martedì 20 novembre 2018

Sunset 74 - Un risotto e due amazzoni




In tardo pomeriggio, circa verso le diciannove e mezza, andai a casa di Angela portandomi Dracula appresso.
Forse era la prima volta che organizzavamo di vederci senza Jessica, o almeno la prima che io ricordassi, ma fu davvero piacevole.
I genitori di Angela erano fuori e le avevano lasciato la casa tutta per sé, ma invece di fare colpacci di testa e organizzare mega party, Angela aveva preferito invitare me.
Mi sentivo lusingata che avesse deciso di invitare proprio me, ma in realtà non ero sicura di essere la sua amica preferita, quanto di essere la più tranquilla.
Mi confidò che aveva una cugina che stava per sposarsi, e il fermento che aveva preso la sua famiglia era diventato spossante, come se fosse accaduto chissà quale miracolo. Tutti gli inviti andavano scritti a mano...
«E dobbiamo invitare tantissime persone» gemette Angela «Non so neanche quante. E la scrittura più bella di famiglia ce l'ho io»
«Quindi le fanno scrivere tutte a te?»
«Già. Cioè, quasi. Non avrei mai dovuto imparare l'arte della calligrafia da piccola»
«Perché hai imparato?»
«Non so, mi piaceva. Mi rilassava. Da piccola ero una bambina un po' ansiosa. Quando succedeva qualcosa che non andava, però, potevo sedermi e scrivere». Ebbi l'impressione che se fosse stata una persona appena più aperta o articolata avrebbe avuto ancora molto altro da aggiungere, ma lei si fermò lì e io non chiesi altro.
«Posso capirti» Le dissi «Anche a me piacciono questi momenti di pace tra una cosa e l'altra»
«Periodo impegnato?»
«Si. Diciamo di si».
Nessuna delle due aveva un programma in mente, ed alla fine ci trovammo a cucinare insieme.
Lei aveva un libro bellissimo, illustrato, dal titolo “30 ricette da 30 minuti”. Decidemmo che potevamo impiegarli, questi trenta minuti, per rilassarci.
La dispensa di Angela era incredibile, zeppa di ogni sorta di ingredienti. Dalle travi di legno, che profumavano come muschio e salsiccia, pendevano caciocavalli e mazzetti di erbe essiccate, salami di origine calabrese e collane di cipolle.
«Mia madre ama la cucina italiana» Si giustificò Angela, mentre io rimanevo a bocca aperta.
Neanche io e papà, che eravamo italiani per davvero, avevamo una dispensa simile! Mi venne l'acquolina in bocca solo a pensare a tutti gli usi per quegli ingredienti, mentre con lo sguardo percorrevo gli scaffali alle pareti, stipati di barattoli con funghi sottolio, condimenti per la giardiniera, tonno e sardine, scatole di pelati e dozzine di altre confezioni di ogni sorta di cibo.
Aiutai Angela a portare via gli ingredienti prescelti: un grosso ramo di salvia, del formaggio grana, una confezione di riso carnaroli, una bottiglia di vino bianco e infine una zucca arancione così grossa che dovemmo portarla via in due, stando ben attente a non cadere sulle scale lungo il tragitto.
In silenzio tostammo il riso senza condimenti, tagliammo la zucca e ne prendemmo una parte per ridurla a cubetti, la unimmo al riso tostato e bagnammo il tutto con mezzo bicchiere di vino aspettando per lasciare evaporare la parte alcolica, in modo che il piatto fosse impregnato di profumo ma innocuo anche per un bambino.
L'aria della cucina divenne paradisiaca nei suoi odori quando Angela tirò fuori dal frigorifero un sacchetto di brodo vegetale freddo e lo unì al riso, prendendo a mescolare.
Chiusi gli occhi. Tutti quei piccoli sfrigolii, il calore della fiamma, il sentore delicato della zucca e quello pieno e colorato del riso al brodo erano rilassanti e mi facevano sentire a casa. Umana al cento percento, un'umana felice e rilassata.
Aprii gli occhi in tempo per vedere Angela che mi porgeva il ramo di salvia
«Puoi farlo rosolare?» mi chiese «In circa quaranta grammi di burro, per favore. Poi lo mettiamo sul risotto».
Io annuii e obbedii: almeno in cucina ero brava.
Entrambe eravamo quel tipo di persona a cui non piace rimanere con le mani in mano e che, in presenza di altre persone timide o silenziose, diventa taciturna a sua volta. Ma non in modo sgradevole. Per tanti versi, io e Angela eravamo simili.
Era un balsamo dopo aver passato tutto il giorno in una villa che era un andirivieni di personalità chiassose e stridenti, avere a che fare con una sola persona tanto quieta e dolce.
Quando il risotto con zucca e salvia fritta fu pronto, lo servimmo su due bei piatti di porcellana (decorati con gattini blu) e ci sedemmo a tavola per gustarlo. Eravamo state brave.
Dato che non parlammo quasi per nulla non ho ricordi molto precisi di quella sera, tranne per un senso di pace diffuso che si trascinò per tutto il tempo della mia permanenza a casa della mia amica.
E di fragranza di fiori. Jessica aveva regalato ad Angela una quantità interessante di candele “Yankee” rosse al profumo di “ibisco rosa” e “bagliore invernale”, che non potevano fare altro che calmarmi, anche perché Angela aveva l'abitudine di tenere tutte le luci della casa basse.
Fu un'esperienza quasi zen. Credo che entrambe dormimmo sonni tranquilli.
Intanto tre giorni dopo aver ottenuto un soffitto brontolante nella casa degli Orrori Sbrilluccicanti, un'altra coppia di amiche arrivò all'allegra dimora dei Cullen: inattese, perché né Carlisle né Rosalie erano riusciti a mettersi in contatto con le amazzoni.
Si. Le “amazzoni”. Loro le chiamarono così, anche se, come scoprii in seguito, probabilmente non volevano intendere le donne guerriere della mitologia greca, ma semplicemente delle vampire che provenivano dall'Amazzonia.
Per pura coincidenza, io e Seth eravamo dentro quando Carlisle andò ad aprire la porta senza che nessuno bussasse o suonasse il campanello, e i due esseri fecero la loro apparizione.
«Carlisle» Lo salutò la più alta delle due donne altissime e ferine, con voce profonda e roca.
Erano lunghe. Cioè, era la prima parola che affiorava alla mente come la risposta di una magic 8 ball: “lunghe”. Sembrava che qualcuno avesse stirato gli arti ad entrambe: avevano braccia e gambe lunghe, dita lunghe, lunghe trecce nere e lunghi visi con lunghi nasi. Non credevo che esistessero popoli simili nella zona amazzonica... ero sempre stata convinta che fossero tutti bassetti gli abitanti delle foreste, per meglio muoversi fra la vegetazione. Queste invece somigliavano a quei ragni con le zampe lunghissime che ogni tanto si trovano dietro le caldaie o gli scaldabagni, che sembrano tutti scoordinati ma chissà come sono sempre più veloci di voi e sembra impossibile riuscire ad acchiapparli.
Indossavano solo abiti in pelle: gilet di cuoio e pantaloni aderenti allacciati sui fianchi con legacci di pelle. Tutto ciò che le riguardava aveva un che di selvaggio, dagli occhi cremisi e inquieti ai movimenti subitanei e guizzanti. Non avevo mai immaginato vampiri simili.
Ma era stata Alice a mandarle, notizia a dir poco interessante. Perché Alice si trovava in Sud America? Solo perché aveva già visto che nessuno sarebbe riuscito ad entrare in contatto con le amazzoni?
«Zafrina e Senna! Ma dov'è Kachiri?» Chiese Carlisle «Non vi ho mai visto separate»
«Alice ci ha detto che dovevamo separarci» rispose Zafrina brontolando come una tigre che ben s'intonava al suo aspetto selvaggio «È un fastidio stare lontane, ma Alice ci ha garantito che voi avevate bisogno di noi, mentre lei aveva bisogno che Kachiri andasse da un'altra parte. Non ci ha detto altro se non che era davvero... urgente?». La frase di Zafrina terminò in tono interrogativo e io, con i nervi scossi come accadeva ad ogni nuova presentazione sebbene ormai avessi compiuto quell'azione numerose volte, spiegai insieme a Carlisle qual era l'emergenza e come erano coinvolti i licantropi.
Nonostante il loro aspetto feroce, ascoltarono con molta calma il nostro racconto. Restarono molto colpite dall'assenza dei membri della famiglia Cullen e, anche se si dimostrarono gentili e solidali, vedendo i loro movimenti rapidi e convulsi da vicino non riuscivo a fare a meno di preoccuparmi. Queste potevano schiaffarmi a parete per sbaglio con uno dei loro spasmi incontrollati, per intenderci.
Senna stava sempre vicino a Zafrina, senza mai parlare, ma non aveva lo stesso rapporto di Kebi con Amun. Kebi sembrava mantenere un atteggiamento di obbedienza, mentre Senna e Zafrina erano più simili a due arti di uno stesso organismo, di cui solo per caso Zafrina fungeva da portavoce.
Mi chiesi se ci fosse qualcosa di più della semplice amicizia tra loro – i vampiri tendevano a riunirsi in coppie da quello che avevano visto, e loro gravitavano costantemente l'una attorno all'altra – ma anche se sembrava ovvio non ne ebbi mai conferma.
Quelle informazioni su Alice furono interessanti, perché sembrava che fosse impegnata più in una missione tutta sua che in una fuga sconclusionata, come avevo pensato all'inizio, che l'avrebbe tenuta lontana da qualsiasi cosa Aro avesse in serbo per lei.
Edward era entusiasta della presenza delle amazzoni, perché Zafrina era dotata di un talento enorme, un dono che poteva costituire un'arma molto pericolosa.
In realtà, Edolo ebbe la decenza di non chiederle apertamente di prendere le nostre parti nello scontro, ma se i Volturi si fossero fermati vedendo i testimoni, forse un... paesaggio diverso sarebbe riuscito a trattenerli.
«È un'illusione molto semplice» Mi spiegò Edward quando fu chiaro che, come al solito, non vedevo niente di anormale. In verità fui stupita di sentirlo rivolgersi a me in primo luogo, perché non sapevo neanche che qualcuno stesse usando qualche potere in quel momento, e perché mi aveva parlato all'improvviso dopo aver fatto una faccia da fattone ad occhi sgranati.
«Che?» Gli chiesi «Che vuoi, Pelunghi?»
«Pelunghi?»
«Si. Peli lunghi. Per tutti quei capelli che hai in testa» feci un gesto confuso con la mano che stava ad indicare “tutti quei capelli”, sprecata visto che non sembrava vedere nulla «Cos'è un'illusione molto semplice?».
«Ah» Lui sembrava deliziato «Il potere di Zafrina».
La donna sudamericana era affascinata e divertita dalla mia immunità, che non le era mai capitato di incontrare prima, e ronzava inquieta attorno a noi mentre Edward mi descriveva quello che mi stavo perdendo e io facevo la vaga, come se non lo conoscessi.
Lo sguardo gli si fece proprio vacuo per un attimo mentre continuava «Riesce a mostrare ciò che vuole alla maggior parte delle persone: quello e nient'altro. Per esempio, in questo momento mi sembra di trovarmi da solo nel bel mezzo della foresta pluviale. È una visione così nitida che potrei persino crederci, se non fosse che...»
«Da dove arrivano QUESTE FOGLIE?!» esclamò Seth, agitando le braccia davanti alla propria faccia «E dove sono le mie braccia?!».
Ridacchiai. «Seth, è un'illusione! Calmati e fermo, andrà tutto bene».
Zafrina storse le labbra nella sua versione grossolana di un sorriso. Non sapeva usare la faccia. Un secondo dopo, lo sguardo di Edward tornò saldo e lui ricambiò il sorriso. Neanche lui sapeva usare la faccia.
«Davvero notevole» Disse.





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