martedì 22 maggio 2018

Sunset 50 - Epilogo



Jessica mi aiutò a salire sulla sua auto, attenta a non rovinare gli svolazzi di seta e chiffon del mio vestito e i fiori che aveva appena appuntato sui miei riccioli acconciati alla perfezione. Ignorò la mia espressione scocciata.
Dopo avermi sistemata sul sedile posteriore, si accomodò al posto di guida e fece retromarcia sul viale lungo e stretto.
«Posso sapere quando ti prenderai la briga di rivelarmi perché mai hai deciso di invitare me al ballo, invece di Mike?» chiesi, scontrosa
«È assurdo che tu ancora non abbia capito» ridacchiò lei, beffarda.
Indossava un vestito quasi identico al mio, era stata lei a comprare entrambi e lei a pretendere che lo indossassi.
«Non verrò mai più da nessuna parte con te, se mi toccherà di nuovo farmi trattare come Barbie-cavia-da-laboratorio» Brontolai.
Avevo trascorso quasi l'intera giornata nel bagno di Jessica, vittima di lei e sua cugina che giocavano alla parrucchiera e alla truccatrice. Ogni volta che mi lamentavo o le suggerivo qualcosa, mi pregava di non rovinarle quel momento, perché sarebbe stato il più epico della sua carriera scolastica: ed era lì che avevo capito che voleva portarmi al ballo di fine anno. Poi mi aveva costretta ad indossare il più ridicolo dei vestiti: blu scuro, pieno di trine e senza spalline, con un sacco di etichette francesi che non capivo e non volevo capire. Si addiceva più ad una passerella di moda che a Forks. Il nostro abbigliamento formale non prometteva niente di buono, di questo ero sicura.
A quel punto fui distratta dallo squillo di un telefono. Jessica tirò fuori un telefonino smangiucchiato dal portaoggetti dell'auto e per un istante osservò il numero sul display. Poi sorrise.
«Pronto, signor Cigna?».
Papà? Mi sentivo strana, insieme irritata ed eccitata, perché iniziavo a pensare che mi avrebbero fatto una sorpresa.
Alle parole di mio padre al telefono, Jessica strabuzzò gli occhi incredula, poi scoppiò in un gran sorriso
«È uno scherzo, signor Cigna?»
«Che c'è?» chiesi io.
Lei non mi ascoltò. «Posso parlargli io?» Suggerì, palesemente solleticata dall'idea. Attese qualche secondo.
«Ciao, Tyler, sono Jessica» All'apparenza era molto amichevole, ma ormai conoscevo abbastanza bene la sua voce da cogliervi un vago senso di minaccia.
Che faceva Tyler a casa mia, con mio padre?
«Mi dispiace che ci sia stato un fraintendimento, ma Belarda è occupata stasera» Poi cambiò tono e si fece apertamente minacciosa «Anzi, piuttosto che uscire con uno come te, è occupata per tutte le sere, d'accordo? Senza offesa. O forse l'offesa c'era, chi lo sa. Spiacente se la tua serata non andrà come speravi».
Non sembrava affatto dispiaciuta. Fece scattare lo sportellino del telefono mangiucchiato e chiuse la comunicazione, ridendo soddisfatta.
«Quindi è vero davvero» Dissi «Mi stai portando al ballo di fine anno... e quel cretino di Tyler si era autoinvitato al posto tuo»
«Si, si entrambe»
«Perché? Lo sai che non mi piace, ballare»
«Non fare la difficile, Belarda»
«E poi non è solo questo. Ci dovevi andare con Mike. Con chi ci andrà lui?»
«Stai calma e non fare la difficile»

«No, mi devi spiegare...»
«Aspetta...».
Lei aveva un sorrisetto misterioso, potevo vederlo riflesso nello specchietto da cui ballonzolavano due pupazzetti bruttissimi con gran mucchi di capelli rossi e verdi.
Quella che stavamo percorrendo, comunque, non era la strada per andare a scuola. Non stavamo andando al ballo? Che stava succedendo? Sulla porta, quando Jessica era venuta a prendermi, papà aveva ammiccato verso di lei come se sapesse qualcosa che non sapevo.
Ci fermammo sotto casa di Mike. Jessica mi fece l'occhiolino.
«Cosa siamo venute a fare?» Domandai, stordita.
Jessica aprì la porta e scese dall'auto, camminando con eleganza, e apparentemente senza sforzo, anche sugli altissimi tacchi. Poi urlò sotto la finestra della camera di Mike
«AMOOOREEEE! SONO VENUTA A PREEENDEERTI!».
Mike affacciò quasi immediatamente, con i capelli perfettamente ordinati invece che con la sua solita capigliatura da ribelle, con un gran sorriso stampato sul volto.
«Niente serenata?» Chiese «Niente "mi presento ai tuoi"?»
«D'accordo, ti faccio una serenata... allora...»
«No, no, scherzavo» Mike rise forte «E i miei non sono neanche in casa»
«Chiedimi quanto me ne frega? Ora ti faccio la serenata!».
Jessica estrasse dalla macchina una scatola di plastica, si tolse una scarpa e prese a percuotere la scatola ritmicamente con il tacco.
«Mike oh Mike del mio cuooore!» cantò, volutamente stonatissima
«No, ti prego!» strillò il ragazzo, ma chiaramente divertito
«Sono venuta a prendeeertiii
perché fra poco c'è il ballooo
e voglio essere la migliore
e collezionareeee come se fossero pokémoooon
gli invitati al baaallooo
e tu sei l'invitato numero dueeeeee!»
«E chi è la numero uno?»
«Lo sai già è BelAAAArda!».
Terminò buttando a terra la scatola e pestandola più volte con il piede nudo come una pazza.
Mi dovetti premere forte le mani sulla bocca per non ridere. Mike al contrario rise apertamente e sparì dalla mia visuale, rientrando in camera sua.
«Così si conquistano gli uomini migliori» Jessica mi fece l'occhiolino, mentre lasciavo che si appoggiasse a me per rimettersi la scarpa col tacco «Bisogna prendere l'iniziativa. Qualunque essa sia».
Poco dopo Mike uscì dalla porta principale, richiudendosi la porta alle spalle con il suo bel faccino graziato dal tipico sorriso aperto. Indossava uno smoking bianco e nero, un po' spiegazzato e non nuovissimo, ma che faceva il suo lavoro di smoking con gran dignità.
«Che damerino! Sei bellissimo» Disse Jessica, facendosi avanti per aggrapparsi al suo braccio e baciarlo sulla guancia
«Grazie» lui gonfiò un po' il petto «Anche voi due... cioè... state molto bene».
Gli sorrisi. Avrei voluto abbracciarlo e baciarlo sulle guance per salutarlo, ma avevo paura di fare qualcosa di eccessivo a spupazzarlo come un Dracula (inteso come il gatto, non come il vampiro) versione gigante con la sua ragazza dalle losche intenzioni proprio lì accanto, e poi non mi volevo muovere più del necessario su quegli strumenti di morte che erano i miei tacchi.
«Stai strano con lo smoking» Dissi, tirando una falda della giacca del mio amico come per aggiustarla e rimirandolo «Però non strano male. Sei proprio carino»
«Mi fa piacere che lo pensi» saltò su Jessica, gli occhi luccicanti, mentre Mike iniziò a camminare con lei attaccata al braccio verso l'auto. La guardai, senza riuscire a decifrare cosa stesse succedendo.
«Tu sai di questo piano» Accusai Mike, ondeggiando dietro di loro
«Non so di cosa stai parlando» lui sorrise furbesco e aprì galantemente la portiera per Jessica
«Invece lo sai» disse la ragazza, entrando al posto di guida
«Jessica!»
«Ed è ora che sappia anche lei».
Mike mi guardò e annuì con aria grave «Ora che la tigre sa balzare, è il momento di sgombrare la strada e farla saltare».
«Oh, ma insomma!» Sbuffai, cercando di tenere su una faccia irritata. Era una citazione da Pugni Calci 2.
Il mio amico si offrì silenziosamente di aiutarmi ad entrare, accorgendosi che ero insicura sulle mie scarpe alte. Che cuore d'oro.
Mi sistemai sul sedile posteriore, lisciandomi gonna e lustrini del mio vestito assurdamente complicato, guardando con curiosità i miei due accompagnatori. Oh si, Mike ne sapeva qualcosa. Continuavano a guardarsi e ridacchiare, dandosi di gomito complici.
Partimmo, ed allora decisi di affrontare di petto i miei amici.
«Allora, Jessica, perché hai deciso di tradire Mike invitandomi, tra l'altro per prima?» Chiesi
«Eh, perché l'hai invitata per prima?» mi fece eco Mike, allungandosi verso l'autoradio.
«Perché siete i miei migliori amici, e voglio passare questa serata memorabile con tutti i miei amici e fare cose folli che ci ricorderemo anche quando saremo adulti e con lavori seri, avvocati o registi, o poliziotti o proprietari di negozi di articoli sportivi» e ammiccò verso Mike «Perché Belarda non sarebbe venuta senza un compagno decente e io volevo che fossimo tutti insieme, volevo che ci fossi anche tu e perché te lo avevo quasi promesso, Belarda».
Allora ricordai. Ricordai la telefonata che io e Jessica ci eravamo scambiate prima del ballo di primavera, quando mi aveva chiesto il permesso per invitare Mike.
«E se... Entrambe invitassimo Mike?»
«Vuoi costringerlo a scegliere?»
«No. Andiamo con Mike tutte e due al ballo. Dopotutto non è mica un'occasione formale o chissà che, ci andiamo solo a ballare e lui sarebbe contento, penso»
«Ah, Jess Jess... Sai cosa si dice dalle mie parti di situazioni come questa?»
«No, che cosa si dice?»
«Che un uomo tra due dame fa la figura del salame! E poi, in ogni caso, io non voglio venire al ballo. Vai tu con lui. Ti divertirai con Mike»,
Era stata tutt'altro che una promessa, eppure Jessica doveva averci pensato ed esserselo ricordata. I miei amici volevano passare una serata tutti insieme, trasformare il ballo di fine anno, che per me era un'inutile, gravosa incombenza, in un'esperienza speciale per me.
Ero così stupidamente commossa da aver paura di potermi mettere a piangere.
«Belarda» Disse Jessica
«Hmm». Guardai fuori dal finestrino, evitando accuratamente di guardarli in faccia. Oh no, maledetti tratti Cigna, non sapevo gestire questi discorsi sentimentali.
«Belarda?»
«Hmm-hm»
«Che fai, piangi? Non ci vuoi venire? Mi sembrava una buona idea, sc...»
«Cosa? No no!» mi affrettai ad esclamare, senza elaborare ed ancora con il collo torto a destra.
«Belarda, stasera ti giuro che ti divertirai, che tu lo voglia o no»
«Con tutti e due» aggiunse Mike
«Con tutti e due»
«Bene» mormorai, con un gran sorrisone «Ve la do vinta. Ma vedrete, combinerò un disastro tremendo. Ferirò me stessa o qualcun altro, c'è un motivo se non vado mai ai balli. Guardate già solo le mie scarpe! Sono trappole mortali!». Gli mostrai la gamba per convincerli, e Mike si voltò servizievole a guardarla. La rimisi a posto.
«Ti viene ancora la pelle d'oca quando dici "balli scolastici"?» Mi interrogò Mike
«Guarda un po' tu» Sporsi il braccio
«Guarda, guarda Jessica!»
«Sapevi a cosa andavi incontro, Cigna. Se non volevi venire al ballo con noi, avresti dovuto dirmi di no». La vidi sorridere con quei suoi occhi luccicanti dallo specchietto retrovisore.
«Sai che non potrei mai dirti di no, Jessica»
«Awww!»
«... Ho troppa paura delle conseguenze. Mi avresti rapita e trascinata qui a viva forza».
Jessica rise. Rimanemmo per un po' in silenzio.
Si era instaurata una bella atmosfera, che ero sicura avrei ricordato quando sarei stata una poliziotta di mezz'età o qualcosa del genere. Tre elettrizzati amici in auto, diretti insieme verso un posto che odiavo crescentemente sempre meno.
«Sai come si dice, uno è compagnia, due è una folla, tre è un party, o una cosa così» Disse Jessica, rompendo il silenzio.
Ridacchiai. «Perciò mio padre era al corrente di questa cosa?» Chiesi, divertita
«Certo» rispose Jessica, soffocando una risata «A quanto pare, solo Tyler non sapeva nulla».
Ero allibita. Era incredibile che Tyler non avesse smesso di illudersi, nonostante tutto. A scuola praticamente non gli rivolgevo la parola tranne per qualche espressione di cortesia, come un saluto o un doveroso "grazie" se mi prestava qualcosa. E non che mi prestasse spesso cose, doveva essere successo, puramente per caso, due volte in tutto l'anno scolastico.
E come se non fosse successo nulla, eccoci arrivati. La cabriolet rossa di Rosalie spiccava nel parcheggio: c'erano anche i vampiri da qualche parte al ballo di fine anno.
Da quando ero tornata a Forks, i Cullen avevano nuovamente cambiato atteggiamento. Edward aveva cercato di avvicinarmi freneticamente, ma, sebbene i suoi occhi lampeggiassero di collera mal repressa, i miei amici (ed in particolar modo Mike dopo il racconto di ciò che era accaduto a Phoenix) avevano continuato a farmi da schermo e proteggermi. Mi capitava spesso di temere per la loro salute, ma la scuola era piena di persone: testimoni. Edward non avrebbe osato usare la forza su di me o sui miei amici come avrebbe potuto fare se fossimo stati soli.
Poi i Cullen erano tutti stati assenti fino a quel giorno.
Le nuvole erano sottili quella sera e lasciavano trapelare qualche timido raggio di sole ad occidente.
Mike scese dall'auto e venne ad aprirmi la portiera. Mi offrì la mano.
Con un sorriso, accettai e lasciai che mi aiutasse a scendere dall'auto, tenendomi al suo braccio.
«Ve la farò pagare un giorno, a tutti e due» Scherzai, mentre io e Mike ci sistemavamo ai lati di Jessica a braccetto.
Lei sospirò «Di fronte ai criminali sei coraggiosa come un leone, ma basta che qualcuno parli di ballare...» e scosse il capo.
Trasalii. Ballare.
«Forza, adesso» Disse gentile Mike «Non sarà così male». Jessica mi cinse la vita con un braccio mentre intrecciava le dita a quella di Mike, e oltrepassammo l'ingresso della scuola.
A Phoenix, le feste di fine anno scolastico avvenivano nelle sale da ballo degli alberghi. La cosa mi aveva sempre messa in soggezione, perciò ero sollevata che invece il ballo di Forks si svolgesse in palestra; probabilmente era l'unico locale in città che fosse grande a sufficienza.
Quando entrammo mi scappò un risolino. C'erano veri arcobaleni di palloncini e ghirlande attorcigliate di carta crespa sulle pareti.
«Sembra l'inizio di un film dell'orrore» Dissi, ridendo sotto i baffi
«Carrie» rispose subito Mike cogliendo il riferimento, mentre ci avvicinavamo a fatica – sui tacchi ero una frana e li rallentavo continuamente, ma non si lamentarono mai – al tavolo che fungeva da biglietteria «Che drammatica che sei».
Guardai la pista da ballo: al centro si era formato uno spazio vuoto in cui due coppie piroettavano con grazia su una traccia hip hop. Gli altri ballerini restavano ai margini della sala, per fare spazio. Ed eccolo là, appoggiato a parete: Edward, unico maschio della famiglia Cullen presente, non si era dato la pena di pettinarsi o nascondere le occhiaie con un po' di trucco, e così sembrava una salma di un avvenente giovanotto spiritato appena riesumata. Il pallore della pelle dei Cullen risaltava ancora di più con quei vestiti scuri.
Alice aveva lo sguardo spento e le spalle abbassate, e trascinava i piedi senza nessuna della grazia o flessuosità tipica dei movimenti dei vampiri, andando avanti e indietro ai confini della folla come un animale in gabbia. Indossava un vestito di seta nera, con fessure geometriche che scoprivano ampi triangoli di pelle candida; era ancora più mortuaria del fratello.
E Rosalie... beh, era Rosalie. Non ci si poteva credere, sembrava una statua immobile e perfetta di cera di Madame Tussauds. L'abito rosso scuro, che aderiva fin sotto il ginocchio e si allargava in un ampio strascico le lasciava la schiena scoperta con una scollatura vertiginosa. Aveva la faccia perennemente arrabbiata, come se fosse stata pronta a scattare alla prima occasione.
Non potei che compatire tutte le persone presenti, me compresa.
«Datemi un martello! Che cosa ne vuoi fare? Lo voglio dare in testa a chi non è dei nostri, così la nostra festa più bella sarà, saremo noi soli e saremo tutti amici...» Canticchiai sottovoce, guardandomi attorno per cercare Angela con lo sguardo. Chissà chi la stava accompagnando?
Comprammo i biglietti e poi andammo in direzione della pista da ballo. Mi staccai dai miei accompagnatori, e le luci divennero un po' più basse mentre cambiava la musica.
«No, un lento no!» Piagnucolai
«Un lento siiiii» Jessica sghignazzò come un'invasata, ondeggiando sul posto a tempo.
Io e Mike ci guardammo e ci stringemmo nelle spalle. E anche noi ci ritrovammo a roteare.
Ma non per modo di dire, per dire che balzavamo il valzer aggraziati o chissà che. Mike e Jessica andavano meglio di me nello "stile libero", lasciandosi andare a tempo di musica per rilassarsi e divertirsi senza nessuno, nessunissimo pensiero se non divertirsi.
Il risultato che ottenni fu psicologicamente simile, ma probabilmente sembravo un pinguino con la labirintite.
Ero libera e felice.
«Mi sembra di avere cinque anni» Dissi ridendo, facendo la mossa degli "occhi di gatto"
«Non li dimostri»
«Però è vero che non sai ballare» disse Jessica in tono incoraggiante
«Lo so!» Risi, battendo le mani e facendo una mezza piroetta che quasi risultò nella mia caduta, prima che Jessica mi afferrasse a mezza caduta in una sorta di goffo casquet.
«Non fatemi sentire la ruota di scorta, dai» esclamò Mike. Ballava meglio di noi due, visto che aveva la fortuna delle scarpe basse, ma Jessica si difese bene quando mi lasciò ricompormi.
Incrociai lo sguardo di Alice Cullen che mi rivolse un piccolo sorriso. Non raggiunse gli occhi, che rimasero del tutto vuoti. Edward invece fissava la porta e sembrava ora arrabbiato tanto quanto Rosalie.
Mamma mia, quei tizi non avrebbero potuto avere una gioia neanche se gliela avessero calata in corpo intravena.
«Okay non è così male, lo ammetto» Dissi magnanima, guardando Jessica che rallentò il ritmo del suo ballo guardando un punto fisso. Sperando che avesse visto Angela seguii il suo sguardo, disorientata dalla folla, ma infine riuscii ad individuare cosa avesse attirato l'attenzione della mia amica. Jacob Black, non in smoking ma con una camicia bianca e la cravatta, i capelli corti, attraversava la pista e veniva verso di noi.
Dopo lo stupore iniziale, non potei fare a meno di irrigidirmi un po'. Era evidentemente a disagio, quasi tormentato. Incrociò il mio sguardo con espressione mortificata e l'ansia aumentò.
Io e Jacob non avevamo parlato molto in quel periodo, anche se mi era capitato spesso di scendere a La Push per andare a trovare le ragazze-lupo e passare a visitare Sarah in ospedale. Era ancora in coma, ed anche se il suo corpo stava guarendo a velocità prodigiosa non si era ancora risvegliata.
Ovviamente non potevo rivelare il segreto delle mie amiche tanto a cuor leggero, e mi ero ritrovata costretta a tagliarlo fuori dalle conversazioni più importanti con le ragazze; di conseguenza ci era rimasto poco tempo per conversare.
Non avevamo ancora chiarito perché mi avesse trattata così male l'ultima volta che ci eravamo visti, né cosa gli fosse accaduto, ma che fosse venuto a cercarmi fin qui... avevo improvvisamente il terrore che fosse al ballo per riferirmi qualcosa sulle condizioni di Sarah.
Feci cenno a Jessica di non preoccuparsi e mi fiondai tra la folla per avvicinarmi a Jacob prima possibile. Io e il ragazzone ci incontrammo a metà strada e, per qualche motivo l'imbarazzo e la vergogna erano ancora più evidenti sul suo volto.
«Ehi, Belarda, speravo proprio di trovarti». A sentirlo, sembrava che avesse sperato l'esatto contrario. Aveva ancora gli occhi ombrosi di quando mi aveva parlato tanto bruscamente a La Push, ma l'espressione era in qualche modo alleggerita.
Rimasi sbalordita quando mi accorsi che era cresciuto ancora tantissimo dall'ultima volta che lo avevo visto. Sembrava aver preso almeno una quindicina di centimetri da quando lo avevo incontrato sulla spiaggia, anche da sopra i centimetri acquisiti dei miei tacchi.
«Ciao Jacob» Risposi, ricambiando cautamente «Tutto bene?».
Jacob non rispose subito. «Mi concedi un ballo?» Azzardò, guardando altrove. Il mio cuore ebbe un tuffo.
Annuii, muovendo la testa quasi con uno scatto.
«Grazie» Disse Jacob, cortese. Mi si avvicinò e prendemmo posizione nella danza, le sue mani calde ed un po' esitanti nel poggiarsi sui miei fianchi. Per posargli le mie di mani sulle spalle dovetti quasi arrampicarmi.
Volevo chiedergli subito come stava Sarah, ma per qualche motivo ciò che uscì dalla mia bocca fu: «Accidenti, Jake, quanto sei alto adesso?»
«Più di un metro e ottanta». La sua voce era più bassa e sembrava che volesse farsi il duro, ma lo conoscevo e sentivo chiaramente quanto ne fosse fiero.
In realtà non ballavamo: ci limitavamo a dondolare goffi sul posto. Andava bene lo stesso. La crescita improvvisa lo aveva reso dinoccolato e scoordinato; probabilmente non era meglio di me come ballerino.
«Come sei finito qui stasera?» Chiesi, curiosa
«Ci credi se ti dico che mio padre mi ha dato venti verdoni per venire al tuo ballo di fine anno?» confessò, leggermente intimidito
«Si, ci credo» bofonchiai «Beh, se non altro spero che tu ti stia divertendo. Hai visto qualcuna che ti piace, monellaccio?» indicai un gruppo di ragazze, allineate lungo la parete come pastelli dentro una scatola «Perché sono sicura che qualcuna di quelle già ti ha messo gli occhi addosso, nativone gigantone»
«Si» sospirò «Una, ma è occupata».
Abbassò gli occhi e incontrò i miei per un istante. Poi entrambi distogliemmo lo sguardo, imbarazzati. Mi dispiaceva che la ragazza che Jacob desiderava fosse impegnata...
«A proposito, sei molto carina stasera» Aggiunse timido
«Ehm... grazie. Anche tu sei adorabile» ammiccai «Ma perché Billy ti avrebbe pagato per venire qui? Voleva farti socializzare o roba del genere?».
Jacob non sembrava contento che avessi cambiato discorso; guardò altrove, ancora a disagio.
«Secondo lui era un posto "sicuro" per parlare con te. Mi sa tanto che il vecchio ha perso qualche rotella».
Mi unii senza entusiasmo alla sua risata.
«E comunque, mi ha detto che se ti riferisco un certo messaggio, mi procurerà il cilindro freni che cerco» ammise, sorridendo impacciato.
Ma c'era qualcosa sotto quel sorriso, qualcosa che forse era rabbia o forse paura... cosa era successo al mio amico Jacob?
«Allora parla» Lo incitai «Ci tengo a vedere la tua macchina finita».
Appoggiato alla parete, Edward, imperturbabile, ci fissava. Quanto avrei voluto avere la forza di un orso vampiro per andare lì e spaccargli il grugno! Una studentessa del secondo anno vestita di rosa se lo stava rimirando timida, ma lui manco se ne accorse, o meglio parve non accorgersene e la ignorò apertamente perché non potevo pensare che non riuscisse a leggere i suoi pensieri. Che la stesse ignorando, comunque, era una cosa buona: non auguravo alla timida ragazzina del secondo anno di passare attraverso lo stesso inferno in cui ero passata io, quindi era meglio che si tenesse alla larga dai Cullen.
Jacob distolse di nuovo lo sguardo, tutto vergognoso
«Non arrabbiarti, okay?»
«Non sono capace di arrabbiarmi con te, Jacob. E non mi arrabbierò con Billy. Dimmi pure»
«Beh, scusa, Bella, mi sembra talmente stupido... vuole che lasci il tuo ragazzo» scosse la testa, disgustato. Ma qualcosa mi diceva che non era disgustato da suo padre.
Jacob non osava guardarmi negli occhi. Non si stava neanche più preoccupando di dondolare a ritmo, benché le sue mani fossero rimaste sui miei fianchi e le mie allacciate al suo collo.
«Il mio ragazzo?» Domandai «Jacob, io sono single. Tipo single singolissima. Non ho un ragazzo»
«Non... non hai un ragazzo?»
«No. E poi che ne sa tuo padre? Io non sto con nessuno»
«Lui pensava che fosse... Cullen. Edward».
Presi a ridere. Risi così forte che una coppietta si girò a guardarmi. Lasciai andare il collo di Jacob e indietreggiai di un passo, barcollando per quanto ridevo forte. Io... ed Edward? Io, con il vampiro? Ma che roba fuori di testa era mai quella?
«Senti, Jacob» Dissi, non appena fui in grado di parlare di nuovo «So che Billy stenterà a crederci, ma te lo dico lo stesso» a quel punto lui tornò a fissarmi, rincuorato dal tono sincero delle mie parole «Edward non è il mio ragazzo e io lo odio con tutta la potenza dei miei sentimenti. Se potessi ucciderlo senza finire in prigione lo ucciderei. Se potessi strapparlo in tanti pezzettini piccolissimi e dargli fuoco, lo farei senza batter ciglio, ma ci tengo alla mia libertà e alla mia fedina penale attualmente immacolata»
«Lo so» rispose, ma sembrava che fossero state le mie parole a rassicurarlo
«Senti, mi dispiace che tu sia venuto fin qui solo per questo, Jacob. Se non altro, vedi di rimediare il tuo pezzo mancante, eh?»
«Si» bisbigliò. Era ancora impacciato... e sulle spine.

«C'è dell'altro?» Chiesi, incalzando
«Lascia perdere. Mi troverò un lavoro e metterò da parte qualche soldo».
Restai a fissarlo finché non incrociò il mio sguardo
«Sputa il rospo, Jacob»
«Non ce la faccio»
«Non m'importa. Su, coraggio. Parla».
Oddio. Era successo qualcosa a Sarah.
«Va bene... però, uffa, non è una bella cosa». Scosse il capo. Lo fissai senza cedere e allora lui aggiunse frustrato «Beh... Mi... Mi dispiace, Belarda»
«Cos'è successo? Sarah è morta?» mi uscii di bocca brutalmente. Non ne potevo più della tensione, se ci fosse stata una brutta notizia che avrebbe dovuto rovinarmi il ballo di fine anno a questo punto facevo a meno anche dell'ansia pre-brutta notizia.
Lui batté le palpebre confuso. «Sarah? No. Non sono venuto a parlare di Sarah. Lei è come prima».
Volevo bene a Jake, ma il suo comportamento bipolare e difficile mi fece iniziare a provare qualcosa di molto, molto simile alla rabbia.
«Perché sei venuto? Non voglio scuse da te, Jake»
«Lo so» Sussurrò «Ma non potevo lasciare tutto com'era» capii, si riferiva a quel pomeriggio in cui era cresciuto diversi centimetri e si era rapato ed inacidito a caso «È stato orribile. Mi dispiace»
«Allora perché è dovuto succedere?» chiesi, sollevando un sopracciglio.
«Lo so, lo so. Voglio spiegarti...» S'interruppe all'istante, restò a bocca aperta come se qualcosa gli avesse tolto il respiro. Poi riprese fiato «Ma non posso» aggiunse arrabbiato «Non sai quanto mi piacerebbe».
Stavo per affondarmi frustrata una mano tra i capelli, ma mi ricordai all'ultimo secondo della difficile acconciatura e strinsi soltanto i pugni «Jake. Se sei venuto fin qui e hai affrontato l'argomento, c'è qualcosa che puoi dirmi. Io sono qui e aspetto».
Tacque per un istante. Il suo volto era oscurato ed illuminato dalle lucine, e la nostra suspense fu interrotta da Toxic di Britney Spears. Edward ci guardava fin troppo interessato, ma perlomeno vidi con la coda dell'occhio Angela, in un adorabile vestito verde che si scatenava tra le braccia del piccolo Ben Cheney. Non era proprio il suo tipo, più basso di una spanna di lei, ma sembravano felici. Erano carini insieme.
Mi voltai a guardare l'espressione di Jacob, e mi sorprese. Gli occhi sbarrati, le mascelle serrate, la fronte corrugata dallo sforzo.
«Jacob, stai male? Cosa c'è che non va?» Chiesi, preoccupata.
Rispose con uno sbuffo pesante, dopo aver trattenuto il fiato come me. «Non posso», mormorò frustrato
«Che non puoi fare? Non puoi parlare? Veramente la Costituzione dice di si»
Lui sembrava troppo frustrato per cogliere il mio sarcasmo «Senti, Belarda, a te è mai capitato di custodire un segreto che non potevi svelare a nessuno?».
Oh si, Jake. Omicidi in albergo, combutta con becchini pro-wrestler, viaggi clandestini a Phoenix, le ragazze-lupo di La Push... lui mi lanciò uno sguardo d'intesa e la mia mente volò al segreto più vicino a me, la vera natura dei Cullen. Sperai di non avere un'aria colpevole. Sapevo di non averla.
«Qualcosa che sentivi di dover nascondere a Carlo, a tua madre...» Insistette lui «Qualcosa di cui non parleresti con me? Neppure ora?».
Sentivo gli occhi socchiudersi. Non risposi alla domanda – non ero io che avevo un mucchio di risposte da dare, qui – , ma sapevo che l'avrebbe interpretato come una conferma.
«Riesci a capire che io potrei trovarmi nello stesso tipo di... situazione?». Si sforzava, una volta di più, di trovare le parole giuste «A volte la lealtà è una zavorra pesante. Ci sono segreti che non si possono svelare, per nessun motivo».
Non lo mettevo in dubbio. Aveva ragione da vendere: io stessa avevo svariati segreti che non potevo condividere per l'incolumità delle persone attorno a me, che mi sentivo in dovere di proteggere.
«Ancora non capisco questa storia, Jake, dammi almeno un indizio»
«Scusa, è davvero frustrante»
«A chi lo dici».
Ricominciammo ad ondeggiare, almeno per far finta di ballare. Mi aggrappai ancora alle sue spalle, e gli sorrisi. Si, ero irritata e frustrata dal suo atteggiamento, ma per crescere così tanto e così all'improvviso non immaginavo la tempesta ormonale che si era abbattuta sulla testa del mio povero Jacob. Per forza che era bipolare, e poi era sempre il mio bambinone, non potevo volergli male.
«Dai, bello» Lo esortai, sentendo un improvviso forte senso di dejà-vu «Voglio aiutarti. Tu non puoi dirmelo, ma se io indovinassi... dammi un indizio su. Un aiutino».
Jacob annuì, avvicinandosi e abbassando la voce; sussurrava guardandomi negli occhi, come se avesse cercato di comunicare qualcosa in più oltre le parole.
«Ricordi quando ci siamo conosciuti: sulla spiaggia, a La Push?»
«Certo. Abbiamo raccontato le storie e te la sei fatta sotto».
Lui fece un sorriso tremolante, ma i suoi occhi si accesero di quella speranza infantile e solare che era tipica del mio Jacob «Cosa ti ho raccontato io?»
«Alcune leggende dei Quileute» risposi. Lo vidi annuire, felice che ci stessi arrivando.
E allora capii da dove veniva quel senso di dejà-vu. Questa conversazione... ne avevo avuta una molto simile con Sarah nel capanno. Quindi Jake avrebbe potuto essere...
«Sei mica un licantropo?» Gli chiesi a bassa voce.
Lui mi guardò ad occhi sgranati, basito. Lo stupore divenne cautela, come se si aspettasse che sarei fuggita urlando; non che avrei fatto molta strada su quei tacchi. Gli sorrisi. Jacob Black mi abbracciò improvvisamente forte forte, tra le sue braccia caldissime e accoglienti in mezzo a cui mi sentii sparire.
«Come l'hai capito? Sei troppo forte Belarda, sapevo che ci potevi arrivare!»
«Mi hai dato un indizio molto preciso, di sicuro non sei un freddo» Lo punzecchiai con un dito, sentendomi improvvisamente felice e sollevata.
Quella sera non avrei ricevuto nessuna notizia disastrosa, realizzai. Jake era venuto per scusarsi ed era stato aggressivo solo perché era ancora un giovane licantropo che pensava di non potermi rivelare il suo segreto. Quella sera c'erano davvero tutti i miei amici umanoidi a parte il mio papà, e la serata non poteva essere migliore di così.
«E non hai paura?» Mi chiese gongolando «Come mai sei così tranquilla?»
«Moi? Vuoi che blocchi le uscite, così puoi massacrare gli ignari cittadini?» sussurrai, con fare cospiratorio
«Ma da che parte stai?» rise lui
«Con i miei amici, ovvio».
Lui sorrideva bello e sincero, ed ecco che era tornato, il mio piccolo sole personale, adesso anche in versione pelosa.
«Tu sei tutta matta, Belarda. L'ho sempre detto che sei una strana. E mi credi?»
«Si che ti credo. Con quei freddi che mi stavano alle costole, credi che non mi sia informata?».
Lui strabuzzò gli occhi «Ma quanta roba sai? E che è successo coi freddi?»
«Lunga storia. E poi so più sul sovrannaturale di te, Jake» lo punzecchiai «Hai un branco?»
«Uhm, beh. Si. Senti, a me sembra ancora assurdo che sia andata tutta così liscia. Davvero mi credi? Davvero non hai paura? Cioè, non vuoi neanche le prove?».
Passai una manciata di minuti a rassicurarlo, mentre ondeggiavamo sul posto come mamma koala (lui) e il suo piccolo (io, in tutto il mio splendore).
«Mi dispiace che sia stato così difficile per te Jake» Ammisi, davvero dispiaciuta
«A me non è dispiaciuto venire, visto com'è finita» disse lui, rilassato
«A me dispiace vederti con questi brutti capelli corti. Erano bellissimi. Non eri un lupo più bello con la criniera lunga?».
Lui fece una smorfia «Grazie, eh. Comunque no, divento un barboncino piastrato quando mi trasformo se non mi taglio i capelli».
Ridacchiai all'immagine che mi aveva presentato, mentre lui lanciava un'occhiata di apprezzamento al mio vestito. Bah, magari lui se ne intendeva di etichette francesi. «Quindi è tornato tutto normale tra noi? Non ti importa se divento un lupone?»
«No, non m'importa» sospirai «Sono felice che sia tutto a posto. Ma qualche volta voglio vederti trasformato».
Il suo entusiasmo si smorzò un po' «È pericoloso, Belarda, io sono ancora... Per me è difficile controllarmi. Potresti farti male». Alzai le mani per tranquillizzarlo.
«Non preoccuparti, non sono suicida. Quando sarà sicuro per tutti e due». Lui tornò a sorridere.
Volevo davvero vederlo trasformato e presentarlo alle ragazze-lupo, ma mica ero una scema che si buttava in bocca ai mostri per l'amore e l'amicizia.
Persuasi Jacob a rimanere con noi per altri dieci minuti e raggiungemmo Jessica e Mike che ballavano assieme, cimentandoci in dubbi balli di gruppo.
Molte coppiette e gruppi di amici ci videro e presto, chi per divertimento e chi quasi per scherzo, molte coppie si sciolsero e si formarono gruppi di ballerini.
Il disc jokey ne prese nota evidentemente, perché sparirono i lenti e partirono balli come "Bomba" su cui potevamo scatenarci tutti assieme. E si, Jacob era un ballerino pessimo proprio come me.
E così ballai con un licantropo, nella stessa stanza con i miei amici umani, attirando l'odio dei vampiri che avevano pagato per tutto il male che avevano fatto con la morte dei loro compagni.
Quando ero arrivata a Forks... oh, mi sembrava che fossero passati secoli... quando ero arrivata a Forks, mi ero figurata che la mia vita sarebbe stata tranquilla. Mi ero figurata lunghi riposi in pomeriggi uggiosi e, come avventure, passeggiate nella foresta verde; come avrei potuto mai immaginare quello che avevo vissuto? Vampiri e licantropi e le amicizie più belle della mia vita trovate dentro una piccola scuola senza metal detector.
Phoenix non poteva competere con la magia.
Mentre inciampavo sui miei stessi piedi e venivo afferrata appena in tempo da un enorme uomo-lupo che era il mio secondo migliore amico, pensai a tutto questo. Sorrisi. Ero davvero la protagonista della mia storia.
E alla fine si era rivelata essere una favola. 




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