sabato 11 agosto 2018

Sunset 58 - Leggende intorno al fuoco




«Lo mangi o no, quel panino?» Chiese Paul a Jacob, con gli occhi fissi sul resto del banchetto che i licantropi avevano appena consumato.
Paul era un ragazzone solido che teneva i capelli corti, con lineamenti non esattamente attraenti ma quantomeno regolari. Jacob aveva provveduto sin da subito a presentarmi il resto del suo branco, di cui ovviamente ricordavo solo qualche nome. Come Quil, ma giusto perché somigliava alla parola "quail", cioè quaglia. O Sam, che era quello più abbronzato, che aveva modi pacati e gentili che mi ricordavano quelli di Ayita. Era l'alfa del branco di Jake.
Jacob si appoggiò alle mie ginocchia e si mise a giocare con un hot dog infilzato nel metallo di una gruccia riadattata a spiedino; le fiamme del falò lambivano la pelle rigonfia del würstel. Sospirò e si massaggiò lo stomaco. Chissà come, era ancora piatto, nonostante avessi perso il conto di quanti panini aveva ingurgitato dopo il decimo. Per non parlare della busta di patatine giganti e della bottiglia di birra da due litri.
Dovevo stargli fissando affascinata la pancia, perché Omaha, seduta accanto a me, mi tirò una piccola gomitata per attirare la mia attenzione.
«Gli guardi gli addominali?» Mi chiese, la pelle bronzea illuminata di riflessi oro dal fuoco al centro del cerchio dei Quileute, che scoppiettava piacevolmente riscaldando la sera fresca.
«No» Bisbigliai di rimando «È una cosa da lupi che anche a mangiare e bere così tanto ha la pancia così... così... piatta? O è una disfunzione?»
«Ora che me lo fai notare» Omaha si sporse oltre la mia spalla per dare un'occhiata al ventre di Jacob. Si portò una mano al proprio, aggrottando le sopracciglia. «Probabilmente una qualche strana disfunzione. Si sentirà male comunque, fa schifo trasformarsi quando hai tutto il sangue allo stomaco, perché dovrebbe andarti a tutti gli arti. Avrà di sicuro un'indigestione».
Non sapevo se Omaha stesse scherzando o no, quindi decisi di avvertire Jacob che se si fosse mangiato ancora qualcosa glielo avrei fatto sputare con qualunque mezzo.
Per cementare il mio proposito lui disse lentamente al suo amico che: «Sono così sazio che potrei vomitare, ma penso di riuscire a farlo scendere. Non me lo godrò per niente, però» e aggiunse un sospiro triste. Paul, che ne aveva mangiati tanti quanti Jacob, strinse i pugni e lo guardò torvo, e lo stesso feci io.
«E dai» Jacob rise, con mio sollievo «Sto scherzando, Paul. Ecco qui».
Buttò in mezzo al cerchio formato da noi lo spiedino fatto in casa. Mi aspettavo che s'infilzasse dritto nella sabbia, o che si perdesse tra le fiamme – e non avrei potuto fare a meno di ridere ad una scena del genere – ma senza difficoltà Paul lo afferrò con precisione e dal verso giusto.
Qualunque cosa per uno spiedino fatto in casa. Anche le mani calamitate.
A furia di frequentare solo persone con abilità straordinarie rischiavo di farmi venire dei complessi.
«Grazie, fratello» Disse Paul, che aveva già superato il breve momento d'ira.
Era una visione stranissima per me vedere finalmente tutti riuniti entrambi i branchi. I ragazzi-lupo, che erano perlopiù ignari di quello che stava succedendo, guardavano le ragazze occupare i posti tra loro non con diffidenza, ma con una sorta di bonaria confusione. Dopo qualche protesta di Paul però, un ragazzo con la miccia cortissima ma bonaccione finché aveva qualcosa da mettere sotto i denti, si erano messi a ridere, scherzare e passarsi cibo tra loro tutti insieme.
In effetti, c'erano un mucchio di cibo e bevande che sembravano materializzarsi dal nulla e passavano di mano in mano, e l'aria era piena del suono di bibite aperte, bottiglie stappate, panini scartati, pacchetti di patatine consumati.
Tutti i Quileute erano giganteschi, ed era buffo vederli quasi pigiati tutti gli uni con gli altri, cercando di occupare i tronchi bianchi di salsedine che si usavano a mo' di sedile. Alcuni dei licantropi avevano trovato scomoda quella posizione e si erano seduti a terra o su qualche roccia, come avevano deciso di fare rispettivamente Sam e Ayita. Altri sembravano divertirsi a stare tutti così vicini, e non era strano vedere braccia che cingevano le spalle dei vicini, persone che si tenevano per mano, piccole zuffe.
Io ero minuscola al loro confronto, un giocattolino dalla pelle di porcellana, e probabilmente altrettanto fragile. Mi sentii felice e protetta.
Non dovevano esser stati molti gli umani a poter fare falò con così tanti licantropi, e il pensiero mi fece sentire speciale e complice di quel gruppo di massicci sconosciuti sovrannaturali, per quanto strano potesse essere.
I Quileute erano una banda di giovani scalmanati salvo pochi elementi, proprio come un vero branco di giovani lupi, perciò rimanevo più che altro in silenzio ad osservarli e commentavo ogni tanto con Omaha, che aveva deciso di sedersi tra me e Quil, mentre io ero schiacciata tra lei e Jacob.
Che per la cronaca erano due tritatutto, quindi riuscii a malapena a sgranocchiare delle patatine ed un panino con hot dog e maionese, ma solo perché Sam ebbe pietà di me e venne a consegnarmelo di persona dall'altro lato del campo. Ovviamente, arrossii e balbettai nel ringraziare, ma gli fui davvero grata per quello spontaneo gesto gentile.
Il fuoco crepitava e pian piano si abbassò. Le scintille scoppiavano veloci come bolle color arancione brillante color del cielo nero. Non mi ero neppure accorta che il sole era tramontato.
Doveva essere tardi, ma non sapevo che ora fosse, e non mi premurai di guardare il cellulare per scoprirlo. Avevo perso completamente il senso del tempo. Stare insieme ai miei amici Quileute era più semplice di quanto mi aspettassi.
All'inizio, mentre io e Jacob sistemavamo le moto – o "i rottami", come li chiamava affettuosamente lui – nel suo garage, mi ero preoccupata che il mio essere umana mi avrebbe fatto sentire a disagio, esclusa. Avevo già avuto a che fare con il branco delle ragazze-lupo, ma temevo che, quando tutti i Quileute fossero stati riuniti, avrebbero trovato fuori posto la mia presenza.
Ma quando ero spuntata con Jacob dalla foresta e raggiunto il luogo d'incontro in cima alla scogliera tutto era scivolato in una situazione semplice ed informale. Tutti mi trattavano come una di loro.
Anche Billy era lì, con la sedia a rotelle posizionata su quella che sembrava la testa naturale del cerchio. Accanto a lui, su una sdraio pieghevole, c'era l'anziano, bianchissimo nonno dell'amico di Jacob, Quil, che si chiamava come lui. Al suo fianco sedeva Sue Clearwater, l'amica di Carlo, con i sue due figli Leah e Seth, seduti per terra come noi.
Sue continuava a chinarsi e sussurrare qualcosa ai figli, entrambi con le guance rosse e gli occhi scintillanti. Seth, il più piccolo, era un ragazzino slanciato avvolto in una coperta marrone, che aveva ancora il viso tondo ed occhi scuri che esprimevano tanta curiosità ed entusiasmo sotto una sorta di velo di stanchezza. Leah era più grande, forse dell'età di Jacob, con un viso grazioso che aveva quasi sempre un'espressione sprezzante. Scuoteva spesso la testa quando parlava con sua madre, come rifiutando qualcosa.
Sembravano entrambi febbricitanti, e non capii perché Sue avesse deciso di portare anche loro, a meno che... a meno che non avesse preferito prepararli sin da subito, perché avrebbero presto potuto diventare membri del branco.
Dal modo in cui Billy e il vecchio Quil parlavano con Sue, sembrava che lei fosse stato un membro particolarmente ascoltato del consiglio. I tre si voltavano spesso ad osservare i giovani Quileute, con la stessa aria di autorità e responsabilità di lupi adulti che sorvegliano i giochi irruenti dei loro cuccioli.
Con tutta questa autorità e responsabilità gli impedisse di macinare cibo esattamente come il resto dei branchi.
Di tutta questa gran sorta di compagnia, paradossalmente a mettermi più soggezione era una ragazza dai capelli molto scuri, graziosa, minuta, molto più bassa di qualunque delle mie amiche lupe. Jacob mi disse che era la ragazza di Sam, mi disse che Sam aveva avuto l'imprinting con lei e mi disse il suo nome. Non ricordavo il suo nome né mi chiesi com'era possibile che Sam credesse di essere figlio della sua ragazza come un paperotto (non è questo l'imprinting?), ma accantonai qualunque argomento sulla ragazza dai capelli corvini, ripromettendomi di parlarne poi con Jake, perché la sua sola vista mi innervosiva.
Il suo bel viso, di certo molto bello una volta, era attraversato da una lunga cicatrice frastagliata che costringeva metà della sua bocca ad una sorta di eterna smorfia forzata, quasi un sorriso. Da ogni gesto che rivolgeva all'alfa sembrava che lei e Sam avevano bisogno l'uno dell'altra come dell'aria che respiravano. Lei parlava con tutti e rideva come niente fosse, con un'attitudine che definirei quasi materna, ma mi spiazzava.
Non sapevo come comportarmi. Era meglio cercare di non fissarla? Si sarebbe offesa se avesse visto che le guardavo il volto? O sarebbe stato peggio se si fosse accorta che cercavo di non osservarla?
«Si sta facendo tardi» Mormorai a Jacob
«Non cominciare» mi sussurrò in risposta, anche se di sicuro almeno metà del gruppo aveva un udito abbastanza sensibile da udirci, specie perché lui muggiva invece di sussurrare
«A fare che? Ho solo notato che si sta facendo tardi»
«La parte migliore sta per arrivare»
«E cosa sarebbe? Tu che divori una mucca in un solo boccone?».
Jacob ghignò ed emise una sorta di riso basso e rauco. Per un attimo ebbe paura che si fosse strozzato con una patatina vagante. «No. Quello è il finale. Non ci siamo incontrati solo per ingozzarci di cibo»
«Davvero?» Alzai un sopracciglio facendo la mia migliore faccia scettica alla The Rock, e lui sbuffò
«Tecnicamente questa è una riunione del consiglio, no? Per tanti lupi qui sarà la prima volta, non hanno ancora sentito le nostre storie. Neanche tu, sarà bello, vedrai. Anche per Seth e Leah è la prima volta, forse per qualcuna delle tue amiche se non gliele ha dette Sue»
«Storie» ripetei, soddisfatta. Non ero sicura di come avrebbero fatto sapere a tutti della presenza dei due branchi, ma mi piaceva l'idea che avrebbero raccontato delle storie.
«Comunque noi sappiamo già tutto, eh» Ci tenne a precisare Omaha, avvolgendomi un braccio intorno ai fianchi. Sentivo la sua pelle calda anche attraverso il tessuto, o forse ero io che avevo un caldo incredibile a stare in mezzo al fuoco e a tutte quelle fornaci antropomorfe.
«No, ti prego ti prego, non starmi addosso, muoio di caldo» La pregai, spostandole gentilmente il braccio. Lei ritrasse il braccio, ma volle prendermi la mano, ed anche se temevo che mi sudasse il palmo la lasciai fare.
Avevo notato quanto erano espansivi gli uni con gli altri: era come se i lupi avessero avuto bisogno di continuo contatto fisico per rafforzare i loro legami, gli veniva spontaneo, ed era anche abbastanza tenero.
Noi tre eravamo appoggiati contro una bassa cresta di roccia e Jacob scivolò all'indietro per avvicinarsi. Mi cinse la spalla con il braccio.
«Ti prego ho caldo» Dissi subito, quasi senza spazi tra le parole, e lui rimise il braccio a posto, riluttante. Però si chinò vicino a me e mi sussurrò piano piano all'orecchio:
«Già, sentirai delle storie stasera Belarda. Quelle che abbiamo sempre pensato fossero leggende» disse «Le storie su come siamo nati. La prima narra... degli spiriti guerrieri».
Il morbido sussurro di Jacob aveva fatto da introduzione. Attorno al fuoco basso, di colpo l'atmosfera cambiò. Paul ed un altro ragazzo-lupo – Emery, forse? Embry? Esmeraldo? Devo aver già detto di non avere una buona memoria coi nomi – si alzarono in piedi.
La ragazza con la cicatrice tirò fuori un quaderno a spirale e una penna, come un'alunna pronta per una lezione importante. Mi sforzai di staccare lo sguardo da lei e posarlo su Sam accanto a lei, che si mosse quel tanto da guardare nella direzione del vecchio Quil, seduto al suo fianco.
Ayita si alzò con tanta sicurezza nel suo passo da essere aggraziata e si sistemò accanto a Seth, accavallando le gambe.
E all'improvviso capii che i capi del consiglio non erano tre, ma cinque.
Leah Clearwater, il cui viso era una splendida maschera priva di emozioni, chiuse gli occhi. Suo fratello si sporse di più verso gli anziani, entusiasta.
Il fuoco scoppiettò e un'altra esplosione di scintille brillò nella notte.
Billy si schiarì la voce e, senza alcun'altra introduzione a parte il "sussurro" di suo figlio, cominciò a raccontare, con voce ricca e profonda. Le parole uscivano precise come se fossero state scolpite nella sua memoria, ma anche con sentimento e un ritmo sottile.
Come una poesia recitata dal suo autore, o da qualcuno che ne era profondamente commosso.
«Fin dagli inizi i Quileute erano un piccolo popolo» Disse Billy «E siamo ancora un piccolo popolo, ma non siamo mai scomparsi. Questo perché nel nostro sangue c'è sempre stato un potere magico. Non è sempre stato il potere di cambiare forma. Quello è venuto dopo. All'inizio, eravamo spiriti guerrieri».
Non avevo mai notato il tono maestoso della voce di Billy Black, forse perché quando parlava di pesci e dodgeball non era la stessa cosa che autoproclamarsi spirito guerriero, ma in quel momento mi resi conto dell'autorità che era in grado di esercitare.
La penna della ragazza con la cicatrice si muoveva velocissima sul foglio, cercando di stargli al passo.
«All'inizio, la tribù si stabilì in questo golfo e divenimmo abili pescatori e costruttori di barche. Ma la tribù era piccola e il golfo ricco di pesce. Altri desideravano la nostra terra, ma noi eravamo troppo pochi per difenderla. Una tribù più numerosa ci attaccò e noi ricorremmo alle nostre barche per scappare».
Anvedi gli spiriti guerrieri. Poi Billy citò un nome che non avevo mai sentito prima con tranquillità, confondendomi:
«Kaheleha non fu il primo spirito guerriero, ma non ricordiamo le storie che lo precedono. Non ricordiamo chi fu il primo a scoprire questo potere o se esso fosse stato già usato. Nella nostra storia Kaheleha è stato il primo grande Spirito Supremo e in quel terribile frangente usò la magia per difendere la nostra terra: lui e i guerrieri lasciarono la barca non con il corpo, ma con lo spirito. Le loro donne vegliarono sui corpi e sulle onde, mentre gli spiriti degli uomini tornavano al golfo. Non potevano toccare la tribù nemica, ma avevano altre risorse. Le storie ci narrano che potevano soffiare poderosi venti negli accampamenti nemici; nel vento potevano sollevare urla terribili per spaventare i rivali. Le storie ci narrano anche che gli animali potevano vedere gli spiriti guerrieri, e che li capivano; gli animali erano dalla loro parte. Kaheleha guidò il suo esercito di spiriti e seminò distruzione tra gli aggressori. La tribù di invasori aveva branchi di cani enormi, dal pelo foltissimo, che trainavano le loro slitte tra i ghiacci del nord. Gli spiriti guerrieri fecero rivoltare i cani contro i loro padroni, poi scatenarono una tremenda invasione di pipistrelli, evocandoli dalle cavità della scogliera. Usarono l'urlo dei venti per aiutare i cani a confondere gli uomini. I cani e i pipistrelli vinsero. I superstiti fuggirono, gridando che il nostro golfo era un luogo maledetto».
La mia parte pragmatica e razionale non poté fare a meno di pensare che cani e pipistrelli erano tra i primi a venire affetti da casi di rabbia se la patologia si presentava in una data zona, contagiandosi addirittura a vicenda. Soprattutto i pipistrelli, che volando sorvolavano territori vasti e poi dormivano con larghi gruppi di altri esemplari, rendevano facilissimo alla rabbia spargersi tra loro.
In effetti, fossi stata al posto di questi amerindi dei ghiacci, anche io mi sarei spaventata a fronteggiare pipistrelli e cani rabbiosi.
Tuttavia cercai di scacciare il pensiero: ero circondata da licantropi, chi mi diceva che non ci fosse qualche stregone in grado di compiere queste magie tra i Quileute?
«Quando gli spiriti guerrieri li liberarono, i cani tornarono alla vita selvaggia. Gli uomini Quileute raggiunsero i propri corpi e le proprie mogli, vittoriosi. Le altre tribù vicine, gli Hoh e i Makah, strinsero un patto con i Quileute. Non volevano avere niente a che fare con la nostra magia. Vivemmo in pace con loro».
Una lingua di fuoco si levò e dissolse quasi coprendomi la visuale del viso rugoso di Billy, crepitando. La ragazza con la cicatrice sembrava molto divertita da questa parte della storia, appoggiata ora alla spalla di Sam.
«Quando un nemico provava ad attaccarci, gli spiriti guerrieri lo scacciavano. Trascorsero diverse generazioni. Poi arrivò l'ultimo Spirito Supremo, Taha Aki. Era celebre per la sua saggezza e la sua indole pacifica. La gente viveva felice e serena sotto la sua protezione. Ma c'era un uomo, Utlapa, che non era sereno».
Un sibilo cupo corse attorno al fuoco; non feci in tempo a vedere da dove arrivava. Billy lo ignorò e proseguì con la leggenda.
«Utlapa era uno dei più forti spiriti guerrieri del Supremo Taha Aki. Un uomo molto potente, ma anche molto avido. Pensava che il nostro popolo dovesse usare la magia per espandere il proprio territorio, per rendere schiavi gli Hoh e i Makah e costruire un impero. Ora, quando i guerrieri erano nei loro spiriti, potevano leggere ognuno i pensieri dell'altro. Taha Aki vide quali erano i sogni di Utlapa e si adirò con lui. Utlapa ricevette l'ordine di lasciare la tribù e di non usare mai più il suo spirito. Utlapa era un uomo forte, ma i guerrieri del Supremo erano in gran numero. Non ebbe altra scelta che andarsene. Furioso, l'uomo si nascose nella foresta vicina, in attesa dell'occasione per vendicarsi sul Supremo».
Che episodio straordinario di Dragonball che ne sarebbe potuto venir fuori.
«Anche in tempo di pace, lo Spirito Supremo vigilava per proteggere la sua gente. Spesso andava in un luogo segreto fra le montagne. Lasciava il suo corpo lì e scendeva attraverso le foreste e lungo la costa, per allontanare le minacce. Un giorno che Taha Aki partì per compiere il suo dovere, Utlapa lo seguì. All'inizio, Utlapa pensò semplicemente di ucciderlo, ma questo piano presentava degli svantaggi. Di sicuro gli spiriti guerrieri avrebbero cercato di distruggerlo ed erano in grado di seguirlo più veloci di quanto lui non potesse scappare. Mentre si nascondeva fra le rocce e osservava il Supremo prepararsi a lasciare il suo corpo, gli venne in mente un altro piano.
Taha Aki lasciò il suo corpo nel luogo segreto e volò con il vento per vegliare sulla sua gente. Utlapa aspettò, finché non fu sicuro che lo spirito del Supremo non si fosse allontanato abbastanza. Quando Utlapa lo raggiunse nel mondo degli spiriti, Taha Aki se ne accorse subito e intuì anche il suo piano omicida. Tornò rapido al luogo segreto, ma neanche i venti furono così veloci da salvarlo».
C'era da dire, pensai, che Utlapa si era salvato le chiappe per un soffio. Cosa sarebbe successo se ci fossero stati altri spiriti guerrieri sul piano immateriale in quel momento?
«Al suo arrivo, il suo corpo era già sparito. Il corpo di Utlapa giaceva abbandonato, ma Utlapa non aveva lasciato a Taha Aki vie di fuga: aveva sgozzato il proprio corpo con le mani di Taha Aki.
Taha Aki seguì il suo corpo lungo la montagna. Urlò a Utlapa, ma Utlapa lo ignorò, come se fosse il vento. Disperato, Taha Aki vide Utlapa prendere il suo posto come capo dei Quileute. Per qualche settimana, Utlapa non fece altro che assicuarsi che tutti lo credessero il vero Taha Aki. Poi le cose iniziarono a cambiare e il primo editto di Utlapa fu impedire a ogni guerriero di entrare nel mondo degli spiriti. Dichiarò di avere avuto una visione, un presagio, ma in realtà aveva paura. Sapeva che Taha Aki avrebbe atteso quell'occasione per raccontare la verità. Inoltre, Utlapa stesso aveva paura di entrare nel mondo degli spiriti, perché sapeva che Taha Aki avrebbe subito reclamato il proprio corpo. Così i suoi desideri di conquista grazie all'esercito di spiriti guerrieri divennero irrealizzabili e cercò di accontentarsi del potere che aveva sulla tribù. Divenne un parassita, pretese privilegi che Taha Aki non aveva mai reclamato, si rifiutò di lavorare con i suoi guerrieri, ebbe una seconda moglie, più giovane di lui, e poi una terza, malgrado la prima fosse ancora viva, cosa inaudita per la tribù. Taha Aki osservava, furioso ma impotente. Alla fine, Taha Aki provò a uccidere il proprio corpo per salvare la tribù dagli eccessi di Utlapa. Fece scendere un lupo feroce dalle montagne, ma Utlapa si nascose dietro i suoi guerrieri. Quando il lupo uccise un giovane che cercava di proteggere il capo impostore, Taha Aki si sentì devastare dal dolore. Ordinò al lupo di andarsene».
Aida sospirò dal suo posto, chiaramente udibile. Mi resi conto che ormai eravamo tutti così silenziosi che il crepitio di fuoco sembrava musica in sottofondo, e persino un sospiro sembrava risuonare forte.
L'espressione di Billy, da autorevole che era, si fece addirittura grave.
«Le storie narrano che non era facile essere spirito guerriero. Liberarsi del proprio corpo era più spaventoso che esaltante. Ecco perché quel potere veniva usato solo in caso di necessità. I viaggi solitari di perlustrazione del capotribù erano uno sforzo e un sacrificio. Essere senza corpo turbava; era scomodo, orribile. Taha Aki era stato lontano dal suo corpo così a lungo che ormai viveva nei tormenti. Si sentiva condannato: non avrebbe mai potuto attraversare l'Ultima Terra, dove i suoi antenati lo aspettavano. Sarebbe rimasto bloccato per sempre nello strazio di quel nulla. Il grande lupo seguì lo spirito di Taha Aki nei boschi, mentre si contorceva fra i tormenti. Il lupo era molto grande per la sua razza, e bellissimo. All'improvviso Taha Aki si sentì invidioso dell'animale. Non sapeva parlare, ma almeno aveva un corpo. Una vita. Persino vivere da animale sarebbe stato meglio di quell'orribile coscienza incorporea. Così Taha Aki ebbe l'idea che ha cambiato il destino di tutti noi».
Cominciavo ad indovinare come questa storia avrebbe potuto ricollegarsi a quei licantropi seduti attorno al fuoco.
«Chiese al grande lupo di fargli spazio nel suo corpo, di dividerlo con lui. Il lupo acconsentì. Taha Aki entrò nel corpo del lupo con sollievo e gratitudine. Non era il suo corpo umano, ma era meglio del vuoto del mondo degli spiriti.
Ormai erano divenuti una cosa sola, l'uomo e il lupo tornarono al villaggio sul golfo. La gente scappò impaurita, invocando l'arrivo dei guerrieri che accorsero per colpire il lupo con le loro lance».
Mi voltai verso Omaha, che mi stava strizzando la mano che le avevo offerto. La mia protesta bisbigliata morì sul nascere quando vidi la sua espressione. Sembrava fortemente mossa dalla storia, annuendo ogni tanto.
La lasciai stare e continuai a concentrarmi sulla storia. Dal canto mio, mi chiedevo quanto fossero paurosi questi vecchi Quileute a chiamare tutti i guerrieri con le lance per un lupo solo e bellissimo, che probabilmente non correva in giro ringhiando e sbavando a meno che Taha Aki non avesse avuto seri problemi, e a correre strillando a destra e a manca.
«Utlapa, ovviamente, rimase ben nascosto al sicuro. Taha Aki non attaccò i propri guerrieri. Si ritirò lentamente, parlando loro con gli occhi e cercando di guaire le canzoni del suo popolo, I guerrieri iniziarono a capire che quel lupo non era un animale qualunque, che era sotto l'influenza di uno spirito. Uno dei guerrieri più anziani, un uomo di nome Yut, decise di disobbedire all'ordine del capo impostore e provò a comunicare con il lupo. Non appena Yut ebbe fatto ingresso nel mondo degli spiriti, Taha Aki lasciò il lupo, in docile attesa del suo ritorno, per parlare con lui. In un attimo Yut comprese la verità e salutò il ritorno del suo vero Capo Supremo. In quel momento arrivò Utlapa, per vedere se il lupo era stato sconfitto. Quando vide il corpo di Yut giacere a terra senza vita, protetto dagli altri guerrieri, capì cos'era accaduto. Sfoderò il coltello e si affrettò ad uccidere Yut prima che potesse tornare al suo corpo.
"Traditore" Gridò, mentre i guerrieri non sapevano cosa fare. Il capo aveva stabilito che era proibito tornare nel mondo degli spiriti, e spettava a lui decidere come punire i trasgressori. Yut saltò di nuovo nel suo corpo, ma Utlapa gli puntava già il coltello alla gola e con una mano gli copriva la bocca. Il corpo di Taha Aki era forte, mentre Yut era già avanti con gli anni. Yut non ebbe il tempo di dire neanche una parola per avvisare gli altri, perché Utlapa lo ridusse per sempre al silenzio. Taha Aki vide lo spirito di Yut entrare in quelle ultime terre che a lui erano bandite per l'eternità. Provò una grande rabbia, più intensa di qualsiasi sensazione avesse mai provato. Entrò di nuovo nel corpo del grande lupo, deciso a sgozzare Utlapa. Ma, non appena fu di nuovo dentro al lupo, avvenne la grande magia.
La rabbia di Taha Aki era la rabbia di un uomo. L'amore che provava per la sua gente e l'odio contro il suo oppressore erano troppo vasti, troppo umani per il corpo di un lupo».
Per qualche motivo, quelle parole non mi piacquero. Sapevo che gli umani sono in grado di elaborare tipi di emozioni molto complessi, sicuramente più della maggior parte di quelli del mondo animale, ma quelle parole sembravano sminuire la capacità di amare di qualunque altro essere vivente. Forse era perché avevo Dracula a casa ad aspettarmi, un animale che sapevo contraccambiava tutto il mio amore e che faceva di tutto per dimostrarmelo, forse era perché il lupo del racconto era stato mostrato come una creatura intelligente e complessa, capace di accettare uno spirito in pena nel proprio corpo solo per compassione, ma quelle parole non mi piacquero.
«Il lupo iniziò a tremare e, davanti agli occhi sconvolti dei guerrieri e di Utlapa, si trasformò in uomo. Il nuovo uomo non somigliava a Taha Aki. Era molto più grande. Era l'incarnazione terrena dello spirito di Taha Aki; tuttavia i guerrieri lo riconobbero all'istante, perché avevano volato con lui in forma di spirito. Utlapa provò a scappare, ma nel suo nuovo corpo Taha Aki possedeva la forza del lupo. Afferrò l'impostore e ne distrusse lo spirito prima che potesse uscire dal corpo rubato.
Una volta capito cos'era successo, la gente si rallegrò. Taha Aki rimise velocemente le cose a posto, tornando a lavorare con il suo popolo e restituendo le giovani spose alle loro famiglie. L'unico cambiamento che mantenne in vigore fu la fine dei viaggi nella terra degli spiriti. Ora che la possibilità di rubare una vita ad altri si era fatta concreta, egli sapeva che quei viaggi erano troppo pericolosi. Gli spiriti guerrieri scomparvero per sempre. Da quel momento, Taha Aki fu più di un semplice uomo e più di un lupo. Fu battezzato Taha Aki il Grande Lupo, o Taha Aki l'Uomo Spirito».
Ma non era un Uomo Spirito già da prima? Voglio dire, faceva i viaggi astrali, "volava" con i suoi uomini: secondo me non c'era bisogno di battezzarlo Uomo Spirito proprio ora che aveva bandito i viaggi astrali e che, quindi, non faceva più l'uomo spirito.
«Guidò la tribù per molti, molti anni, senza più invecchiare. Quando un pericolo si avvicinava, assumeva l'identità di lupo per combattere o spaventare il nemico. La gente visse in pace. Taha Aki fu padre di molti figli e figlie e questi, divenuti adulti, scoprirono che anch'essi potevano trasformarsi in lupi. I lupi erano tutti diversi l'uno dall'altro, poiché erano spiriti e riflettevano l'uomo che c'era dentro di loro».
Io mi guardai attorno incuriosita. Mi sentivo come se fossi andata al cinema con i miei amici conoscendone già il finale, e non potevo fare a meno di guardarmi attorno per vedere se qualcuno avesse colto quel "figlie e figlie". Tuttavia i giovani ragazzi-lupo non sembravano aver colto un bel niente, a parte forse Sam, che aveva le sopracciglia aggrottate e guardava di tanto in tanto Ayita di sottecchi come a chiedersi che ci facesse lì.
«Ah, ecco perché Sam è tutto nero» Bofonchiò Quil sotto voce, ridendo «Cuore nero, pelo nero». Ovviamente anche Quil non sapeva parlare sottovoce, lo sentii da dov'ero senza difficoltà. Evidentemente, mugghiare equivaleva a bisbigliare per i licantropi di La Push.
«La tua anima è a macchiette» Fece Omaha a Lara in tono accusatorio
«Perché sono un po' un dalmata»
«No, sono tutti i tuoi peccati che si mostrano ai nostri occhi».
Il fuoco lanciò una scarica di scintille in cielo, che tremarono e danzarono, componendo forme quasi indecifrabili.
«E il tuo pelo color cioccolato cosa rappresenta?» Sussurrò Sam in risposta a Quil, perfettamente udibile «Quanto sei dolce?».
Billy ignorò la schermaglia. «Alcuni dei figli divennero guerrieri insieme a Taha Aki, e non invecchiarono più. Altri, che non amavano la trasformazione, rifiutarono di unirsi al branco degli uomini-lupo. Iniziarono di nuovo ad invecchiare e la tribù scoprì che anche gli uomini-lupo sarebbero cresciuti come tutti gli altri, se avessero rinunciato ai loro spiriti. La vita di Taha Aki durò quanto quella di tre uomini. Dopo la morte delle prime due, prese una terza moglie ed in lei trovò la compagna migliore per il suo spirito. Aveva amato le altre, ma per lei sentiva qualcosa di diverso. Decise di rinunciare al suo spirito di lupo, per morire insieme a lei.
Questo è il racconto di come la magia è giunta fino a noi... ma non è la fine della storia...».
Poi guardò il vecchio Quil Ateara, che si spostò sulla sedia, raddrizzando le spalle fragili. Billy bevve da una bottiglia d'acqua e si asciugò la fronte. La ragazza con la cicatrice aveva trascritto senza sosta.
«Quella era la storia degli spiriti guerrieri» Cominciò il vecchio Quil con flebile voce tenorile «Questa è la storia del sacrificio della terza moglie.
Molti anni dopo la rinuncia di Taha Aki al proprio spirito di lupo, quando era ormai vecchio, a nord ci furono problemi con la tribù dei Makah. Molte loro giovani erano scomparse e di ciò incolpavano i lupi, verso i quali provavano paura e diffidenza. Quando assumevano le sembianze dell'animale, gli uomini-lupo potevano ancora leggersi nel pensiero, proprio come i loro antenati facevano da spiriti. Sapevano che nessuno di loro era colpevole di quel misfatto. Taha Aki provò a rasserenare il capo Makah, ma la paura era troppa. Taha Aki non voleva trovarsi in guerra. Non aveva più l'età per guidare la sua gente da guerriero. Incaricò il suo figlio-lupo maggiore, Taha Wi, di trovare i colpevoli prima che iniziassero le ostilità».
Ma perché, mi chiesi, lo chiamava figlio-lupo? Era comunque figlio suo, no? E i figli che non si trasformavano in lupi erano figli-uomo? E poi, madonna mia, i Quileute vivevano davvero in pace con le altre tribù se per ogni problema incolpavano loro.
Decisi che avrei chiamato Jake figlio-lupo per la settimana seguente.
«Taha Wi guidò gli altri guerrieri-lupo del suo branco in missione sulle montagne, in cerca di qualche indizio delle Makah scomparse. Trovarono qualcosa di assolutamente nuovo per loro: uno strano, dolce odore nella foresta, che bruciava il naso fino a far male».
Mi strinsi al fianco di Jacob. Vidi l'angolo della sua bocca contrarsi divertito e mi cinse con un braccio.
«Non sapevano quale creatura lasciasse un tale odore, ma la seguirono» Continuò il vecchio Quil. La sua voce vibrante non aveva la stessa maestà di quella di Billy, ma irradiava un tono pressante, strano e vigoroso. Con il ritmo del racconto aumentarono anche i battiti del mio cuore.
«Lungo il percorso trovarono deboli tracce di odore e sangue umani. Senz'altro era quello il nemico che stavano cercando. Il viaggio li aveva spinti così lontano verso nord che Taha Wi decise di rimandare indietro metà del branco, i tre lupi più giovani, per riferire a Taha Aki ciò che avevano scoperto. Ma Taha Wi e i suoi due fratelli non fecero mai ritorno. I minori cercano quelli maggiori, ma trovarono soltanto silenzio. Taha Aki mise il lutto per i suoi figli. Avrebbe voluto vendicarne la morte, ma era vecchio»
Sicuro. Avrebbe voluto vendicarne la morte, ma si sa, i vecchi non vendicano.
«Andò dal capo dei Makah e gli raccontò tutto ciò che era accaduto. Il capo dei Makah credette al suo dolore e la tensione fra le due tribù finì. Un anno dopo, una notte, due fanciulle Makah scomparvero dalle loro case. I Makah chiamarono subito i lupi Quileute, che riconobbero nel villaggio lo stesso odore dolce sentito nella foresta».
Dolce? Avevo sempre pensato che i licantropi sentissero un odore tutt'altro che dolce, date le loro reazioni. In realtà aveva senso che fosse dolce: io lo avevo percepito freddo e floreale, come una sorta di ibisco surgelato, era difficile che loro percepissero qualcosa di completamente diverso.
Era intrigante sentire il loro punto di vista: per i licantropi era un puzzo dolce e disgustoso. Immaginai che fosse come per noi l'odore di tanta frutta marcia oppure proprio di cadavere.
«I lupi si misero di nuovo in caccia. Solo uno tornò vivo. Era Yaha Uta, il figlio maggiore della terza moglie di Taha Aki, e il più giovane del branco. Aveva portato con sé qualcosa che non si era mai visto in tutta la storia dei Quileute: uno strano cadavere, duro come la pietra, che aveva fatto a pezzi. Tutti i consanguinei di Taha Aki, anche coloro che non si erano mai trasformati in lupi, sentivano l'odore penetrante di quella creatura senza vita. Ecco chi era il nemico dei Makah.
Yaha Uta raccontò cos'era accaduto: lui e i suoi fratelli avevano sorpreso la creatura – che aveva l'aspetto di un uomo, ma era duro come una roccia – con le due fanciulle Makah. Una delle due ragazze era giù morta, riversa a terra pallida e dissanguata. L'altra era intrappolata tra le braccia della creatura, con la gola sotto la sua bocca. Forse era ancora viva quando sorpresero l'orrenda scena, ma all'avvicinarsi dei lupi la creatura le spezzò subito il collo e ne gettò a terra il corpo inanimato. Le sue labbra bianche erano coperte di sangue e gli occhi emettevano un bagliore rosso. Yaha Uta descrisse la forza maestosa e la velocità della creatura. Uno dei fratelli l'aveva sottovalutata e fu il primo a caderne vittima: la creatura lo squarciò come una bambola. Yaha Uta e gli altri furono più guardinghi. Si mossero insieme, avvicinandosi alla creatura dai lati, cercando di vincerla con l'astuzia. Avrebbero dovuto sfruttare fino al limite la loro forza e la velocità di lupi, come mai prima di allora. La creatura era dura come la pietra e fredda come il ghiaccio. Scoprirono che solo con i denti avrebbero potuto ferirla. Mentre si battevano, iniziarono a farla a brandelli, strappandole la carne a morsi. Ma la creatura imparava velocemente e presto capì come contrattaccare. Mise le mani sulla sorella di Yaha Uta. Yaha Uta trovò un varco sulla gola della creatura e le si scagliò contro. Con i denti le staccò la testa, ma le sue mani non smettevano di stritolare la sorella. Yaha Uta ridusse la creatura a brandelli, nel disperato tentativo di salvarla. Era troppo tardi per riuscirsi, ma alla fine ebbe la meglio sul mostro. O così pensavano tutti».
Finalmente vidi qualche espressione di sconcerto dipingersi su alcuni dei volti, mentre Quil pronunciava con tranquillità la parola "sorella". Dovevano aver sentito molte volte questa storia ormai, e non capivano perché mai Quil la stesse alterando. Avrebbero capito presto.
La ragazza con la cicatrice continuava a scrivere, ma alzava spesso gli occhi verso Quil, con un'espressione tanto confusa da essere quasi offesa. Eppure nessuno osò interrompere il racconto del vecchio.
«Yaha Uta fece esaminare dagli anziani i brandelli puzzolenti che aveva raccolto. Accanto al braccio di granito del mostro giaceva una mano, staccata. Quando gli anziani iniziarono a tastarla con dei bastoncini, i due monconi si toccarono e la mano si mosse verso il braccio cercando di riattaccarsi. Terrorizzati, gli anziani diedero fuoco ai resti. Una grande nube di fumo, intossicante e nauseabondo, avvelenò l'aria».
Nella mia mente Quil Senior e Billy accovacciati punzecchiavano come bambini un braccio staccato di Capelli-pazzi con forza crescente, per poi strillare e dargli fuoco. Non era una scena molto seria.
Comunque era vero, io e Undertaker sapevamo quanto disgustoso fosse il puzzo di un vampiro bruciato, specie in un cassonetto assieme al resto della spazzatura.
«Alla fine separarono le ceneri in tanti piccoli sacchetti e li sparpagliarono ovunque: alcuni nell'oceano, altri nella foresta o nelle grotte della scogliera. Taha Aki ne conservò uno e se lo legò al collo: se mai la creatura avesse provato a ricomporsi di nuovo, l'avrebbe saputo».
Che bel ricordino. Quil il vecchio fece una pausa e guardò Billy. Billy mostrò il nastrino di cuoio che portava al collo. Da un'estremità penzolava un sacchetto, scurito dal tempo. Qualcuno sussultò. Probabilmente lo feci anch'io.
«Lo chiamarono il Freddo, o il Bevitore di Sangue, e vissero nel tormento che non fosse solo. Ormai era rimasto un solo lupo protettore, il giovane Yaha Uta. Non dovettero aspettare a lungo per scoprire la verità. Il mostro aveva una compagna, un'altra Bevitrice di Sangue, che giunse nel villaggio dei Quileute in cerca di vendetta.
Le storie narrano che la Fredda era la cosa più bella che occhi umani avessero mai visto. Quel giorno, quando entrò nel villaggio, sembrava la dea del mattino: il sole, che brillava come non mai, faceva scintillare la sua pelle bianca e accendeva i capelli dorati che le scendevano fino alle ginocchia. Il suo volto possedeva una bellezza magica, gli occhi erano neri nel viso bianchissimo. Qualcuno, vedendola, cadde ai suoi piedi per adorarla. Lei chiese qualcosa con voce acuta, penetrante, in una lingua che nessuno comprendeva. Tutti restarono basiti, non sapevano cosa risponderle. Fra i testimoni dell'evento non c'era nessun consanguineo di Taha Aki, tranne un bambino. Si strinse a sua madre e gridò che l'odore gli faceva male al naso. Un anziano, che si stava recando al consiglio, lo udì e capì chi era giunto fra loro. Gridò alla gente di scappare»
Il bambino gridava "Che puzza! Mi fa male al naso!", l'anziano gridava "Scappate!". Ora avevo capito come mai tutti i Quileute gridavano invece di sussurrare: solo grazie ai gridatori i loro branchi sopravvivevano.
«Fu il primo ad essere ucciso. In venti assistettero all'arrivo della Fredda. Ne sopravvissero due, solo perché tutto quel sangue la distrasse e la costrinse a placare la propria sete. Corsero da Taha Aki, seduto in consiglio con gli altri anziani, i figli e la sua terza moglie. Non appena udì la notizia, Yaha Uta si trasformò in spirito lupo. Si diresse da solo a distruggere la bevitrice di sangue. Taha Aki, la terza moglie, i figli e gli anziani lo seguirono».
Yaha Uta si diresse da solo? E allora come mai Taha Aki, la terza moglie, i figli, gli anziani e probabilmente anche gli alieni e la regina di Inghilterra erano con lui? Non osai domandarlo.
«All'inizio non trovarono la creatura, ma solo le tracce della sua carneficina. C'erano cadaveri a brandelli, alcuni prosciugati di tutto il sangue, sparsi lungo la strada da dove era apparsa. Poi udirono le grida e corsero verso il golfo dove alcuni Quileute si erano rifugiati sulle barche. Lei, che li stava inseguendo in acqua nuotando come uno squalo, sfondò una prua con forza incredibile. Mentre la barca affondava, prese quelli che cercavano di fuggire a nuoto e straziò anche i loro corpi. Quando vide il grande lupo sulla spiaggia ignorò i fuggitivi. Nuotò così veloce che era difficile vederla ed arrivò, bagnata e trionfante, davanti a Yaha Uta. Lo indicò con il suo dito bianchissimo e gli fece un'altra domanda incomprensibile. Yaha Uta attese. Fu una dura battaglia»
L'attesa fu una dura battaglia?
«Come guerriera, lei non valeva il suo compagno. Ma Yaha Uta era solo. Non c'era nessuno a distrarre la furia della Fredda. Yaha Uta fu sconfitto e Taha Aki iniziò a urlare in segno di sfida. Zoppicò in avanti e si trasformò in un lupo anziano, dal muso bianco. Il lupo era vecchio, ma era Taha Aki l'Uomo Spirito e la sua rabbia lo rendeva più forte. La battaglia ricominciò. La terza moglie di Taha Aki aveva appena visto il figlio morire. Ora suo marito stava lottando e lei sapeva che non c'erano speranze di vittoria».
I vampiri portavano distruzione e disperazione ovunque andassero. Immaginai la moglie di Taha Aki impotente, il corpo del figlio ancora giovane ed ancora caldo immobile sulla spiaggia, e il lupo che fronteggiava la bellissima assassina.
Se avessi parlato di questa storia ai Cullen, probabilmente avrebbero cercato di dipingere come romantico il gesto della Fredda, tornare a vendicare il compagno caduto. Edward avrebbe fatto il santo, assumendo quell'aria cupa da complessato che gli oscurava i lineamenti all'improvviso, dicendo che non avrebbe mai potuto condonare le azioni del maschio. Ma la femmina aveva massacrato un ragazzo coraggioso ed innocente per amore, aveva attaccato Quileute indifesi perché era impazzita dal dolore. Ero sicura che parlando con i Cullen, avrebbero detto che la loro simile era meritevole di compassione.
Esattamente come Edward, che sentiva di poter condonare qualunque cosa avesse fatto proclamandosi un mostro e dicendo di amarmi, come se questo avesse aggiustato tutto.
Sentii una sensazione sgradevole simile alla nausea.
«La terza moglie aveva ascoltato ogni parola di ciò che i testimoni della carneficina aveva riportato al consiglio. Aveva sentito la storia della prima vittoria di Yaha Uta e sapeva che era stato l'intervento di suo fratello a salvarlo. La terza moglie prese un coltello dalla cintura di uno dei figli che le stavano accanto. Erano tutti ancora giovani, non ancora uomini né donne, e sapeva che sarebbero morti se il padre fosse stato sconfitto. La terza moglie corse verso la Fredda sollevando il pugnale. La Fredda sorrise, distraendosi appena dalla lotta contro il vecchio lupo. Non temeva la debole donna né il coltello che non le avrebbe neppure graffiato la pelle. Era sul punto di sferrare l'attacco mortale a Taha Aki. Ma in quel momento la terza moglie fece qualcosa che la Donna Fredda non si aspettava. Cadde in ginocchio ai piedi della bevitrice di sangue e affondò il coltello nel proprio cuore. Il sangue scrosciò fra le dita della terza moglie e schizzò contro la fredda. La bevitrice non resistette alla tentazione del sangue fresco. Istintivamente si girò verso la donna morente, preda, per un secondo, della sua stessa sete. I denti di Taha Aki si serrarono sulla sua gola. La lotta non era ancora finita, ma ora Taha Aki non era solo. Alla vista della madre morente, due giovani figli provarono una rabbia enorme, capace di dare vita al loro spirito lupo, malgrado fossero solo ragazzi. Insieme al padre, finirono il mostro».
Omaha accanto a me sospirò, gli occhi fissi sul vecchio Quil.
«Taha Aki non si riunì mai più alla tribù. Non riprese mai più le fattezze umane. Per un giorno intero restò sdraiato accanto al corpo della terza moglie, ringhiando a chiunque cercasse di toccarla; poi andò nella foresta e non tornò mai più. Da quel momento in poi, gli scontri con i Freddi capitarono di rado. I figli di Taha Aki vigilarono sulla tribù finché i loro figli furono grandi abbastanza da ereditarne il posto. Non si trasformarono mai in più di tre lupi alla volta. Era abbastanza. Di tanto in tanto un bevitore di sangue attraversava questi territori, ma veniva colto di sorpresa, non sapendo dei lupi. A volte un lupo moriva, ma non furono mai più decimati com'era accaduto la prima volta. Avevano imparato a combattere i Freddi e si erano tramandati tale conoscenza di lupo in lupo, da mente a mente, da spirito a spirito, da padre in figlio, da madre in figlia. Il tempo trascorse e i discendenti di Taha Aki non si trasformarono più in lupi, raggiunta l'età adulta. I lupi sarebbero tornati solo in caso di necessità, nel caso in cui un Freddo si fosse avvicinato di nuovo. I Freddi giunsero sempre da soli o in due, e il branco restò piccolo. Giunse una congrega più grande e i vostri bisnonni si prepararono a combatterla. Ma il capo dei nuovi venuto parlò a Ephraim Black con i modi di un uomo e gli giurò di non voler fare del male ai Quileute. I suoi strani occhi gialli, in qualche modo, provavano ciò che diceva: lui era diverso dagli altri bevitori di sangue. I lupi erano in svantaggio numerico: non aveva senso che i Freddi cercassero una tregua, quando avrebbero potuto vincerli. Ephraim accettò. I Freddi hanno sempre rispetto il patto, benché la loro presenza tenda ad attirarne altri. E il loro numero ha indotto il branco a ingrandirsi quanto mai prima» Disse il vecchio Quil, e per un attimo i suoi occhi neri, sepolti in una cornice di rughe, sembrarono soffermarsi su di me, «Eccetto, ovviamente, che all'epoca di Taha Aki» disse «Perciò, oggi, i figli della nostra tribù portano il nuovo fardello, e condividono il sacrificio che i loro padri hanno sopportato prima di loro».
Per un momento interminabile rimase tutto in silenzio. I discendenti della leggenda e della magia si fissarono l'un l'altro attraverso il fuoco con la tristezza negli occhi. Beh, non tutti.
«Fardello» Schernì una voce bassa «Secondo me è una figata». Il labbro pieno di Quil si gonfiò in un broncio.
Dall'altra parte del fuoco morente, Seth Clearwater – gli occhi pieni di adulazione per la fratellanza dei protettori della tribù – annuì il proprio consenso.
«A me piace un casino» Disse Lara
«Si era capito, macchiette» la prese in giro Jake accanto a me, allegro
«Cos'è questa storia delle macchiette?» Chiese l'amico che inizava per E di Jake
«Lo saprai presto» ammiccò Lara.
Billy ridacchiò piano e a lungo e la magia sembrò dissolversi nella brace scintillante. All'improvviso era di nuovo un cerchio di amici. Uno dei ragazzi-lupo più massicci tirò un sassolino a Quil e tutti risero del suo spavento. Iniziò un chiacchiericcio sommesso, scherzoso e informale.
Gli occhi di Leah Clearwater non si aprirono. Mi parve di vedere qualcosa scintillare per un istante sulla sua guancia, forse una lacrima.
Né io né Jacob parlammo. Era immobile accanto a me, il respiro tanto profondo e regolare che pensai che stesse per addormentarsi. Io stavo pensando se andare o meno ad aiutare Leah, ma ricordavo l'espressione sarcastica e quasi sprezzante con cui aveva risposto a chiunque l'avesse appocciata. E se l'avessi messa in imbarazzo, avvicinandomi? E se si fosse arrabbiata, disprezzando la mia compassione? E se stava benissimo ed era solo una di quelle persone che si commuovono per i racconti epici, ed in realtà non stava male?
Insomma, anche se pensai di essere una codarda, non mi alzai per andare a consolarla. Mi sembrò che farlo sarebbe stato più invadente ed insensibile di quanto sarebbe stato non farlo.
Invece, mi persi quasi a fantasticare sui personaggi della storia che avevo appena ascoltato. Mi sarebbe piaciuto avere Dracula con me in quel momento, ad impastarmi i pantaloni con quelle zampette ed osservare il fuoco, e mi ripromisi di portarlo qualche volta.
Tuttavia non era a Yaha Uta che pensavo o agli altri lupi, e neppure alla bellissima Fredda, che potevo immaginare fin troppo facilmente. No, pensavo a qualcuno che era totalmente al di fuori della magia. Cercavo di immaginare il viso della donna senza nome che aveva salvato l'intera tribù, la terza moglie.
Solo una donna umana, senza doni né poteri speciali. Fisicamente più debole e lenta di qualunque altro mostro della storia. Proprio come me.
Ma era stata lei la chiave, la soluzione. Aveva salvato il marito, i suoi giovani figli, la tribù.
Avrei voluto conoscere il suo nome.
Era davvero stato necessario il suo sacrificio? O perlomeno, era stato davvero necessario che si uccidesse, che si colpisse al cuore? Se era solo il sangue a cui la Fredda anelava, non avrebbe avuto lo stesso effetto tagliarsi la fronte o un polso, che sanguinano abbondantemente senza garantire la morte della persona lesa?
Qualcosa mi scosse il braccio, risvegliandomi dai miei pensieri. «Forza, Bells» Mi disse Jacob all'orecchio. Il suo tono era allegro come al solito, ma appena velato di stanchezza. Un lupone in piena pubertà come lui di sicuro aveva bisogno di pisolare parecchio. «Si è fatto tardi, è ora di andare».
Fece per alzarsi, issandosi poco cavallerescamente sulla mia spalla, considerando che c'erano le rocce dietro di noi, ma io lo presi per un polso e scossi la testa.
«Che c'è, Belarda?».
Anche gli altri ragazzi-lupo stavano iniziando ad alzarsi e stiracchiarsi, pronti per andarsene, anche se riluttanti come qualunque giovanotto che debba abbandonare una comitiva divertente. Invece Ayita, Aida, Omaha e Lara rimasero ai loro posti.
«La serata non è finita» Gli dissi, con enfasi.
Lui si illuminò e pensai che avesse capito che intendevo, ma poi se ne uscì con un «Ahh, perché non ho ancora mangiato la mucca gigante?».
Lo strattonai per la manica verso il basso, anche se alto com'era ero praticamente appesa a lui ed in una posizione piuttosto scomoda «No, figlio-lupo. C'è ancora una storia da raccontare».
E stavolta, glielo lessi negli occhi, aveva capito davvero.
Perso nell'abitudine delle tradizioni della sua gente, aveva scordato per quale motivo ci eravamo davvero riuniti tutti quella notte.
«Fermi» Disse il vecchio Quil. I giovani Quileute ubbidirono, straniti.
«Nonno, che c'è?» Fece il giovane Quil, ficcandosi le mani in tasca
«C'è un'altra leggenda da raccontare» scandì Billy, con autorità
«Ma, Billy» il licantropo lancia-sassolini si passò una mano tra i capelli neri, come se fosse stato in imbarazzo «Ci avete già raccontato queste storie. Ci avete raccontato quella di Taha Aki e quella della terza moglie. Non ci può essere altro da raccontare, se siamo arrivati fino ai giorni nostri»
«C'è ancora molto da dire».
Fu Sue Clearwater a prendere la parola stavolta. Rivolse un sorriso materno ai ragazzi, con una punta di preoccupazione e disciplina che può venire naturale solo negli occhi di una buona madre.
«Prendete posto, ragazzi. Vi abbiamo raccontato la storia del nostro passato, narrando di ciò che accadde a Taha Aki e gli spiriti guerrieri. Abbiamo narrato del sangue versato dagli spiriti-lupo per renderci ciò che siamo e proteggerci dai Freddi» Il suo sguardo si affilò «Adesso è il momento che qualcuno vi narri una storia sul futuro, con radici che discendono molto, molto, molto in profondità nel passato. È il momento che io vi narri la storia del branco delle donne-lupo Quileute, e di come bisognerà lottare tutti insieme per proteggerci dal più grande attacco di Bevitori di Sangue che le nostre famiglie abbiano mai dovuto fronteggiare».
Sue alzò appena il mento. I suoi occhi brillavano alla luce del fuoco sempre più basso, neri, forse troppo antichi per quel viso che si conservava ancora fresco.
Non mi ero mai accorta di quanta autorità sprigionassero i membri del consiglio dei Quileute, forse perché non li avevo mai visti tutti uno accanto all'altro. Sembravano statue intagliate nel legno, antiche e importanti.
Il vecchio Quil mi rivolse un'altra occhiata, pensieroso. I ragazzi Quileute ripresero posto, silenziosi.
«Donne-lupo?» Ripetè Quil, incredulo «Ma la ragazze non possono...!».
Lara lo salutò con un sorriso smagliante, agitando la punta delle dita. La ragazza con la cicatrice voltò pagina ed impugnò nuovamente la penna con determinazione.
«Stasera, giovani guerrieri» Disse piano Sue «Vi racconterò la storia del branco del Tramonto».




Note degli autori (questa volta sono un po' lunghette e se volete potete saltarle a pie' pari): Non sentite i brividi di epicità? Finalmente siamo arrivati "al punto". Il motivo per cui Sunset si chiama Sunset è per via del Branco del Tramonto (The Sunset Pack). Fra l'altro, mentre trascrivevamo quasi pedissequamente (ovviamente abbiamo cambiato qualcosina, inserendo anche le ragazze nella narrazione e tutti i commenti di Belarda) le leggende Quileute così come narrate in Eclipse di Stephenie Meyer, abbiamo notato che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato...
Così siamo andati a informarci un po' meglio sulla cultura Quileute e sulle sue leggende e possiamo dirvi che la Meyer proprio non ci si è scomodata, ha cannato sullo "stile" di narrazione tipico, ha cannato sul genere di leggende e ci ha pure messo una misoginia che in origine non c'era proprio!
Se leggete le leggende dei Quileute scritte in Eclipse (non come le abbiamo trascritte noi in Sunset, ma quelle del libro, perché noi ci abbiamo inserito un pizzico in meno di maschilismo rampante...), notate che si parla solo di guerrieri, di pescatori, di uomini lupo, di battaglie, dando grande spicco SOLO ai personaggi di sesso maschile (tranne queste povere mogli che sono lì solo per essere belle e per sacrificarsi e morire), mentre nelle leggende originali spesso sono le donne a combattere/uccidere i mostri! Ma perché 'sta misoginia gratuita da parte di una donna moderna, esattamente? E poi è un po' irrispettoso delle leggende originali, no?
Ma, per fortuna, ci sono qui i Cactus di Fuoco che aggiustano le cose! Infatti nel prossimo capitolo inseriremo una leggenda nello "stile" di quelle Quileute che racconta la storia del Branco del Tramonto! A proposito, sapete che questa cosa che la Meyer ha scritto degli "uomini spirito" non ha niente a che fare con la cultura del popolo Quileute? Infatti loro credono di discendere dai lupi, ma proprio nel senso che erano lupi normali e sono stati trasformati in persone da una divinità creatrice.
Un'altra curiosità sui Quileute che non viene mai citata nei libri, ma che sarebbe stata interessantissima è che Il linguaggio quileute è una delle sei lingue conosciute mancanti dei suoni nasali (tipo la N)!
Inoltre le leggende delle origini dei Quileute sono piene zeppe di animali senzienti, che parlano come gli umani, pagaiano barche, costruiscono attrezzi ... tutte cose fighissime da raccontare ma che, ahimé, Stephenie Meyer ha preferito mettere da parte per raccontare la solita storia de "l'uomo grosso e forte che protegge la sua famiglia con i superpoteri". Mettiamoci una pezza, và! Trasformiamo Twilight in Sunset ;) 
Ispiraci tu, Bayak il trickster!


Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi