Il mio primo tentativo di imparare a combattere non andò a buon fine.
Edward
m'immobilizzò nel giro di due secondi. Ma invece di lasciare che mi
liberassi lottando si allontanò da solo e fulmineo, con un fremito
ingiustificato. Tanto non sarei comunque stata in grado di fare granché
in un corpo a corpo.
Capii subito che c'era
qualcosa di storto: era immobile come una roccia e fissava dall'altra
parte del prato su cui ci stavamo allenando.
«Scusami, Bella» Disse
«Non hai fatto niente, almeno stavolta» risposi «Riproviamoci»
«Non posso»
«Come,
non puoi? Abbiamo appena cominciato». Incrociai le braccia sul petto,
guardandolo con le sopracciglia aggrottate. Ah, ma allora era proprio un
bastian contrario! Com'era che quando gli si chiedeva una cosa, doveva
farne sempre l'opposto?
Non mi rispose.
«Senti,
lo che sono una frana, ma mi avevi promesso che mi avresti aiutata ad
imparare qualcosa sul combattimento. Dai! Me lo hai promesso, prima che
arrivassero tutti questi ospiti simpatici. Te lo ricordi? Lo so che non
ce la farò di questo passo, ma almeno lasciami tentare. Voglio vedere
quante possibilità ho di vedermela con un vampiro senza poteri extra.
Anche se sono basse. Anche se non ce ne sono. Voglio vedere».
Continuò
a tacere. Mi avvicinai e allungai un indice verso il suo occhio destro.
Anche se fossi andata alla mia normale velocità avrebbe potuto
fermarmi, rapido com'era, ma mi stavo volutamente appressando in modo
tale che anche una persona senza percezione della profondità e drogata
avrebbe probabilmente potuto afferrarmi il braccio. Lui non oppose
resistenza.
«Edolo».
Niente.
«Guarda che ho vinto».
Chiuse la palpebra un attimo prima che il mio polpastrello toccasse il suo bulbo oculare, ma non disse nulla e non si sottrasse.
«Ma dai! Edward, ma che hai che non va? Perché non possiamo provare?».
Passò un minuto prima che lui riaprisse bocca, e sospettai che mi parlò solo perché avevo iniziato ad andarmene dalla stanza.
«Non
riesco proprio a... sopportarlo. Rosalie è brava quanto me. E Tanya ed
Eleazar probabilmente ancora di più. Chiedilo a qualcun altro».
Mi fermai sui miei passi e incrociai di nuovo le braccia sul petto.
Avevo
considerato di trovarmi un altro insegnante, ovviamente. Qualunque
delle ragazze Quileute sarebbe stata più che disposta ad insegnarmi, e
probabilmente, con il senso di tranquillità ed unità che riuscivano a
trasmettermi, avremmo avuto delle lezioni efficaci e divertenti... però
il fatto era che si stavano davvero, davvero impegnando per arrivare ad
un livello molto superiore di quello che potessi di sperare di
raggiungere io nell'arco di un mese. Non volevo rallentare i loro
allenamenti, né essere un peso per loro.
Rosalie era
una cattiva scelta per tanti motivi, tra cui il fatto che credo mi
avrebbe fatta a sfilaccini se mi avesse avuta sotto le mani. Tanya ed
Eleazar erano simpatici, ma avevo voluto provare a riscuotere l'unica
promessa sensata che Edward mi avesse fatto prima di considerare di
passare ad altro.
«Non ho bisogno di insegnanti più
bravi a a combattere» Gli feci notare «Faccio schifo anche come umana,
non è che se mi metti l'Incredibile Hulk mi va tanto meglio».
Sospirò,
esasperato. Aveva gli occhi scuri: il nero era schiarito solo da
qualche rara pagliuzza dorata. Mi chiesi quanto questo lo rendesse
vulnerabile all'appetitoso odore del mio sangue.
«Guardarti
in quel modo, analizzarti come un bersaglio. Vedere tutti i modi in cui
potrei ucciderti...». Fece una smorfia «Rende tutto troppo reale, ai
miei occhi. Non abbiamo poi tanto tempo a disposizione, non fa
differenza chi sia il tuo insegnante. Chiunque ti può insegnare i
fondamenti».
Beh... il suo ragionamento mi sembrava sensato, ad essere sincera.
Inquietante
ma onesto. Lo presi al volo: non aveva senso allenarmi con Edward. A
dire la verità, lo sconforto mi riprese nell'accorgermi che non potevo
nulla contro un vampiro, e una copia sbiadita della sensazione di
impotenza che avevo provato nei primi giorni in cui avevo compreso la
vera natura dei Cullen strisciò attorno al mio cuore.
«E poi non serve. I Volturi si fermeranno. Riusciremo a fargli capire come stanno le cose» mi rassicurò Edward, rigido
«E se non si fermano?».
Avrei
voluto cancellare quella domanda, perché era inutile. Se non si fossero
fermati, tutti avrebbero dovuto combattere, erano mesi che ci si
preparava all'eventualità. E se fosse partito uno scontro, capacità o no
di non farmi incasinare la mente dai non-morti, non ci sarebbe stato
nulla che avrei potuto fare per fermarli.
E se Aro
avesse letto nella mente di chiunque di loro, avrebbe saputo della mia
presenza. E allora, per me ci sarebbero state solo due alternative: la
morte o la non-morte.
Mi sentii stupida, stupida,
piccola e indifesa. Perché mi ero lasciata trascinare in questa cosa?
Perché avevo voluto coinvolgermi in una storia tanto più grande di me?
Dovevo
scappare, scappare, scappare. Era un pensiero convulso che affiorava
direttamente dalla parte più primitiva del mio cervello, ma sul momento
non trovai delle argomentazioni forti da mettergli contro. Anche il mio
corpo si mosse, portandomi lontano da Edward, e lui non cercò di
fermarmi. Ma a questo punto – e pensai a Dimitri – non c'era un modo per
farlo.
Non potevo scappare. E allora avrei dovuto combattere.
E trovarmi un nuovo maestro.
Jessica
fu più che felice di aiutarmi, anche se i suoi insegnamenti sembravano
avere poco da spartire con la filosofia di serenità e controllo che
avrebbero dovuto andare a braccetto con le arti marziali.
Casa
di Jessica era bella, anche se meno calda della casa dei Clearwater o
dei Black. Mi sentii “un'ospite” nel senso più formale del termine
appena misi piede oltre l'uscio, accolta da una Jessica allegrissima,
con i capelli raccolti in una coda alta e spettinata. Era più grande di
quella che avevamo io e papà, e curata in un modo che mi ricordava le
riviste per l'arredamento che sfogliava sempre la mamma. Cucina dai
colori chiari, lampadari sottili, pareti con su degli adesivi che
imitavano un pattern di mattoni per sembrare vintage.
«Non
c'entro niente con l'arredamento» Mi disse, alzando le mani come in
segno di resa, appena vide che stavo esaminando affascinata la mobilia.
«Non è male» Dissi io, con le mani intrecciate di fronte a me
«Dovresti
vedere quanto è bella la mia cameretta. Te la faccio vedere una volta o
l'altra, Belarda». Mi rivolse un sorriso smagliante, poi si diresse
verso la cucina «Posso offrirti qualcosa da bere, da mangiare?»
«No, Jess, grazie. Come accettato».
Jessica
si strinse nelle spalle e mi offrì il braccio, conducendomi con grazia
per i corridoi della sua casa. Ci infilammo in un corridoio stretto di
un rassicurante blu smaltato, con su appesi dei piattini decorativi
colorati con fantasie astratte, e scoprii che stavamo per scendere una
scala buia.
«E Dracula?» Mi chiese con nonchalance,
mentre io mi aggrappavo al suo braccio e cercavo di mettere i piedi nei
punti giusti. Il mio equilibrio era già minacciato su un terreno piano,
ora...
«È con papà. A lui non dispiace mai prendersene cura»
«No, direi di no».
Non
riuscivo a ricordare se Jessica avesse o meno un animaletto domestico,
ma nel caso me ne avesse accennato e io non me lo ricordassi, non glielo
chiesi per non fare brutta figura.
Arrivammo al
piano di sotto al buio, e Jessica mi lasciò impalata per allontanarsi
verso l'interruttore. Si muoveva con sicurezza anche al buio – lo sapevo
per la cadenza regolare dei suoi passi – e accese la luce. Ci trovavamo
in una stanza squadrata, sufficientemente spaziosa, che conteneva
alcuni attrezzi da palestra basilari.
Lei sciabolò le sopracciglia nella mia direzione: «Benvenuta nella mia stanza dei giochi, Belarda».
Mise
in sottofondo “What a Feeling” per la nostra prima lezione, sprizzando
energia all'idea di insegnarmi ciò che aveva imparato. Lei aveva su il
kimono che usava per le sue, di lezioni, mentre io avevo addosso una
felpa comoda e un paio di pantaloni da ginnastica di un verde militare
che non mi convinceva. Tutt'ora non ero certa di come li avessi
ottenuti.
«Sono sempre i più tranquilli. Non vedi l'ora di menare le mani, eh?» Jess mi fece l'occhiolino «Mi dai una mano?».
Trascinammo un tappeto blu al centro della stanza.
«Che atmosfera» Commentai con un sorrisetto.
«Alcuni mettono le canzoni rilassanti, ma io non riesco proprio a concentrarmi senza un filo di energia»
«Ma
dove sono i tuoi genitori?» le chiesi, mettendo le mani sui fianchi.
Sentivo la smania di trascinare in giro grossi pesi e fare esercizi
sfiancanti. Eppure non ero mai stata una grande fan del fitness.
«Al
piano di sopra. Stamattina siamo andati a fare trekking in un posto
scosceso con Mike e non si sono ancora ripresi e stanno ancora dormendo.
Credo che stiano dormendo. Cioè, non lo so con precisione, ma per
quanto mi riguarda stanno dormendo»
«Aspetta, hai presentato Mike ai tuoi?»
«Qui
tutti conoscono tutti. Sono stata privata di questo piacere» si strinse
di nuovo nelle spalle, poi si aprì in un sorrisone, e poggiò il pugno
destro sul palmo dell'altra mano aperta «Pronta, Belarda-sensei? Una
come te non dovrebbe avere problemi».
Si riferiva
all'incidente a Port Angeles, quando io, lei e Angela ci eravamo finte
esperte di arti marziali per intimorire degli assalitori, e mi strappò
una risata.
La prima lezione non fu nulla di
particolare e non ebbi l'occasione di “menare le mani”. Jessica mi
insegnò degli esercizi che mi avrebbero dato la possibilità di scaldarmi
e rendermi un po' più elastica, e cominciò ad insegnarmi le posizioni
base che avrei dovuto imparare per assumerle nelle lezioni seguenti.
Jessica
era un'insegnante che metteva grinta sia nei rimproveri che negli
incoraggiamenti, mi chiamava “Scimmia” quando facevo male, e
“Belarda-sensei” quando facevo bene. Per il resto della lezione ero
“Belarda”, “amica” o “Belarda-san”.
Presto iniziai ad
avere una specie di routine. La mattina andavo ad allenarmi da Jessica,
nel primo pomeriggio andavo dai vampiri ad allenare il mio scudo
mentale, e passavo tutto il resto del mio tempo dividendolo tra amici
(umani e non) e famiglia (umana e non).
Avevo
comprato anche due pesi da quattro chili e mezzo al negozio di articoli
sportivi di Mike, ed anche se non avevo molto tempo per usarli, facevo
qualche sollevamento prima di andare a dormire finché non mi sentivo
stanca (che era vergognosamente presto), prima di leggere qualche pagina
da uno dei miei libri preferiti e cadere inevitabilmente addormentata.
Da
un lato era difficile. Non c'era niente a cui aggrapparsi, niente di
solido su cui lavorare. Sentivo solo il desiderio prepotente di rendermi
utile, ma avevo l'impressione che i miei progressi fossero esigui e che
le mie conoscenze fossero ancora disperatamente inadeguate. Non sapevo
quanti secondi sarei durata contro Alec e Jane. Pregavo solo che, semmai
fossi stata costretta a fronteggiarli, sarebbe stato per il tempo
necessario a darli alle fiamme.
Cercavo di sollevare
di più, di essere più flessibile, di spingere al di fuori di me quel mio
scudo nebuloso, con successi limitati e sporadici. Era come se stessi
lottando per tendere un elastico scivoloso ed invisibile, che in un
qualsiasi momento poteva trasformarsi, da concreto e tangibile, in fumo
impalpabile.
Volevo impegnarmi di più, ottenere di più!
Dall'altro
lato, anche se non era semplice stava diventando una routine che mi
faceva stare più tranquilla, e le endorfine rilasciate durante gli
allenamenti mi aiutavano a rilassarmi come la sola lettura non era
riuscita a fare prima. Gatti, libri, allenamento, amici: sembrava una
ricetta di cui, dopo solo una settimana, non potevo più fare a meno.
Soltanto
Edward era disposto a prestarsi come cavia per aiutarmi a sviluppare il
mio scudo. Anche se non mi fossi lanciata in prima linea, se avessi
imparato a proiettare il mio potere avrei potuto proteggere i miei amici
in guerra. Era una cosa che valeva la pena considerare.
Ad
essere sincera anche altri forse si sarebbero fatti avanti per aiutarmi
se non fosse stato che quello da cui avrei dovuto proteggere Edward
erano le scosse elettriche di Kate. Riceveva un trauma dopo l'altro da
Kate mentre io mi cimentavo, inetta, con quello che avevo dentro la
testa. Lavoravamo a volte per ore ed alla fine ero ricoperta di sudore,
anche se la stanchezza era solo mentale.
Era
ovviamente Edward quello che soffriva di più di queste prove, patendo
continuamente gli attacchi “a bassa intensità” di Kate.
In
realtà il mio scudo avrebbe potuto essere allenato altrettanto
efficacemente anche con il potere di Zafrina, ed in quel caso Edward
avrebbe dovuto solo guardare le illusioni indotte da Zafrina finché io
non fossi riuscita ad impedirgli di vederle. Ma Kate insisteva sul fatto
che avevo bisogno di motivazioni più intense. Stavo cominciando a
dubitare dell'affermazione che aveva fatto quando ci eravamo conosciute:
che non usava il suo dono in modo sadico. A me sembrava proprio che si
divertisse.
Dovevamo essere più simili di quello
che pensavo, per certi versi. Chissà perché, in quei momenti, il mio
scudo non si muoveva mai.
La prima volta che riuscii a
proiettare il mio potere abbastanza da scoprire qualcun altro, però non
fu con Edward. Fu alla fine di quella settimana, quasi per gioco, e
quando accadde fu per me un'emozione potentissima.
Riuscii,
solo per appena un secondo e mezzo, ad impedire a Seth di vedere uno
dei paesaggi imposti da Zafrina. Il sorriso stupito che mi rivolse mi
parve una bella ricompensa per l'impegno che stavo cercando di mettere
in tutto ciò che stavo facendo, ma forse fu nulla rispetto allo sguardo
che mi diede Eleazar. Mi guardò come se fossi... un alieno. Come se
fosse stato sicuro che non ce l'avrei mai fatta. Aver superato le
aspettative di uno la cui peculiarità era conoscere i poteri della gente
era gasante.
«Brava Belarda!» Esclamò Seth, alzando le braccia al cielo «Sei stata tu, vero? Ah, sono tornate le foglie!».
Feci
un respiro profondo ed annuii, rendendomi conto con un secondo di
ritardo che non poteva vedermi, cercando di capire cosa fossi riuscita a
fare precisamente. Misi alla prova l'elastico – ormai avevo imparato a
trovarlo, quasi a palparne i contorni – e mi sforzai di costringerlo a
rimanere solido mentre lo allontanavo di nuovo da me.
Grugnii, a denti stretti, e sentii Seth sospirare di sollievo. «Ci vedo di nuovo».
Kate si avvicinò con un sopracciglio alzato, osservando la nostra interazione.
«Meglio» Sorrisi.
Kate si sporse verso Zafrina «Stai ancora usando il tuo potere?»
«Si»
«Se usiamo i nostri poteri, cioè, i nostri poteri,
quello che è parte di noi, quello che ci rende unici» disse Tia con
forza, sorpassandoci ed indicando nella nostra direzione con gli indici
«Non possiamo perdere. Anche per quel poco che possiamo fare, in realtà
non è mai poco. La nostra sola presenza può cambiare tutte le regole in
gioco. Siete speciali, siete importanti».
«Grazie Tia» Dissi rincuorata. Gli altri annuirono, riflettendoci su.
All'improvviso sentii l'elastico tremare come un muscolo sotto uno
sforzo che non era in grado di reggere e tornarmi addosso. Seth sibilò
sorpreso, ma il suo sguardo non divenne vacuo: Zafrina aveva smesso di
usare il suo potere.
«Scusa» Dissi al suo indirizzo,
passandomi una mano sulla nuca. Mi mordicchiai il labbro. Se era
davvero parte di me, perché non riuscivo a farlo bene?
«Te la stai cavando alla grande, Bella» Disse Edward, tentando di
stringermi a sé. Mi divincolai e gli misi un dito nell'occhio e lui mi
lasciò tornare accanto a Seth «È solo da qualche giorno che ci provi e
riesci già a proiettare lo scudo ogni tanto. Kate, dille quanto è
brava».
Kate storse le labbra «Non saprei. È ovvio
che ha un talento enorme a cui stiamo cominciando appena ad avvicinarci.
Può fare meglio, ne sono sicura. Le mancano un po' di stimoli».
E di nuovo con questi stimoli. Sentivo i mormorii del pubblico sempre
più numeroso che si era raccolto intorno a noi mentre mi allenavo:
all'inizio erano solo Eleazar, Carmen e Tanya, ma poi si era avvicinato
quel mostro di Garrett, seguito da Benjamin e Tia (che era tornata), le
irlandesi e persino Alistair sbirciava da una finestra del secondo
piano, come un grosso pipistrello impagliato. Gli spettatori erano
d'accordo con Edward: pensavano che me la stessi cavando egregiamente.
Troppo buoni.
«Kate...»
Disse Edward in tono ammonitore. Lei stava escogitando qualcosa. No,
dai, mi stava simpatica: non era un buon momento per mostrarsi una
sadica psicopatica se volevano che io avessi ancora qualche fiducia
nella bontà di qualche vampiro.
«Forse dovrei...
cambiare bersaglio» Considerò Kate pensierosa «Uno che... sappiamo
già... che funzioni». E si voltò a guardare Seth.
Okay, i vampiri erano malvagi. «No» Quasi ringhiai «Non si può fare, Kate!».
Per una volta fu al contrario: il licantropo la guardò allarmato e mi
venne incontro in cerca di protezione. Kate aveva già fatto un passo
nella mia direzione, la mano tesa verso di noi.
«No»
Dissi, arretrando rapida. Cominciò ad avvicinarsi a grandi passi.
Sorrideva come un cacciatore che ha intrappolato la sua preda.
Non
riuscivo a non sudare freddo anche se razionalmente sapevo che, se
avesse fatto del male a Seth, sarebbe andata contro le regole che i
licantropi e i vampiri avevano stabilito per una convivenza pacifica. Se
avesse seriamente avuto delle cattive idee, Edward lo avrebbe saputo
leggendoglielo nel pensiero. Se così fosse stato, l'avrebbe fermata? Gli
sarebbe importato di Seth?
La paura rendeva ancora
più scivolosi i contorni del mio elastico, ma la rabbia mi donava una
presa più salda. Percepivo anche l'elasticità dello scudo con maggiore
precisione: capii che non era un elastico, ma piuttosto uno strato, una
pellicola sottile che mi copriva dalla testa ai piedi.
Appena
mi resi conto di come il mio umore influiva sulla mia abilità, cercai
di arrabbiarmi il più possibile. Pensai a tutti gli aspetti che non mi
piacevano di quella situazione, alla mia impotenza nel salvare Sarah, a
tutte le volte che Edward Cullen aveva fatto lo scemo con me (un numero
notevole di ricordi affiorò in mio aiuto, servizievole), a come i
vampiri avessero messo in pericolo la mia vita, a come mia madre non si
fosse mai davvero presa cura di me, a come fossi stata costretta per
tutta la mia infanzia a vedere il sorriso, quando era sincero, spegnersi
sulla faccia di papà ogni volta che rimpiangeva quella donna che non lo
meritava.
E con la rabbia che mi ribolliva in corpo sentii il mio potere, lo controllai, lo sentii mio.
Lo
forzai a stendersi attorno a me e lo allungai fino ad avvolgere
completamente anche Seth, come un abbraccio dato con un braccio
riluttante, ma la mia volontà per una volta era più forte.
Kate
fece un altro passo avanti ben calcolato e dalla gola di Seth salì un
ringhio feroce, che vibrò tra i suoi denti serrati. Un suono simile, ma
molto più breve, mi sfuggì nel mio tentativo di mantenere la
concentrazione più a lungo possibile.
«Stai attenta, Kate» La mise in guardia Edward.
Garrett
ci guardava affascinato e incuriosito, tamburellandosi interessato
indice e medio sulle labbra. «Carlisle!» Chiamai io, rivolgendomi al
vampiro di cui mi fidavo di più.
Edward sfrecciò nello spazio fra di noi, bloccando l'accesso di Seth a Kate e, fortunatamente, viceversa.
«Ora
allontanati e lascia un po' d'aria a Bella e Seth per calmarsi, Kate.
Non devi stuzzicarlo così. Lo so che sembra più grande, ma è un
ragazzino, è un licantropo solo da qualche mese»
«Non
abbiamo tempo per fare le cose con delicatezza, Edward. Dobbiamo
costringerla. Restano solo poche settimane e lei ha tutte le
potenzialità per...»
«Arretra un attimo, Kate».
Kate fece una smorfia, ma prese l'avvertimento di Edward molto più sul serio del mio.
Una
parte di me capiva la saggezza delle parole di Kate: la rabbia mi stava
aiutando. Avrei imparato molto più in fretta sotto pressione.
Ciò non significava che dovesse prendersela con i miei amici, o che questo mi facesse piacere.
Sentivo
ancora il mio scudo come un telo forte e flessibile che avvolgeva me e
Seth, e quel successo, che finora non ero mai riuscita a raggiungere, mi
fece venire una nuova ispirazione. Lo spinsi oltre, costringendolo
intorno ad Edward. Il tessuto elastico non mostrava difetti né rischi di
cedimento: non potevo vederlo con i miei occhi, ma era come se una
parte di me fosse acutamente cosciente di com'era fatto, quanto si
estendeva, e aveva persino una rudimentale forma di tatto grazie alla
quale potevo capire quando avevo lambito i contorni delle persone che
volevo proteggere. Tutte queste informazioni venivano elaborate dal mio
cervello come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, e mi
venivano restituite dandomene “un'immagine” fantasma. Era come avere un
arto d'acqua o un famiglio magico bolla di sapone, fluido ma forte, che
potevo dirigere a mio piacimento.
Sentii la
meraviglia del momento, ma la ricacciai indietro per il momento: la
rabbia, avevo bisogno della rabbia. Quel singolo momento di gioia mi
aveva indebolita: ansimavo per lo sforzo e le parole mi uscivano deboli
anziché rabbiose. «Rifacciamolo» Dissi a Kate «Però tocca solo Edward».
Così, se anche non fossi riuscita a mantenerlo come volevo, non ne avrei sofferto troppo.
Lei
alzò gli occhi al cielo e l'altro vampiro mi lanciò un'occhiata
apertamente preoccupata, ma Kate avanzò rapida e premette il palmo della
mano sulla spalla di Edward.
«Non sento niente» Disse lui. Nella voce gli udivo la sfumatura di un sorriso.
«E ora?» Chiese Kate
«Ancora niente»
«E ora?». Stavolta nella voce di Kate si avvertiva una forte tensione.
«Ancora niente».
Kate
grugnì e si allontanò. Sembrava piena di disappunto, il che in effetti,
mi divertì. Ero riuscita a batterla in un certo senso, ed i vampiri non
sono abituati a sentirsi vulnerabili. O ad essere battuti, se per
questo.
«Vedi questo?» Chiese Zafrina con la sua voce
profonda e selvaggia, fissandoci intensamente tutti e tre e
avvicinandosi di un passo aggraziato, a suo modo. Parlava un inglese
fluente ma con uno strano accento, con le parole salivano di tono in
punti insoliti.
«Non vedo niente di strano» Disse Edward
«E
tu, Seth?» Chiese Zafrina. Lui le sorrise, felice di essere stato
chiamato per nome e scosse il capo. Era un vero e proprio lusso non
essere apostrofato con un nomignolo dalla maggioranza dei vampiri nella
casa per lui.
La mia rabbia si era quasi dissolta e
serravo i denti, ansimando più forte mentre spingevo lo scudo verso
l'esterno: più a lungo lo reggevo, più mi sembrava pesante. Si ritirò
trascinandosi verso l'interno.
«Niente paura» Disse Zafrina avvertendo il gruppetto che mi guardava «Voglio capire quanto riesce ad estenderlo».
Era una buona idea: volevo saperlo anche io, finché reggevo.
Tutti
i vampiri tranne Edward, Zafrina stessa e Senna emisero un'esclamazione
terrorizzata: Eleazar, Carmen, Tanya, Garrett, Benjamin, Tia, Siobhan,
Maggie; Senna sembrava fosse stata preparata all'azione successiva di
Zafrina, quale che fosse. Gli altri avevano lo sguardo vacuo e
l'espressione ansiosa. Kate, invece, non urlò, ma emise una sorta di
pigolio intermittente.
Sentimmo un urlo isterico e stridulo venire dal soffitto.
«Alzate
la mano quando vi torna la vista» Li istruì Zafrina «Ora, Bella, vedi
un po' quante persone riesci a riparare con lo scudo».
Il
fiato mi uscì con uno sbuffo. A parte Edward e Seth, Kate era la
persona più vicina, però si trovava ad almeno tre metri di distanza.
Serrai la mascella e spinsi, cercando di estendere quella difesa
resistente ed elastica. Centimetro per centimetro, secondo dopo penoso
secondo, la spinsi verso Kate, lottando contro la reazione che scattava
ad ogni minimo avanzamento. Mentre ero all'opera cercai di guardare solo
l'espressione ansiosa di Kate come segnale rivelatore e produssi un
lieve suono di sollievo quando la vampira batté le palpebre e mise a
fuoco lo sguardo. Alzò la mano.
«Affascinante!»
Sussurrò Edward, e ringraziai la mia buona stella che non avesse detto
“effervescente” «Come uno specchio unidirezionale. Posso leggere tutto
quello che pensano, ma qui dietro sono irraggiungibile. Chissà se Kate
potrebbe mandarmi una scarica elettrica adesso, visto che anche lei è
sotto l'ombrello. Però continuo a non sentire te, Belarda... mmmh. Come
funziona? Chissà se...».
Continuò a borbottare tra
sé, probabilmente ignaro di quanto questo stesse erodendo la mia
concentrazione e facendomi saltare i nervi – a quanto pare lo scudo
funzionava bene sotto rabbia, ma l'irritazione di un vampiro borbottante
non faceva che rendere più scivolosa la mia presa – e non riuscii a
prestare attenzione alle parole. Digrignai i denti cercando di estendere
lo scudo a Garrett, che era il più vicino a Kate. Lui alzò la mano
molto prima di quanto mi sarei aspettata, scatenandomi un attimo di
genuina sorpresa. E quello infranse tutto.
«Ottimo» Si congratulò Zafrina «Ora...».
Aveva
parlato troppo presto: un secco rantolo e sentii il mio scudo schizzare
all'indietro come un elastico troppo teso, che torna di scatto alla sua
forma originale. Seth fece una sorta di guaito, sperimentando qualunque
paesaggio da incubo l'amazzone avesse escogitato per fare lanciare
urletti a tutti i mostri sovrannaturali nella stanza. Lottai stancamente
contro la forza elastica, spingendo lo scudo in modo che tornasse ad
avvolgerla.
Volevo solo dormire. “Solo un attimo” mi dissi “lo userò ancora solo un attimo finché Zafrina non la finisce. Per Seth”.
«Mi
date un minuto di pausa?» Chiesi ansante. Mi sentivo totalmente
svuotata, pronta a svenire o qualcosa del genere. Indietreggiai fino a
trovare la parete alle mie spalle e ci poggiai contro la schiena,
lasciandomi scivolare fino al pavimento.
Seth venne a sedersi vicino a me con le braccia conserte sulle ginocchia, ma in posa rilassata.
«Sei stata fortissima» Mi disse, incoraggiante.
Io
ero mezza morta, e probabilmente avevo un odore orribile di sudore, ma
riuscii ad apprezzare la sua gentilezza e sorridergli. Provai l'intensa
voglia di alzarmi e correre a farmi una doccia, ma contemporaneamente
non credevo di esserne in grado in quel momento.
Forse era la rabbia a sostenere il mio scudo perché avevo bisogno di adrenalina per non collassare.
«Certo» Mi garantì Zafrina e gli spettatori si rilassarono appena restituì loro la vista.
«Kate»
Gridò Garrett mentre gli altri si allontanavano un poco mormorando,
infastiditi da quel momento di cecità: come detto prima, i vampiri non
erano abituati a sentirsi vulnerabili. Eppure confronti, anche
amichevoli come quello che si era appena svolto, erano inevitabili in
presenza di un numero di vampiri così alto: probabilmente era per quello
che la maggioranza dei vampiri erano nomadi e viaggiavano soli o a
coppie.
Garrett di loro era forse l'unico immortale
privo di doni che sembrava di attratto dalle mie sedute di
allenamento... ma sospettavo che in effetti l'oggetto dell'attrazione di
quell'avventuriero non fossi proprio io.
«Fossi in te non lo farei, Garrett» Lo ammonì Edward.
Garrett
proseguì in direzione di Kate nonostante l'avvertimento, con le labbra
corrucciate e pensieroso. «Dicono che sei in grado di stendere un
vampiro».
Lei si voltò verso il nuovo arrivato con
uno svolazzo dei lunghi capelli serici, soppesandolo. «Si» Confermò lei.
Poi, con un sorrisino astuto, gli fece un cenno scherzoso con le dita
«Sei curioso?».
Garrett alzò le spalle. «È una cosa che non ho mai visto. Mi sembra un po' un'esagerazione....»
«Forse»
rispose Kate, facendosi improvvisamente seria «Forse funziona solo con i
deboli o i giovani. Non sono sicura. Però tu sembri forte. Forse
riusciresti a resistere al mio potere». Stese la mano aperta verso di
lui a palmo in su: un chiaro invito. Ebbe un fremito delle labbra, e fui
abbastanza sicura che la sua gestualità solenne fosse un tentativo di
fregarlo.
A dire la verità era una “trappola” non
troppo nascosta, ma non per questo meno efficace. Almeno, non per uno
come Garrett, per cui una sfida del genere era anche più irresistibile.
Probabilmente
Jessica sarebbe riuscita a convincerlo a scommettere contro di lei
decine di volte (vincendogli ogni centesimo di patrimonio e forse pure i
denti e i capelli).
Garrett rispose alla sfida di Kate con un sorriso. Molto fiducioso, le toccò il palmo con l'indice.
Fu
un secondo: con un rantolo sonoro, le ginocchia gli cedettero e
stramazzò all'indietro. Con la testa colpì il ripiano di granito del
mobile dietro di lui e si sentì un orripilante crepitio secco. Era uno
spettacolo sconvolgente, vedere un immortale ridotto in quel modo.
«Te l'avevo detto» Borbottò Edward fra i denti.
A
Garrett tremarono le palpebre per qualche secondo, poi spalancò gli
occhi. Alzò lo sguardo verso Kate, che sogghignava compiaciuta, e un
sorriso di stupore gli illuminò il volto.
«Perbacco!» Esclamò
«Ti è piaciuto?» chiese lei scettica
«No,
non sono mica pazzo» rispose ridendo, e scosse il capo mentre si
rialzava piano fino a mettersi in ginocchio «Ma di sicuro era qualcosa
di speciale!».
Eccolo, ecco l'inizio di una grande love story:
la sadica e il masochista immortali si erano trovati, e lei avrebbe
potuto picchiarlo per il resto dell'eternità. Ma che carini. Evviva il
Karrett.
Edward alzò gli occhi al cielo, mentre Kate rispondeva allegramente: «Così si dice in giro».
Ad
interrompere l'idilliaco momento di dolore e sofferenza, dal giardino
anteriore arrivò un ululato singhiozzante, vibrante come un ringhio. Non
ero sicura che avesse un significato nel linguaggio dei veri lupi, ma
parve avere un significato particolare per Seth, che scattò in piedi
all'urlo di: «Jacob! Intrusi!».
Buona parte dei
sovrannaturali si spostò in giardino, compreso il mio amico lupo, ma io
ero spossata e spostarmi mi parve una cattiva idea. Il pavimento mi
sembrava un materasso di piume.
Rimasero per un po'
fuori, poi sentii le loro voci avvicinarsi di nuovo. Sopra tutti, udii
Carlisle parlare sopra un brusio sorpreso.
«Vi ha mandati Alice?» Chiese lui a qualcuno, con voce malferma, vagamente turbato.
Un altro ospite inatteso?
Edward
si precipitò in casa e la maggior parte degli altri lo imitò. Seth e
Jacob rientrarono; Jacob era ringhioso, spettinato e coperto da un paio
di pantaloncini scuri davvero molto corti, mentre Seth gli girava
attorno nervosamente, rapido e scattante come una libellula.
Cercai di alzarmi faticosamente da terra, puntellandomi al muro con i gomiti e gli avambracci.
Se
qualcosa di nuovo era entrato in casa, preferivo essere stanca e pronta
piuttosto che farmi trovare accasciata come una bambolina.
«Non
ci ha mandati nessuno» Rispose in un sussurro una voce profonda. Mi
bloccai bel nel mezzo della mia scalata: quelle voci suonavano antiche e
strane, distorte ed eteree come se provenissero da dietro una barriera
di cristallo.
Sapevo che il soggiorno era affollato:
quasi tutti erano rientrati per vedere i nuovi ospiti, eppure non si
sentiva alcun rumore. Solo respiri leggeri, nient'altro.
Carlisle rispose con voce guardinga «Allora cosa vi porta qui proprio adesso?».
Carlisle
guardingo? Quello che aveva gli amici... che aveva? Mi chiesi che razza
di mostri lovecraftiani fossero i nuovi ospiti per indurlo a
comportarsi con diffidenza.
«La gente mormora»
Rispose una voce diversa, evanescente quanto la prima «Abbiamo sentito
dire che i Volturi stavano per attaccarvi. Girano voci segretissime sul
fatto che non siete soli. Ovviamente le voci sono vere. Avete radunato
una brigata notevole»
«Non stiamo sfidando i Volturi»
rispose Carlisle con voce tesa «C'è stato un equivoco, tutto qui. Un
equivoco molto grave, certo, ma speriamo di riuscire a chiarirlo.
Vogliamo solo che i Volturi ci ascoltino. Non abbiamo...»
«Non ci importa di cosa vi accusano» lo interruppe la prima voce «Non ci importa se avete infranto la legge»
«E quanto madornale sia la vostra infrazione» s'intromise il secondo
«Da
millecinquecento anni aspettiamo che qualcuno sfidi quella feccia di
italiani» disse il primo «Se c'è la minima possibilità che vengano
sconfitti, staremo qui ad assistere».
Per un attimo
mi sentii offesa nel mio onore patriottico, poi mi ricordai che i
connazionali di cui si parlava non erano esattamente santerelli. Non era
il caso di difenderli.
«Oppure, potremmo persino
aiutavi a stroncarli» Aggiunse il secondo. Parlavano l'uno dopo l'altro
in tono sommesso e le voci si assomigliavano talmente tanto che mi
veniva difficile capire che non erano un'unica persona. A dire il vero,
davano proprio quell'impressione. Per fortuna erano molto educati e
aspettavano ognuno il proprio turno per parlare, oltre ad aver
specificato di essere in due, così mi facilitavano il lavoro. «Se
riteniamo che abbiate qualche possibilità di riuscita».
«Bella?»
Mi chiamò Edward con voce brusca «Vieni qui, per favore. Forse dovremo
mettere alla prova le affermazioni dei nostri visitatori rumeni».
Mi
rincuorava sapere che probabilmente molti dei presenti mi avrebbero
difesa se i rumeni avessero avuto una reazione violenta. Non mi piaceva
il suono della voce dei “nostri visitatori rumeni” né il tono di oscura
minaccia delle loro parole, ma mi ritrovai comunque ad ubbidire.
Mentre
entravo ciondolando nella stanza, vidi che non ero l'unica a pensarla
così. La maggior parte dei vampiri immobili li fissava con occhi ostili e
alcune, cioè Carmen, Taya, Zafrina e Senna, senza averne l'aria, si
erano piazzate in atteggiamento difensivo fra i nuovi arrivati e me e i
licantropi, che stavano discosti dal resto dei freddi.
I
vampiri sulla soglia erano smilzi e bassi al tempo stesso; uno aveva i
capelli scuri e l'altro, invece, talmente biondi da sembrare grigio
chiaro. La pelle aveva un aspetto polveroso e strano ed avevano occhi
penetranti di un bordeaux scuro, ma, nonostante il generale aspetto
derelitto, chiari e consapevoli. Indossavano vestiti neri molto semplici
che potevano passare per moderni, ma riprendevano motivi antichi.
Il
vampiro bruno aveva il naso pesante ma lineamenti piacevoli, capelli
corti e basette consistenti, mentre quello biondo aveva una pettinatura
che sembrava una specie di caschetto che, francamente, gli stava molto
male, ed era leggermente meno attraente dell'altro, con il naso largo,
ma le labbra più rosse. L'unica cosa che tradiva la loro età era proprio
la consistenza polverosa della loro pelle bianca, che, insieme alla
loro statura modesta ed al loro fisico apparentemente fragile, mi dava
l'impressione che si sarebbero sbriciolati in tandem da un momento
all'altro.
Quello scuro di capelli sorriso quando mi vide. «Che buon odore. Ce ne offrireste un sorso?»
«Belarda
è un'amica» Disse nervosamente Carlisle, proteggendomi e presentandomi
in una sola mossa. Punti per te, dottor Canino. «Non è una serva umana, e
non ci nutriamo di lei»
«Quindi conosce i nostri
segreti e non è una di noi?» disse il biondo polveroso. Vedendoli, il
fatto che avessero la stessa identica voce dava un'impressione ancora
più strana, perché non si somigliavano più di tanto.
«Bene, bene, Carlisle. Hai fatto proprio il briccone, vero?»
«Non è come credi, Stefan»
«In
ogni caso non ce ne importa niente» rispose il biondo «Proprio come
abbiamo detto prima». Che bella politica, punti anche per gli
Sbriciolini.
Il dottor Cullen sospirò «Quindi restate
pure ad osservare, Vladimir, ma sta' sicuro che non abbiamo in
programma di sfidare i Volturi, come abbiamo detto prima»
«Allora ce ne staremo qui con le dita incrociate» iniziò la frase Stefan
«E speriamo di avere fortuna» finì Vladimir.
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