mercoledì 8 agosto 2018

Sunset 57 - La discarica




«Certo! Certo che ci sto! Posso dare un'occhiata alle moto?».
Se fosse stato un po' più felice, avrebbe vibrato tanto forte da diventare invisibile.
«Sono già nel tuo garage. Puoi anche baciartele se la cosa ti aggrada» Dissi, fingendomi magnanima, con un gesto del braccio regale
«Se la cosa ti aggrada» ripeté lui, quasi sognante, poi scoppiò a ridere forte. I suoi occhi brillavano.
Quando entrammo nel garage, lui si mise immediatamente ad esaminare nel dettaglio le due moto che gli avevo portato e dichiarò che erano due ammassi di ferraglia, ma non senza speranze.
«Davvero?» Chiesi
«Daaavvero» rispose, annuendo, tutto rannicchiato a guardare il fianco di una moto «Ma dovremo rimediare un bel po' di pezzi di ricambio»
«Ci sarà da sborsare?»
«Non troppo. Qualcosina. Si. Sicuramente un po' di soldi ci vorranno, ma meno che comprarne di nuove»
«Ah. Va bene, è già qualcosa! E allora, dove andiamo, signor meccanico?».
Jacob estrasse un foglietto ripiegato dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo lisciò. Aggrottò le sopracciglia, controllando qualcosa, poi lo rimise in tasca.
«Prima di tutto alla discarica, vediamo se siamo fortunati. La faccenda, te l'ho detto, potrebbe rivelarsi un po' costosa. Prima che quelle moto ricomincino a funzionare hanno bisogno di parecchia assistenza» non gli sembrai troppo preoccupata, perciò proseguì «Se vuoi una cifra, siamo attorno ai mille dollari»
«Mille dollari?» domandai, in tono incolore
«Mille dollari. Dai, sono un buon prezzo per ben due motociclette, no? NO?».
Alzai gli occhi al cielo, beffandomi delle sue preoccupazioni
«Siamo coperti, per soli mille dollare. E male che vada possiamo sempre fare dei lavoretti part-time per racimolare qualche soldo!»
«Lavoretti part time? Tipo?»
«Non lo so... i raccoglitori di arance. No, aspetta, qui non ci sono tanti aranceti. Ehm, i mimi?»
«I... mimi?»
«Si, quelli che fanno finta di essere chiusi in una scatola o di salire una corda che non c'è, sai, gli artisti di strada... la gente gli lascia sempre delle mancette in un piattino...» lasciai perdere quando vidi che stava per scoppiare a ridere «Oppure possiamo fare i parcheggiatori»
«Certo, senza parcheggi» ridacchiò lui «A Forks a che diavolo servono dei parcheggiatori? E a la Push fra un po' non abbiamo neanche le macchine. E comunque ce le parcheggiamo da soli»
«E allora che lavoro potremmo fare, dimmi tu, genio?»
«Ci devo pensare» lui si batté un indice curvato contro la tempia «Ma mi verrà qualcosa in mente, se ci dovessero servire dei soldi in più».
Fu una giornata moderatamente strana (ovviamente non era niente se paragonata alle mie giornate peggiori). Mi divertii. Persino alla discarica, con la pioggia battente e nel fango fino alle caviglie.
Avevo le calze bagnate e l'aria era satura di odore di ruggine con note di marcio.
Jacob mi ordinò di cercare tutte le motociclette e gli scooter che riuscivo ad avvistare e di tenere a mente dove si trovavano. Finii per ciondolare fra mucchi di automobili, televisori sfondati, pezzi di lavatrice e marmitte sparse finché non mi ritrovai faccia a faccia con un enorme cane grigio che mi fissava con gli occhi splancati, due perfetti cerchi di un giallo brillante. Era un molossoide, le orecchie tagliate, senza coda, che riposava steso nel fango che gli sporcava le zampe e la pancia, con uno spesso collare di metallo con le punte attaccato ad una catena che serpeggiava al suolo e si perdeva dietro un mucchio di spazzatura.
Non abbaiava, mi guardava soltanto, respirando dal naso, con la bocca chiusa. Una sottile stringa di bava gli penzolava da un angolo della bocca.
Indietreggiai lentamente e evitai di guardarlo negli occhi, chiedendomi perché non avesse abbaiato. Era un cane da guardia, giusto?
Finii contro Jacob per sbaglio.
«Che succede?» Mi domandò lui, con un sorrisetto
«C'è un cane lì dietro, un cane enorme»
«È libero?»
«No»
«Allora non devi preoccuparti»
«Non sono preoccupata per me, Jake»
«E chi, per me?» si indicò e proruppe in una risata «Sono un licantropo, un cane non ha speranze contro di me!»
«Non ho paura per te, scemotto! Sono preoccupata per lui» mi guardai alle spalle.
Sapevo che, nascosto dietro il rottame di quella vecchia Mustang rossa c'era sdraiato il cane, silenzioso, a sbavare, nel fango. Solo e zitto, con un collare di metallo, legato ad una catena e bagnato fino alle ossa. Mi fece una gran pena.
«Perché?» Chiese Jacob «Sta male?»
«Non lo so» ammisi «Mi sono allontanata per non disturbarlo, ma era strano, sbavava e non abbaiava e stava tutto disteso»
«Con questo tempaccio? Non ha un posto dove ripararsi, uno dove stare all'asciutto?».
Fui quasi felice di sentire anche nella voce di Jacob sorgere la preoccupazione.
«Vieni» Mi disse lui, facendosi serio «Diamogli un'occhiata, magari ha bisogno di aiuto».
Lo seguii ed entrambi tornammo dal cane. La pioggia, che fino a quel momento ci aveva dato un attimo, se non di tregua (continuava a cadere, implacabile), almeno di possibilità di non scappare a ripararci, si infittì all'improvviso scrosciando feroce.
«Wow» Disse Jacob, spostandosi da davanti agli occhi una ciocca bagnata «Certo che è un bel bestione. Un alano!»
«Non è un alano» scossi la testa
«Come no? È grosso. Guardalo, è un alano!»
«Gli alani sono più alti. E poi questo sembra un mastino. E...»
«Perché non ci abbaia?»
«Non lo so. Può essere perché sei un licantropo?»
«In effetti... le leggende dicono che gli animali ci aiutano perché siamo dalla parte della natura o qualcosa di questo genere. Può essere» Jacob si abbassò e si avvicinò all'animale lentamente, tendendo una mano verso di lui «Ehi, ciao! Ciao cagnolino!».
Il cane non si spostò, ma allungò un po' il collo per annusargli la mano. Jacob lo lasciò fare
«Bravo, bravo cagnolino...».
Spostai il peso da un piede all'altro, nervosa. Sapevo che se anche il cane lo avesse morso, la ferita si sarebbe rimarginata in un attimo, ma non volevo creare questo precedente pericoloso: l'animale non doveva mordere nessuno di noi.
Ma Jacob non si fece mordere e prese a carezzare sul lato del collo il cane, che finalmente aprì un po' la bocca, sciogliendosi in uno di quegli inequivocabili sorrisi canini.
«È un bravo cucciolo» Mi ritrovai a dire, avvicinandomi
«Già» confermò Jacob
«Jake, secondo te che ci fa qui da solo?»
«La guardia. Ma non può abbaiare a me, vero piccolino? Vero piccolino?» fece una vocina scema mentre il cane si rigirava a zampe all'aria mostrando la pancia fangosa. Era una femmina.
«Piccolina» Corressi io, prendendo ad accarezzare l'adorabile mastina sotto il mento.
Avevo sempre desiderato un gatto nella mia vita: erano piccoli, morbidi, coccolosi predatori formidabili, con gli occhioni. E alla fine ne avevo ottenuto uno ed era come avevo sempre sognato, anzi meglio! Adesso mi ritrovavo a rimuginare sull'eventualità di prendere anche un cane. Un cane grosso e scuro che facesse paura, una cane che spaventasse i nemici e che si raggomitolasse sul mio letto e mi tenesse al caldo d'inverno, che abbaiasse come un matto se Edward fosse entrato nella mia stanza di notte, che facesse dire “oohh” e “aaah” a tutti i miei compagni di scuola. Un cane come quello che stavo accarezzando in quel momento.
Ma non poteva certo rubarlo, no? Anche se era tenuta malissimo, se era sdraiata al freddo nel fango, se il suo padrone le aveva fatto mozzare le orecchie e la coda, non potevo rubare l'adorabile mastina che adesso mi stava leccando le dita, era illegale, era sbagliato, era...
D'un tratto udimmo un abbaiato rauco provenire da dietro di noi.
«C'è un altro cane?» Domandai, allarmata
«Non preoccuparti, c'è superlicantropo!» fece Jake, spaccone, alzandosi in piedi e girando su sé stesso per fronteggiare il nuovo arrivato.
In effetti non c'era molto da preoccuparsi: era un cagnolino minuscolo e tutto infangato (aveva anche i baffi che gocciolavano melma), vagamente somigliante ad un chihuahua, che continuava a ringhiare e latrare contro di noi con la voce che dovrebbe avere un cane grande almeno quattro volte di più.
«Un cane nano!» Esclamai, divertita «Guardalo! È lui il vero guardiano!»
«Piuttosto guarda dietro al nano» Jacob indicò qualcosa, entusiasta
«Cosa? Un fantasma? Non vedo niente»
«Come niente? C'è un'Harley! Una vecchia Harley a pezzi, vedi che spunta un pezzo di telaio da sotto quel materasso?»
«Aspetta... sei riuscito a capire che era una Harley perché hai visto un pezzo di telaio?»
«Sono molto bravo» si vantò lui, correndo in direzione del cagnolino, che ovviamente si spostò spaventato senza smettere un solo secondo di abbaiare.
Passammo il resto della mattinata a smontare parti di motociclette a cui non sapevo dare un nome e a controllare se quei pezzi che avevamo trovato fossero abbastanza “sani” da poter essere utilizzati per le riparazioni. Il mezzo-chihuahua ci stava alle calcagna, cercando disperatamente di spaventarci, ma con il risultato di farci ridere per tutto il tempo, finché non ci venne il mal di pancia e una serie di contratture muscolari alle guance.
Ma una piccola parte del mio cervello continuava a pensare al piccolo, minuscolo particolare sottinteso dal discorso di Ayita ore fa. Billy sapeva delle ragazze-lupo, Billy sapeva come organizzare una cerimonia per svelare la presenza del branco delle ragazze al branco dei ragazzi.
Quando un maschio alfa conosceva il branco delle femmine doveva portare con sé il segreto nella tomba, così che i suoi successori rimanessero all'oscuro di tutto fino a quando non si fosse presentata una nuova minaccia, e solo allora le protettrici dei Quileute avrebbero potuto palesarsi di nuovo.
Rimaneva, ovvia, una sola possibilità per quella stranezza.
Ma qual era il pericolo che nel passato aveva costretto Billy Black ad incontrare il branco delle lupe?



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