lunedì 16 aprile 2018

Sunset 33 - Scioccanti, diabolici segreti




Edward mi inseguì immediatamente, contravvenendo alla parola data come se non fosse stata nulla.
«Bella! Bella, mi dispiace! Abbiamo anche dei lati positivi!».
Correndo come un tifone aprii tutte le porte a cui passavo davanti, approfittandone per sbirciare nelle stanze di tutti. Edward non mi fermò, sconcertato e forse vagamente spaventato perché non mi aveva mai vista così fuori di testa.
«Bella! Ti prego! Non siamo così terribili, davvero, ti mostrerò i nostri lati positivi... per l'amor del cielo, Bella, calmati!»
«NOOOOoooooOOOOOoooo!» Strillai, ondeggiando le braccia in aria.
Dovetti ammettere con me stessa che mi stavo divertendo. Essere l'unica persona a cui Edward Cullen non leggeva in mente era spassoso, visto che se non poteva leggermi in mente non riusciva minimamente a capire se stessi scherzando oppure no riguardo a qualunque cosa.
Gli corsi intorno emettendo versi gorgoglianti e strozzati e guardando la sua espressione diventare sempre più preoccupata, imbarazzata e spaventata. Alla fine, quando iniziai a sudare e fui troppo stanca, mi appoggiai contro una parete e mormorai
«Va bene. Continua. Carlisle arriva a nuoto in Francia»
«Bella... stai... bene?»
«Ho sfogato tutto il mio terrore nel confronto di voi aberrazioni della natura» dissi, in tono neutro «Ora possiamo continuare. Sono vuota come una brioche in un bar alle cinque di mattina»
«Sei sicura che...» mi poggiò una mano sulla spalla e io ringhiai forte, facendolo sobbalzare e indietreggiare
«Sto bene» cinguettai «Dimmi di Carlisle. Arriva a nuoto in Francia e...?».
Lui rimase un attimo come sospeso prima di rientrare nello studio di suo padre. Io lo seguii e lui mi indicò un altro quadro, il più colorato di tutti, il più elaborato e con la cornice più ricca, il più grande: era due volte più ampio della porta accanto a cui era appeso. La tela brulicava di figure luminose, avvolte in tuniche svolazzanti, che si muovevano tra alte colonne e balconate di marmo. Non sapevo dire se rappresentasse un episodio della mitologia greca o se i personaggi sospesi tra le nuvole venissero dalla Bibbia.
«Carlisle nuotò fino in Francia e frequentò le università europee...»
«Con quali soldi?»
«... Di notte studiava musica, scienza, medicina...»
«Con quali soldi?!»
«... Trovò così la sua vocazione, la sua penitenza, proprio nel salvare vite umane» Dalla sua espressione trapelava rispetto, quasi riverenza «Non potrei descrivere la sua lotta interiore... gli ci vollero quasi due secoli per affinare l'autocontrollo. Ora è completamente immune all'odore del sangue umano e può svolgere il lavoro che ama senza tormento. L'ospedale è per lui una preziosa fonte di pace».
Edward fissò il vuoto per lunghi istanti. Ah, a quanto pareva aveva trovato anche lui la sua preziosa fonte di pace: fissare le pareti. Ah, no, quello lo faceva già dal primo giorno di scuola, errore mio...
D'un tratto si scosse, sembrò ritrovare il filo del discorso. Picchiettò con un dito contro il grande dipinto di fronte a noi e mi vennero i brividi: nessuno gli aveva insegnato che le opere d'arte non si toccano con le mani nude e men che mai si picchiettano? No?
«Studiava in Italia, quando scoprì gli altri. Erano molto più civili e colti di quella specie di spettri che vivevano nelle fogne di Londra».
Sfiorò un quartetto di figure piuttosto composte, sistemato sulla balconata più alta, che osservava calmo il viavai sottostante. Esaminai attenta i lineamenti degli uomini raffigurati e mi sfuggì un risolino di sorpresa quando riconobbi quello dai capelli biondo oro.
«Francesco Solimena fu molto ispirato dagli amici di Carlisle. Li raffigurava spesso come degli déi» Ridacchiava «Aro, Marcus, Caius» disse, indicando gli altri tre, due dai capelli neri e l'altro bianchi come la neve «Protettori notturni delle arti»
 Li raffigurava spesso come degli déi» Ridacchiava «Aro, Marcus, Caius» disse, indicando gli altri tre, due dai capelli neri e l'altro bianchi come la neve «Protettori notturni delle arti»

«Mi stai dicendo che questo è un quadro di Francesco Solimena?» sollevai le sopracciglia
«Si, certo» lui sorrise, radioso
«Non dire cavolate cosmiche, sono italiana e so come disegnava Francesco Solimena. Noi italiani abbiamo l'arte nel sangue e amiamo i nostri pittori. Solimena non avrebbe mai disegnato... questa roba» puntai il dito contro la tela «Guarda la tecnica, semi fotorealistica. Guarda i colori usati, tutto questo grigio, la quasi totale assenza dell'oro e del carminio tipici dei suoi lavori. No, Edward, puoi ingannare qualcun altro o forse tuo padre ha ingannato te, ma Francesco Solimena non ha disegnato questo quadro. Anzi, questo quadro è piuttosto moderno a giudicare dal tipo di pigmenti utilizzati. E guarda la luce! Si riflette con una certa forza su questa parte della balconata, ma sotto, sulla pelle della gente, quasi non si vede. Manca di contrasto! Manca di potere! Questo non è un lavoro di Francesco Solimena. Ciò non toglie che sia davvero un ottimo lavoro, ma non è di Solimena, mi dispiace»
«Tu come lo sai?» mi guardò scettico
«Se fossi stato attento, cervello di foglietto, avresti notato che ti ho spiegato esattamente le ragioni per cui so con precisione che questo è un quadro moderno e non di Solimena, ok?»
«Ma Carlisle ha detto che...»
«Non mi interessa cosa ti ha detto» lo interruppi «Questo quadro potrebbe averlo fatto chiunque, ma non mi tirar fuori Francesco Solimena, non dire cavolate immani. E continua la storia. Che fine hanno fatto questi tizi?» chiesi, puntando il dito a un centimetro dalle figure sulla tela
«Sono ancora lì» Edward si strinse nelle spalle «Come da chissà quanti millenni. Carlisle restò con loro per poco del suo tempo, non più di qualche decennio. Ammirava molto la loro civiltà, i loro modi raffinati, ma insistevano nel voler curare la sua avversione alla "fonte naturale di nutrimento", come la chiamavano. Cercarono di persuaderlo, come lui cercò di persuadere loro, senza risultato. A quel punto, decise di provare con il Nuovo Mondo. Sognava di incontrare qualcuno come lui. Come puoi immaginare, si sentiva molto solo»
«Sai che sto iniziando a provare pena per lui? Non dovrei, è un vampiro, ma sembra il più sensato di tutta la famiglia...»
«Per molto tempo non trovò nessuno. Però, mano a mano che i mostri perdevano verosimiglianza e diventavano solo personaggi delle favole, scoprì di poter interagire con gli esseri umani come se fosse uno di loro. Iniziò ad operare come medico. Ma il genere di compagnia che desiderava era irraggiungibile: non poteva permettersi troppa intimità»
«Decisamente è più simpatico di te, che ti permetti troppa intimità con me quando vorrei solo spararti negli occhi. Continua pure»
«Quando si diffuse l'epidemia di spagnola, Carlisle faceva i turni di notte in un ospedale di Chicago. Da parecchi anni si trastullava con un'idea che non era ancora riuscito a sperimentare, e in quel momento decise di agire: dal momento che non riusciva a trovare un compagno, ne avrebbe creato uno»
«Nooo, proprio ora che cominciava a diventarmi simpatico!»
«Non era del tutto sicuro di come fosse avvenuta la sua trasformazione, qualche dubbio gli era rimasto. Era riluttante all'idea di rubare la vita a qualcun altro, come era stata rubata a lui. A quel punto scoprì me. Ero senza speranza: mi avevano lasciato nella corsia dei moribondi. Decise di provare...»
«Ommioddio. Mi stava simpatico, Edward! Se mi dici che è stato lui a creare un abominio come te, la simpatia mi sfuma tutta».
La sua voce, quasi un sussurro, si spense. Si perse nel vuoto (come faceva ogni quindici secondi, quindi niente di speciale), fuori dalla finestra sul lato occidentale, senza guardare nulla. Io attesi in silenzio che il criceto vampirico che faceva girare la ruota dei suoi pensieri si riprendesse dall'esaustione. Quando Edward tornò a parlarmi, sulle sue labbra splendeva un angelico sorriso.
«Così il cerchio si chiude»
«Hai sempre vissuto con lui?»
«Quasi».
Posò una mano, dolcemente, sul mio fianco. Strillai di colpo, facendolo sobbalzare.
«Ch-che succede?» domandò
«Quando mi tocchi mi torna il trauma» replicai «Non mi toccare, non sono pronta per questo»
«Capisco perfettamente Bella, scusa».
Allora fare finta di essere traumatizzati era l'unico modo per non farsi mettere le zampacce addosso? E che sia!
«Quasi?» Gli domandai «In che senso "quasi" sempre? Sei scappato di casa o qualcosa del genere?»
«Beh, ho passato anch'io il mio periodo di ribellione adolescenziale, più o meno dieci anni dopo la... nascita... o creazione, chiamala come vuoi»
«La chiamerò "genesi del male"»
«La sua vita di astinenza non mi convinceva. Ce l'avevo con lui perché non faceva che soffocare il mio appetito. Perciò, per qualche tempo, me ne andai per i fatti miei»
«Davvero?»
«Non ne sei disgustata?»
«Certo che sono disgustata. La tua intera esistenza è disgustosa, che differenza fa se avevi le ribellioni adolescenziali?»
«Ma volevo... nutrirmi come gli altri vampiri»
«E allora? Sembra una scelta molto ragionevole, per un vampiro senz'anima».
Liberò una risata, la più fragorosa che avessi mai sentito. Era ovvio che fingeva. Camminò fuori, fino in cima alle scale, di fronte ad un altro corridoio, facendosi seguire.
«Dal giorno della mia rinascita» Mormorò «Ho avuto il vantaggio di poter leggere nel pensierero di chiunque mi si trovasse vicino, umano e non umano»
«ASPETTA!» lo fermai, mettendo le mani avanti «Vuoi dire che puoi leggere nel pensiero dei gatti?»
«No, io non...»
«Puoi leggere nel pensiero dei cani?»
«No, io non posso leggere nel...»
«Dei cavalli? Delle scimmie? Degli insetti?»
«Certo che no, Bella»
«Allora non dire idiozie. Non puoi leggere nel pensiero di tutti, umani e non umani, puoi leggere solo nel pensiero dei vampiri e degli umani e neanche di tutti, visto che non puoi leggere nel mio»
«Forse hai ragione. Umani e vampiri. Comunque mi occorsero dieci anni per sfidare Carlisle: vedevo la sua sincerità immacolata e capivo perfettamente cosa lo spingesse a vivere così. Mi ci volle solo qualche anno per tornare da Carlisle e riconoscere che aveva ragione. Pensavo che sarei rimasto immune dalla... depressione... che la coscienza porta con sé»
«Fidati, Edward, tu sei assolutamente immune dalla depressione che la coscienza porta con sé» incrociai le braccia «Altrimenti ti spareresti in mezzo alla fronte dopo tutto quello che mi hai combinato»
«Ma dal momento che leggevo nel pensiero delle mie prede, potevo risparmiare gli innocenti e assalire soltanto i malvagi. Se seguivo un assassino dentro un vicolo buio dove aveva intrappolato una ragazza... se salvavo lei, allora certo non avevo motivo di sentirmi così tremendo»
«Certo che ce l'avevi! Avresti potuto chiamare la polizia! Avresti potuto diventare un poliziotto tu stesso! Hai idea di quanto male hai fatto a questo mondo, in nome della tua giustizia personale? Sei solo un vigilante con le idee confuse, Edward»
«Lo so. Con il passare del tempo, iniziai a vedere la mostruosità nei miei occhi. Non riuscivo a sfuggire al peso di tutte quelle vite umane strappate, che lo meritassero o no. Così tornai da Carlisle ed Esme. Mi accolsero come il figliol prodigo. Non meritavo così tanto»
«Meno male che te ne sei accorto, che non meritavi così tanto».
Ci eravamo fermati di fronte all'ultima porta del corridoio.
«La mia stanza» Mi informò, aprendo la porta e invitandomi ad entrare.
La camera era rivolta a sud, con una grande vetrata al posto della parete, uguale a quella che avevo sfondato al piano terra. L'intero retro dell'edificio doveva essere un'unica vetrata. Le anse del fiume Sol Duc erano ben visibili, come la foresta alla base dei Monti Olimpici. Le vette erano molto più vicine di quanto pensassi.
Il lato ovest della stanza era completamente occupato da scaffali su scaffali di CD. Nell'angolo c'era un impianto stereo sofisticatissimo, il genere di apparecchio che io non solo avrei potuto rompere semplicemente sfiorandolo, ma che avrei proprio voluto rompere a craniate perché Edward ne aveva uno e io no. Non c'era il letto, ma soltanto un divano di pelle nero, molto invitante. Il pavimento era coperto da uno spesso tappeto dorato e dalle pareti penzolavano drappi pesanti, leggermente più scuri.
«Drappi alle pareti...» Dissi, un po' confusa «È per migliorare l'acustica o da dove vieni tu la gente attacca stoffa a caso nella propria camera?»
«Per l'acustica» rispose, annuendo.
Afferrò un telecomando e accese lo stereo. Il volume era basso, ma sembrava che la band stesse suonando il suo pezzo soft jazz proprio lì nella stanza, insieme a noi. Soft jazz... rabbrividii, sperando vanamente che Edward ogni tanto ascoltasse anche qualcosa di più movimentato.
Mi avvicinai ad osservare la sua sbalorditiva collezione di dischi.
«In che ordine li hai sistemati?» Chiesi, persa in mezzo a titoli sconosciutissimi fra cui non riuscivo ad orientarmi.
Edward pareva assente
«Uhm... sono divisi per anno, e poi per preferenze personali» disse, distratto.
Mi voltai e vidi che mi guardava con un'espressione particolare negli occhi.
«Cosa c'è? Mi stai guardando il sedere, brutto pervertito di un vampiro?»
«No, immaginavo che mi sarei sentito... sollevato. Farti sapere tutto, non avere più bisogno di segreti. Ma non pensavo che sarebbe andata ancora meglio. Mi piace. Mi fa sentire... felice» si strinse nelle spalle
«Oh no» mormorai «No, dimmi che non ti sto rendendo felice, perché questa non è proprio la mia intenzione»
«Mi stai rendendo felice, Bella Cigna»
«Vorrei dirti una parolaccia, ma sono una signorina beneducata»
«Solo mi dispiace di averti spaventato così tanto, prima»
«Scusa se ti smonto così, coccolino capellofino, ma non sei affatto terribile come pensi. Anzi, a dirla tutta, non ti trovo affatto spaventoso. Non per me. Per me sei solo irritante. Ma ho la tua vita in pugno come se fosse un uccellino magrolino».
Restò di sasso e alzò le sopracciglia per mostrarmi un'ostentata incredulità.
«Questo non dovevi dirlo».
Iniziò a ringhiare, emettendo un suono cupo dal profondo della gola; arricciò il labbro scoprendo i denti perfetti. Scattò all'improvviso in un'altra posizione, mezzo acquattato, coi muscoli tesi, come un leone pronto a balzare sulla preda.
«Ridicolo» Risposi, poi anch'io iniziai a ringhiare e il mio ringhio fu molto più terribile del suo.
Scoprii i denti e mi acquattai esattamente come lui, ma cercando di gonfiarmi per fargli ancora più paura.
Non lo vidi neppure mentre mi saltava addosso, fu troppo veloce. In un istante mi ritrovai a mezz'aria e poi atterrammo sul divano, facendolo sbattere contro il muro. Le sue braccia d'acciaio mi chiudevano in una gabbia protettiva, a malapena riuscivo a muovermi. Mi mancavo ancora il fiato, mentre cercavo di tirarmi su.
Ma lui non me lo permise. Lo guardai, allarmata, ma sembrava perfettamente padrone della situazione e sfoggiava un sorriso rilassato, lo sguardo acceso soltanto dal buonumore.
«Dicevi?» Ringhiò, per scherzo
«Che c'è un mostro molto, molto terrificante» risposi, allungandomi verso di lui come per baciarlo.
Prima che le nostre labbra potessero incontrarsi, gli infilai le dite negli occhi con tutta la forza che riuscii a trovare e lui si staccò immediatamente da me, balzando in piedi e tenendosi la faccia.
«Esatto!» Ringhiai, mettendomi a sedere «Sono io il mostro molto, molto terrificante! Avvicinati di nuovo in quel modo a me e ti strappo i bulbi oculari come Jacob Goodnight!».
Sulla porta vidi Alice e alle sue spalle Jasper. Edward rantolava, premendosi le mani sugli occhi, mentre io sembravo completamente a mio agio, rilassata sul bel divano in pelle.
«Avanti» Dissi.
Alice non sembrava affatto disturbata dalla sofferenza di Edward; avanzò, quasi a passo di danza, tanto era aggraziata, fino al centro della stanza, e si acciambellò sinuosamente sul pavimento.
«Abbiamo sentito strani rumori... se stavi per mangiare Bella per pranzo, sappi che ne vogliamo un po' anche noi» dichiarò.
Edward si tolse le mani dalla faccia. Aveva gli occhi molto, molto bagnati e lacrimosi
«Scusate» disse «Non credo di potervene offrire»
«A dir la verità» disse Jasper, sorridendo suo malgrado mentre avanzava verso di noi «Alice dice che stasera ci sarà un temporale con i fiocchi ed Emmett vuole organizzare una partita. Sei dei nostri?».
Lo sguardo di Edward si accese (anche sotto tutte quelle lacrime), poi però esitò.
«Ovviamente porta anche Bella» cinguettò Alice. Mi parve di cogliere un'occhiata fulminea di Jasper verso di lei. Ero d'accordo con Jasper, qualunque cosa intendesse.
«Vuoi venire?» Chiese Edward entusiasta, su di giri
«Dipende. Stasera ci sarà un temporale, perché dovrei volermi bagnare tutta?».
Risero tutti e tre a gran voce.
«Tu che dici?» Chiese Jasper ad Alice
«No» era molto convinta «Il temporale colpirà la città. Nello spiazzo staremo all'asciutto»
«Bene».
Andava da sé: l'entusiasmo nella voce da stregone di Jasper si andava diffondendo. Mi scoprii impaziente di andare con loro, anziché di mandarli a quel paese.
«Chiediamo a Carlisle se viene anche lui». Alice si diresse verso la porta con un portamento che avrebbe spezzato il cuore di qualsiasi ballerina e fatto chiedere a chiunque perché mai bisognasse andare tutti leggiadri e sulle punte fino alla stupida porta della stupida stanza drappeggiata del tuo stupido e lacrimoso fratello adottivo.
«Come se tu già non lo sapessi» La provocò Jasper e in un istante erano sgattaiolati fuori. Jasper, senza dare nell'occhio, si richiuse la porta alle spalle.
«A cosa giochiamo?» Chiesi
«Tu resti a guardare. Noi giochiamo a baseball»
«Capperi, no. Se non gioco non ci vengo. E poi perché, i vampiri giocano a baseball?»
«È il passatempo americano per eccellenza» rispose solenne e ironico.
Annuii come se tutto ciò fosse sensato e non dei vampiri che giocano a baseball solo quando piove sopra Forks.
«Senti» Gli dissi «Facciamo così, io vengo a guardare la vostra inutile partita di noioso sport yankee se tu mi dai quello che voglio».
Lui iniziò ad avvicinarsi a me, con uno sguardo strano negli occhi, poi a chinarsi verso le mie labbra. Gli infilai il mignolo nell'occhio, equivalente di uno schiaffo per vampiri, e lui si ritrasse.
«Scemo» Gli dissi «Non voglio affatto baciarti!»
«Ah davvero?» lo si massaggiò la palpebra chiusa dell'occhio offeso «E allora cos'è che vuoi?»
«Lo sai benissimo: che mi racconti cosa è successo nel parcheggio con Undertaker».
Edward smise di sfregarsi l'occhio e si sedette accanto a me con un movimento sciolto e morbido. Lo guardai dritto negli occhi, soprattutto perché mi piaceva vederglieli tutti lacrimosi, e annuii
«Dimmi cosa è successo» ordinai.
Lui prese fiato, ma si fermò e si mise a guardare nel vuoto. Oh no, non di nuovo. Cercai di scuoterlo spingendolo con le mani, ma era irremovibile.
«Andiamo! Andiamo, cosa è successo!».
Edward mi guardò, ma non mi sorrise.
«Tu come conosci Undertaker?» Mi chiese, serio
«Ehm... perché mi piace il wrestling e lui è una leggenda del wrestling?» allargai le braccia «In che senso "come lo conosco"?»
«Lo conosci bene?»
«No, certo che no! E neanche mi interessa conoscerlo bene, è solo...» mi bloccai per un attimo, battendo le palpebre «... Una specie di simbolo, credo, per me. Come Gesù per i cristiani. Ai cristiani non importa davvero di conoscere a fondo Gesù, non gli importa se le sue parabole fossero sensate o meno, giuste o meno, a loro importa solo che sia un simbolo, l'archetipo del salvatore, mi capisci? Undertaker è la stessa cosa per me»
«Hai appena detto che un wrestler è il tuo Gesù personale?» Edward sollevò le sopracciglia perfette, scettico
«Si» espirai con forza «Si, è quello che ho detto. Risponde abbastanza nel dettaglio alla tua domanda?»
«Volevo solo sapere come l'hai conosciuto»
«L'ho visto in tv, per l'amor del cielo, non siamo parenti o roba del genere!»
«Non ho insinuato che lo siate. Calmati, Bella»
«E mi vuoi chiamare Belarda? Non sono "Bella" sono "Belarda"»
«Ma Bella ha un suono così dolce»
«Anche Edolo ha un suono più dolce di Edward. Facciamo così, d'ora in avanti ti chiamerò "Edolo"»
«Ma...»
«Non una parola. Edolo. Adesso puoi parlare di nuovo, dimmi che cavolo è successo nel parcheggio, forza forza forza forza!».
Lui si allontanò di qualche centimetro da me, trascinando il sedere sul divano. Oh si, che bella reazione, lui che si allontanava!
«E se non volessi dirti quello è che successo?» Domandò, alzando il mento
«Io non verrei a guardare volontariamente la vostra stupida partita. Ma se me lo dici, vengo e faccio anche un applauso ogni tanto. Forza. Sbrigati. Edward! Perché... perché non vuoi dirmelo?»
«Ci sarebbe una ragione...»
«Che ragione?»
«Hai detto che il tuo Gesù personale. Io non voglio rovinare la tua visione di lui. Dopo che te l'avrò detto, non riuscirai mai più a pensare a lui nello stesso modo».
Oddio, adesso non sapevo davvero se volevo che me lo dicesse. Mi iniziarono e sudare le mani e me le asciugai su un drappo che scendeva da una parete, tanto era la stanza di Edward e potevo fare quello che volevo.
«Lo vuoi ancora sapere?» Chiese lui, abbassando la testa e inclinandola un po' da un lato
«No» dissi «Anzi si. No. No, no, lui è importante per me ed è solo un wrestler per me e non voglio sapere niente di lui al di fuori della sua sfera di miticità. Però era nel parcheggio con te, la mia nemesi. No. Non voglio saperlo»
«Molto bene» Edward si alzò «Allora preparati, andiamo alla partita!»
«Aspetta!» quasi strillai «Lo voglio sapere. Facciamo così, tu mi dici gli elementi di questa storia piano piano piano e appena arriva qualcosa che inizia a puzzarmi in modo sospetto ti dico "stop!" e non voglio che tu mi dica più niente. Va bene così?»
«Tutto quello che vuoi, Belarda»
«Ed è questo quello che voglio. Inizia»
«Allora, ero al ristorante con la mia famiglia per puro caso»
«Edolo, tu non mangi al ristorante, sei un vampiro»
«Infatti ero lì per caso»
«Che cavolo ci facevi lì?»
«Niente, ero lì per caso. Vuoi sentire la storia, Belarda?»
«Certo, Edolo. Vai avanti. Anzi, passa alla parte di Undertaker»
«Quando sono entrato, lui non c'era»
«Lo so, c'ero anch'io» sbuffai, esasperata «Questa parte la so, vai avanti, e Undertaker non c'era. Parti da Undertaker»
«Bene, come vuoi. Quando ve ne siete andati, io e Undertaker siamo rimasti da soli. Vedi, Belarda, noi vampiri abbiamo sensi molto più sviluppati di quelli di un comune umano e ho potuto avvertire subito la vera natura di quell'essere spregevole e peggio ancora ho potuto avvertire i suoi pensieri. Ti ricordi quel tuo amico alto e abbronzato?»
«Jacob? Mi stai chiedendo se mi ricordo di Jacob? Certo che me lo ricordo!»
«Ecco. Undertaker lo voleva uccidere»
«Ma allora perché gli ha aggiustato il braccio?» domandai, scioccata
«Perché è difficile sospettare una persona che ha pubblicamente aiutato la vittima, Belarda. Se ci fosse stata un'indagine per omicidio avrebbero sospettato più facilmente quello che era stato buttato fuori che quello che l'aveva aiutato»
«Stava per incastrare CM Punk, quindi?» strizzai gli occhi, come per intravedere la verità nel suo volto di marmo duro, quella che si dice "una faccia tosta"
«Proprio così»
«Ma che senso ha? Da dove vengono questi istinti omicidi?»
«Bella, non so che posso dirti tutta la verità dopo la reazione che hai avuto... non voglio risvegliare il tuo trauma»
«Quale trauma?»
«Quello di prima, quando sei andata fuori di testa»
«Perché, scusa , Undertaker è un vampiro?»
«Si».
Ero stralunata. No, Edward mi stava probabilmente mentendo. Mi stava sicuramente mentendo. Ma perché? Cosa ne avrebbe ricavato a dirmi tali madornali sciocchezze?
«Un vampiro?» Ripetei, aggrappandomi al divano come un rapace al guantone «Sul serio?»
«Si, ed è molto più antico di me. E non è uno di quelli buoni»
«Non esistono vampiri buoni» replicai
«Immaginati cosa è lui».
Non ero sicura di voler sapere altro, anzi, ero proprio certa di non voler conoscere nuovi dettagli su questa faccenda, tuttavia il fatto che il mio amico Jacob fosse stato in pericolo di vita (o lo fosse ancora adesso) mi faceva pensare che sarebbe stato intelligente sapere di più possibile riguardo a questa storia. Non volevo, ma dovevo. Per il mio amico Jacob Black.
«Perché aveva preso di mira proprio Jake?» Domandai «Perché non CM Punk che era fuori da solo... o me?»
«Perché quello con il costume giallo è un suo collega e lui non uccide i suoi colleghi, per buona regola. Inoltre non aveva alcun interesse ad una preda piccola come te. E c'è di più: Jacob è un licantropo, figlio di un famoso capobranco. Undertaker lo sa e vuole ucciderlo»
«Questa è una balla» dissi tutto d'un fiato «Lo saprei se Jacob fosse un licantropo, me l'avrebbe detto!»
«Beh, è probabile che neanche lui sappia di essere un licantropo»
«Mii, crisi esistenziali... Edolo, datti pace» sbuffai
«No, sul serio. È troppo giovane per sapere di essere un licantropo»
«Ma se ti trasformi con la luna ci arrivi»
«Jacob Black non ha ancora fatto la sua prima trasformazione. È come un cucciolo della sua specie di cani» arricciò il naso, aggiungendo un'altra espressione alla lunga lista di facce buffe Edoliane «Ed è proprio per questo che Undertaker voleva ucciderlo. Jacob non è ancora pericoloso, non può ribellarsi ad un vampiro, ma fra qualche mese potrebbe avere la sua prima muta e allora sarebbe troppo tardi»
«Aspetta, aspetta, i Quileute mi hanno detto che Taker li ha aiutati!» esclamai «Che senso avrebbe aiutarli, se vuole morti i licantropi. Loro sono una tribù imparentata coi lupi, no?»
«Ha finto di aiutarli» spiegò Edward «In realtà il problema è stato lui per tutto il tempo»
«Ora stai esagerando» lo redarguii «Era un bimbo posseduto il problema, non può essere un vampiro che possiede anche i bambini».
Edward perse lo sguardo nel vuoto. C'era qualcosa di tormentato nel modo in cui stringeva la mascella, nel tirarsi dei tendini del suo collo bianco.
«Bella» Disse
«Dimmi, Edolo» risposi
«Molti vampiri hanno dei poteri supplementari che nascono dal potenziamento delle loro abilità in vita. Io posso leggere nella mente delle persone intorno a me, Alice può vedere nel futuro, Jasper può condizionare l'umore delle persone nelle vicinanze»
«Ommioddio, ecco perché mi sento tutta felice quando c'è lui!» esclamai, spaventata da quella consapevolezza
«Già» sorrise amaramente «Carlisle ha un autocontrollo sovrannaturale. E Undertaker... il suo potere è terribile, a meta tra il mio e quello di Jasper. Lui può condizionare i pensieri. Un po' come una possessione diabolica, se vogliamo trovare un paragone. D'altronde lui è qui su questa terra da molto prima di me o di Carlisle e forse persino dei Volturi, chi può dire se il mito della possessione diabolica non sia proprio colpa sua?»
«Mi stai dicendo... che è tipo il Diavolo?» dissi piano, sporgendomi appena verso di lui «E che ha pensato tutte queste cose mentre ti guardava?»
«No» disse lui, sulla difensiva «Ne abbiamo parlato nel parcheggio. Abbiamo parlato a lungo dopo che ve ne siete andati. Mi ha detto e ribadito più volte di stare lontano dalla sua zona di caccia mentre lui era in città, non sapeva che non sono interessato al sangue umano. Non sa neppure che sono in grado di leggere nel pensiero, così non è stato difficile capire cosa volesse»
«E voleva uccidere Jacob?»
«Si»
«È lui l'ospite che Alice ha visto nel futuro, il vampiro che verrà a Forks e per cui tu vuoi proteggermi?»
«No» scosse la testa «Altrimenti ti avrei proprio portata via da Forks. Non posso sopportare che tu rimanga nella stessa città con quel mostro»
«No. No. Un mostro? Perché dici questo?» deglutii e appoggiai la schiena alla spalliera imbottita, sentendomi debole
«Come chiameresti un vampiro che usa il suo terribile, rarissimo potere per condizionare le persone intorno a sé, ottenere ciò che desidera e nutrirsene? Io lo chiamerei mostro. Solo un mostro può essere così noncurante, quasi sprezzante, delle vite intorno a lui. Tutto quello che gli interessa è il potere»
 Tutto quello che gli interessa è il potere»

«Ma... non ha senso. Lui non può essere un vampiro, è una personalità esposta troppo spesso alle telecamere e al sole, anche»
«L'hai mai visto al sole?»
«No, però l'ho visto in un match con il sangue. E non si è mangiato nessuno» dissi in fretta
«Questo, Bella, non puoi saperlo. È un astuto manipolatore e un vorace predatore. E poi noi vampiri possiamo tranquillamente camminare al sole, nel caso te lo stessi chiedendo»
«Allora perché mai Carlisle studiava di notte? E con quali soldi, ancora non me l'hai detto!»
«È un segreto di noi vampiri. Un giorno te lo dirò»
«Perché siete tutti schifosamente ricchi!?» mi lagnai «Da dove vengono i vostri soldi? Perché ti ho lasciato raccontarmi questa storia? Io ti odio!»
«Hai voluto saperla tu. Io non volevo dirtela!»
«Taker non è un vampiro. Tu sei un vampiro! E se tu non mi avessi portata qui non mi avresti potuto raccontare questa storia, è colpa tua!»
«Beh» disse lui, gongolando soddisfatto «Adesso che lo sai, preparati: c'è una partita di baseball da vedere!».
Mi veniva da piangere. Effettivamente piansi, ma giusto un po', alzandomi in piedi per evitare di farmi toccare da un Edward che cercava di consolarmi.
Odiavo tutti i vampiri... tutti tranne uno perché: a. Non sapevo se era veramente un vampiro (tantomeno se fosse davvero il diavolo) e b. Aveva minacciato Edward ed era il mio eroe di infanzia. Ma ero certa che se si fosse mangiato Jacob avrei odiato pure lui.
Non fargli mangiare Jacob era la priorità.
E adesso, con questi orribili pensieri in testa, come avrei potuto rimanere un secondo di più in compagnia dei Cullen, come potevo guardare la loro stupida, noiosa partita di baseball?



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