venerdì 20 aprile 2018

Sunset 35 - La partita e la minaccia


Edward mi aspettava di fronte alla casa, immobile come una statua di marmo con in cima un parrucchino spennato. Scesi dal mio Chevy e poi lo richiusi con cura prima di camminare verso capelli-pazzi. Non potevo credere che stavo camminando verso di lui e non nella direzione opposta di mia spontanea volontà.
Lui prese a ridere. Così, senza una ragione.
Seccata, iniziai a camminare a grandi passi verso la foresta.
Sentii il suo abbraccio attorno ai fianchi e feci un verso come se stessi per vomitare, al che lui mi lasciò immediatamente.
«Ma... dove vai, Bella?»
«A vedere una partita di baseball. Non mi sembra che tu abbia più tanta voglia di giocare, ma sono certa che gli altri si divertiranno anche senza di te»
«Stai andando dalla parte sbagliata».
Mi voltai senza degnarlo di uno sguardo e scattai nella direzione opposta. Mi riacchiappò.
«Non arrabbiarti, è stato più forte di me. Avresti dovuto vederti in faccia» Si lasciò scappare una risatina
«A parte che ancora non capisco che cavolo hai da ridere» sbottai «L'unico a cui è permesso arrabbiarsi sei tu?»
«Io... non ero arrabbiato»
«Tu ti arrabbi e poi torni felice e poi ti tormenti e sei completamente svalvolato».
Cercai nuovamente di scappare, ma mi teneva stretta.
«Non mi sono mai arrabbiato con te. Come potrei esserlo? Sei sempre così coraggiosa, fiduciosa... calorosa»
«E allora, perché?!» sbottai, ricordando gli accessi di umore nero che talvolta lo rendevano ingestibile.
Mi accarezzò una guancia con delicatezza. Io gli infilai il mignolo nell'occhio e lui si ritrasse, tenendo la palpebre serrata.
«Ciò che mi fa infuriare» Disse, gentile «È l'impossibilità di proteggerti dai rischi. La mia stessa esistenza è un rischio, per te»
«Meno male che lo sai» sbuffai, dando un calcetto a dei sassolini
«A volte mi odio dal profondo. Dovrei essere più forte, capace di...»
«Va bene» lo interruppi «Il tuo sentimento è più che giustificato. Dovresti essere più forte. Dovresti trovare il modo di allontanarmi da me, di lasciarmi vivere la mia vita. Ma sei innamorato credo o qualcosa del genere, giusto?»
«Bella, io...».
Gli chiusi la bocca con le dita
«Ah ah! Fammi finire! Edward, so che puoi essere migliore di così. Cioè, non è che lo so, ma più che altro» mi strinsi nelle spalle «In linea di massima lo intuisco. C'è una piccola parte di te, sotto tutto il marciume, che vorrebbe essere nobile. Non sto dicendo che ti puoi redimere. Ti sto dicendo che puoi decidere di essere almeno un pizzico migliore e di diventare davvero più forte e di lasciarmi in pace, finalmente, una volta per tutte...».
Lui prese la mano con cui l'avevo zittito e se la posò sulla guancia. La sua pelle era levigata, ma gelida, e mi venne la pelle d'oca su tutto l'avambraccio.
«Ti amo» Disse «È una giustificazione banale per quanto faccio, ma sincera».
Rimasi zitta. Avevo appena ricevuto una dichiarazione d'amore, una vera dichiarazione d'amore, che avrebbe potuto perfino suonare romantica (e con un'ottima tempistica) dalla persona che detestavo di più al mondo.
Sorrise malizioso e mi liberò dalla presa. Mi guidò per qualche metro attraverso le felci alte e umide e il muschio spesso, poi attorno ad un massiccio abete canadese, per sbucare infine al bordo di un enorme campo aperto, ai piedi dei Monti Olimpici. Era due volte più grande di uno stadio da baseball.
Gli altri erano già lì: Esme, Emmett e Rosalie, seduti su una roccia che spuntava dal terreno, ad un centinaio di metri da noi. A quasi mezzo chilometro di distanza, Jasper e Alice erano impegnati a lanciarsi qualcosa che non vedevo (una palla immaginaria?) avanti e indietro. Carlisle sembrava intento a marcare le basi, ma era possibile che fossero così lontane?
Quando ci videro, i tre che erano seduto si alzarono. Esme si avvicinò a noi. Emmett la seguì dopo aver indugiato con lo sguardo verso Rosalie, che dandoci le spalle si era diretta al prato senza degnarci di uno sguardo. Il mio stomaco, nel vedere di nuovo tutti quei vampiri insieme, sussultò.
«Veniva da te il rumore che abbiamo sentito, Edward?» Chiese Esme
«Sembrava un orso che tossiva» precisò Emmett.
Accennai un sorriso a Esme «Era lui. Stava ridendo. Quando ride sembra un orso che tossisce»
«Senza volerlo, Bella mi ha fatto ridere» spiegò Edward, per chiudere il discorso alla svelta.
Alice aveva lasciato la sua posizione e veniva verso di noi a passo di danza. Con una frenata fluida (stava danzando e correndo nello stesso istante, una cosa che nessuna persona sana di mente farebbe in queste circostanze) si arrestò vicino a noi.
«È il momento» Annunciò.
Non appena aprii bocca, un tuono cupo e profondo proveniente da ovest, dalla città, fece tremare la foresta alle nostre spalle.
«Inquietante, eh?» Mi stuzzicò Emmett e, prendendosi fin troppa confidenza, mi fece l'occhiolino
«Andiamo».
Alice afferrò la mano di Emmett e insieme sfrecciarono attraverso il campo sovradimensionato. Lei correva come una gazzella (con le convulsioni, facendo sforbiciate di ballo a mezz'aria); lui era altrettanto veloce, ma somigliava a ben altro animale.
«Sei pronta per una bella partita?» Chiese Edward, con uno sguardo raggiante e impaziente
«Oh, beh, ho altra scelta?».
Lui rise sotto i baffi e, dopo avermi scompigliati i capelli, corse verso gli altri due. La sua corsa era più aggressiva, somigliava ad un ghepardo, e li superò facilmente. Tanta grazie e potenza erano completamente fuori luogo nel corpo di un diciassettenne dalla chioma ribelle.
«Scendiamo anche noi?» Chiese Esme, con la sua voce morbida e melodiosa, mentre io fissavo Edward rapita, a bocca aperta. Mi ricomposi alla svelta ed annuii. Esme si manteneva di fianco a me, ma a distanza di qualche metro, forse temendo ancora di spaventarmi. Meno male.
Adattò il suo passo al mio, senza dare segni di impazienza.
«Non giochi con loro?» Chiesi, curiosamente
«No, preferisco fare da arbitro: voglio che si rispettino le regole»
«Beh, me lo aspettavo che barassero»
«Oh si, e dovresti sentire che litigate! Anzi, meglio di no, penseresti che sono stati allevati da un branco di lupi»
«Niente affatto. So che le litigate vere nei branchi di lupi sono molto rare»
«Da un branco di iene, allora»
«Sembra di sentire mia madre» risi, sorpresa.
Anche lei rise «Per me sono come figli veri. Non potrei mai vincere il mio istinto materno... Edward ti ha detto che ho perso un bambino?»
«No» mormorai, basita.
Non avevo idea del perché i vampiri mi volessero raccontare tutta la loro vita, comprese le esperienze orribili. Forse pensavano a me come una specie di psicoterapista umano che rimettesse insieme i pezzettini della loro psiche?
«Si, il mio primo e unico figlio. Morì pochi giorni dopo il parto, povero piccolo» Fece un sospiro «Mi si spezzò il cuore... fu per questo motivo che mi lanciai dallo scoglio» aggiunse, quasi come se fosse niente
«Oh caspita, mi dispiace così tanto» mi abbracciai da sola «È davvero... deprimente»
«Edward è stato il primo dei miei nuovi figli. L'ho sempre considerato tale, benché per un verso sia più vecchio di me» mi rivolse un sorriso caloroso «Ecco perché sono contenta che ti abbia trovata, cara. Ha vissuto in solitudine troppo a lungo; vederlo così isolato mi ha fatto soffrire»
«Quanto mi dispiace» mormorai «Ma non funzionerà, fra me ed Edward. Siamo troppo diversi. Sono la donna sbagliata per lui, troppo sbagliata. Lui è un vampiro»
«No» era pensierosa «Tu sei ciò che vuole. In un modo o nell'altro funzionerà» disse, ma la sua fronte aggrottata tradiva che era tutt'altro che fiduciosa.
Giunse il rombo di un altro tuono. Esme mi fece segno di fermarmi: eravamo giunte a bordo campo. I giocatori erano divisi in due squadre. Edward era il più distante, nella metà sinistra del campo, Carlisle stava tra la prima e la seconda base e Alice teneva la palla, in piedi sopra quello che evidentemente era il monte di lancio.
Emmett faceva roteare una mazza di alluminio che sibilava nell'aria, quasi invisibile. Mi aspettavo che si avvicinasse alla casa base, ma poi mi resi conto, quando si mise in posizione, che già ci stava, più lontano dal lanciatore di quanto potessi credere. Jasper, catcher della squadra avversaria, era parecchi metri più dietro, alle sue spalle. Nessuno indossava guanti.
«D'accordo» Disse Esme con voce squillante, e sapevo che perfino Edward lontano com'era riusciva a sentirla «Prima battuta».
Alice restava ferma, immobile, per non avvantaggiare il battitore. Sembrava pronta ad un lancio diretto, anziché a un colpo affrettato. Teneva la palla stretta in grembo e poi, come un cobra, la sua mano destra scattò e la palla finì dritta tra le mani di Jasper. Rabbrividii: le capacità fisiche di quella folletta psicopatica erano incredibili.
«Era uno strike?» Bisbigliai ad Esme. Ne capivo giusto un pizzico di baseball, ma seguirlo quando a giocarci erano dei vampiri era difficilissimo.
«Se il battitore non la colpisce è strike» Mi spiegò la mamma vampira.
Jasper restituì di nuovo la palla ad Alice. Lei si concesse un mezzo sorriso e lanciò di nuovo. Stavolta la mazza riuscì a colpire la palla, così veloce da essere invisibile. Il fragore dell'impatto fu esplosivo, rintronante; echeggiò fra le montagne e capii all'istante perché avessero scelto di giocare sotto il temporale.
Tuttavia ero anche consapevole del fatto che non avesse alcun senso. Quel rumore poteva essere stato prodotto solo da superfici molto più grandi che venivano a contatto oppure da una tale forza che avrebbe dovuto distruggere la pallina come un chicco di uva maturo sotto un piede.
Invece la palla schizzò come una meteora sopra il campo e si infilò nella foresta.
«Fuori campo» Mormorai «Home run home run home run»
«Aspetta» rispose Esme, in ascolto con una mano alzata.
Emmett era un fulmine sulle basi, Carlisle la sua ombra. Mi accorsi che mancava Edward.
«Out!» Strillò Esme.
Sbalordita, vidi Edward uscire dal limite degli alberi, mostrandoci la palla e un gran sorriso che persino io potevo scorgere.
«Emmett è il battitore più forte» Spiegò Esme «Ma Edward è il corridore più veloce»
«Si, ma... c'è una cosa che non mi quadra»
«Che cosa, cara?»
«Il rumore che ha fatto la pallina colpita dalla mazza era senza dubbio esagerato. Come la detonazione di un fucile, ma più tipo... un tuono»
«Questo è perché Emmett è un battitore incredibile»
«Si, ma come ha fatto la pallina a non spaccarsi? O la mazza a non spaccarsi?»
«La pallina è rinforzata e così anche la mazza, che è di alluminio»
«Continua a non avere senso. Hai mai sentito il rumore di una mazza di alluminio? Io si, ed è un rumore acuto. Fa "PING!" non "BOAAAMM!". Se voleste un suono profondo avreste dovuto usare mazze di legno, ma immagino che le mazze di legno rischino di rompersi».
Esme mi guardò come se stessi dicendo qualcosa che non aveva mai pensato in vita sua. Continuai imperterrita
«Dove hai sentito il rumore di una mazza di alluminio?»
«Oh, sia dal vivo» spiegai «Perché avevo degli amici che giocavano a baseball, sia in alcuni video. Mi piace vedere su Youtube i video dove distruggono le cose e ho visto parecchi video in cui si usavano mazze da baseball di metallo. So che possono distruggere quasi qualunque cosa, ma so anche che, pure se ci spacchi una noce di cocco, il rumore sarà acuto, una specie di "piing" e non un tuono»
«Vorrà dire che non sono mazze di alluminio, tesoro. Non so dove le hanno comprate»
«Beh, di qualunque materiale siano non spiega come mai la pallina non è stata distrutta. E poi c'è un temporale in zona. E hanno tutti delle mazze di metallo. Non hanno paura di essere uccisi da un fulmine che colpisce le loro mazze di metallo? Mazze di metallo? Fulmini? No?»
«Tesoro, siamo un po' più resistenti degli esseri umani»
«Si, ma i lampi potrebbero appiccare fuoco ai vostri vampiri e le fiamme vi consumerebbero completamente» spiegai, seria «Non è per niente sicuro giocare così»
«Dobbiamo fermare il gioco» boccheggiò lei «È pericolosissimo»
«Nooo» risi «Sto scherzando, tranquilla, non corrono alcun pericolo!».
Come per magia, Esme si tranquillizzò. Non volevo che i vampiri smettessero di giocare a baseball sotto il temporale con delle mazze di metallo: volevo che li colpisse un fulmine e prendessero fuoco e morissero male. Anche se, ovviamente, ero ancora curiosa riguardo al rumore prodotto dall'incontro della pallina con le mazze.
L'inning proseguì, sotto il mio sguardo incredulo. Era impossibile seguire la velocità della palla, il ritmo a cui i giocatori correvano intorno al campo.
Scoprii un altro motivo per cui avevano aspettato il temporale quando Jasper, nel tentativo di evitare le prese infallibili di Edward, lanciò una palla bassa verso Carlisle. Lui corse verso la palla e inseguì Jasper verso la prima base. Si scontrarono e il suono dell'impatto somigliava allo schianto di due grandi rocce. Nessuno di loro, comunque, sembrava essersi fatto un graffio.
«Salvo» Disse Esme, calma.
Con la squadra di Emmett in vantaggio di un punto (Rosalie era riuscita a fare un giro completo delle basi sfruttando una delle lunghissime ribattute di Emmett) venne il turno della battuta di Edward. Lui corse al mio fianco, lo sguardo sfavillante di entusiasmo
«Che te ne pare?»
«Mi pare tutto molto egoista, perché non riesco a seguire bene le azioni, siete troppo veloci e mi fate sentire debole» dissi, sincera
«Pensavo che ti sarebbe piaciuto» rispose, ridendo
«Sono un po' delusa»
«Perché?»
«Beh, sarebbe carino se mi mostrassi una cosa che voi vampiri non siete capaci di fare meglio di chiunque altro. A parte pensare, si intende, ma quella non è una cosa che mi puoi fisicamente mostrare, immagino».
Lui sfoderò il suo speciale sorriso sghembo da "probabilmente non ho capito la tua battuta ma deve essere stata bella".
«Eccomi» Disse, preparandosi a battere.
Giocò con intelligenza inaspettata, tenendo la palla bassa, fuori dalla portati di Rosalie che giocava da esterna, e guadagnò fulmineo due basi prima che Emmett rimettesse la palle in gioco. Dopo di lui, Carlisle ne ribatté una tanto lontano (con un tuono insensatamente spaccatimpani) da riuscire a chiudere il punto assieme ad Edward. O almeno fu quello che mi spiegò Esme, perché io non ci stavo capendo niente.
Alice, soddisfatta, batteva il cinque ad entrambi.
Mano a mano che la partita procedeva, il punteggio continuava a cambiare, e ogni volta che una delle due squadre andava in vantaggio iniziavano gli sfottò, i peggiori che fossero mai arrivati alle mie orecchie.
«Ah ah, siete delle sanguisughe deboli deboli molli molli, gheghegheghe» Aveva urlato ad un certo punto Emmett, facendo un balletto tremolante come se fosse un vecchio demente «Gheghegheghe, non riusciamo manco a tenere una mazza, guardateci, siamo dei vermi schifosi, ghegheghe».
Di tanto in tanto Esme li richiamava all'ordine. Tornarono i tuoni, ma non ci bagnammo, come Alice aveva previsto.
Carlisle stava per battere, ed Edward si preparava a ricevere, quando Alice ebbe un sussulto. Gli sguardi di lei e Edward si incrociarono e per un istante qualcosa passò tra loro e corse dall'una all'altro. Prima ancora che gli altri riuscissero a parlare con Alice, ecco che capelli-pazzi era al mio fianco.
«Alice?» Chiese Esme, nervosamente
«Non ho visto... non sono riuscita a distinguere» sussurrò la folletta psicopatica.
A quel punto tutti si erano raccolti attorno a lei.
«Cos'è, Alice?» Chiese Carlisle, con la voce calma dell'autorità
«Si spostano molto più velocemente di quanto pensassi. Ho capito soltanto ora di avere sbagliato prospettiva» mormorò.
Jasper si avvicinò a lei, protettivo «Cos'è cambiato?»
«Ci hanno sentiti giocare e hanno fatto una deviazione» disse lei, mortificata, come se si sentisse responsabile di quella sorpresa indesiderata.
Sette paia di occhi mi fissarono all'istante e che mi prendesse un tuono se avevo capito di cosa diamine stavano cianciando.
Sul viso di Alice apparve uno sguardo intenso e concentrato.
«Meno di cinque minuti. Stanno correndo... vogliono giocare» Si rabbuiò
«Puoi farcela?» gli chiese Carlisle, rivolgendomi un rapido sguardo
«No, non portandola...» tagliò corto «inoltre, la cosa peggiore che ci possa capitare è che sentano la scia e inizino a cacciare».
Ora iniziavo a capire di cosa stavano parlando: gli ospiti indesiderati, i vampiri caccia-umani.
«Quanti?» Chiese Emmett ad Alice
«Tre»
«Tre! Allora lascia che arrivino» i fasci di muscoli d'acciaio si flettevano sulle sue braccia massicce.
In pochi ma interminabili istanti, Carlisle decise il da farsi. Solo Emmett restava imperturbabile, gli altri osservavano ansiosi il padre della famiglia.
«Continuiamo a giocare» Decise infine. Era tranquillo, pacato «Alice ha detto che sono soltanto curiosi».
Quello che si dicevano era un torrente di parole, che si rovesciò in fretta, in pochi secondi. Avevo ascoltato con cura e capito quasi tutto, ma non sentii ciò che Esme stava chiedendo a Edward con una vibrazione muta delle labbra. Notai solo che lui scosse il capo, e l'aria rassicurata sul viso di lei. Era così facile rassicurarla, come avevo sperimentato solo pochi minuti prima, che questo non tranquillizzò di certo me.
«Ricevi tu, Esme» Disse Edward «Io mi fermo qui».
E rimase impalato di fronte a me.
Gli altri tornarono al campo, scrutando la foresta con la loro vista straordinariamente acuta. Alice ed Esme restavano voltati verso di me e tutto questo era strano e mi metteva a disagio.
«Sciogliti i capelli» Disse Edward, lentamente e sottovoce.
Obbedii, sciolsi l'elastico e scossi la testa.
Feci l'osservazione più ovvia
«I vampiri assassini stanno per arrivare»
«Si, rimani immobile, stai zitta e non allontanarti da me, per favore» mi coprì parte del viso con i capelli e io sentii il cuore che mi rimbalzava contro le costole per la paura
«Non servirà» disse Alice, a mezza voce «Il suo odore si sente fin dall'altro lato del campo»
«Lo so» la voce di Edward era velata di frustrazione.
Carlisle prese posizione e il resto dei giocatori lo seguì senza entusiasmo.
«Cosa ti ha detto Esme?» Sussurai «Edolo, che cosa ti ha chiesto?»
«Se sono assetati» bisbigliò lui controvoglia, a labbra strette.
I secondi passavano; la partita continuava, apatica. Mantenevano per prudenza le ribattute smorzate; Emmett, Rosalie e Jasper non si allontanavano dall'interno del campo. Di tanto in tanto, malgrado la paura che stava iniziando ad annebbiarmi il cervello, sentivo addosso gli occhi di Rosalie. Erano inespressivi, ma qualcosa nella tensione delle sue labbra mi diceva che era in collera. In collera con me.
Edward non prestava alcuna attenzione alla partita, scrutava la foresta con gli occhi e con la mente.
«Mi dispiace, Bella» Mormorò, furioso «È stato stupido e irresponsabile esperti a questo rischio. Mi dispiace tanto».
Il suo respiro si arrestò e con gli occhi fissò un punto alla sua destra. Avrei tanto voluto che fosse uno dei suoi soliti momenti di "fissiamo allegramente il vuoto senza ragione", ma si mosse di mezzo passo, frapponendosi chiaramente tra me e ciò che stava arrivando.
Carlisle, Emmett e gli altri si voltarono nella stessa direzione, attirati da rumori troppo deboli per le mie orecchie umane.
Presi un profondo respiro e mi aggrappai con le unghie al mio impermeabile, guardando dove tutti stavano guardando.
E finalmente eccoli.
Sbucarono dal confine della foresta, schierandosi a una dozzina di metri l'uno dall'altro. Il primo maschio entrò nello spiazzo, si fermò e lasciò che il suo compagno, alto e con i capelli scuri, lo precedesse come per mostrare chiaramente chi fosse il capobranco. La terza era una donna; da quella distanza riuscivo soltanto a distinguerne il colore dei capelli, una sfumatura strabiliante di rosso arancio.
Prima di avvicinarsi con cautela alla famiglia di Edward, i tre serrarono i ranghi, come si conviene a una pattuglia di predatori di fronte ad un branco più numeroso di loro simili.
Più li mettevo a fuoco, man mano che si avvicinavano, più notavo quanto fossero diversi dai Cullen. La loro andatura era acquattata, come leopardi nelle loro foreste. Sembravano degli escursionisti, vestiti di jeans e camicie sportive pesanti, resistenti alle intemperie. Gli indumenti, però, erano consumati e i tre avanzavano a piedi nudi. I due uomini avevano i capelli cortissimi, mentre la chioma arancione e luminosa della donna era zeppa di foglie e detriti raccolti nel bosco.
I loro sguardi acuti valutarono con attenzione l'atteggiamento "civilizzato" di Carlisle, che gli si faceva incontro guardingo affiancato da Emmett e Jasper. Senza che ci fosse bisogno di parlare, anche gli altri assunsero una posa eretta e più disinvolta.
L'uomo che guidava il gruppo era quello che mi pareva il più bello, la sua carnagione mostrava tinte olivastre sotto il tipico pallore, e i capelli erano di un nero brillante. Di corporatura media, era muscoloso, ma niente a che vedere con Emmett. Sfoderò un sorriso spontaneo, mostrando una schiera di denti bianchi e splendenti.
La donna aveva l'aria più selvatica, i suoi occhi non smettevano di oscillare tre i due compagni e il gruppo che mi circondava; i capelli le si arruffavano nella brezza leggera e la sua postura era chiaramente felina. Il secondo maschio ronzava silenzioso alle spalle dei suoi compagni, più magro e anonimo, sia nel colore castano dei capelli che nei lineamenti più regolari. Il suo sguardo, per quanto immobile, sembrava il più vigile.
Anche gli occhi erano differenti. Anziché neri o dorati, come mi aspettavo, erano di un intenso color vinaccia, inquietante e sinistro. Avevano gli occhi da vampiri, quelli veri, e non potei fare a meno di indietreggiare di un passo quando me ne resi conto.
Quelli che avevo davanti non erano psicopatici mollaccioni, erano predatori, serial killer.
L'uomo con i capelli scuri si avvicinò a Carlisle, sorridendo
«Ci sembrava di aver sentito giocare» disse pacato, con un leggero accento francese «Mi chiamo Laurent, questi sono Victoria e James» indicò i vampiri accanto a lui.
«Io mi chiamo Carlisle. Questa è la mia famiglia: Emmett, Jasper e Rosalie, Esme e Alice, Edward e Bella» ci indicò a gruppi, per non solleticare troppo l'attenzione del trio. Quando fece il mio nome ebbi un sussulto: non volevo, non volevo, non volevo che si ricordasse a chiunque che ero lì.
Lì, al cospetto di tre veri, letali, vampiri.
«C'è posto per qualche altro giocatore?» Chiese educato Laurent.
Carlisle rispose in tono altrettanto amichevole
«A dir la verità, stavamo proprio finendo. Ma la prossima volta potremmo averne bisogno. Avete in programma di trattenervi molto da queste parti?»
«Siamo diretti a nord, ma eravamo curiosi di visitare il vicinato. È da molto che non incontriamo nessuno»
«Questa regione di solito è disabitata, a parte noi e qualche visitatore occasionale, come voi».
La tensione si era lentamente sciolta in una conversazione spontanea. Probabilmente era Jasper a controllare la situazione, grazie al suo dono speciale. Per la prima volta nella mia vita benedissi un vampiro, chiedendomi subito dopo se benedire un demone non era la stessa cosa che maledire una persona normale, visto che erano creature del male.
«Qual'è il vostro territorio di caccia?» Chiese Laurent
«La catena dei monti olimpici» rispose Carlisle «Qui vicino. O la costa, di tanto in tanto. Abbiamo una residenza fissa nei dintorni. E c'è un altro insediamento permanete come il nostro, nei pressi di Denali».
Laurent arretrò impercettibilmente sui talloni.
«Permanente? E come fate?» Sembrava sinceramente curioso
«Perché non venite a casa nostra e ne parliamo con calma? È una storia piuttosto lunga».
James e Victoria si scambiarono uno sguardo sorpreso alla parola "casa". Giustamente, i vampiri di solito non hanno case. Al massimo una cripta. Una fogna. Ma una casa? Laurent, invece, mantenne il controllo. O forse non gliene fregava niente.
«Invito molto interessante e ben accetto» Sorrise, affabile «Siamo partiti per la caccia dall'Ontario e non ci diamo una ripulita da un bel po'» i suoi occhi (rossi, rossi, occhi rossi) scrutavano con ammirazione l'aspetto di Carlisle
«Vi prego di non offendervi, ma siamo costretti a chiedervi di astenervi dalla caccia, negli immediati dintorni. Capirete bene che è meglio che nessuno si accorga di noi» spiegò Carlisle
«Certo» annuì Laurent «Non invaderemo il vostro territorio, statene certi. E comunque, abbiamo mangiato poco dopo aver lasciato Seattle».
Rise. Un brivido mi scorse lungo la schiena. "Mangiato" significava che avevano ucciso degli esseri umani, no? Va bene che ero l'eroina del mio libro, ma speravo perlomeno che non si trattasse di un horror.
«Se volete seguirci, vi facciamo strada. Emmett e Alice, accompagnate Edward e Belarda fino alla jeep».
Mentre Carlisle parlava, accaddero tre cose contemporaneamente: la brezza leggera mi scompigliò i capelli, Edward si irrigidì come uno stoccafisso e il secondo maschio estraneo, James, si voltò di scatto ad osservarmi, spalancando le narici.
Tutti restarono impietriti e James si accucciò facendo un passo in avanti. Edward mostrò i denti, mettendosi in posizione di difesa, e cacciò un ringhio (che avrei potuto fare meglio di lui, ma questo era quello che passava il convento dei vampiri).
«E questa cos'è?» Esclamò Laurent, palesemente sorpreso.
I duellanti non abbandonarono le loro pose, pronti a balzarsi alla gola. James fece una finta a cui Edward rispose immediatamente, come se fosse il suo specchio.
«È con noi» Il fermo rimprovero nella voce di Carlisle era diretto a James.
Laurent sembrava meno sensibili al mio odore, ma anche lui a quel punto iniziava a capire.
«Vi siete portati uno spuntino?» Chiese incredulo, avanzando involontariamente di un passo
«Attento a come parla!» urlai «Spuntino ci sarai tu, se non ti riprendi quel cane rabbioso del tuo amico!».
Il ringhio di Edward divenne più duro e feroce mentre tutti si voltavano a guardarmi. Laurent arretrò.
«Ho detto che è con noi» Ribadì Carlisle, duro
«Ma è umana» protestò Laurent. Sembrava semplicemente stupito, non aggressivo, anche se sembrava aver ignorato la mia, di protesta.
«Si». Emmett si era messo al fianco di Carlisle, lo sguardo puntato su James. Questi si rilassò lentamente, ma senza perdermi di vista, con le narici sempre dilatate.
Se non avesse smesso di puntarmi gli avrei dato fuoco: avevo quello che mi serviva in tasca, dove avevo precauzionalmente infilato una mano. Di fronte a me, Edward era teso come un leone pronto a spiccare un balzo.
Laurent cercò di abbassare i toni e spegnere l'improvvisa ostilità
«A quanto pare, dobbiamo imparare a conoscerci meglio»
«Esattamente» la voce di Carlisle era ancora fredda
«Eppure, gradiremmo accettare il vostro invito» mi lanciò un'occhiata e si rivolse di nuovo a Carlisle «Naturalmente, non faremo del male all'umana. Come ho detto, non intendiamo cacciare nel vostro territorio».
James rivolse a Laurent uno sguardo incredulo e irritato e scambiò un'occhiata con Victoria, che ancora scrutava i volti dei presenti ad uno ad uno, nervosamente.
Carlisle studiò l'espressione sincera di Laurent, prima di parlare
«Vi facciamo strada. Jasper, Rosalie, Esme?».
I ragazzi si radunarono intorno a me per nascondermi. Alice fu al mio fianco in meno di un istante ed Emmett si spostò lentamente dietro di me, senza staccare gli occhi da James.
«Andiamo, Bella» la voce di Edward era bassa e cupa.
Io stavo guardando negli occhi James, come per sfidarlo a balzare contro il mio scudo di vampiri pronti inspiegabilmente a dare la vita pur di proteggermi. Edward fu costretto a darmi uno strattone per farmi riavere da quella specie di trance. Mi nascosero, tra Alice ed Emmet. Mi trascinavo a fianco di Edward. Avevo paura, ma non ne ero sopraffatta. Avevo paura e mi tremavano un po' le gambe, i muscoli della schiena tesi fino al bruciore, ma sapevo che avremmo vinto noi. Che avrei vinto io se ci fosse stata una battaglia.
Una volta che fummo tra gli alberi, Edward mi prese in spalla senza perdere il passo. Mi strinsi quanto potevo e lui iniziò a correre, seguito dagli altri. A testa bassa, non riuscivo a chiudere gli occhi, spalancati dalla paura.
Sfrecciavamo come lampi nella foresta buia. Raggiungemmo la jeep in un batter d'occhio, ed Edward rallentò soltanto per depositarmi sul sedile posteriore.
«Allacciale le cinture» Ordinò a Emmett, che si infilò in auto al mio fianco.
Alice si era già sistemata sul sedile del passeggero. Edward avviò il motore. Con un rombo e una veloce inversione, riprendemmo la strada tortuosa.
Capelli-pazzi ringhiava qualcosa, troppo in fretta perché capissi, ma sembrava una sequela di imprecazioni.
Estrassi il cellulare dalla tasca e mandai un messaggio a Sarah.
"Sono arrivati degli altri vampiri".
La risposta non ci mise molto ad arrivare
"Altri VAMPI? DOVE?!"
"Si. Vicino a casa dei Cullen"
"Mangiabestie o mangiapersone?"
"Mangiapersone. Edward mi sta portando via, stiamo praticamente scappando"
"Dobbiamo intervenire?"
"Credo di si"
"Vuoi che salviamo anche te?"
"Se ci riuscite, sarebbe bello"
"Arriviamo".
Il viaggio sul terreno sconnesso fu peggio che all'andata e l'oscurità lo rese ancora più pauroso. Emmett e Alice guardavano fuori dai finestrini.
Raggiungemmo la strada principale e malgrado la velocità fosse aumentata riuscii a capire subito dove ci trovassimo. Eravamo diretti a sud, lontano da Forks.
«Dove andiamo?».
Nessuno mi rispose. Nessuno mi degnò di uno sguardo.
«Accidenti, Edolo, dove mi stai portando?»
«Dobbiamo portarti lontano da qui, molto lontano, e subito!».
Non si voltò, fissava la strada. Il tachimetro segnava i centosettanta. La paura mi diede una scarica di adrenalina inaspettata.
«Torna indietro! Devi riportarmi a casa!» Ordinai «Subito, stupido vampiro!». Me la presi con quella stupida imbracatura, cercando di strapparla.
«Emmett» Ordinò Edward, torvo.
Ed Emmett, docile, bloccò le mie mani nella sua presa d'acciaio.
«No! Edward! No, non puoi farlo!»
«Sono costretto, Bella. E adesso, per favore, stai calma»
«No. E sono calmissima. Devi riportarmi a casa. Carlo chiamerà l'FBI. Scoveranno la tua stupida famiglia di stupidi bracconieri. Carlisle ed Esme dovranno fuggire, nascondersi per sempre»
«Calma, Bella» la sua voce era fredda, un ghiacciaio «Ci siamo già passati»
«Avete già rapito qualcun altro?»
«No»
«E allora non sapete cosa significa. Non puoi rovinare tutto per salvare me».
Alice parlò, per la prima volta. E disse una cosa sensata, incredibilmente.
«Edward, accosta».
Lui la incenerì con la sguardo e accelerò. Era fuori controllo.
«Edward, ti prego, parliamone»
«Tu non capisci!» ruggì lui, frustrato.
Non avevo mai sentito la sua voce a quel volume: era assordante nell'abitacolo della jeep. Il tachimetro aveva superato i centottanta, la mia tachicardia stava per arrivarci.
«È un segugio, Alice, non te ne sei accorta? È un segugio!».
Emmett, al mio fianco, si irrigidì, e mi meravigliai per la sua reazione a quella frase. La parola aveva chiaramente un senso più pregnante per loro che per me. Avrei voluto capire, ma non c'erano spiragli per fare domande, parlavano troppo in fretta, con troppa rabbia.
«Accosta, Edward». Alice sembrava voler ragionare, ma nella sua voce c'era una sfumatura autoritaria che non avevo mai sentito.
Il tachimetro superò i centonovanta.
«Avanti, accosta»
«Ascolta, Alice. Ho letto nella sua mente. Seguire una scia è la sua passione, la sua ossessione. E vuole lei, Alice... lei e nessun altro. Intende iniziare la caccia stanotte»
«Ma lui non sa dove...»
«Quanto pensi che ci vorrà prima che incroci la sua scia in città? Aveva un piano pronto prima ancora che Laurent aprisse bocca».
C'era un solo posto a cui quel mostro succhiasangue avrebbe potuto arrivare, seguendo la mia scia.
«Oh no! Carlo! Mio padre! Non puoi lasciarlo solo, non puoi!» Gridai
«Ha ragione» disse Alice.
L'auto rallentò appena.
«Consideriamo le alternative per un attimo» Sintetizzò lei.
La macchina rallentò ancora, in maniera più brusca, fino a fermarsi, sgommando sulla banchina dell'autostrada. Quasi mi strangolai con le cinture, prima di rimbalzare sullo schienale. Odiavo tutti i vampiri, li odiavo così tanto...
«Non ci sono alternative» Sibilò Edward
«Non lascerò mio padre da solo, mostro!» strillai, ma lui mi ignorò.
«Dobbiamo riportarla a casa» Disse Emmett infine, lasciandomi andare le mani
«No» Edward non tollerava obiezioni
«Tra noi e lui non c'è confronto, Edward. Non riuscirà a torcerle un capello»
«Aspetterà».
Emmett sorrise, un bestione con le fossette «Anch'io so aspettare»
«Non ti rendi conto... non capisci. Se uno come lui decide di impegnarsi in una caccia, niente può fargli cambiare idea. Saremo costretti a ucciderlo».
L'idea non sembrò sconvolgere granché Emmett «È una possibilità»
«La femmina sta con lui. E se scoppia una guerra, anche il capo sarà dalla loro parte e...».
Smisi di concentrarmi su di loro. Erano così impegnati a battibeccare e a ignorarmi che si erano scordati quanto ero pericolosa. In tasca avevo un magico strumento in grado di chiamare la cavalleria sovrannaturale: un telefonino.
Mandai un messaggio alla mia amica Sarah, un lungo messaggio dove le dicevo pressapoco dove mi trovavo e quello che stavano facendo i miei rapitori. Lei non rispose. Sperai che potesse leggere quel messaggio. Sperai che potesse trovare il modo di salvarmi.
Ma lei non poteva leggere il messaggio, perché era trasformata e insieme al branco. I lupi non hanno mani con un pollice opponibile, non gli sarebbe servito a niente avere un telefonino.
Come sapevo che era trasformata?
Perché la vedevo avvicinarsi all'auto ad una velocità prodigiosa, seguita dalle altre lupe del branco.
Un gran sorriso mi si formò sul volto.
«Ragazzi» Dissi, tranquilla «Non me ne importa niente se mi state ascoltando o no, ma state per morire tutti, non so se mi spiego».
Mi guardarono, sbalorditi. Poi una zampa enorme spaccò il parabrezza della jeep. 


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 Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui




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