«Lo mangi o no, quel
panino?» Chiese Paul a Jacob, con gli occhi fissi sul resto del
banchetto che i licantropi avevano appena consumato.
Paul era un ragazzone
solido che teneva i capelli corti, con lineamenti non esattamente
attraenti ma quantomeno regolari. Jacob aveva provveduto sin da subito a
presentarmi il resto del suo branco, di cui ovviamente ricordavo solo
qualche nome. Come Quil, ma giusto perché somigliava alla parola
"quail", cioè quaglia. O Sam, che era quello più abbronzato, che aveva
modi pacati e gentili che mi ricordavano quelli di Ayita. Era l'alfa del
branco di Jake.
Jacob si appoggiò alle
mie ginocchia e si mise a giocare con un hot dog infilzato nel metallo
di una gruccia riadattata a spiedino; le fiamme del falò lambivano la
pelle rigonfia del würstel. Sospirò e si massaggiò lo stomaco. Chissà
come, era ancora piatto, nonostante avessi perso il conto di quanti
panini aveva ingurgitato dopo il decimo. Per non parlare della busta di
patatine giganti e della bottiglia di birra da due litri.
Dovevo stargli fissando
affascinata la pancia, perché Omaha, seduta accanto a me, mi tirò una
piccola gomitata per attirare la mia attenzione.
«Gli guardi gli
addominali?» Mi chiese, la pelle bronzea illuminata di riflessi oro dal
fuoco al centro del cerchio dei Quileute, che scoppiettava piacevolmente
riscaldando la sera fresca.
«No» Bisbigliai di
rimando «È una cosa da lupi che anche a mangiare e bere così tanto ha la
pancia così... così... piatta? O è una disfunzione?»
«Ora che me lo fai
notare» Omaha si sporse oltre la mia spalla per dare un'occhiata al
ventre di Jacob. Si portò una mano al proprio, aggrottando le
sopracciglia. «Probabilmente una qualche strana disfunzione. Si sentirà
male comunque, fa schifo trasformarsi quando hai tutto il sangue allo
stomaco, perché dovrebbe andarti a tutti gli arti. Avrà di sicuro
un'indigestione».
Non sapevo se Omaha
stesse scherzando o no, quindi decisi di avvertire Jacob che se si fosse
mangiato ancora qualcosa glielo avrei fatto sputare con qualunque
mezzo.
Per cementare il mio
proposito lui disse lentamente al suo amico che: «Sono così sazio che
potrei vomitare, ma penso di riuscire a farlo scendere. Non me lo godrò
per niente, però» e aggiunse un sospiro triste. Paul, che ne aveva
mangiati tanti quanti Jacob, strinse i pugni e lo guardò torvo, e lo
stesso feci io.
«E dai» Jacob rise, con mio sollievo «Sto scherzando, Paul. Ecco qui».
Buttò in mezzo al
cerchio formato da noi lo spiedino fatto in casa. Mi aspettavo che
s'infilzasse dritto nella sabbia, o che si perdesse tra le fiamme – e
non avrei potuto fare a meno di ridere ad una scena del genere – ma
senza difficoltà Paul lo afferrò con precisione e dal verso giusto.
Qualunque cosa per uno spiedino fatto in casa. Anche le mani calamitate.
A furia di frequentare solo persone con abilità straordinarie rischiavo di farmi venire dei complessi.
«Grazie, fratello» Disse Paul, che aveva già superato il breve momento d'ira.
Era una visione
stranissima per me vedere finalmente tutti riuniti entrambi i branchi. I
ragazzi-lupo, che erano perlopiù ignari di quello che stava succedendo,
guardavano le ragazze occupare i posti tra loro non con diffidenza, ma
con una sorta di bonaria confusione. Dopo qualche protesta di Paul però,
un ragazzo con la miccia cortissima ma bonaccione finché aveva qualcosa
da mettere sotto i denti, si erano messi a ridere, scherzare e passarsi
cibo tra loro tutti insieme.
In effetti, c'erano un
mucchio di cibo e bevande che sembravano materializzarsi dal nulla e
passavano di mano in mano, e l'aria era piena del suono di bibite
aperte, bottiglie stappate, panini scartati, pacchetti di patatine
consumati.
Tutti i Quileute erano
giganteschi, ed era buffo vederli quasi pigiati tutti gli uni con gli
altri, cercando di occupare i tronchi bianchi di salsedine che si
usavano a mo' di sedile. Alcuni dei licantropi avevano trovato scomoda
quella posizione e si erano seduti a terra o su qualche roccia, come
avevano deciso di fare rispettivamente Sam e Ayita. Altri sembravano
divertirsi a stare tutti così vicini, e non era strano vedere braccia
che cingevano le spalle dei vicini, persone che si tenevano per mano,
piccole zuffe.
Io ero minuscola al loro
confronto, un giocattolino dalla pelle di porcellana, e probabilmente
altrettanto fragile. Mi sentii felice e protetta.
Non dovevano esser stati
molti gli umani a poter fare falò con così tanti licantropi, e il
pensiero mi fece sentire speciale e complice di quel gruppo di massicci
sconosciuti sovrannaturali, per quanto strano potesse essere.
I Quileute erano una
banda di giovani scalmanati salvo pochi elementi, proprio come un vero
branco di giovani lupi, perciò rimanevo più che altro in silenzio ad
osservarli e commentavo ogni tanto con Omaha, che aveva deciso di
sedersi tra me e Quil, mentre io ero schiacciata tra lei e Jacob.
Che per la cronaca erano
due tritatutto, quindi riuscii a malapena a sgranocchiare delle
patatine ed un panino con hot dog e maionese, ma solo perché Sam ebbe
pietà di me e venne a consegnarmelo di persona dall'altro lato del
campo. Ovviamente, arrossii e balbettai nel ringraziare, ma gli fui
davvero grata per quello spontaneo gesto gentile.
Il fuoco crepitava e
pian piano si abbassò. Le scintille scoppiavano veloci come bolle color
arancione brillante color del cielo nero. Non mi ero neppure accorta che
il sole era tramontato.
Doveva essere tardi, ma
non sapevo che ora fosse, e non mi premurai di guardare il cellulare per
scoprirlo. Avevo perso completamente il senso del tempo. Stare insieme
ai miei amici Quileute era più semplice di quanto mi aspettassi.
All'inizio, mentre io e
Jacob sistemavamo le moto – o "i rottami", come li chiamava
affettuosamente lui – nel suo garage, mi ero preoccupata che il mio
essere umana mi avrebbe fatto sentire a disagio, esclusa. Avevo già
avuto a che fare con il branco delle ragazze-lupo, ma temevo che, quando
tutti i Quileute fossero stati riuniti, avrebbero trovato fuori posto
la mia presenza.
Ma quando ero spuntata
con Jacob dalla foresta e raggiunto il luogo d'incontro in cima alla
scogliera tutto era scivolato in una situazione semplice ed informale.
Tutti mi trattavano come una di loro.
Anche Billy era lì, con
la sedia a rotelle posizionata su quella che sembrava la testa naturale
del cerchio. Accanto a lui, su una sdraio pieghevole, c'era l'anziano,
bianchissimo nonno dell'amico di Jacob, Quil, che si chiamava come lui.
Al suo fianco sedeva Sue Clearwater, l'amica di Carlo, con i sue due
figli Leah e Seth, seduti per terra come noi.
Sue continuava a
chinarsi e sussurrare qualcosa ai figli, entrambi con le guance rosse e
gli occhi scintillanti. Seth, il più piccolo, era un ragazzino slanciato
avvolto in una coperta marrone, che aveva ancora il viso tondo ed occhi
scuri che esprimevano tanta curiosità ed entusiasmo sotto una sorta di
velo di stanchezza. Leah era più grande, forse dell'età di Jacob, con un
viso grazioso che aveva quasi sempre un'espressione sprezzante.
Scuoteva spesso la testa quando parlava con sua madre, come rifiutando
qualcosa.
Sembravano entrambi
febbricitanti, e non capii perché Sue avesse deciso di portare anche
loro, a meno che... a meno che non avesse preferito prepararli sin da
subito, perché avrebbero presto potuto diventare membri del branco.
Dal modo in cui Billy e
il vecchio Quil parlavano con Sue, sembrava che lei fosse stato un
membro particolarmente ascoltato del consiglio. I tre si voltavano
spesso ad osservare i giovani Quileute, con la stessa aria di autorità e
responsabilità di lupi adulti che sorvegliano i giochi irruenti dei
loro cuccioli.
Con tutta questa autorità e responsabilità gli impedisse di macinare cibo esattamente come il resto dei branchi.
Di tutta questa gran
sorta di compagnia, paradossalmente a mettermi più soggezione era una
ragazza dai capelli molto scuri, graziosa, minuta, molto più bassa di
qualunque delle mie amiche lupe. Jacob mi disse che era la ragazza di
Sam, mi disse che Sam aveva avuto l'imprinting con lei e mi disse il suo
nome. Non ricordavo il suo nome né mi chiesi com'era possibile che Sam
credesse di essere figlio della sua ragazza come un paperotto (non è
questo l'imprinting?), ma accantonai qualunque argomento sulla ragazza
dai capelli corvini, ripromettendomi di parlarne poi con Jake, perché la
sua sola vista mi innervosiva.
Il suo bel viso, di
certo molto bello una volta, era attraversato da una lunga cicatrice
frastagliata che costringeva metà della sua bocca ad una sorta di eterna
smorfia forzata, quasi un sorriso. Da ogni gesto che rivolgeva all'alfa
sembrava che lei e Sam avevano bisogno l'uno dell'altra come dell'aria
che respiravano. Lei parlava con tutti e rideva come niente fosse, con
un'attitudine che definirei quasi materna, ma mi spiazzava.
Non sapevo come
comportarmi. Era meglio cercare di non fissarla? Si sarebbe offesa se
avesse visto che le guardavo il volto? O sarebbe stato peggio se si
fosse accorta che cercavo di non osservarla?
«Si sta facendo tardi» Mormorai a Jacob
«Non cominciare» mi
sussurrò in risposta, anche se di sicuro almeno metà del gruppo aveva un
udito abbastanza sensibile da udirci, specie perché lui muggiva invece
di sussurrare
«A fare che? Ho solo notato che si sta facendo tardi»
«La parte migliore sta per arrivare»
«E cosa sarebbe? Tu che divori una mucca in un solo boccone?».
Jacob ghignò ed emise
una sorta di riso basso e rauco. Per un attimo ebbe paura che si fosse
strozzato con una patatina vagante. «No. Quello è il finale. Non ci
siamo incontrati solo per ingozzarci di cibo»
«Davvero?» Alzai un sopracciglio facendo la mia migliore faccia scettica alla The Rock, e lui sbuffò
«Tecnicamente questa è
una riunione del consiglio, no? Per tanti lupi qui sarà la prima volta,
non hanno ancora sentito le nostre storie. Neanche tu, sarà bello,
vedrai. Anche per Seth e Leah è la prima volta, forse per qualcuna delle
tue amiche se non gliele ha dette Sue»
«Storie» ripetei,
soddisfatta. Non ero sicura di come avrebbero fatto sapere a tutti della
presenza dei due branchi, ma mi piaceva l'idea che avrebbero raccontato
delle storie.
«Comunque noi sappiamo
già tutto, eh» Ci tenne a precisare Omaha, avvolgendomi un braccio
intorno ai fianchi. Sentivo la sua pelle calda anche attraverso il
tessuto, o forse ero io che avevo un caldo incredibile a stare in mezzo
al fuoco e a tutte quelle fornaci antropomorfe.
«No, ti prego ti prego,
non starmi addosso, muoio di caldo» La pregai, spostandole gentilmente
il braccio. Lei ritrasse il braccio, ma volle prendermi la mano, ed
anche se temevo che mi sudasse il palmo la lasciai fare.
Avevo notato quanto
erano espansivi gli uni con gli altri: era come se i lupi avessero avuto
bisogno di continuo contatto fisico per rafforzare i loro legami, gli
veniva spontaneo, ed era anche abbastanza tenero.
Noi tre eravamo
appoggiati contro una bassa cresta di roccia e Jacob scivolò
all'indietro per avvicinarsi. Mi cinse la spalla con il braccio.
«Ti prego ho caldo»
Dissi subito, quasi senza spazi tra le parole, e lui rimise il braccio a
posto, riluttante. Però si chinò vicino a me e mi sussurrò piano piano
all'orecchio:
«Già, sentirai delle
storie stasera Belarda. Quelle che abbiamo sempre pensato fossero
leggende» disse «Le storie su come siamo nati. La prima narra... degli
spiriti guerrieri».
Il morbido sussurro di
Jacob aveva fatto da introduzione. Attorno al fuoco basso, di colpo
l'atmosfera cambiò. Paul ed un altro ragazzo-lupo – Emery, forse? Embry?
Esmeraldo? Devo aver già detto di non avere una buona memoria coi nomi –
si alzarono in piedi.
La ragazza con la
cicatrice tirò fuori un quaderno a spirale e una penna, come un'alunna
pronta per una lezione importante. Mi sforzai di staccare lo sguardo da
lei e posarlo su Sam accanto a lei, che si mosse quel tanto da guardare
nella direzione del vecchio Quil, seduto al suo fianco.
Ayita si alzò con tanta sicurezza nel suo passo da essere aggraziata e si sistemò accanto a Seth, accavallando le gambe.
E all'improvviso capii che i capi del consiglio non erano tre, ma cinque.
Leah Clearwater, il cui
viso era una splendida maschera priva di emozioni, chiuse gli occhi. Suo
fratello si sporse di più verso gli anziani, entusiasta.
Il fuoco scoppiettò e un'altra esplosione di scintille brillò nella notte.
Billy si schiarì la voce
e, senza alcun'altra introduzione a parte il "sussurro" di suo figlio,
cominciò a raccontare, con voce ricca e profonda. Le parole uscivano
precise come se fossero state scolpite nella sua memoria, ma anche con
sentimento e un ritmo sottile.
Come una poesia recitata dal suo autore, o da qualcuno che ne era profondamente commosso.
«Fin dagli inizi i
Quileute erano un piccolo popolo» Disse Billy «E siamo ancora un piccolo
popolo, ma non siamo mai scomparsi. Questo perché nel nostro sangue c'è
sempre stato un potere magico. Non è sempre stato il potere di cambiare
forma. Quello è venuto dopo. All'inizio, eravamo spiriti guerrieri».
Non avevo mai notato il
tono maestoso della voce di Billy Black, forse perché quando parlava di
pesci e dodgeball non era la stessa cosa che autoproclamarsi spirito
guerriero, ma in quel momento mi resi conto dell'autorità che era in
grado di esercitare.
La penna della ragazza con la cicatrice si muoveva velocissima sul foglio, cercando di stargli al passo.
«All'inizio, la tribù si
stabilì in questo golfo e divenimmo abili pescatori e costruttori di
barche. Ma la tribù era piccola e il golfo ricco di pesce. Altri
desideravano la nostra terra, ma noi eravamo troppo pochi per
difenderla. Una tribù più numerosa ci attaccò e noi ricorremmo alle
nostre barche per scappare».
Anvedi gli spiriti guerrieri. Poi Billy citò un nome che non avevo mai sentito prima con tranquillità, confondendomi:
«Kaheleha non fu il
primo spirito guerriero, ma non ricordiamo le storie che lo precedono.
Non ricordiamo chi fu il primo a scoprire questo potere o se esso fosse
stato già usato. Nella nostra storia Kaheleha è stato il primo grande
Spirito Supremo e in quel terribile frangente usò la magia per difendere
la nostra terra: lui e i guerrieri lasciarono la barca non con il
corpo, ma con lo spirito. Le loro donne vegliarono sui corpi e sulle
onde, mentre gli spiriti degli uomini tornavano al golfo. Non potevano
toccare la tribù nemica, ma avevano altre risorse. Le storie ci narrano
che potevano soffiare poderosi venti negli accampamenti nemici; nel
vento potevano sollevare urla terribili per spaventare i rivali. Le
storie ci narrano anche che gli animali potevano vedere gli spiriti
guerrieri, e che li capivano; gli animali erano dalla loro parte.
Kaheleha guidò il suo esercito di spiriti e seminò distruzione tra gli
aggressori. La tribù di invasori aveva branchi di cani enormi, dal pelo
foltissimo, che trainavano le loro slitte tra i ghiacci del nord. Gli
spiriti guerrieri fecero rivoltare i cani contro i loro padroni, poi
scatenarono una tremenda invasione di pipistrelli, evocandoli dalle
cavità della scogliera. Usarono l'urlo dei venti per aiutare i cani a
confondere gli uomini. I cani e i pipistrelli vinsero. I superstiti
fuggirono, gridando che il nostro golfo era un luogo maledetto».
La mia parte pragmatica e
razionale non poté fare a meno di pensare che cani e pipistrelli erano
tra i primi a venire affetti da casi di rabbia se la patologia si
presentava in una data zona, contagiandosi addirittura a vicenda.
Soprattutto i pipistrelli, che volando sorvolavano territori vasti e poi
dormivano con larghi gruppi di altri esemplari, rendevano facilissimo
alla rabbia spargersi tra loro.
In effetti, fossi stata
al posto di questi amerindi dei ghiacci, anche io mi sarei spaventata a
fronteggiare pipistrelli e cani rabbiosi.
Tuttavia cercai di
scacciare il pensiero: ero circondata da licantropi, chi mi diceva che
non ci fosse qualche stregone in grado di compiere queste magie tra i
Quileute?
«Quando gli spiriti
guerrieri li liberarono, i cani tornarono alla vita selvaggia. Gli
uomini Quileute raggiunsero i propri corpi e le proprie mogli,
vittoriosi. Le altre tribù vicine, gli Hoh e i Makah, strinsero un patto
con i Quileute. Non volevano avere niente a che fare con la nostra
magia. Vivemmo in pace con loro».
Una lingua di fuoco si
levò e dissolse quasi coprendomi la visuale del viso rugoso di Billy,
crepitando. La ragazza con la cicatrice sembrava molto divertita da
questa parte della storia, appoggiata ora alla spalla di Sam.
«Quando un nemico
provava ad attaccarci, gli spiriti guerrieri lo scacciavano. Trascorsero
diverse generazioni. Poi arrivò l'ultimo Spirito Supremo, Taha Aki. Era
celebre per la sua saggezza e la sua indole pacifica. La gente viveva
felice e serena sotto la sua protezione. Ma c'era un uomo, Utlapa, che
non era sereno».
Un sibilo cupo corse attorno al fuoco; non feci in tempo a vedere da dove arrivava. Billy lo ignorò e proseguì con la leggenda.
«Utlapa era uno dei più
forti spiriti guerrieri del Supremo Taha Aki. Un uomo molto potente, ma
anche molto avido. Pensava che il nostro popolo dovesse usare la magia
per espandere il proprio territorio, per rendere schiavi gli Hoh e i
Makah e costruire un impero. Ora, quando i guerrieri erano nei loro
spiriti, potevano leggere ognuno i pensieri dell'altro. Taha Aki vide
quali erano i sogni di Utlapa e si adirò con lui. Utlapa ricevette
l'ordine di lasciare la tribù e di non usare mai più il suo spirito.
Utlapa era un uomo forte, ma i guerrieri del Supremo erano in gran
numero. Non ebbe altra scelta che andarsene. Furioso, l'uomo si nascose
nella foresta vicina, in attesa dell'occasione per vendicarsi sul
Supremo».
Che episodio straordinario di Dragonball che ne sarebbe potuto venir fuori.
«Anche in tempo di pace,
lo Spirito Supremo vigilava per proteggere la sua gente. Spesso andava
in un luogo segreto fra le montagne. Lasciava il suo corpo lì e scendeva
attraverso le foreste e lungo la costa, per allontanare le minacce. Un
giorno che Taha Aki partì per compiere il suo dovere, Utlapa lo seguì.
All'inizio, Utlapa pensò semplicemente di ucciderlo, ma questo piano
presentava degli svantaggi. Di sicuro gli spiriti guerrieri avrebbero
cercato di distruggerlo ed erano in grado di seguirlo più veloci di
quanto lui non potesse scappare. Mentre si nascondeva fra le rocce e
osservava il Supremo prepararsi a lasciare il suo corpo, gli venne in
mente un altro piano.
Taha Aki lasciò il suo
corpo nel luogo segreto e volò con il vento per vegliare sulla sua
gente. Utlapa aspettò, finché non fu sicuro che lo spirito del Supremo
non si fosse allontanato abbastanza. Quando Utlapa lo raggiunse nel
mondo degli spiriti, Taha Aki se ne accorse subito e intuì anche il suo
piano omicida. Tornò rapido al luogo segreto, ma neanche i venti furono
così veloci da salvarlo».
C'era da dire, pensai,
che Utlapa si era salvato le chiappe per un soffio. Cosa sarebbe
successo se ci fossero stati altri spiriti guerrieri sul piano
immateriale in quel momento?
«Al suo arrivo, il suo
corpo era già sparito. Il corpo di Utlapa giaceva abbandonato, ma Utlapa
non aveva lasciato a Taha Aki vie di fuga: aveva sgozzato il proprio
corpo con le mani di Taha Aki.
Taha Aki seguì il suo
corpo lungo la montagna. Urlò a Utlapa, ma Utlapa lo ignorò, come se
fosse il vento. Disperato, Taha Aki vide Utlapa prendere il suo posto
come capo dei Quileute. Per qualche settimana, Utlapa non fece altro che
assicuarsi che tutti lo credessero il vero Taha Aki. Poi le cose
iniziarono a cambiare e il primo editto di Utlapa fu impedire a ogni
guerriero di entrare nel mondo degli spiriti. Dichiarò di avere avuto
una visione, un presagio, ma in realtà aveva paura. Sapeva che Taha Aki
avrebbe atteso quell'occasione per raccontare la verità. Inoltre, Utlapa
stesso aveva paura di entrare nel mondo degli spiriti, perché sapeva
che Taha Aki avrebbe subito reclamato il proprio corpo. Così i suoi
desideri di conquista grazie all'esercito di spiriti guerrieri divennero
irrealizzabili e cercò di accontentarsi del potere che aveva sulla
tribù. Divenne un parassita, pretese privilegi che Taha Aki non aveva
mai reclamato, si rifiutò di lavorare con i suoi guerrieri, ebbe una
seconda moglie, più giovane di lui, e poi una terza, malgrado la prima
fosse ancora viva, cosa inaudita per la tribù. Taha Aki osservava,
furioso ma impotente. Alla fine, Taha Aki provò a uccidere il proprio
corpo per salvare la tribù dagli eccessi di Utlapa. Fece scendere un
lupo feroce dalle montagne, ma Utlapa si nascose dietro i suoi
guerrieri. Quando il lupo uccise un giovane che cercava di proteggere il
capo impostore, Taha Aki si sentì devastare dal dolore. Ordinò al lupo
di andarsene».
Aida sospirò dal suo
posto, chiaramente udibile. Mi resi conto che ormai eravamo tutti così
silenziosi che il crepitio di fuoco sembrava musica in sottofondo, e
persino un sospiro sembrava risuonare forte.
L'espressione di Billy, da autorevole che era, si fece addirittura grave.
«Le storie narrano che
non era facile essere spirito guerriero. Liberarsi del proprio corpo era
più spaventoso che esaltante. Ecco perché quel potere veniva usato solo
in caso di necessità. I viaggi solitari di perlustrazione del capotribù
erano uno sforzo e un sacrificio. Essere senza corpo turbava; era
scomodo, orribile. Taha Aki era stato lontano dal suo corpo così a lungo
che ormai viveva nei tormenti. Si sentiva condannato: non avrebbe mai
potuto attraversare l'Ultima Terra, dove i suoi antenati lo aspettavano.
Sarebbe rimasto bloccato per sempre nello strazio di quel nulla. Il
grande lupo seguì lo spirito di Taha Aki nei boschi, mentre si
contorceva fra i tormenti. Il lupo era molto grande per la sua razza, e
bellissimo. All'improvviso Taha Aki si sentì invidioso dell'animale. Non
sapeva parlare, ma almeno aveva un corpo. Una vita. Persino vivere da
animale sarebbe stato meglio di quell'orribile coscienza incorporea.
Così Taha Aki ebbe l'idea che ha cambiato il destino di tutti noi».
Cominciavo ad indovinare come questa storia avrebbe potuto ricollegarsi a quei licantropi seduti attorno al fuoco.
«Chiese al grande lupo
di fargli spazio nel suo corpo, di dividerlo con lui. Il lupo
acconsentì. Taha Aki entrò nel corpo del lupo con sollievo e
gratitudine. Non era il suo corpo umano, ma era meglio del vuoto del
mondo degli spiriti.
Ormai erano divenuti una
cosa sola, l'uomo e il lupo tornarono al villaggio sul golfo. La gente
scappò impaurita, invocando l'arrivo dei guerrieri che accorsero per
colpire il lupo con le loro lance».
Mi voltai verso Omaha,
che mi stava strizzando la mano che le avevo offerto. La mia protesta
bisbigliata morì sul nascere quando vidi la sua espressione. Sembrava
fortemente mossa dalla storia, annuendo ogni tanto.
La lasciai stare e
continuai a concentrarmi sulla storia. Dal canto mio, mi chiedevo quanto
fossero paurosi questi vecchi Quileute a chiamare tutti i guerrieri con
le lance per un lupo solo e bellissimo, che probabilmente non correva
in giro ringhiando e sbavando a meno che Taha Aki non avesse avuto seri
problemi, e a correre strillando a destra e a manca.
«Utlapa, ovviamente,
rimase ben nascosto al sicuro. Taha Aki non attaccò i propri guerrieri.
Si ritirò lentamente, parlando loro con gli occhi e cercando di guaire
le canzoni del suo popolo, I guerrieri iniziarono a capire che quel lupo
non era un animale qualunque, che era sotto l'influenza di uno spirito.
Uno dei guerrieri più anziani, un uomo di nome Yut, decise di
disobbedire all'ordine del capo impostore e provò a comunicare con il
lupo. Non appena Yut ebbe fatto ingresso nel mondo degli spiriti, Taha
Aki lasciò il lupo, in docile attesa del suo ritorno, per parlare con
lui. In un attimo Yut comprese la verità e salutò il ritorno del suo
vero Capo Supremo. In quel momento arrivò Utlapa, per vedere se il lupo
era stato sconfitto. Quando vide il corpo di Yut giacere a terra senza
vita, protetto dagli altri guerrieri, capì cos'era accaduto. Sfoderò il
coltello e si affrettò ad uccidere Yut prima che potesse tornare al suo
corpo.
"Traditore" Gridò,
mentre i guerrieri non sapevano cosa fare. Il capo aveva stabilito che
era proibito tornare nel mondo degli spiriti, e spettava a lui decidere
come punire i trasgressori. Yut saltò di nuovo nel suo corpo, ma Utlapa
gli puntava già il coltello alla gola e con una mano gli copriva la
bocca. Il corpo di Taha Aki era forte, mentre Yut era già avanti con gli
anni. Yut non ebbe il tempo di dire neanche una parola per avvisare gli
altri, perché Utlapa lo ridusse per sempre al silenzio. Taha Aki vide
lo spirito di Yut entrare in quelle ultime terre che a lui erano bandite
per l'eternità. Provò una grande rabbia, più intensa di qualsiasi
sensazione avesse mai provato. Entrò di nuovo nel corpo del grande lupo,
deciso a sgozzare Utlapa. Ma, non appena fu di nuovo dentro al lupo,
avvenne la grande magia.
La rabbia di Taha Aki
era la rabbia di un uomo. L'amore che provava per la sua gente e l'odio
contro il suo oppressore erano troppo vasti, troppo umani per il corpo
di un lupo».
Per qualche motivo,
quelle parole non mi piacquero. Sapevo che gli umani sono in grado di
elaborare tipi di emozioni molto complessi, sicuramente più della
maggior parte di quelli del mondo animale, ma quelle parole sembravano
sminuire la capacità di amare di qualunque altro essere vivente. Forse
era perché avevo Dracula a casa ad aspettarmi, un animale che sapevo
contraccambiava tutto il mio amore e che faceva di tutto per
dimostrarmelo, forse era perché il lupo del racconto era stato mostrato
come una creatura intelligente e complessa, capace di accettare uno
spirito in pena nel proprio corpo solo per compassione, ma quelle parole
non mi piacquero.
«Il lupo iniziò a
tremare e, davanti agli occhi sconvolti dei guerrieri e di Utlapa, si
trasformò in uomo. Il nuovo uomo non somigliava a Taha Aki. Era molto
più grande. Era l'incarnazione terrena dello spirito di Taha Aki;
tuttavia i guerrieri lo riconobbero all'istante, perché avevano volato
con lui in forma di spirito. Utlapa provò a scappare, ma nel suo nuovo
corpo Taha Aki possedeva la forza del lupo. Afferrò l'impostore e ne
distrusse lo spirito prima che potesse uscire dal corpo rubato.
Una volta capito cos'era
successo, la gente si rallegrò. Taha Aki rimise velocemente le cose a
posto, tornando a lavorare con il suo popolo e restituendo le giovani
spose alle loro famiglie. L'unico cambiamento che mantenne in vigore fu
la fine dei viaggi nella terra degli spiriti. Ora che la possibilità di
rubare una vita ad altri si era fatta concreta, egli sapeva che quei
viaggi erano troppo pericolosi. Gli spiriti guerrieri scomparvero per
sempre. Da quel momento, Taha Aki fu più di un semplice uomo e più di un
lupo. Fu battezzato Taha Aki il Grande Lupo, o Taha Aki l'Uomo
Spirito».
Ma non era un Uomo
Spirito già da prima? Voglio dire, faceva i viaggi astrali, "volava" con
i suoi uomini: secondo me non c'era bisogno di battezzarlo Uomo Spirito
proprio ora che aveva bandito i viaggi astrali e che, quindi, non
faceva più l'uomo spirito.
«Guidò la tribù per
molti, molti anni, senza più invecchiare. Quando un pericolo si
avvicinava, assumeva l'identità di lupo per combattere o spaventare il
nemico. La gente visse in pace. Taha Aki fu padre di molti figli e
figlie e questi, divenuti adulti, scoprirono che anch'essi potevano
trasformarsi in lupi. I lupi erano tutti diversi l'uno dall'altro,
poiché erano spiriti e riflettevano l'uomo che c'era dentro di loro».
Io mi guardai attorno
incuriosita. Mi sentivo come se fossi andata al cinema con i miei amici
conoscendone già il finale, e non potevo fare a meno di guardarmi
attorno per vedere se qualcuno avesse colto quel "figlie e figlie".
Tuttavia i giovani ragazzi-lupo non sembravano aver colto un bel
niente, a parte forse Sam, che aveva le sopracciglia aggrottate e
guardava di tanto in tanto Ayita di sottecchi come a chiedersi che ci
facesse lì.
«Ah, ecco perché Sam è
tutto nero» Bofonchiò Quil sotto voce, ridendo «Cuore nero, pelo nero».
Ovviamente anche Quil non sapeva parlare sottovoce, lo sentii da dov'ero
senza difficoltà. Evidentemente, mugghiare equivaleva a bisbigliare per
i licantropi di La Push.
«La tua anima è a macchiette» Fece Omaha a Lara in tono accusatorio
«Perché sono un po' un dalmata»
«No, sono tutti i tuoi peccati che si mostrano ai nostri occhi».
Il fuoco lanciò una scarica di scintille in cielo, che tremarono e danzarono, componendo forme quasi indecifrabili.
«E il tuo pelo color cioccolato cosa rappresenta?» Sussurrò Sam in risposta a Quil, perfettamente udibile «Quanto sei dolce?».
Billy ignorò la
schermaglia. «Alcuni dei figli divennero guerrieri insieme a Taha Aki, e
non invecchiarono più. Altri, che non amavano la trasformazione,
rifiutarono di unirsi al branco degli uomini-lupo. Iniziarono di nuovo
ad invecchiare e la tribù scoprì che anche gli uomini-lupo sarebbero
cresciuti come tutti gli altri, se avessero rinunciato ai loro spiriti.
La vita di Taha Aki durò quanto quella di tre uomini. Dopo la morte
delle prime due, prese una terza moglie ed in lei trovò la compagna
migliore per il suo spirito. Aveva amato le altre, ma per lei sentiva
qualcosa di diverso. Decise di rinunciare al suo spirito di lupo, per
morire insieme a lei.
Questo è il racconto di come la magia è giunta fino a noi... ma non è la fine della storia...».
Poi guardò il vecchio
Quil Ateara, che si spostò sulla sedia, raddrizzando le spalle fragili.
Billy bevve da una bottiglia d'acqua e si asciugò la fronte. La ragazza
con la cicatrice aveva trascritto senza sosta.
«Quella era la storia
degli spiriti guerrieri» Cominciò il vecchio Quil con flebile voce
tenorile «Questa è la storia del sacrificio della terza moglie.
Molti anni dopo la
rinuncia di Taha Aki al proprio spirito di lupo, quando era ormai
vecchio, a nord ci furono problemi con la tribù dei Makah. Molte loro
giovani erano scomparse e di ciò incolpavano i lupi, verso i quali
provavano paura e diffidenza. Quando assumevano le sembianze
dell'animale, gli uomini-lupo potevano ancora leggersi nel pensiero,
proprio come i loro antenati facevano da spiriti. Sapevano che nessuno
di loro era colpevole di quel misfatto. Taha Aki provò a rasserenare il
capo Makah, ma la paura era troppa. Taha Aki non voleva trovarsi in
guerra. Non aveva più l'età per guidare la sua gente da guerriero.
Incaricò il suo figlio-lupo maggiore, Taha Wi, di trovare i colpevoli
prima che iniziassero le ostilità».
Ma perché, mi chiesi,
lo chiamava figlio-lupo? Era comunque figlio suo, no? E i figli che non
si trasformavano in lupi erano figli-uomo? E poi, madonna mia, i
Quileute vivevano davvero in pace con le altre tribù se per ogni
problema incolpavano loro.
Decisi che avrei chiamato Jake figlio-lupo per la settimana seguente.
«Taha Wi guidò gli
altri guerrieri-lupo del suo branco in missione sulle montagne, in cerca
di qualche indizio delle Makah scomparse. Trovarono qualcosa di
assolutamente nuovo per loro: uno strano, dolce odore nella foresta, che
bruciava il naso fino a far male».
Mi strinsi al fianco di Jacob. Vidi l'angolo della sua bocca contrarsi divertito e mi cinse con un braccio.
«Non sapevano quale
creatura lasciasse un tale odore, ma la seguirono» Continuò il vecchio
Quil. La sua voce vibrante non aveva la stessa maestà di quella di
Billy, ma irradiava un tono pressante, strano e vigoroso. Con il ritmo
del racconto aumentarono anche i battiti del mio cuore.
«Lungo il percorso
trovarono deboli tracce di odore e sangue umani. Senz'altro era quello
il nemico che stavano cercando. Il viaggio li aveva spinti così lontano
verso nord che Taha Wi decise di rimandare indietro metà del branco, i
tre lupi più giovani, per riferire a Taha Aki ciò che avevano scoperto.
Ma Taha Wi e i suoi due fratelli non fecero mai ritorno. I minori
cercano quelli maggiori, ma trovarono soltanto silenzio. Taha Aki mise
il lutto per i suoi figli. Avrebbe voluto vendicarne la morte, ma era
vecchio»
Sicuro. Avrebbe voluto vendicarne la morte, ma si sa, i vecchi non vendicano.
«Andò dal capo dei
Makah e gli raccontò tutto ciò che era accaduto. Il capo dei Makah
credette al suo dolore e la tensione fra le due tribù finì. Un anno
dopo, una notte, due fanciulle Makah scomparvero dalle loro case. I
Makah chiamarono subito i lupi Quileute, che riconobbero nel villaggio
lo stesso odore dolce sentito nella foresta».
Dolce? Avevo sempre
pensato che i licantropi sentissero un odore tutt'altro che dolce, date
le loro reazioni. In realtà aveva senso che fosse dolce: io lo avevo
percepito freddo e floreale, come una sorta di ibisco surgelato, era
difficile che loro percepissero qualcosa di completamente diverso.
Era intrigante sentire
il loro punto di vista: per i licantropi era un puzzo dolce e
disgustoso. Immaginai che fosse come per noi l'odore di tanta frutta
marcia oppure proprio di cadavere.
«I lupi si misero di
nuovo in caccia. Solo uno tornò vivo. Era Yaha Uta, il figlio maggiore
della terza moglie di Taha Aki, e il più giovane del branco. Aveva
portato con sé qualcosa che non si era mai visto in tutta la storia dei
Quileute: uno strano cadavere, duro come la pietra, che aveva fatto a
pezzi. Tutti i consanguinei di Taha Aki, anche coloro che non si erano
mai trasformati in lupi, sentivano l'odore penetrante di quella creatura
senza vita. Ecco chi era il nemico dei Makah.
Yaha Uta raccontò
cos'era accaduto: lui e i suoi fratelli avevano sorpreso la creatura –
che aveva l'aspetto di un uomo, ma era duro come una roccia – con le due
fanciulle Makah. Una delle due ragazze era giù morta, riversa a terra
pallida e dissanguata. L'altra era intrappolata tra le braccia della
creatura, con la gola sotto la sua bocca. Forse era ancora viva quando
sorpresero l'orrenda scena, ma all'avvicinarsi dei lupi la creatura le
spezzò subito il collo e ne gettò a terra il corpo inanimato. Le sue
labbra bianche erano coperte di sangue e gli occhi emettevano un
bagliore rosso. Yaha Uta descrisse la forza maestosa e la velocità della
creatura. Uno dei fratelli l'aveva sottovalutata e fu il primo a
caderne vittima: la creatura lo squarciò come una bambola. Yaha Uta e
gli altri furono più guardinghi. Si mossero insieme, avvicinandosi alla
creatura dai lati, cercando di vincerla con l'astuzia. Avrebbero dovuto
sfruttare fino al limite la loro forza e la velocità di lupi, come mai
prima di allora. La creatura era dura come la pietra e fredda come il
ghiaccio. Scoprirono che solo con i denti avrebbero potuto ferirla.
Mentre si battevano, iniziarono a farla a brandelli, strappandole la
carne a morsi. Ma la creatura imparava velocemente e presto capì come
contrattaccare. Mise le mani sulla sorella di Yaha Uta. Yaha Uta trovò
un varco sulla gola della creatura e le si scagliò contro. Con i denti
le staccò la testa, ma le sue mani non smettevano di stritolare la
sorella. Yaha Uta ridusse la creatura a brandelli, nel disperato
tentativo di salvarla. Era troppo tardi per riuscirsi, ma alla fine ebbe
la meglio sul mostro. O così pensavano tutti».
Finalmente vidi qualche
espressione di sconcerto dipingersi su alcuni dei volti, mentre Quil
pronunciava con tranquillità la parola "sorella". Dovevano aver sentito
molte volte questa storia ormai, e non capivano perché mai Quil la
stesse alterando. Avrebbero capito presto.
La ragazza con la
cicatrice continuava a scrivere, ma alzava spesso gli occhi verso Quil,
con un'espressione tanto confusa da essere quasi offesa. Eppure nessuno
osò interrompere il racconto del vecchio.
«Yaha Uta fece
esaminare dagli anziani i brandelli puzzolenti che aveva raccolto.
Accanto al braccio di granito del mostro giaceva una mano, staccata.
Quando gli anziani iniziarono a tastarla con dei bastoncini, i due
monconi si toccarono e la mano si mosse verso il braccio cercando di
riattaccarsi. Terrorizzati, gli anziani diedero fuoco ai resti. Una
grande nube di fumo, intossicante e nauseabondo, avvelenò l'aria».
Nella mia mente Quil
Senior e Billy accovacciati punzecchiavano come bambini un braccio
staccato di Capelli-pazzi con forza crescente, per poi strillare e
dargli fuoco. Non era una scena molto seria.
Comunque era vero, io e
Undertaker sapevamo quanto disgustoso fosse il puzzo di un vampiro
bruciato, specie in un cassonetto assieme al resto della spazzatura.
«Alla fine separarono
le ceneri in tanti piccoli sacchetti e li sparpagliarono ovunque: alcuni
nell'oceano, altri nella foresta o nelle grotte della scogliera. Taha
Aki ne conservò uno e se lo legò al collo: se mai la creatura avesse
provato a ricomporsi di nuovo, l'avrebbe saputo».
Che bel ricordino. Quil
il vecchio fece una pausa e guardò Billy. Billy mostrò il nastrino di
cuoio che portava al collo. Da un'estremità penzolava un sacchetto,
scurito dal tempo. Qualcuno sussultò. Probabilmente lo feci anch'io.
«Lo chiamarono il
Freddo, o il Bevitore di Sangue, e vissero nel tormento che non fosse
solo. Ormai era rimasto un solo lupo protettore, il giovane Yaha Uta.
Non dovettero aspettare a lungo per scoprire la verità. Il mostro aveva
una compagna, un'altra Bevitrice di Sangue, che giunse nel villaggio dei
Quileute in cerca di vendetta.
Le storie narrano che
la Fredda era la cosa più bella che occhi umani avessero mai visto. Quel
giorno, quando entrò nel villaggio, sembrava la dea del mattino: il
sole, che brillava come non mai, faceva scintillare la sua pelle bianca e
accendeva i capelli dorati che le scendevano fino alle ginocchia. Il
suo volto possedeva una bellezza magica, gli occhi erano neri nel viso
bianchissimo. Qualcuno, vedendola, cadde ai suoi piedi per adorarla. Lei
chiese qualcosa con voce acuta, penetrante, in una lingua che nessuno
comprendeva. Tutti restarono basiti, non sapevano cosa risponderle. Fra i
testimoni dell'evento non c'era nessun consanguineo di Taha Aki, tranne
un bambino. Si strinse a sua madre e gridò che l'odore gli faceva male
al naso. Un anziano, che si stava recando al consiglio, lo udì e capì
chi era giunto fra loro. Gridò alla gente di scappare»
Il bambino gridava "Che
puzza! Mi fa male al naso!", l'anziano gridava "Scappate!". Ora avevo
capito come mai tutti i Quileute gridavano invece di sussurrare: solo
grazie ai gridatori i loro branchi sopravvivevano.
«Fu il primo ad essere
ucciso. In venti assistettero all'arrivo della Fredda. Ne sopravvissero
due, solo perché tutto quel sangue la distrasse e la costrinse a placare
la propria sete. Corsero da Taha Aki, seduto in consiglio con gli altri
anziani, i figli e la sua terza moglie. Non appena udì la notizia, Yaha
Uta si trasformò in spirito lupo. Si diresse da solo a distruggere la
bevitrice di sangue. Taha Aki, la terza moglie, i figli e gli anziani lo
seguirono».
Yaha Uta si diresse da
solo? E allora come mai Taha Aki, la terza moglie, i figli, gli anziani e
probabilmente anche gli alieni e la regina di Inghilterra erano con
lui? Non osai domandarlo.
«All'inizio non
trovarono la creatura, ma solo le tracce della sua carneficina. C'erano
cadaveri a brandelli, alcuni prosciugati di tutto il sangue, sparsi
lungo la strada da dove era apparsa. Poi udirono le grida e corsero
verso il golfo dove alcuni Quileute si erano rifugiati sulle barche.
Lei, che li stava inseguendo in acqua nuotando come uno squalo, sfondò
una prua con forza incredibile. Mentre la barca affondava, prese quelli
che cercavano di fuggire a nuoto e straziò anche i loro corpi. Quando
vide il grande lupo sulla spiaggia ignorò i fuggitivi. Nuotò così veloce
che era difficile vederla ed arrivò, bagnata e trionfante, davanti a
Yaha Uta. Lo indicò con il suo dito bianchissimo e gli fece un'altra
domanda incomprensibile. Yaha Uta attese. Fu una dura battaglia»
L'attesa fu una dura battaglia?
«Come guerriera, lei
non valeva il suo compagno. Ma Yaha Uta era solo. Non c'era nessuno a
distrarre la furia della Fredda. Yaha Uta fu sconfitto e Taha Aki iniziò
a urlare in segno di sfida. Zoppicò in avanti e si trasformò in un lupo
anziano, dal muso bianco. Il lupo era vecchio, ma era Taha Aki l'Uomo
Spirito e la sua rabbia lo rendeva più forte. La battaglia ricominciò.
La terza moglie di Taha Aki aveva appena visto il figlio morire. Ora suo
marito stava lottando e lei sapeva che non c'erano speranze di
vittoria».
I vampiri portavano
distruzione e disperazione ovunque andassero. Immaginai la moglie di
Taha Aki impotente, il corpo del figlio ancora giovane ed ancora caldo
immobile sulla spiaggia, e il lupo che fronteggiava la bellissima
assassina.
Se avessi parlato di
questa storia ai Cullen, probabilmente avrebbero cercato di dipingere
come romantico il gesto della Fredda, tornare a vendicare il compagno
caduto. Edward avrebbe fatto il santo, assumendo quell'aria cupa da
complessato che gli oscurava i lineamenti all'improvviso, dicendo che
non avrebbe mai potuto condonare le azioni del maschio. Ma la femmina
aveva massacrato un ragazzo coraggioso ed innocente per amore, aveva
attaccato Quileute indifesi perché era impazzita dal dolore. Ero sicura
che parlando con i Cullen, avrebbero detto che la loro simile era
meritevole di compassione.
Esattamente come
Edward, che sentiva di poter condonare qualunque cosa avesse fatto
proclamandosi un mostro e dicendo di amarmi, come se questo avesse
aggiustato tutto.
Sentii una sensazione sgradevole simile alla nausea.
«La terza moglie aveva
ascoltato ogni parola di ciò che i testimoni della carneficina aveva
riportato al consiglio. Aveva sentito la storia della prima vittoria di
Yaha Uta e sapeva che era stato l'intervento di suo fratello a salvarlo.
La terza moglie prese un coltello dalla cintura di uno dei figli che le
stavano accanto. Erano tutti ancora giovani, non ancora uomini né
donne, e sapeva che sarebbero morti se il padre fosse stato sconfitto.
La terza moglie corse verso la Fredda sollevando il pugnale. La Fredda
sorrise, distraendosi appena dalla lotta contro il vecchio lupo. Non
temeva la debole donna né il coltello che non le avrebbe neppure
graffiato la pelle. Era sul punto di sferrare l'attacco mortale a Taha
Aki. Ma in quel momento la terza moglie fece qualcosa che la Donna
Fredda non si aspettava. Cadde in ginocchio ai piedi della bevitrice di
sangue e affondò il coltello nel proprio cuore. Il sangue scrosciò fra
le dita della terza moglie e schizzò contro la fredda. La bevitrice non
resistette alla tentazione del sangue fresco. Istintivamente si girò
verso la donna morente, preda, per un secondo, della sua stessa sete. I
denti di Taha Aki si serrarono sulla sua gola. La lotta non era ancora
finita, ma ora Taha Aki non era solo. Alla vista della madre morente,
due giovani figli provarono una rabbia enorme, capace di dare vita al
loro spirito lupo, malgrado fossero solo ragazzi. Insieme al padre,
finirono il mostro».
Omaha accanto a me sospirò, gli occhi fissi sul vecchio Quil.
«Taha Aki non si riunì
mai più alla tribù. Non riprese mai più le fattezze umane. Per un giorno
intero restò sdraiato accanto al corpo della terza moglie, ringhiando a
chiunque cercasse di toccarla; poi andò nella foresta e non tornò mai
più. Da quel momento in poi, gli scontri con i Freddi capitarono di
rado. I figli di Taha Aki vigilarono sulla tribù finché i loro figli
furono grandi abbastanza da ereditarne il posto. Non si trasformarono
mai in più di tre lupi alla volta. Era abbastanza. Di tanto in tanto un
bevitore di sangue attraversava questi territori, ma veniva colto di
sorpresa, non sapendo dei lupi. A volte un lupo moriva, ma non furono
mai più decimati com'era accaduto la prima volta. Avevano imparato a
combattere i Freddi e si erano tramandati tale conoscenza di lupo in
lupo, da mente a mente, da spirito a spirito, da padre in figlio, da
madre in figlia. Il tempo trascorse e i discendenti di Taha Aki non si
trasformarono più in lupi, raggiunta l'età adulta. I lupi sarebbero
tornati solo in caso di necessità, nel caso in cui un Freddo si fosse
avvicinato di nuovo. I Freddi giunsero sempre da soli o in due, e il
branco restò piccolo. Giunse una congrega più grande e i vostri bisnonni
si prepararono a combatterla. Ma il capo dei nuovi venuto parlò a
Ephraim Black con i modi di un uomo e gli giurò di non voler fare del
male ai Quileute. I suoi strani occhi gialli, in qualche modo, provavano
ciò che diceva: lui era diverso dagli altri bevitori di sangue. I lupi
erano in svantaggio numerico: non aveva senso che i Freddi cercassero
una tregua, quando avrebbero potuto vincerli. Ephraim accettò. I Freddi
hanno sempre rispetto il patto, benché la loro presenza tenda ad
attirarne altri. E il loro numero ha indotto il branco a ingrandirsi
quanto mai prima» Disse il vecchio Quil, e per un attimo i suoi occhi
neri, sepolti in una cornice di rughe, sembrarono soffermarsi su di me,
«Eccetto, ovviamente, che all'epoca di Taha Aki» disse «Perciò, oggi, i
figli della nostra tribù portano il nuovo fardello, e condividono il
sacrificio che i loro padri hanno sopportato prima di loro».
Per un momento
interminabile rimase tutto in silenzio. I discendenti della leggenda e
della magia si fissarono l'un l'altro attraverso il fuoco con la
tristezza negli occhi. Beh, non tutti.
«Fardello» Schernì una voce bassa «Secondo me è una figata». Il labbro pieno di Quil si gonfiò in un broncio.
Dall'altra parte del
fuoco morente, Seth Clearwater – gli occhi pieni di adulazione per la
fratellanza dei protettori della tribù – annuì il proprio consenso.
«A me piace un casino» Disse Lara
«Si era capito, macchiette» la prese in giro Jake accanto a me, allegro
«Cos'è questa storia delle macchiette?» Chiese l'amico che inizava per E di Jake
«Lo saprai presto» ammiccò Lara.
Billy ridacchiò piano e
a lungo e la magia sembrò dissolversi nella brace scintillante.
All'improvviso era di nuovo un cerchio di amici. Uno dei ragazzi-lupo
più massicci tirò un sassolino a Quil e tutti risero del suo spavento.
Iniziò un chiacchiericcio sommesso, scherzoso e informale.
Gli occhi di Leah
Clearwater non si aprirono. Mi parve di vedere qualcosa scintillare per
un istante sulla sua guancia, forse una lacrima.
Né io né Jacob
parlammo. Era immobile accanto a me, il respiro tanto profondo e
regolare che pensai che stesse per addormentarsi. Io stavo pensando se
andare o meno ad aiutare Leah, ma ricordavo l'espressione sarcastica e
quasi sprezzante con cui aveva risposto a chiunque l'avesse appocciata. E
se l'avessi messa in imbarazzo, avvicinandomi? E se si fosse
arrabbiata, disprezzando la mia compassione? E se stava benissimo ed era
solo una di quelle persone che si commuovono per i racconti epici, ed
in realtà non stava male?
Insomma, anche se
pensai di essere una codarda, non mi alzai per andare a consolarla. Mi
sembrò che farlo sarebbe stato più invadente ed insensibile di quanto
sarebbe stato non farlo.
Invece, mi persi quasi a
fantasticare sui personaggi della storia che avevo appena ascoltato. Mi
sarebbe piaciuto avere Dracula con me in quel momento, ad impastarmi i
pantaloni con quelle zampette ed osservare il fuoco, e mi ripromisi di
portarlo qualche volta.
Tuttavia non era a Yaha
Uta che pensavo o agli altri lupi, e neppure alla bellissima Fredda,
che potevo immaginare fin troppo facilmente. No, pensavo a qualcuno che
era totalmente al di fuori della magia. Cercavo di immaginare il viso
della donna senza nome che aveva salvato l'intera tribù, la terza
moglie.
Solo una donna umana,
senza doni né poteri speciali. Fisicamente più debole e lenta di
qualunque altro mostro della storia. Proprio come me.
Ma era stata lei la chiave, la soluzione. Aveva salvato il marito, i suoi giovani figli, la tribù.
Avrei voluto conoscere il suo nome.
Era davvero stato
necessario il suo sacrificio? O perlomeno, era stato davvero necessario
che si uccidesse, che si colpisse al cuore? Se era solo il sangue a cui
la Fredda anelava, non avrebbe avuto lo stesso effetto tagliarsi la
fronte o un polso, che sanguinano abbondantemente senza garantire la
morte della persona lesa?
Qualcosa mi scosse il
braccio, risvegliandomi dai miei pensieri. «Forza, Bells» Mi disse Jacob
all'orecchio. Il suo tono era allegro come al solito, ma appena velato
di stanchezza. Un lupone in piena pubertà come lui di sicuro aveva
bisogno di pisolare parecchio. «Si è fatto tardi, è ora di andare».
Fece per alzarsi,
issandosi poco cavallerescamente sulla mia spalla, considerando che
c'erano le rocce dietro di noi, ma io lo presi per un polso e scossi la
testa.
«Che c'è, Belarda?».
Anche gli altri
ragazzi-lupo stavano iniziando ad alzarsi e stiracchiarsi, pronti per
andarsene, anche se riluttanti come qualunque giovanotto che debba
abbandonare una comitiva divertente. Invece Ayita, Aida, Omaha e Lara
rimasero ai loro posti.
«La serata non è finita» Gli dissi, con enfasi.
Lui si illuminò e
pensai che avesse capito che intendevo, ma poi se ne uscì con un «Ahh,
perché non ho ancora mangiato la mucca gigante?».
Lo strattonai per la
manica verso il basso, anche se alto com'era ero praticamente appesa a
lui ed in una posizione piuttosto scomoda «No, figlio-lupo. C'è ancora
una storia da raccontare».
E stavolta, glielo lessi negli occhi, aveva capito davvero.
Perso nell'abitudine
delle tradizioni della sua gente, aveva scordato per quale motivo ci
eravamo davvero riuniti tutti quella notte.
«Fermi» Disse il vecchio Quil. I giovani Quileute ubbidirono, straniti.
«Nonno, che c'è?» Fece il giovane Quil, ficcandosi le mani in tasca
«C'è un'altra leggenda da raccontare» scandì Billy, con autorità
«Ma, Billy» il
licantropo lancia-sassolini si passò una mano tra i capelli neri, come
se fosse stato in imbarazzo «Ci avete già raccontato queste storie. Ci
avete raccontato quella di Taha Aki e quella della terza moglie. Non ci
può essere altro da raccontare, se siamo arrivati fino ai giorni nostri»
«C'è ancora molto da dire».
Fu Sue Clearwater a
prendere la parola stavolta. Rivolse un sorriso materno ai ragazzi, con
una punta di preoccupazione e disciplina che può venire naturale solo
negli occhi di una buona madre.
«Prendete posto,
ragazzi. Vi abbiamo raccontato la storia del nostro passato, narrando di
ciò che accadde a Taha Aki e gli spiriti guerrieri. Abbiamo narrato del
sangue versato dagli spiriti-lupo per renderci ciò che siamo e
proteggerci dai Freddi» Il suo sguardo si affilò «Adesso è il momento
che qualcuno vi narri una storia sul futuro, con radici che discendono
molto, molto, molto in profondità nel passato. È il momento che io vi
narri la storia del branco delle donne-lupo Quileute, e di come
bisognerà lottare tutti insieme per proteggerci dal più grande attacco
di Bevitori di Sangue che le nostre famiglie abbiano mai dovuto
fronteggiare».
Sue alzò appena il
mento. I suoi occhi brillavano alla luce del fuoco sempre più basso,
neri, forse troppo antichi per quel viso che si conservava ancora
fresco.
Non mi ero mai accorta
di quanta autorità sprigionassero i membri del consiglio dei Quileute,
forse perché non li avevo mai visti tutti uno accanto all'altro.
Sembravano statue intagliate nel legno, antiche e importanti.
Il vecchio Quil mi rivolse un'altra occhiata, pensieroso. I ragazzi Quileute ripresero posto, silenziosi.
«Donne-lupo?» Ripetè Quil, incredulo «Ma la ragazze non possono...!».
Lara lo salutò con un
sorriso smagliante, agitando la punta delle dita. La ragazza con la
cicatrice voltò pagina ed impugnò nuovamente la penna con
determinazione.
«Stasera, giovani guerrieri» Disse piano Sue «Vi racconterò la storia del branco del Tramonto».
Note degli autori (questa volta sono un po' lunghette e se volete potete saltarle a pie' pari):
Non sentite i brividi di epicità? Finalmente siamo arrivati "al punto".
Il motivo per cui Sunset si chiama Sunset è per via del Branco del
Tramonto (The Sunset Pack). Fra l'altro, mentre trascrivevamo quasi
pedissequamente (ovviamente abbiamo cambiato qualcosina, inserendo anche
le ragazze nella narrazione e tutti i commenti di Belarda) le leggende
Quileute così come narrate in Eclipse di Stephenie Meyer, abbiamo notato
che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato...
Così siamo andati a
informarci un po' meglio sulla cultura Quileute e sulle sue leggende e
possiamo dirvi che la Meyer proprio non ci si è scomodata, ha cannato
sullo "stile" di narrazione tipico, ha cannato sul genere di leggende e
ci ha pure messo una misoginia che in origine non c'era proprio!
Se leggete le leggende
dei Quileute scritte in Eclipse (non come le abbiamo trascritte noi in
Sunset, ma quelle del libro, perché noi ci abbiamo inserito un pizzico
in meno di maschilismo rampante...), notate che si parla solo di
guerrieri, di pescatori, di uomini lupo, di battaglie, dando grande
spicco SOLO ai personaggi di sesso maschile (tranne queste povere mogli
che sono lì solo per essere belle e per sacrificarsi e morire), mentre
nelle leggende originali spesso sono le donne a combattere/uccidere i
mostri! Ma perché 'sta misoginia gratuita da parte di una donna moderna,
esattamente? E poi è un po' irrispettoso delle leggende originali, no?
Ma, per fortuna, ci sono
qui i Cactus di Fuoco che aggiustano le cose! Infatti nel prossimo
capitolo inseriremo una leggenda nello "stile" di quelle Quileute che
racconta la storia del Branco del Tramonto! A proposito, sapete che
questa cosa che la Meyer ha scritto degli "uomini spirito" non ha niente
a che fare con la cultura del popolo Quileute? Infatti loro credono di
discendere dai lupi, ma proprio nel senso che erano lupi normali e sono
stati trasformati in persone da una divinità creatrice.
Un'altra curiosità sui
Quileute che non viene mai citata nei libri, ma che sarebbe stata
interessantissima è che Il linguaggio quileute è una delle sei lingue
conosciute mancanti dei suoni nasali (tipo la N)!
Inoltre le leggende
delle origini dei Quileute sono piene zeppe di animali senzienti, che
parlano come gli umani, pagaiano barche, costruiscono attrezzi ... tutte
cose fighissime da raccontare ma che, ahimé, Stephenie Meyer ha
preferito mettere da parte per raccontare la solita storia de "l'uomo
grosso e forte che protegge la sua famiglia con i superpoteri".
Mettiamoci una pezza, và! Trasformiamo Twilight in Sunset ;)
Ispiraci tu, Bayak il trickster!
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