Ci richiudemmo la porta alle spalle con un click metallico e l'infermiera che ci aveva accompagnate si allontanò in silenzio.
La luce della camera era
bianca, abbagliante, e anche le mura erano dipinte di bianco e
asettiche. La parete di fondo era occupata da lunghe veneziane a
stecche.
La mia amica Sarah era
sistemata su un letto duro e irregolare, uno di quelli con le sbarre. I
cuscini erano piatti e bitorzoluti. Da qualche parte in mezzo al mucchio
di apparecchi scuri che le stavano accanto proveniva un fastidioso e
continuo bip.
Le belle mani della mia
amica erano coperte di tubicini trasparenti e una cannula per respirare
le passava sotto il naso. I suoi lunghi capelli neri erano
ordinatamente adagiati su uno di quei piatti, bitorzoluti cuscini che
avevano l'aria scomodissima.
Mi venne un groppo in gola.
Ero entrata nella
stanza insieme a Ayita, che mi aveva chiamata il prima possibile per
informarmi sulle condizioni di Sarah. «È in coma» Aveva detto e io mi
ero sentita sollevata, perché non era morta, ma anche terribilmente
angosciata.
E adesso ero nella stanza e la vedevo, pallida e distesa, incosciente.
«Cosa è successo?» Mi chiese Ayita «Quale vampiro l'ha ridotta così?»
«Non... non lo sai?»
«Che cosa?» gli occhi della ragazza-lupo dardeggiarono «C'è qualcosa che devo sapere?»
«Si» annuii «L'orso. È stato un orso a ridurla così»
«Si» annuii «L'orso. È stato un orso a ridurla così»
«Non è possibile» rispose lei, tranquillamente.
Ayita trasportò due
sedie, che erano in un angolo della stanza, accanto al letto e mi fece
segno di accomodarmi. Obbedii, ovviamente. Lei mi guardava con serietà e
quasi mi spaventava.
«Gli orsi» Mi spiegò
«Sono animali gentili. Non attaccano se non sono costretti e in
particolar modo se non hanno i piccoli e non attaccherebbero mai una di
noi, siamo più forti»
«Lo so» annuii, deglutendo per inumidirmi la gola asciutta «Ma quello non era un orso normale. Era un orso vampiro».
Ayita battè le palpebre, sorpresa e preoccupata.
«Un orso vampiro, dici?»
«Si» annuii di nuovo «Un orso vampiro. Jasper l'ha trasformato per sbaglio»
«E ora quel mostro è in giro per la nostra foresta?»
«Si»
«Potrebbe arrivare fino alla riserva. Oppure spostarsi e attaccare una città. Dobbiamo fermarlo»
«Guarda come ha ridotto Sarah!» esclamai, con apprensione «Non è qualcosa che potete...»
«Lo distruggeremo» mi interruppe lei «Sarah è una sola, noi siamo un branco»
«Ma voi non lo avete
visto» sentii gli occhi che mi si inumidivano «Non lo avete visto... ti
prego, ascoltami, quell'orso è la cosa più orribile che abbia mai visto
in tutta la mia vita. Non è come un vampiro normale»
«Lo immagino. Ma dobbiamo distruggerlo, è il nostro compito, o non saremmo le protettrici della tribù»
«Capisco».
«Capisco».
Mi asciugai gli occhi
con il dorso della mano. Sarah aveva quasi perso la vita nello scontro
con l'orso, mentre io ero semplicemente stata molto fortunata. L'idea
che quel coso grosso, veloce e rabbioso si aggirasse impunito per i
boschi mi dava i brividi.
«Non piangere, Belarda» Mi disse Ayita, dolcemente
«Non sto piangendo» risposi, sincera «Sono solo molto nervosa. Non è facile pensare che ora dobbiate affrontare l'orso»
«È così spaventoso?»
«Si»
«Non dovrai mai più
avere paura, Belarda. Noi esistiamo ad uno scopo ben preciso: proteggere
gli esseri umani. Qualunque cosa sembri uscita da un incubo, noi
possiamo sconfiggerla. Ma il branco è la nostra forza, per questo Sarah
da sola non ce l'ha fatta»
«Lo so» tirai fu con il naso «Ma non posso smettere di avere paura»
«Smetterai, quando lo avremo distrutto. Siamo lupi, i cani da guardia degli dei. Nessuno può sconfiggerci».
Rimanemmo in silenzio. Mi tormentavo le mani, lanciando di quando in quando occhiate a Sarah.
«Lo sai che abbiamo ucciso Emmett?» Domandò Ayita, con un tono improvvisamente più leggero
«Sul serio?» alzai la testa «Quando?»
«Subito dopo che gli hai
bruciato l'orecchio, quando abbiamo cercato di salvarti. A proposito,
ci dispiace tantissimo di non esserci riuscite, abbiamo davvero fatto il
possibile, ma...»
«Non fa niente, non fa niente!» mi affrettai a dire «Mi dispiace solo per Sarah! Siete state tutte fantastiche e...»
«Avremmo dovuto salvarti. Ma siamo contente che alla fine tu ti sia salvata da sola».
Le avevo già raccontato
della mia idea geniale di fare scontrare il Segugio con Edward senza
venirne coinvolta e lei era stata sollevata e fiera di me. Anche io mi
sentivo fiera.
«Quindi Emmett e Jasper
sono morti» Dissi, contenta «Un bel sollievo. Jasper poteva modificare
l'umore delle persone, era davvero il peggiore di loro. Ed Emmett invece
era un cafone»
«Jasper è morto?» Ayita aggrottò le sopracciglia «Come è successo?»
«Lo ha ucciso Undertaker, sai, il wrestler, quando eravamo in albergo a Phoenix».
Mi aspettavo
un'espressione di pura incredulità sul suo volto, di doverle spiegare
qualcosa di più sul conto del mio wrestler preferito, o anche solo
ulteriori notizie, ma lei si limitò a sorridere ed annuire con
l'espressione di qualcuno che si aspettava una cosa del genere.
«Lo conosci?» Chiesi, inclinando un po' la testa nel tentativo di leggerle meglio il volto
«Si» rispose «Ovviamente. Chi non lo conosce?»
«No, intendo di persona».
Lei rise piano, senza scomporsi, di un riso sincero che si propagava fino agli scuri occhi scintillanti.
«Belarda» Mi disse «Ci
sono cose incredibili sotto questo cielo, sopra questa terra. Se
frequenterai il branco le conoscerai tutte e non le temerai più.
Undertaker è una di queste cose»
«Conosce il branco?»
«Di più: conosce tutti i branchi»
«Di più: conosce tutti i branchi»
«È come voi?» abbassai la voce «Un licantropo?»
«Non che io sappia. Noi licantropi non invecchiamo, finché continuiamo a trasformarci, mentre lui è invecchiato»
«Ah» ridacchiai fra me
«In effetti il fatto che invecchi mi avrebbe dovuto suggerire che Edward
mentiva e che non poteva essere un vampiro»
«Uno dei succhiasangue
ti ha detto che Taker è un vampiro?» Ayita serrò i pugni contro le
cosce, come se avesse sentito un'offesa orribile e dovesse trattenersi
dal non picchiare qualcuno «Perché? E che senso avrebbe?»
«Non lo so. Edward Cullen mi ha detto che è un vampiro antico, con il potere di controllare la mente delle persone»
«Certo che no» sibilò lei fra i denti «Non è un maledetto freddo e non lo sarà mai. È uno dei nostri»
«Ora lo so» mi strinsi nelle spalle «Altrimenti non vedo perché abbia dovuto aiutarmi, uccidendo Jasper»
«Perché non ha fatto
fuori anche l'altra succhiasangue che era con te, questo mi chiedo io.
Avrebbe potuto finire il lavoro. Ma forse in effetti non poteva» Ayita
si passò una mano sulla faccia «Non possiamo giudicare il suo operato.
Almeno ha distrutto Jasper, quello pericoloso»
«Quindi non è un licantropo?» chiesi ancora
«No, non credo, te l'ho detto. Ma neanche un vampiro»
«E... cos'è?»
«Noi non ne parliamo
fuori dalla riserva. E non ne parliamo con gli estranei. Dovrai passare
un bel po' di tempo con noi se vuoi che te lo riveliamo»
«Dì la verità, è solo perché vuoi che io giochi ancora con voi a Dungeons & Dragons»
«Beh, ci manca un giocatore...».
Lo sguardo di entrambe si spostò istintivamente sulla ragazza che occupava il letto. Il bip tracciato dal suo cuore pigolava nel silenzio della stanza.
«Il fatto che è... un
licantropo...» Dissi a voce molto bassa, e Ayita si voltò a guardarmi
con i suoi occhi scuri ed intelligenti «... Può aiutarla?». Accennai con
una mossetta delle dita verso la mia amica sdraiata. Oddio, sentivo di
nuovo gli occhi pungere. Però Ayita era dello stesso branco di Sarah ed
era incredibilmente stoica, silenziosa: avevo l'orribile e probabilmente
irrazionale sensazione di non avere il diritto di piangere per Sarah.
Le labbra della ragazza-lupo si stiracchiarono in un sorrisetto e mi cinse le spalle con un braccio delicatamente.
«Si» Disse «Non posso
rispondere con certezza, ma sono convinta che Sarah se la caverà. Per
tutte noi il fatto che sia successo questo ad una del branco è un
incubo» e guardò l'amica addormentata con un'intensità tale che per una
attimo pensai che sarebbe bastato a risvegliarla «Ma Sarah è fatta per
sconfiggere gli incubi. Tornerà da noi».
Mi accoccolai contro di
lei e lei mi lasciò fare. Ero convinta che, anche se apparentemente era
Ayita a consolarmi, quel contatto aiutò lei quanto me ad ancorarsi un
po' di più.
Riuscivo a sentire una
voce di donna fuori dalla stanza. Stava parlando con qualcuno, forse
un'infermiera, e sembrava stanca e fuori di sé.
Provai l'impulso di
staccarmi di Ayita: la donna sembrava così disperata che volevo andare
da lei per calmarla e giurarle che andava tutto bene. Però non andava
tutto bene. Rimasi al mio posto.
La porta si aprì appena e lei sbirciò nella stanza.
«Ayita?» Sibilò. Era una
donna matura, decisamente più bassa sia di Ayita che di Sarah, ma la
somiglianza alla ragazza nel letto era evidente negli occhi e la pelle
scuri, i capelli liscissimi anche se ormai brizzolati. Era vestita con
sobrietà e lo sguardo di Ayita si riempì di una sorta di affetto
malinconico nel vederla.
«Theresa» Ricambiò la ragazza-lupo, educatamente.
La donna si avvicinò al
letto in punta di piedi, osservando la ragazza addormentata. Prese tra
le sue una delle mani immobili di Sarah, accarezzandone il dorso con il
pollice.
Nella mia limitata
visione di insieme, avevo dimenticato completamente, anzi non avevo
neppure preso in considerazione, il fatto che Sarah avesse una famiglia.
Che avesse una madre.
Mi alzai in piedi
«Ayita» mormorai «Devo andarmene»
«Capisco» lei annuì «Vai. Ci risentiamo presto»
«Ci risentiamo prestissimo» feci un cenno con la testa in direzione della signora «Salve, signora. Con permesso, io vado. Mi auguro che presto Sarah stia meglio, davvero»
«Ci risentiamo prestissimo» feci un cenno con la testa in direzione della signora «Salve, signora. Con permesso, io vado. Mi auguro che presto Sarah stia meglio, davvero»
«Tu devi essere Belarda» disse d'improvviso Theresa, allungando una mano per artigliarmi una spalla.
Aveva una presa sorprendentemente solida. Come sua figlia.
«Si, sono io» Risposi, intimidita e ancora sull'orlo delle lacrime
«Sarah mi parla sempre
di te, sempre» la sua voce era piena di una dolcezza e di una
disperazione che non migliorarono certamente il mio stato d'animo «Sei
una ragazza intelligente»
«Grazie, signora» quasi singhiozzai
«Dove vai?»
«Io... a casa...»
«Vai piano, mi raccomando»
«Buona giornata, signora».
Era chiaro che mi
lasciava andare di controvoglia. Uscii dalla stanza più rapidamente che
potevo senza sembrare scortese. Un paio di vecchietti in sedia a
rotelle, di cui uno con la testa fasciata da candide bende, mi
guardarono malissimo.
«C'è qualcosa che posso fare per voi, signori?» Domandai, incrociando lo sguardo di quello con le bende
«No» rispose lui, con voce roca da vecchio fumatore «Non puoi fare niente, ragazzina»
«Allora buongiorno».
Mi allontanai quasi correndo. Volevo essere fuori da lì prima possibile.
Mentre quasi-correvo
abbassai lo sguardo e vidi che avevo una scarpa slacciata. Non ebbi
neanche il tempo di pensare "toh, ho una scarpa slacciata, aspetta che
mi abbasso e la riallaccio, che inciampai sulle mie stesse stringhe e
finii lunga distesa sul pavimento dell'atrio.
«Ti sei fatta male?» Domandò apprensiva un'infermiera che stava spingendo un carrellino.
Certo che mi ero fatta
male, che cosa voleva che mi fossi fatta, bene? Tuttavia, non appena fui
in grado di respirare di nuovo, visto che l'impatto mi aveva svuotato
tutti i polmoni di ossigeno e paralizzata momentaneamente, le risposi
«No, va tutto bene».
L'infermiera si allontanò, continuando a spingere il carrellino.
Sentii, molto dietro di me, i due vecchietti in sedia a rotelle che ridacchiavano con le loro voci tabaccose.
Non appena fui nel
parcheggio, cercai freneticamente con lo sguardo il mio Chevy rosso:
avevo dimenticato dove lo avevo parcheggiato. Ed eccolo lì, incassato
fra due lunghe automobili nere che sembravano vagamente dei carri
funebri.
Fu solo quando fui
all'interno del suo accogliente abitacolo che sapeva di menta e
croccantini per gatti che mi permisi di piangere. Appoggiai la testa al
volante e presi a singhiozzare, con i pugni stretti intorno allo sterzo
con forza.
Piansi perché avevo
paura che l'orso vampiro uccidesse le mie amiche, piansi perché una di
loro era confinata in un letto d'ospedale e sua madre forse neppure
sapeva perché. Piansi perché avevo accumulato così tanta rabbia e così
tanto dolore, nell'ultima settimana, che se non le avessi fatte uscire
con le lacrime mi avrebbero fatta bruciare. E infine piansi perché era
bellissimo essere viva e ancora intera, un miracolo dopo aver affrontato
i peggiori incubi che un essere umano possa toccare con le sue mani.
Quando ebbi finito
rialzai la testa e vidi un'ambulanza rientrare nel suo garage. Presi un
profondo respiro, misi in moto il pick-up e ripartii.
A casa mi aspettava Dracula. E il nostro nuovo gatto, Lillo.
Ovviamente avevamo un
nuovo gatto, altrimenti come avrei fatto credere a papà che ero stata
lontana da casa a salvare micetti (e non rapita dai Cullen) per due
giorni?
Durante il nostro
viaggio di ritorno da Phoenix, io e Mike ci eravamo fermati ad un
rifugio per animali e avevamo adottato un gattino malandato di quattro
mesi, con tre piedi e un orecchio solo, di nome "Lucky".
Quando lo avevo portato a casa, papà aveva gli occhioni lucidi e lo aveva accolto dicendogli
«Non preoccuparti di niente, Lillo, adesso sei con papà».
Se Dracula era il mio gatto, era ovvio che quello dell'ispettore capo Cigna era Lillo, il tripode mono-orecchia.
Quando rientrai, udii
entrambi i nostri felini che miagolavano disperatamente. Spaventata
dall'idea che fossero arrivati dei vampiri, corsi in cucina e vidi...
papà che teneva la ciotola sollevata da terra per farsi implorare a
squarciagola da entrambi i gatti.
«Papà!» Esclamai «Dagli le crocche!»
«Oh, ciao Belarda» Carlo mi guardò con un sorrisetto imbarazzato «Già di ritorno?»
«Certo, sono qua. Dai, dagli da mangiare».
Papà posò a terra la
ciotola e i due gatti ci si fiondarono sopra. Non avevano avuto alcun
problema ad abituarsi immediatamente l'uno all'altro, anzi, già
mangiavano nella stessa ciotola e avrebbero anche dormito nello stesso
letto se papà non avesse insistito così tanto nel far dormire Lillo con
lui.
Se Dracula era nero come
la pece e con zanne da far invidia ad un piccolo vampiro, Lillo era
bianco come neve, eccetto per una macchia arancione che spiccava
sull'unico orecchio che aveva.
La volontaria al gattile
ci aveva spiegato che era una fortuna che Lillo avesse una macchia
proprio lì, perché altrimenti c'era la seria possibilità che, data la
forte depigmentazione, sarebbe potuto essere sordo. E tripode,
mono-orecchia e pure sordo sarebbe stata una brutta combinazione.
«Allora» Disse Carlo, mettendosi le mani sui fianchi «Come sta la tua amica di La Push?»
«Non si è ancora svegliata» dissi, passandomi una mano sulla fronte
«Mi dispiace» commentò, sincero «Spero che vada tutto bene»
«Non preoccuparti, si sveglierà. Te lo prometto»
«Guarda che non devi rassicurarmi. È la tua amica»
«Infatti stavo parlando con me stessa»
«Ah. Non si capiva».
Lillo miagolò e si strusciò contro la mia caviglia, poi tornò a mangiare. Era un buon segno.
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