venerdì 25 maggio 2018

Sunset 52 - Quella cosa che rovina i balli e inizia per V



Sentivo di conoscere la risposta e allo stesso tempo temevo che non fosse giusta.
«Torna indietro, Alice» Pregò Rosalie, sembrando stranamente disperata «Cerca il fattore scatenante. Fruga! Forza!».
Alice scosse lentamente la testa, le spalle basse «È uscita dal nulla, Rose. Non stavo cercando né loro né noi. Stavo cercando... beh, lo sai, solo che... ho visto loro». La sua voce si affievolì, gli occhi tornarono a perdersi nel vuoto. Per un istante interminabile mise a fuoco il nulla di fronte a sé.
Mi chiesi se stesse avendo una nuova visione o fosse semplicemente affranta dalla perdita di Jasper. Mi sentii improvvisamente triste per lei, in colpa, ma scossi la testa, ricacciando quei sentimenti del tutto inappropriati. No, non potevo mettermi a provare compassione per i mostri, specie quando i miei amici erano in pericolo. Quello che dovevo fare era pensare...
«L'orso vampiro» Dissi.
Alice sollevò la testa di scatto, lo sguardo duro come selce. Sentii Edward trattenere il fiato. Diverse paia di occhi dorati si posarono su di me, come aspettandosi che io elaborassi.
Per qualche motivo, Rosalie mi parve la più nervosa. Quasi spaventata, e questo contrastava in qualche modo con l'idea di fredda, malvagia bellezza a cui aveva sempre aderito per me.
«Magari mi sbaglio, ma pensateci» Dissi sottovoce, interrompendo Esme che stava per parlare «Come reagirebbero i Volturi se sapessero che un Cullen ha creato una creatura immortale, potentissima, e soprattutto, del tutto incapace o incurante di mantenere il segreto della vostra esistenza?».
Scese di nuovo il silenzio mentre gli altri arrivavano alla conclusione che io avevo già raggiunto.
Jacob aveva iniziato a scalpitare dal suo posto, e Mike gli parlava concitato, poggiandogli una mano sulla spalla indeciso.
«Un orso immortale» Sussurrò Carlisle.
Sentii Rosalie inginocchiarsi accanto a me. Fu del tutto inaspettato e feci un saltello indietro spaventata; le sue ginocchia fecero un rumore innaturale e pietroso contro l'asfalto, come di granito su granito.
«Ma si sbagliano. Tu ti sbagli, Belarda» Disse lei. Sembrava terrorizzata, l'angoscia riflessa nelle sue iridi dorate tratta direttamente da un incubo «L'orso non è una minaccia così grave, sarà facile da eliminare, e poi l'elemento che lo ha creato non è neppure tra noi. Il vero problema sono i licantropi, i licantropi che cercano di eliminarci, mentre noi non siamo un problema, noi sappiamo controllarci. L'orso non può metterci nei guai, è stato solo un incidente, neanche sanno che lo abbiamo creato noi, neanche sanno che esista...!».
Continuò a sproloquiare, probabilmente in attesa che qualcuno sospirasse di sollievo, che il gelo di sciogliesse perché ci eravamo resi conto che aveva ragione. Invece la tensione sembrò aumentare. Finché la sua voce, sempre più fievole, svanì nel mezzo di una frase.
Per un pezzo nessuno aprì bocca.
Poi Carlisle si chinò accanto a Rosalie e le passò una mano tra i capelli. «Cosa hai fatto Rosalie, quando sei andata a trovare i nostri amici a Denali pochi giorni fa?»
«Non sono andata a Denali» il labbro inferiore di lei iniziò a tremare «Volevo giustizia. Giustizia per Emmett. Noi non possiamo batterli Carlisle, ma loro possono, i Volturi li spazzeranno via, come è giusto che sia!»
«Cos'hai fatto? Stupida!» esclamò Alice.
Io guardai, Edward, confusa. Lui colse il mio sguardo, ma decise deliberatamente di guardare male la sorella mentre chiariva per me: «Rosalie ha sentito molto la mancanza di Emmett in questi giorni. Ci ha detto che si era ritirata a Denali per affrontare il lutto lontana da Forks, ma in realtà è andata a denunciare ai Volturi la ricomparsa dei licantropi per vendicare il suo compagno, convinta che sia stato un licantropo a farlo, ma in realtà non ne abbiamo le prove».
Guardai Rosalie inorridita. Voleva la morte di tutte le mie amiche di La Push, e di Jacob e il suo branco... e forse avrebbe ottenuto quello e molto più di quanto aveva chiesto.
«Perché Alice non è riuscita a vederla in tempo?»
«Perché ha passato gli ultimi giorni a cercare di vedere Jasper» disse tristemente Edward in un soffio
«Adesso i Volturi verranno qui e troveranno non solo dei licantropi adolescenti che scorrazzano in giro, ma un orso mostro e noi gli unici in grado di averlo creato in zona!» Strillò Alice verso la sorella prostrata, i lineamenti minuti contorti in una spaventosa smorfia di rabbia come un piccolo angelo vendicatore
«Per crimini come questo non è previsto alcun processo, Bella. Per Aro i pensieri di Rosalie sono una prova, e quando verrà qui, beh, avrà tutte le prove di cui ha bisogno» disse Edward, cupo
«Ma i licantropi non mettono a rischio nessun segreto, loro sono...» ansimai, ma lui mi interruppe
«Non ci lasceranno il tempo di spiegare».
Il suo tono di voce era ancora gentile, dolce, vellutato... tuttavia era impossibile non coglierne la nota dolente e disperata. La sua voce era come gli occhi di Alice poco prima, sembrava provenire da una tomba.
«Cosa possiamo fare?» Domandai.
Fu Alice a rispondere alla mia domanda retorica: «Combatteremo» disse, troppo calma dopo la sfuriata che aveva propinato a Rosalie. Sembrava ancora più pericolosa.
«Non possiamo vincere» Osservò gentilmente Carlisle, rimettendosi in piedi ed offrendo una mano per fare alzare anche la figlia adottiva. Già immaginavo che espressione avrebbe avuto, in che modo si sarebbe curvato, protettivo, su Esme.
«Non possiamo nemmeno scappare. Non con Demetri in giro» Disse Edward «Io non so se non possiamo vincere. Ci sono un paio di possibilità da considerare. Non dobbiamo affrontarli da soli».
A quelle parole sgranai gli occhi. Certo, i Quileute avrebbero combattuto con onore per la propria vita e di sicuro avrebbero portato qualche schifosa salma di Volturo con sé tra le braccia di nostra Sorella Morte, ma non mi andava giù che pagassero perché Rosalie si era data la zappa sui piedi.
Sarebbe stato davvero ironico se, per colpa del fato, vampiri e licantropi si sarebbero trovati forzati a militare sotto la stessa bandiera. Il fato sapeva essere davvero un bambino capriccioso.
«Non dobbiamo nemmeno condannare a morte i Quileute, Edward!» Esclamò il dottor Cullen, nervosamente
«Tranquillo, Carlisle, non alludevo al branco. E poi sono già condannati a morte»
«Ma siamo realistici: pensate che Ayita o Sam si lasceranno uccidere senza reagire? Certo non lo faranno per voi, ma adesso, grazie a Rosalie, c'è la loro vita in gioco» sbottai «Vampiracci combinaguai»
«Certo, perché quei cani rognosi sono i buoni!» si scaldò Rosalie, guardandomi digrignando i denti. Aveva gli occhi lucidi o era un'impressione mia? Potevano piangere, poi, i vampiri? «Com'è che nella tua storia va bene se Emmett muore per quei bastardi ma non va bene se pagano? Il problema è che voglio difendere la mia famiglia, non quei cani!»
Scossi la testa. Non avevo alcuna intenzione di stare a parlare con Rosalie, lei non era in condizione di apprezzare ragionamenti lucidi e io non ero in condizione di sopportare ancora la presenza dei Cullen.
«Va bene» Dissi «Ora so qual'è il problema. Se permettete, sono sconvolta e voglio andare a pensarci con calma. Con permesso».
Lasciando Edward a sgolarsi per chiamare il mio nome, ritornai dai miei amici. Non appena fui lontana dalla famiglia di succhiasangue scoprii che avevo ricominciato a respirare normalmente: fino a quel momento avevo preso respiri troppo brevi.
«Allora, che volevano?» Incalzò immediatamente Jessica
«Niente» mi strinsi nelle spalle «Una cosa che riguarda le mie amiche di La Push. Le solite idiozie».
Mi ci volle un sangue freddo terribile per non suonare come un condannato a morte. Jacob mi guardò, le sopracciglia aggrottate, e io annuii. Lui aprì leggermente la bocca come se stesse per chiedermi che cosa c'entravano le ragazze di La Push, ma io alzai una mano
«Dopo, Jake. Dopo, per favore. Adesso sono stanca».
Fui la prima ad essere accompagnata a casa da Jessica. Avevamo fatto sedere Mike sul sedile posteriore e lui si era messo a giocare a Snake sul telefonino.
Quando rividi il vialetto di casa, debolmente illuminato, sentii un peso terribile gravare sul mio cuore. Non appena fossi entrata avrei dovuto fingere di stare bene, poi avrei dovuto salire al piano superiore e chiamare Ayita per raccontarle dei Volturi.
I Cullen mi avevano rovinato la serata del ballo scolastico. Li odiavo di un odio bruciante e imperituro, terribile. Strinsi un pugno e Jessica se ne accorse.
«Che succede, Belarda?» Mi domandò «Che ti hanno detto i Cullen?»
«Niente» mentii «Mi hanno solo fatta arrabbiare con le loro solite sciocchezze. Non devi preoccuparti»
«Sembri molto nervosa»
«No, sto benissimo»
«Non sei così brava a mentire, Bell»
«Buonanotte, Jessica. Ho solo bisogno di un buon sonno»
«Buonanotte»
«Buonanotte, Belarda!» esclamò Mike, dandomi una pacchetta su una spalla «Mi raccomando, dolci sogni di karate»
«Dolci sogni di karate anche a te».
Ridacchiando, aprii la portiera e mi avviai lungo il vialetto. La porta di casa che si avvicinava, quella sera, sembrava il pannello di un'enorme tomba bianca. Solo che non avrei avuto pace neanche dopo che ci fossi entrata dentro.
Aprii la porta mentre sentivo il motore dell'auto di Jessica che si avviava. Avevo davvero passato una serata splendida con i miei amici e dovevo essergli grata.
Incespicando sui tacchi entrai e mi richiusi il portoncino alle spalle. La casa era buia e silenziosa: papà doveva essere andato a dormire da un pezzo e Lillo insieme a lui. Dracula probabilmente mi aspettava in camera da letto.
Mi tolsi le scarpe con i tacchi e sospirai di sollievo mentre camminavo a piedi nudi sul pavimento fresco. A pensarci bene, c'era uno strano silenzio. Ero quasi certa che papà mi avrebbe aspettato alzato: dopotutto era la prima volta che andavo ad un ballo scolastico in vita mia e lui era proprio tipo da trovare una scusa per stare alzato fino a tardissimo (quale scusa migliore di una figlia adolescente a un ballo pieno di ragazzi scalmanati?). Invece dormiva già.
Salii le scale e appoggiai un'orecchia sul pannello della porta della camera di papà. Dall'interno non proveniva nessun suono, neanche un russare sommesso, neanche un respiro. Bussai per fargli sapere che ero tornata. Nessuna risposta.
Il mio cuore iniziò a fare le capriole e me lo sentii immediatamente in gola.
«Papà!» Gridai «Papà!»
«Che c'è?!» urlò lui dal bagno
«Sono tornata!» esclamai, sollevata.
Era solo andato in bagno. E io già con la mente mi ero figurata che i Volturi lo avessero rapito per usarlo come esca per l'orso vampiro o qualcosa del genere. Ormai ero paranoica.
Dopo qualche istante Carlo Cigna comparve sul pianerottolo, la sua sagoma illuminata da dietro dalla luce del bagno, dopo aver tirato lo sciacquone. Era in pigiama, con due leggere occhiaie, e sorrideva
«Ti ho aspettato alzato» disse, un po' imbarazzato «Ma proprio quando dovevo aprirti la porta, sai, la natura chiamava».
Risi nervosamente, poi corsi ad abbracciarlo. Goffamente, lui indietreggiò travolto dall'impeto del mio gesto, poi mi strinse delicatamente le braccia intorno alle spalle.
«È successo qualcosa che mi vuoi dire?» Domandò
«No» risposi, mentendo ancora una volta «Sono solo contenta, contentissima, che tu sia il mio papà»
«Potevi avere di meglio» si schermì lui, sciogliendo l'abbraccio.
A malincuore, anch'io lo lasciai e cercai di mettermi le mani nelle tasche che non avevo.
«Dimmi un solo papà migliore di te» Lo sfidai, alzando il mento
«Uno con tanti soldi» rispose lui, prontamente «Che ti possa comprare tutto quello che vuoi»
«Cosa? Ma no, papà...»
«Non come un piccolo poliziotto di provincia» continuò lui «Un papà chirurgo o un papà scienziato spaziale o un papà attore. Uno che ha tanti, tantissimi soldi. Vorrei poterti comprare tutto quello che vuoi, ma non posso».
Mi si inumidirono leggermente gli occhi. Mio padre, che persona straordinaria: avevo tutto ciò che potevo desiderare, lì con lui, e lui desiderava comunque che io avessi di più. E poi mi aveva comprato il Chevy e non aveva fatto storie per il gatto, cos'altro potevo chiedere?
«Non saprei che farci» Replicai «Se non avessi un papà come te».
Lillo spuntò dalla porta del bagno, con la codina alzata, ed emise un lungo miagolio di saluto prima di prendere a strusciare la testolina contro la caviglia di papà.
«Gli ho messo la lettiera in bagno» Replicò Carlo, cambiando immediatamente discorso con imbarazzo.
Oh, che bello, così potevano fare anche la cacca insieme. Presi a ridere.
«Buonanotte, papà. Vado a dormire»
«Buonanotte, Belarda».
E finalmente mi chiusi nella mia stanza. Scivolai con difficoltà fuori dal maledetto vestito, buttai le scarpe in un angolo, per terra, e mi misi il pigiama. Dracula, come avevo previsto, se ne stava accoccolato sul letto a sonnecchiare e non appena si accorse che ero entrata nella stanza spalancò i grandi occhioni rossastri.
«Ehy, Drakey, ti sono mancata?».
Lui fece le fusa. Mentre sedevo accanto a lui sul letto, con una mano gli facevo i grattini fra le orecchie e con l'altra componevo sul telefonino il numero di Ayita.
Era arrivato il momento di raccontarle che cosa ci aspettava. Ma Ayita non rispose: probabilmente era in giro in forma di lupo gigante.
Un po' fui delusa, ma mi ripromisi di telefonarle di nuovo la mattina dopo. Mi sdraiai, tirandomi il lenzuolo fin sopra la testa, e aspettai che Dracula si infilasse al mio fianco, poi finalmente lasciai che la stanchezza mi risucchiasse nel sonno.
Avevo pensato che, spossata com'ero, il mio cervello non avrebbe trovato il tempo o la forza per un incubo. Beh, mi sbagliavo: la paura ancora una volta stava avendo la meglio sulla mia povera immaginazione, costringendola a vedere cose.
Sapevo che era un sogno e questo era un punto a mio favore... ma non era un bel sogno.
Di punto in bianco eccomi di fronte ad una radura grigia e deserta, mentre un greve odore di incenso bruciato impregnava l'aria. Non ero sola.
La calca di sagome al centro dello spiazzo, avvolti in mantelli color cenere, avrebbe dovuto spaventarmi. Non potevano essere che i Volturi, gli amministratori della legge dei vampiri, ma sapevo, come spesso mi accadeva nei sogni, di essere invisibile ai loro occhi.
Disseminati intorno a me c'erano tumuli fumanti. Riconobbi l'aroma disgustoso nell'aria (l'odore di vampiri che bruciano) e non li esaminai troppo da vicino. Non mi andava di guardare il volto dei vampiri appena giustiziati, quasi temessi di riconoscere qualcuno nelle pire ancora roventi.
I soldati dei Volturi si disposero in cerchio attorno a qualcosa o a qualcuno, e sentii il bisbiglio delle loro voci alzarsi in fermento. Mi avvicinai alle figure avvolte nei mantelli, spinta dal sogno (e non certo da un qualunque impulso razionale) a osservare cosa o chi stessero esaminando con quell'intensità. Strisciai con cautela fra due mantelli alti e sibilanti, finché non scoprii l'oggetto della discussione, posto in alto su un montarozzo da cui li dominava.
Era bellissimo, adorabile. Ancora piccolo, il bambino aveva al massimo due anni. Riccioli castano chiaro ne incorniciavano il volto da cherubino, le guance tonde e le labbra piene. E tremava a occhi chiusi, come se fosse troppo spaventato per vedere la morte che, un secondo dopo l'altro, gli si avvicinava.
M'invase il bisogno urgente di salvare il bimbo incantevole e terrorizzato, tanto che ignorai persino la presenza e la minaccia devastante dei Volturi. Sgattaiolai fra loro senza preoccuparmi che percepissero la mia presenza. Passata oltre, scattai verso il bambino.
Poi mi fermai vacillando quando riuscii a vedere bene il cumulo sul quale era seduto. Non era fatto di terra e roccia ma di corpi umani, rinsecchiti e inerti. Troppo tardi per non vederne i volti.
Li conoscevo tutti: Angela, Ben, Jessica, Mike... ed esattamente ai piedi dell'adorabile infante c'erano i cadaveri di mio padre e mia madre.
Il bambino aprì gli occhi, luminosi e rossi come il sangue.




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