io?»
«Niente deve andare storto» dissi, duramente «Niente»
«Ci tieni tanto, vero?» la sua voce si addolcì un poco
«Tu non hai idea. Se qualcosa va storto, io ammazzo il mondo. Dobbiamo andarci, Jacob!»
«Per chi ti sei presa una cotta?» lui rise «È per vedere Randy Orton?»
«Non so neanche se ci sarà Randy Orton!»
«E allora chi?»
«Meglio che non te lo dica. E poi non è una cotta!» quasi strillai, arrossendo anche se nessuno mi stava osservando
«È una cotta, fidati. Lo sento dalla voce»
«Ma stai un po' zitto. Voglio solo vedere del buon wrestling»
«Allora dovresti guardare le federazioni indipendenti»
«Ne parliamo domani, altrimenti scarichiamo tutto il credito»
«Va bene. A che ora passi?»
«Vengo lì alle cinque e prepariamo tutto il preparabile, d'accordo?»
«Nessun problema, Belarda. Ci sarò sicuramente, è da non perdere!».
Chiusi la chiamata e
guardai lo schermo del telefonino, sentendomi come attraversata da una
scarica di elettricità. Solo che questa volta era elettricità buona, che
mi dava la carica, e non la strana sensazione di essere fulminati che
mi dava stare seduta al buio accanto ad Edward Cullen.
Misi a posto il telefono
e scesi a preparare la cena. Papà sembrava meno teso, per fortuna,
forse captando la mia sincerità e la mia felicità, e seguì tutto il
procedimento di preparazione della cena con lo sguardo, facendo di tanto
in tanto domande.
«Quindi alla fine ci vai davvero, a vedere la WWE?» Mi domandò, a bruciapelo
«Si, papà»
«Hai detto che mi procurerai un autografo di Undertaker».
Lo avevo quasi
dimenticato, perciò trasalii facendo schizzare del sugo contro la mia
maglietta. Forse ero stata un po' avventata nel fare quella promessa che
non ero sicura di realizzare, ma ormai l'avevo fatta e ogni promessa è
debito...
«Si, papà» Dissi, seria
«Mi raccomando» disse lui, divertito «Ci tengo davvero»
«Non mettermi pressione»
«Hai paura, piccola?»
«Posso sentirti sghignazzare dentro. Come una iena spirituale».
Questa battuta lo fece ridere sul serio. Mi ripulii dal sugo la maglietta e lo rimbeccai
«E comunque non ho paura per niente. Non potrà mai essere peggio di Edward Cullen»
«Su questo hai ragione, piccola».
Niente poteva fare più paura di Edward Cullen.
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Bonus: Abbiamo disegnato l'epico poster di "Pugni Calci 3" ed eccolo per voi! Rifatevi gli occhi:
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui
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