domenica 22 aprile 2018

Sunset 36 - Ursus arctos horribilis



Ayita, nera come la pece, infilò il muso nel parabrezza spaccato e fece scattare le zanne, emettendo un suono terribile, tale da fare impallidire qualunque ringhio di Edward.
«Non l'hai previsto!» Urlò capelli-pazzi, scalciando contro i denti dell'enorme lupa con abbastanza forza da farla indietreggiare «Alice, perché non l'hai previsto?!»
«Non lo so!» urlò la psicopatica, aprendo la portiera e schizzando fuori.
Emmett mi strappò via l'imbracatura e mi prese dal seggiolino.
«Ragazze!» Gridai «Sono qui! Sono qui!».
Le enormi braccia muscolose del vampiro mi sorressero mentre uscivamo dalla macchina e per un istante ebbi una visione di tutto il branco che ringhiava ferocemente contro Edward da solo, visto che Alice era salita sulla cima di un albero e non poteva aiutarlo. Le vidi tutte e cinque e mi si gonfiò il cuore di gioia e di bellezza per quello spettacolo fantastico.
Ayita le guidava, immensa, con il lungo pelo come pece arruffato, ma scoprii di poter riconoscere anche le altre, sebbene fossero in forma di lupe. Subito dietro di lei c'era Sarah, la mia preferita, più tarchiata delle altre e bruna scura con una macchia dorata a forma di V sul petto, con al fianco Ohama, la più piccina di tutte, snella e forte come una spada e con il pelo grigio e nero, lucente come seta pura.
Aida stava indietro, la coda che sciabolava l'aria, poco più bassa della capobranco Ayita, nera e con la pancia e i piedi bianchi.
La pelliccia più strana di tutte apparteneva a Lara, quella che nel gioco era uno gnoll, e capii subito perché si immedesimava in una iena: il suo pelo era di un biondo cupo, striato di rosso, con grosse macchie rotonde brune su tutta la schiena.
«Non preoccuparti, Bella!» Gridò Edward «Ti proteggerò a qualunque costo!»
«Razza di cretino!» gli urlai di rimando, anche se io e Emmett eravamo già troppo lontani perché ci sentisse «Loro sono mie amiche! Loro vogliono proteggermi!».
Non ebbi il tempo di finire la frase che vidi spuntare Sarah, galoppante verso di noi, incurante dei rami bassi che si spezzavano al suo passaggio. Ululò e mi parve quasi di riconoscere il mio nome in quel grido animale.
Emmett accelerò, schivando gli alberi a velocità folle. Serrai gli occhi. Non eravamo mai andati così veloci: forse Edward aveva cercato di evitarmi troppa nausea, a modo suo.
«Bella, non preoccuparti» Disse il vocione del vampiro «La semineremo, non può correre così ancora a lungo»
«Lasciami, Emmett!»
«Mai. Scusa sorellina, ma Edward non me lo perdonerebbe!».
Allora mi infilai una mano nella tasca. Presi la scatolina dei fiammiferi e ne accesi uno. Sperai che la corrente non me lo spegnesse. Lo infilai in un orecchio di Emmett.
Emmett strillò, emettendo un rumore acuto, penetrante, e mi lasciò andare per afferrare manciate di muschio e terriccio che si infilò nell'orecchio, già fiammeggiante, per spegnere il fuoco. Rotolai sul terreno, avvertendo un acuto dolore alle ginocchia, e mi accorsi di essere in pendenza perché non smettevo di girare su me stessa. Mi aggrappai ad una radice e cercai di rimettermi in piedi, ma scivolai sul terreno umido. Sentivo il cuore in gola, avevo le ascelle fradice di sudore.
Non gridai aiuto, avevo paura che un vampiro sarebbe arrivato.
Proprio quando stavo per scivolare di nuovo, mi sentii affondare in una morbida pelliccia. Inspirai a fondo: odorava di legno caldo e di pane e di pelle pulita.
Sarah gorgogliò e seppi che stava ridendo di me.
«Ehi!» Dissi «Non è carino ridere così delle umane in pericolo!».
Lei mi spinse con il muso contro la sua groppa, invitandomi a salire.
«Posso farlo davvero?» Domandai, con un gran sorriso.
Vidi con la coda dell'occhio Emmett, che aveva un lato della testa annerito e un orecchio mancante, che si voltava a guardarmi. Nei suoi occhi c'era solo furore, una rabbia liquida che sembrava propagarsi al resto della sua faccia contratta.
«Certo che posso!» Urlai, salendo più veloce che potevo sull'ampio dorso della mia amica quileute, che si era abbassata un po' sulle zampe per rendermi il compito meno difficile.
Sfrecciammo attraverso gli alberi e mi sentii come il fantino più fortunato del mondo, china sulla folta criniera lupesca di una mutaforma, mentre ci allontanavamo sempre di più da Emmett, che per qualche ragione non ci stava inseguendo.
I boschi sfrecciavano intorno a noi, veloci, veloci, veloci, e poi d'improvviso ci fermammo in uno spiazzo aperto.
«Che succede?» Domandai.
Sarah alzò la testa al cielo e ululò, rintronandomi con la sua voce possente e costringendomi a premermi le mani contro le orecchie.
Non accadde nulla, così lei si accovacciò per farmi scendere. Lo feci, scoprendo che mi tremavano ancora con violenza le gambe. Ero scossa, spaesata.
Sarah si allontanò al trotto e non potevo neppure inseguirla, debole e tremebonda com'ero.
«Ehi! Dove vai! Ehi!».
Lei scomparve dietro gli alberi, lasciandomi sola. Caddi in ginocchio, dando un pugno al terreno con tanta forza che minuscoli sassolini mi rimasero incollati alla mano.
Ero fortunata ad avere amiche come loro, ma adesso avevo anche paura, perché ero rimasta sola, una paura folle che mi attanagliava, quella di vedere tornare Edward o peggio ancora, di vedere comparire "il segugio", James, il vampiro serial killer.
La mia paura, tuttavia, era abbastanza ingiustificata, perché dopo qualche istante (mentre io ero persa nella mia spirale di ansia) ricomparve Sarah, in forma umana e vestita con una semplice maglietta e un paio di pantaloncini.
«Oh, che frignona!» Disse, ghignando
«Sarah!» gridai, trovando chissà come la forza di rialzarmi in piedi per gettarle le mani al collo e rimanere contro di lei, rincuorata
«Oh mamma, il tuo cappotto è freddissimo» rabbrividì lei, che aveva le braccia nude a contatto contro il mio vestiario congelato
«Scusa» pigolai, lasciandola «Mi dispiace»
«Non fa niente. Ehi, ora è tutto a posto! Meno male che ci hai chiamate!»
«Come se la stanno cavando le altre?»
«Bene. Benissimo, anzi. Stanno mettendo in fuga il tuo vampiro con i capelli strani e quella sull'albero ha troppa paura e non vuole scendere»
«Oh, che paura che ho avuto» mi misi una mano sotto il giubbotto, sul cuore «Ero terrorizzata, Sarah. Grazie per il salvataggio»
«È il nostro compito, piccola!» mi fece il segno di due pistole con le dita «Piuttosto, nel messaggio dicevi di vampiri che uccidono gente, dove sono? Non li abbiamo trovati»
«Sono a casa Cullen. Quei pazzi li hanno invitati a fare quattro chiacchiere»
«Su come rovinano la vita alla gente, scommetto» ringhiò Sarah «Oddio, dobbiamo trucidarli tutti»
«Ma aspetta! Sono un sacco! Come pensate di farlo?»
«In effetti sono un sacco» lei si fece pensierosa «Dobbiamo dividerli. Se riusciamo a dividerli, possiamo smembrarli uno ad uno»
«Mi sembra un'ottima idea» confermai «Ma come lo facciamo?»
«Già, come... sei ancora amica dei Black?»
«Si, certo»
«Dovrai andare a stare da loro per un po', Belarda. Qui fuori sarà pericoloso per te»
«Non me lo faccio ripetere due volte! Ma ho un problema: la mia auto si trova a casa Cullen. Mi ci dovrete accompagnare, dai Black»
«Oh, certo» lei mi diede una pacchetta sulla spalla «Ti ci accompagno io»
«Aspetta!» dissi, alzando una mano «Mi devi riportare a casa»
«Cosa? E perché?»
«Perché papà è in pericolo. Uno di questi vampiri con gli occhi rossi, gli stranieri succhia-umani, è un segugio, che credo significhi che sia bravo a seguire le piste, e vuole uccidermi»
«Che cosa?» gli occhi di Sarah si spalancarono «Uno di loro ce l'ha espressamente con te?»
«Si. E ho paura che se arriva in città e segue le mie tracce possa arrivare fino a casa, da papà»
«E allora cosa conti di fare, andando a casa sul serio? Buttarti in bocca a lui? Non possiamo proteggerti in città, Belarda!» allargò le braccia, con aria esasperata «Non possiamo trasformarci di fronte alle persone!»
«Lo so. Ecco perché ho un piano. Tu mi riporti a casa. Io dico a papà che voglio stare tutta la serata dai Black. Aspettiamo che questo segugio si sia appostato in ascolto, poi scappiamo e dai Black ci vado sul serio. Attiriamo il segugio nella riserva e non appena ci mette piede...»
«Noi lo smembriamo» completò lei per me, su di giri
«Allora, è un buon piano?»
«Se è un buon piano? Belarda, è geniale! Pericolosissimo, ma geniale. Cioè, ci potresti rimanere secca, ma potrebbe anche essere l'unico modo per salvare capra e cavoli. E ci riusciremo!»
«Lo so»
«Allora, questo è il piano. Ti accompagnerò a casa, lo faremo con una macchina comunque. Tu entri, dici a tuo padre che stasera devi stare con Jacob, il figlio di Billy. Raccontagli la scusa che preferisci, poi prepari una valigia con le prime cose che ti capitano e risali in macchina. Non mi interessa come reagisce tuo padre. Hai quindici minuti. Capito? Quindici minuti da quando varchi la soglia di casa»
«Si, ho capito tutto»
«Brava. E mi raccomando. Aspetta, vado a ritrasformarmi e ti porto alla riserva»
«Alla riserva? Ma il piano...»
«Dove credi che andremo a prendere un macchina per portarti a casa?»
«Oh, giusto. Scusa, è il trauma»
«Già. Aspettami lì e non piangere, ritorno subito».
Sarah scomparve nuovamente dietro gli alberi, di corsa. Dopo neanche un paio di minuti l'enorme sagoma marrone della lupa gigante sbucò nuovamente fuori e mi si avvicinò con un trotto aggressivo.
«Posso?» Domandai.
Lei sbuffò, il che significava probabilmente si. Salii sulla sua schiena, tenendomi forte alle spesse ciocche di pelo, e partimmo a tutta velocità attraverso i boschi. Ci capitò di tagliare un paio di strade, ma per fortuna non c'era nessuno. Il respiro forte e sicuro dell'enorme animale sotto di me era rassicurante e il suo corpo emanava un calore intenso, come una termocoperta.
Arrivammo a La Push e lì smontai e lasciai che Sarah andasse a ritrasformarsi dietro un albero, di nuovo. Avevo notato che portava gli abiti legati ad una zampa in un pratico, minuscolo pacchetto. Quando uscì era di nuovo in forma umana, con un filo di fiatone.
«Può essere pericoloso, trasformarsi tutte queste volte?» Domandai
«No. Certo che no» lei rise «Dai, andiamo da Billy! Ci facciamo prestare la loro macchina».
Non c'era vento, l'aria era stagnante. Con la coda dell'occhio mi accorsi di un movimento. Billy mi guardava da una finestra della facciata, con un'espressione confusa sul viso. Salutai con la mano e mi sforzai di sorridere.
Lui mi lanciò un'occhiataccia e tirò la tenda.
«Che ha?» Domandai debolmente
«Niente, tranquilla» Sarah sorrise «Vai avanti tu, chiedigli se può prestarti la macchina, è una richiesta innocente, vedrai che ti darà ascolto...»
«Perché non glielo chiedi tu?»
«Perché non siamo amici» rispose lei con candore.
Andai verso la casa e quando allungai la mano per bussare, la porta si aprì con un colpo secco.
Di soprassalto abbassai lo sguardo, sicura che fosse Billy. Dovetti rialzare lo sguardo, perché qualcuno di molto più alto aveva aperto la porta.
«Che ci fai qui?» Sbraitò Jacob.
Restai a fissarlo, sbalordita e muta.
Era cambiato radicalmente da un giorno all'altro, era... incredibile. Prima di tutto notai i capelli: al posto della sua chioma lunga e folta c'era un taglio cortissimo, una macchia nera lucida come seta. Le guance sembravano indurite, contratte... invecchiate. Anche il collo e le spalle erano diversi, più robusti. Le mani erano enormi, le vene e i tendini spiccavano ancora di più sotto la pelle bronzea. Ma il cambiamento fisico era insignificante rispetto al resto.
Era l'espressione del viso a renderlo quasi irriconoscibile. Il sorriso sereno e amichevole se n'era andato insieme ai capelli, il calore degli occhi si era trasformato in una malignità che metteva istantaneamente a disagio. C'era qualcosa di oscuro in lui. Come se il sole, che normalmente brillava di luce nel suo volto, fosse imploso.
«Jacob» Sussurrai.
Restò a guardarmi, nervoso e arrabbiato.
«Cosa vuoi?» Chiese Jacob, il suo risentimento accentuato dal susseguirsi di emozioni che mi leggeva in faccia
«Io voglio... mi piacerebbe che tu mi prestassi la macchina»
«La macchina?» domandò lui, preso alla sprovvista, rilassando appena la faccia
«Si, per andare a Forks. Poi te la riporto»
«Che fine ha fatto il pick-up che ti avevamo venduto? È fuso, eh?»
«No, no, sta benissimo. Almeno credo» tirai su con il naso «Ma che ti è successo?»
«Non è roba che ti riguardi» sibilò tra i denti.
Il suo sguardo era perfido. Non lo avevo mai visto guardare nessuno, tanto meno me, con quegli occhi. Mi bruciava con un'intensità sconcertante. Era dolore fisico, una coltellata nella testa.
«E la macchina? Me la presti?» Domandai, facendomi piccola piccola.
Lui uscì e si chiuse la porta alle spalle
«Seguimi».
Strisciavo i piedi nell'erba umida e nel fango che costeggiava la strada, ma non sentivo altri rumori, il che era alquanto strano. Jacob, camminando, non faceva suoni. Ommiddio, era uno spettro? Stavo camminando con il fantasma di un Jacob Black ucciso da Undertaker? Oppure c'era qualcosa di diverso sotto?
D'un tratto Jacob accelerò il passo, superandomi alla svelta con le sue gambe lunghe, e si voltò verso di me, fermandosi e bloccandomi sul sentiero. La grazia dei suoi movimenti mi colpì. Jacob, cresciuto così in fretta, era sempre stato goffo quanto me. Quanto era cambiato.
Non mi lasciò il tempo di pensarci.
«Facciamola finita» Disse, con voce secca e roca.
Mi balzò il cuore in gola. Facciamola finita! Cosa voleva fare Jake, il mio Jake? Uccidermi? Era dalla parte dei vampiri? Era posseduto? Era pericoloso? Sembrava essere tutte e tre le cose insieme e mi fece indietreggiare. Non avevo speranze contro qualcuno di così grosso e muscoloso. Anche se... Sarah era alle mie spalle. Lei non mi avrebbe abbandonata.
«Ehi, Black!» Esclamò lei «Perché non ci presti la macchina così ce ne andiamo?»
«Perché?» domandò lui, aspro
«Non preoccuparti, Belarda» replicò la ragazza-lupo, a voce alta «Jake ha solo le sue cose, è nervoso per quello»
«E tu che ne sai?!» ringhiò Jacob, con ferocia
«Dacci la macchina e tutto andrà bene» riprese Sarah «Non vuoi davvero litigare con me. Sai che se litighi con me hai litigato con tutte le ragazze, lo sai, vero? E anche con Belarda»
«D'accordo» sbottò lui «Prendete la macchina e andate fuori dai piedi! Chi ha bisogno di voi?».
Respirava a fondo, cercando di calmarsi. Era talmente fuori di sé che gli tremavano le mani.
«Jacob, ti prego» Sussurrai «Non vuoi dirmi cosa ti è successo? Magari ti posso aiutare»
«Nessuno può aiutarmi, ormai» le sue parole erano un gemito cupo, la voce spezzata
«Cosa ti ha fatto?» chiesi, con gli occhi gonfi di lacrime.
Lo cercai, avvicinandomi a braccia aperte.
Ma lui si allontanò di scatto, difendendosi a mani alzate
«Non toccarmi» sussurrò
«È per tuo padre? Non vuoi che veda che ci abbracciamo?».
Quelle stupide lacrime erano sfuggite ai miei occhi. Le spazzai via con il dorso della mano e incrociai le braccia.
«Smettila! Non dare la colpa a mio padre!» Le parole schizzarono veloci, automatiche «Lui non c'entra niente con tutta questa storia!».
Con le mani fece per rassettarsi i capelli che non c'erano più e poi le lasciò cadere, inerti, sui fianchi.
«E allora di chi è la colpa di questo cambiamento?».
Abbozzò un sorriso inquietante, distorto.
«Meglio che non te lo dica».
Il cuore mi accelerò. Edward aveva ragione? Capelli-pazzi sapeva davvero cose che io non ero riuscita nemmeno ad intuire? Undertaker aveva fatto questo a Jacob?
«Va bene» Dissi, deglutendo convulsamente.
Jacob si allontanò da me, andò a prendere le chiavi, poi me le lanciò contro. Sbagliai la presa e dovetti chinarmi a raccoglierle dal fango.
«Riportamela» Ringhiò «Al più presto».
Sarah mi mise una mano sulla spalla
«Ignoralo, tesoro. Gli passerà. Ai maschi capitano così, queste cose»
«D'accordo» dissi, per nulla convinta.
Possibile che lei non vedesse il mostro che Jacob era diventato? La perversa malvagità nel suo sguardo? Il suo anormale sviluppo fisico?
Salimmo sulla macchina di Jacob. L'avevo già guidata una volta, la conoscevo già bene, quindi non ci fu nessun problema nel partire, con la mia amica quileute sul sedile passeggero che stava già esplorando il cruscotto alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Giunti alla periferia di Forks, iniziammo a rallentare. Malgrado il mio ostentato coraggio, la voglia di portare a compimento questo piano, sentivo drizzarmisi i peli sulle braccia. Ripensai a Carlo solo in casa, insieme al mio adorabile gattino Dracula, e cercai di farmi forza.
«Belarda» Sarah pronunciò il mio nome con dolcezza «Non lascerò che ti accada qualcosa di brutto. Lo capisci?»
«Si» risposi, senza fiato
«Se arriverà il vampiro, se ti attaccherà, non mi importa di quanti testimoni ci saranno, giuro sulla mia pelliccia che mi trasformerò e lo ucciderò».
Carlo era rimasto sveglio ad aspettarmi. Le luci di casa erano tutte accese. Non avevo la più pallida idea di cosa raccontargli per convincerlo a lasciarmi andare. Non sarebbe stata una cosa piacevole.
Accostai lentamente, attenta a non sbarrare la strada all'auto della polizia. La mia compagna di viaggio era all'erta, rigida sul sedile, intenta ad ascoltare ogni minimo rumore, a osservare ogni ombra, a sentire ogni odore, controllando che niente fosse fuori posto. A motore spento, mentre lei ascoltava, io restavo seduta, immobile.
«Non è qui» Disse nervosa Sarah «Andiamo».
Scesi dall'auto. Mi tremavano ancora le gambe e per poco non finii spiaccicata sul vialetto.
«Non preoccuparti, Belarda» Disse ancora la mia amica, fiduciosa «Ce ne sbarazzeremo in fretta».
La guardai e mi sentii gli occhi lucidi. Ci conoscevamo appena, era l'amicizia più recente che avessi, ma l'idea che lei stesse mettendo a repentaglio la sua vita per me mi colmava di angoscia e di gratitudine.
Lei mi prese per mano, protettiva. Mi accompagnò svelta di fronte a casa, con lo sguardo vigile nel buio della sera.
«Quindici minuti» Ribadì, con un filo di voce
«Ce la posso fare» dissi, cercando di contenere i singhiozzi
«Lo so che puoi. Non sarà neanche difficile. Forza, Belarda, hai fatto la spia in una casa di vampiri, questa è una passeggiata»
«Lo so. Ti voglio bene, Sarah»
«Che romanticherie» sbuffò lei «Non preoccuparti, non succederà niente, Belarda. L'importante è che tu segua il piano»
«Proteggi Carlo, per favore. Dopo stasera ce l'avrà sicuramente con me e... e... e voglio avere la possibilità di scusarmi, quando tutto sarà finito»
«Entra, Belarda, dobbiamo sbrigarci» disse lei, impaziente
«Una cosa ancora» la implorai sottovoce «Non ascoltare una sola parola di quello che sto per dire».
Mi voltai e aprii la porta, poi la richiusi alle mie spalle, prendendo un respiro profondo.
«Belarda?» Carlo, rimasto ad aspettarmi in salotto, era scattato subito in piedi dal divano.
Dracula era acciambellato sulle sue spalle, con gli occhietti chiusi, e faceva le fusa amabilmente.
«Belarda, stai bene? Che succede?» Sembrava impaurito
«Niente» dissi, con aria stanca, massaggiandomi la fronte
«È stato Edward? È stato di nuovo Edward? Ti ha trattata male?» dalla paura stava passando alla rabbia
«No» mentii, anche se avrei voluto dirgli tutta la verità «Io devo... c'è una cosa urgente, papà»
«Cosa?»
«Jacob. Jacob ha bisogno del mio aiuto»
«Cosa? Che è successo, Billy non mi ha detto niente...»
«È perché... perché non lo sa» inventai sul momento, cercando di sembrare afflitta «Non sa niente di questa storia e non lo deve sapere»
«Vuoi che venga anch'io? Ti posso aiutare, Belarda, posso aiutare anche lui e...»
«No!» esclamai, poi lo dribblai, salii le scale di corsa e chiusi la porta della mia stanza, sbattendola. Raggiunsi il letto e mi gettai a terra, carponi, in cerca della mia sacca da viaggio perfettamente organizzata proprio per evenienze del genere (e anche nel caso si presentasse un nuovo spettacolo della WWE improvviso a cui partecipare).
Carlo bussò fuori dalla porta, impetuoso
«Belarda! STAI BENE?»
«Si, io sto bene, te l'ho detto»
«Che è successo a Jacob? Belarda, dimmelo!»
«No!» gridai «Non posso! Ho promesso, papà, e ora è nei pasticci, devo andare ad aiutarlo!».
Aprii la porta, scansai bruscamente Carlo e scesi le scale di slancio, attenta che il peso della borsa non mi sbilanciasse.
«Ma cosa è successo?» Urlò lui. Mi era alle spalle.
In cucina mi raggiunse e mi trattenne per un braccio. Malgrado lo sbalordimento, la sua presa era forte. Con uno strattone, mi costrinse a voltarmi e capì subito che non aveva intenzione di lasciarmi andare. Mi sembrava che il cervello mi si fosse rallentato e che ci fosse un criceto vampirico stanco anche nella mia ruota dei pensieri. Che cosa gli avrei detto, adesso? Come l'avrei convinto a lasciarmi andare alla riserva di corsa senza farmi accompagnare?
Notai che Dracula non era più sulle spalle di papà, ma sul tavolo, seduto con gli occhietti spalancati, a guardarmi sbigottito. Così mi venne un'idea.
«Jacob ha preso dei gatti» Dissi, seria
«Cosa?» fece lui, sorpreso «E che cosa...»
«Devo aiutarlo con una cosa. Suo padre non vuole che lui tenga dei gatti e io gli ho promesso che non avrei detto a nessuno nessuno nessuno il suo problema. Ti dico dei gatti, ma non posso dirti che problema hanno i gatti, così non ho davvero rotto la promessa»
«Ma Belarda, posso aiutarvi» la sua espressione preoccupata e furiosa si ammorbidì in una specie di sorrisetto ebete da gattofilo perso
«Ma Jacob mi ha fatto promettere papà, mi ha fatto promettere! Non saremo mai più amici se scopre che l'ho detto a te, ok?»
«Va bene» lui mi lasciò «Vai, Belarda, salva questi gattini»
«Certo papà. Lo farò anche per te, lavorerò per due, così sarà come se anche tu fossi con noi»
«E senti, se per caso ne vuoi prendere uno, che ti piace tanto tanto» fece un vago gesto con la mano «Sappi che Dracula si annoia ad essere un gatto unico»
«No che non si annoia» risi, imboccando la porta «Ma magari ti annoi tu»
«Io non... Belard...».
Me lo lasciai alle spalle. Era stato davvero molto meno impegnativo di quanto avessi immaginato: bastavano i gatti. Oh, grazie a Dracula! Se non fosse mai entrato nelle nostre vite, se non avesse reso mio padre un gattofilo, adesso sarei stata nei guai fino al collo.
«Ti chiamo domani!» Urlai.
Accesi il motore e partii a mille. Sarah mi guardò, sollevando le sopracciglia
«Allora» disse «Com'è andata? Sei stata lì dentro molto meno del previsto»
«Gli ho detto che devo fare volontariato animalista. Ci sono dei gattini da salvare, a La Push» risi, rincuorata «Meno male che papà ha il cuore tenero»
«Oh, wow. Bella scusa»
«E il segugio? Si è visto?»
«Oh si, è comparso neanche due minuti fa, ce lo stiamo lasciando alle spalle»
«E papà?»
«Non ti preoccupare, il segugio seguirà noi. Ce lo stiamo lasciando alle spalle significa... che è alle nostra spalle, in questo momento».
Mi sentii ghiacciare.
«Possiamo seminarlo?»
«No».
All'improvviso il piano non mi sembrava più tanto brillante. Fissavo i fari di una macchina che si era accodata a noi, quando Sarah si agitò
«È quella piccola» disse, allarmata
«Quella piccola?» chiesi
«Nella macchina dietro di noi» spiegò in fretta «C'è la Cullen piccola a guidarla»
«Alice?»
«Alice!».
Eravamo inseguiti da una Cullen e da un vampiro killer. E noi eravamo solo in due, una ragazza-lupo e una ragazza-umana e non credevo che li avremmo battuti. Dovevamo arrivare a La Push, ma ce l'avremmo fatta o ci avrebbero attaccate non appena fossimo uscite da Forks, non appena fossimo state lontane da sguardi indiscreti.
«Oddio» Mormorai «E ora che facciamo? Che facciamo?»
«Calma e sangue freddo» rispose Sarah «Non è ancora finita»
«Ma almeno le altre ragazze sanno del nostro piano?»
«No»
«Come no?»
«Mi diresti quando ho avuto il tempo di avvertirle di tutto? Ammazzeranno comunque qualunque vampiro che entrerà a La Push, ma il problema è che a La Push ci dobbiamo arrivare e abbiamo due di questi freddi alle calcagna e... mi viene il voltastomaco» tossì «Non so se posso vincere contro tutti e due da sola. Noi lupi siamo fatti per combattere in branco, al contrario dei freddi, che sono fatti per stare soli».
Io premevo il piede a tavoletta contro l'acceleratore e mi accorsi mio malgrado che stavo guidando quasi come Edward Cullen, con una differenza però importante: io avevo il mio motivo per scappare a quella velocità.
«Ci sta ancora alle calcagna» disse Sarah, voltandosi per guardare «Vedo la macchina della vampira piccola»
«Dannazione!» imprecai «E ora?»
«Saremmo più veloci se tagliassimo per i boschi. Dovremmo fermarci, dovrei trasformarmi e poi dovrei portarti via al galoppo. E comunque rischiamo di essere presi mentre ci fermiamo. Non possiamo fermarci»
«È quasi scacco matto» gemetti
«Hai paura?»
«Certo»
«Bene. Ne ho anch'io, Belarda. Sarebbe stupido non averne. E sai di cos'altro ho paura?»
«Di cosa?»
«Che stiamo per finire in una trappola. Che ci siano altri vampiri sulla strada»
«Grazie per la rassicurazione» sibilai, sgommando per via di una curva quasi a gomito che aderiva al fianco di una montagnola «Adesso sì che sono tranquilla»
«Ehi, bisogna valutare tutte le alternative. Comunque guidi bene, lo sai?»
«Sono la follia e la disperazione a guidare, non io. Comunque grazie»
«Che fuga epica» Sarah ridacchiò «Se sopravviviamo sarà una storia che racconteremo una dozzina di volte».
Fu in quel momento che si udì un suono tremendo. Controllai se avessimo sbattuto da qualche parte, ma non era così, così Sarah si girò a controllare.
«DEI DEL MARE E DEL CIELO!» Gridò, fuori di sé «Cos'è quella cosa?»
«Quella cosa cosa?» chiesi, senza rallentare
«Quella che ha abbattuto la macchina della vampira piccola. L'hai vista?»
«No. Cos'era?»
«Un orso, credo»
«Un orso?»
«Si, ma era... troppo veloce per essere un orso»
«Poteva essere una di voi? Una licantropa?»
«No!» dal tono di voce pareva insieme scandalizzata e spaventata «Nessuna di noi è fatta... in quel modo»
«Com'era?»
«Come un orso. Intendo un orso vero, grande come un orso vero, ma molto più veloce e più forte. Ha fatto volare la macchina con una zampata e poi ci è saltato sopra»
«Un orso?» aggrottai le sopracciglia «Potrebbe essere... solo un orso?»
«Ti ho detto che ha fatto volare una macchina con un colpo, mi hai sentito, Belarda? Un colpo! Una sola zampata!»
«Beh, di sicuro ci ha fatto un favore. Pensi che possiamo accostare?»
«Penso che sarebbe meglio arrivare a La Push in macchina. Io non mi fermerei con quella cosa alle spalle, ok?»
«Faceva davvero così tanta paura?»
«Era come un dio della foresta».
Risi. Sarah mi lanciò un'occhiataccia torva, tamburellando sul cruscotto con le dita
«Che hai da ridere, Schumacher?»
«Niente, il modo in cui l'hai detto... un dio della foresta, dici?»
«Si»
«Magari ci voleva proteggere, è per quello che ha attaccato Alice, no?».
Udii un ruggito terrificante che mi gelò il sangue nelle vene. Come se non fossi già abbastanza terrorizzata.
Diedi un'occhiata allo specchietto retrovisore. Un enorme orso grizzly dal pelo castano-rossiccio stava correndo verso di noi, veloce come un'automobile, e non sembrava affatto che avesse buone intenzioni.
«Siamo mortissimi!» Gridò Sarah «Morti morti morti!»
«Cosa diavolo è?» chiesi
«Posso sentire il suo fetore da qui» urlò la mia compagna, per sovrastare il rumore del motore dell'auto sforzato fino al limite «È un vampiro!».
Un orso è già terrificante di suo: se ne avete incontrato uno sapete cosa intendo. È un poco meno terrificante di un alce, ma molto di più di quasi qualunque altro animale, perché sapete, beh, non si può battere un orso. Un vampiro (uno vero, non Edward "io mangio topi" Cullen) è abbastanza spaventoso da fare avere gli incubi ad una persona per settimane.
Un orso vampiro... ommioddio, è un orso vampiro. Non c'è niente a cui paragonarlo.
Diedi un'altra occhiata allo specchietto retrovisore. Era già abbastanza vicino perché potessi vedere nei dettagli il suo testone mostruoso dai lineamenti più affilati di quelli di un normale orso, con il naso di un grigio pallido sporco di sangue.
"Ursus arctos horribilis" pensai, rievocando come per istinto il nome scientifico del grizzly. Davvero era horribilis. Molto horribilis.
Strillai quando la nostra macchina si fermò di colpo con un rumore di metallo stritolato.
Sarah si trasformò, spaccando il parabrezza come se fosse un foglio teso di carta velina, e ci mise meno di un batter d'occhio. Mi piovve addosso una pioggia di frammenti di vetro mentre la macchina si rigirava su un fianco. Udii un rumore violento, ruggiti e ringhi di folle intensità, mentre tutto intorno a me sembrava tremare.
Mi sporsi verso il sedile posteriore per afferrare la sacca da viaggio e riuscii ad aprire la portiera per sgusciare fuori dalla macchina. Caddi a terra, sbucciandomi le ginocchia sotto i pantaloni, che si insanguinarono. Mi rialzai solo grazie alla forza dell'adrenalina e rimasi a bocca aperta.
L'orso non era più grande di Sarah, anche se aveva una corporatura molto massiccia. Doveva pesare tra i centoquaranta e i centottanta chili. Quanto un wrestler. A guardarli vicini, la donna-lupo e l'orso-vampiro, si scopriva che c'era qualcosa di simile in loro.
L'orso scoprì le zanne mostruose e lui e la ragazza-lupo si affrontarono ancora con ferocia, tagliandosi le labbra l'un l'altro per via del cozzare dei denti, ciascuno cercando di raggiungere la gola dell'altro per lacerarla.
L'orso era velocissimo, ma Sarah combatteva con più intelligenza e gli spezzò una zampa con un morso, costringendolo a retrocedere. Quello, però, non era un normale orso... e la sua zampa guarì quasi istantaneamente, con un rumore simile a quello di un sasso lanciato contro un pezzo di legno. Era invincibile.
Sarah indietreggiò rapidamente, la coda fra le zampe, senza riuscire a impedirsi di tremare. L'orso si sollevò sulle zampe posteriori e ruggì, la voce che rimbombava fra gli alberi come una tempesta.
Allora Sarah ululò, esponendo la gola.
«No!» Gridai, capendo immediatamente l'errore. L'orso vampiro fu così veloce che nessuno avrebbe potuto intercettarlo e le infilò le zanne dritte nel collo, strappando con violenza per lacerarglielo. Sarah barcollò e cadde graffiando l'asfalto, mentre un'immensa pozza di sangue si formava sotto di lei.
L'orso vampiro si girò verso di me, dilatando le narici, le labbra mobilissime arricciate a mostrare i canini scarlatti.
Accettare la morte era difficile, specie se quella che stava per avvenire era la propria. Ma no. No.
Mi infilai la mano in tasca e la strinsi sulla scatola di accendini.
«AHHHHH!» Gridai, gonfiandomi per sembrare minacciosa. L'orso parve ridere sotto i baffi di quanto ero patetica e avanzò bagnandosi le piante delle zampe nel sangue di Sarah che si spargeva su tutto l'asfalto.
Tirai fuori l'accendino e lo sfregai contro la scatola per accenderlo, poi con quello accesi tutti gli altri fiammiferi e li tenni in una mano. Mi sentii un po' come la piccola fiammiferaia, con tutti quei pezzetti di legno che si consumavano lentamente in mano, piccole luci di speranza prima di morire.
Solo che io non sarei morta. Oppure si?
Afferrai la bustina di alcool. L'orso mi si scagliò contro, le zanne scoperte. Gli lanciai in bocca l'alcool e i fiammiferi prima che mi investisse, poi fui schiacciata e persi i sensi.
Caspita, si che sarei morta. 


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