venerdì 23 novembre 2018

Sunset 75 - L'allenamento da i suoi primi frutti




Il mio primo tentativo di imparare a combattere non andò a buon fine.
Edward m'immobilizzò nel giro di due secondi. Ma invece di lasciare che mi liberassi lottando si allontanò da solo e fulmineo, con un fremito ingiustificato. Tanto non sarei comunque stata in grado di fare granché in un corpo a corpo.
Capii subito che c'era qualcosa di storto: era immobile come una roccia e fissava dall'altra parte del prato su cui ci stavamo allenando.
«Scusami, Bella» Disse
«Non hai fatto niente, almeno stavolta» risposi «Riproviamoci»
«Non posso»
«Come, non puoi? Abbiamo appena cominciato». Incrociai le braccia sul petto, guardandolo con le sopracciglia aggrottate. Ah, ma allora era proprio un bastian contrario! Com'era che quando gli si chiedeva una cosa, doveva farne sempre l'opposto?
Non mi rispose.
«Senti, lo che sono una frana, ma mi avevi promesso che mi avresti aiutata ad imparare qualcosa sul combattimento. Dai! Me lo hai promesso, prima che arrivassero tutti questi ospiti simpatici. Te lo ricordi? Lo so che non ce la farò di questo passo, ma almeno lasciami tentare. Voglio vedere quante possibilità ho di vedermela con un vampiro senza poteri extra. Anche se sono basse. Anche se non ce ne sono. Voglio vedere».
Continuò a tacere. Mi avvicinai e allungai un indice verso il suo occhio destro. Anche se fossi andata alla mia normale velocità avrebbe potuto fermarmi, rapido com'era, ma mi stavo volutamente appressando in modo tale che anche una persona senza percezione della profondità e drogata avrebbe probabilmente potuto afferrarmi il braccio. Lui non oppose resistenza.
«Edolo».
Niente.
«Guarda che ho vinto».
Chiuse la palpebra un attimo prima che il mio polpastrello toccasse il suo bulbo oculare, ma non disse nulla e non si sottrasse.
«Ma dai! Edward, ma che hai che non va? Perché non possiamo provare?».
Passò un minuto prima che lui riaprisse bocca, e sospettai che mi parlò solo perché avevo iniziato ad andarmene dalla stanza.
«Non riesco proprio a... sopportarlo. Rosalie è brava quanto me. E Tanya ed Eleazar probabilmente ancora di più. Chiedilo a qualcun altro».
Mi fermai sui miei passi e incrociai di nuovo le braccia sul petto.
Avevo considerato di trovarmi un altro insegnante, ovviamente. Qualunque delle ragazze Quileute sarebbe stata più che disposta ad insegnarmi, e probabilmente, con il senso di tranquillità ed unità che riuscivano a trasmettermi, avremmo avuto delle lezioni efficaci e divertenti... però il fatto era che si stavano davvero, davvero impegnando per arrivare ad un livello molto superiore di quello che potessi di sperare di raggiungere io nell'arco di un mese. Non volevo rallentare i loro allenamenti, né essere un peso per loro.
Rosalie era una cattiva scelta per tanti motivi, tra cui il fatto che credo mi avrebbe fatta a sfilaccini se mi avesse avuta sotto le mani. Tanya ed Eleazar erano simpatici, ma avevo voluto provare a riscuotere l'unica promessa sensata che Edward mi avesse fatto prima di considerare di passare ad altro.
«Non ho bisogno di insegnanti più bravi a a combattere» Gli feci notare «Faccio schifo anche come umana, non è che se mi metti l'Incredibile Hulk mi va tanto meglio».
Sospirò, esasperato. Aveva gli occhi scuri: il nero era schiarito solo da qualche rara pagliuzza dorata. Mi chiesi quanto questo lo rendesse vulnerabile all'appetitoso odore del mio sangue.
«Guardarti in quel modo, analizzarti come un bersaglio. Vedere tutti i modi in cui potrei ucciderti...». Fece una smorfia «Rende tutto troppo reale, ai miei occhi. Non abbiamo poi tanto tempo a disposizione, non fa differenza chi sia il tuo insegnante. Chiunque ti può insegnare i fondamenti».
Beh... il suo ragionamento mi sembrava sensato, ad essere sincera.
Inquietante ma onesto. Lo presi al volo: non aveva senso allenarmi con Edward. A dire la verità, lo sconforto mi riprese nell'accorgermi che non potevo nulla contro un vampiro, e una copia sbiadita della sensazione di impotenza che avevo provato nei primi giorni in cui avevo compreso la vera natura dei Cullen strisciò attorno al mio cuore.
«E poi non serve. I Volturi si fermeranno. Riusciremo a fargli capire come stanno le cose» mi rassicurò Edward, rigido
«E se non si fermano?».
Avrei voluto cancellare quella domanda, perché era inutile. Se non si fossero fermati, tutti avrebbero dovuto combattere, erano mesi che ci si preparava all'eventualità. E se fosse partito uno scontro, capacità o no di non farmi incasinare la mente dai non-morti, non ci sarebbe stato nulla che avrei potuto fare per fermarli.
E se Aro avesse letto nella mente di chiunque di loro, avrebbe saputo della mia presenza. E allora, per me ci sarebbero state solo due alternative: la morte o la non-morte.
Mi sentii stupida, stupida, piccola e indifesa. Perché mi ero lasciata trascinare in questa cosa? Perché avevo voluto coinvolgermi in una storia tanto più grande di me?
Dovevo scappare, scappare, scappare. Era un pensiero convulso che affiorava direttamente dalla parte più primitiva del mio cervello, ma sul momento non trovai delle argomentazioni forti da mettergli contro. Anche il mio corpo si mosse, portandomi lontano da Edward, e lui non cercò di fermarmi. Ma a questo punto – e pensai a Dimitri – non c'era un modo per farlo.
Non potevo scappare. E allora avrei dovuto combattere.
E trovarmi un nuovo maestro.
Jessica fu più che felice di aiutarmi, anche se i suoi insegnamenti sembravano avere poco da spartire con la filosofia di serenità e controllo che avrebbero dovuto andare a braccetto con le arti marziali.
Casa di Jessica era bella, anche se meno calda della casa dei Clearwater o dei Black. Mi sentii “un'ospite” nel senso più formale del termine appena misi piede oltre l'uscio, accolta da una Jessica allegrissima, con i capelli raccolti in una coda alta e spettinata. Era più grande di quella che avevamo io e papà, e curata in un modo che mi ricordava le riviste per l'arredamento che sfogliava sempre la mamma. Cucina dai colori chiari, lampadari sottili, pareti con su degli adesivi che imitavano un pattern di mattoni per sembrare vintage.
«Non c'entro niente con l'arredamento» Mi disse, alzando le mani come in segno di resa, appena vide che stavo esaminando affascinata la mobilia.
«Non è male» Dissi io, con le mani intrecciate di fronte a me
«Dovresti vedere quanto è bella la mia cameretta. Te la faccio vedere una volta o l'altra, Belarda». Mi rivolse un sorriso smagliante, poi si diresse verso la cucina «Posso offrirti qualcosa da bere, da mangiare?»
«No, Jess, grazie. Come accettato».
Jessica si strinse nelle spalle e mi offrì il braccio, conducendomi con grazia per i corridoi della sua casa. Ci infilammo in un corridoio stretto di un rassicurante blu smaltato, con su appesi dei piattini decorativi colorati con fantasie astratte, e scoprii che stavamo per scendere una scala buia.
«E Dracula?» Mi chiese con nonchalance, mentre io mi aggrappavo al suo braccio e cercavo di mettere i piedi nei punti giusti. Il mio equilibrio era già minacciato su un terreno piano, ora...
«È con papà. A lui non dispiace mai prendersene cura»
«No, direi di no».
Non riuscivo a ricordare se Jessica avesse o meno un animaletto domestico, ma nel caso me ne avesse accennato e io non me lo ricordassi, non glielo chiesi per non fare brutta figura.
Arrivammo al piano di sotto al buio, e Jessica mi lasciò impalata per allontanarsi verso l'interruttore. Si muoveva con sicurezza anche al buio – lo sapevo per la cadenza regolare dei suoi passi – e accese la luce. Ci trovavamo in una stanza squadrata, sufficientemente spaziosa, che conteneva alcuni attrezzi da palestra basilari.
Lei sciabolò le sopracciglia nella mia direzione: «Benvenuta nella mia stanza dei giochi, Belarda».
Mise in sottofondo “What a Feeling” per la nostra prima lezione, sprizzando energia all'idea di insegnarmi ciò che aveva imparato. Lei aveva su il kimono che usava per le sue, di lezioni, mentre io avevo addosso una felpa comoda e un paio di pantaloni da ginnastica di un verde militare che non mi convinceva. Tutt'ora non ero certa di come li avessi ottenuti.
«Sono sempre i più tranquilli. Non vedi l'ora di menare le mani, eh?» Jess mi fece l'occhiolino «Mi dai una mano?».
Trascinammo un tappeto blu al centro della stanza.
«Che atmosfera» Commentai con un sorrisetto.
«Alcuni mettono le canzoni rilassanti, ma io non riesco proprio a concentrarmi senza un filo di energia»
«Ma dove sono i tuoi genitori?» le chiesi, mettendo le mani sui fianchi. Sentivo la smania di trascinare in giro grossi pesi e fare esercizi sfiancanti. Eppure non ero mai stata una grande fan del fitness.
«Al piano di sopra. Stamattina siamo andati a fare trekking in un posto scosceso con Mike e non si sono ancora ripresi e stanno ancora dormendo. Credo che stiano dormendo. Cioè, non lo so con precisione, ma per quanto mi riguarda stanno dormendo»
«Aspetta, hai presentato Mike ai tuoi?»
«Qui tutti conoscono tutti. Sono stata privata di questo piacere» si strinse di nuovo nelle spalle, poi si aprì in un sorrisone, e poggiò il pugno destro sul palmo dell'altra mano aperta «Pronta, Belarda-sensei? Una come te non dovrebbe avere problemi».
Si riferiva all'incidente a Port Angeles, quando io, lei e Angela ci eravamo finte esperte di arti marziali per intimorire degli assalitori, e mi strappò una risata.
La prima lezione non fu nulla di particolare e non ebbi l'occasione di “menare le mani”. Jessica mi insegnò degli esercizi che mi avrebbero dato la possibilità di scaldarmi e rendermi un po' più elastica, e cominciò ad insegnarmi le posizioni base che avrei dovuto imparare per assumerle nelle lezioni seguenti.
Jessica era un'insegnante che metteva grinta sia nei rimproveri che negli incoraggiamenti, mi chiamava “Scimmia” quando facevo male, e “Belarda-sensei” quando facevo bene. Per il resto della lezione ero “Belarda”, “amica” o “Belarda-san”.
Presto iniziai ad avere una specie di routine. La mattina andavo ad allenarmi da Jessica, nel primo pomeriggio andavo dai vampiri ad allenare il mio scudo mentale, e passavo tutto il resto del mio tempo dividendolo tra amici (umani e non) e famiglia (umana e non).
Avevo comprato anche due pesi da quattro chili e mezzo al negozio di articoli sportivi di Mike, ed anche se non avevo molto tempo per usarli, facevo qualche sollevamento prima di andare a dormire finché non mi sentivo stanca (che era vergognosamente presto), prima di leggere qualche pagina da uno dei miei libri preferiti e cadere inevitabilmente addormentata.
Da un lato era difficile. Non c'era niente a cui aggrapparsi, niente di solido su cui lavorare. Sentivo solo il desiderio prepotente di rendermi utile, ma avevo l'impressione che i miei progressi fossero esigui e che le mie conoscenze fossero ancora disperatamente inadeguate. Non sapevo quanti secondi sarei durata contro Alec e Jane. Pregavo solo che, semmai fossi stata costretta a fronteggiarli, sarebbe stato per il tempo necessario a darli alle fiamme.
Cercavo di sollevare di più, di essere più flessibile, di spingere al di fuori di me quel mio scudo nebuloso, con successi limitati e sporadici. Era come se stessi lottando per tendere un elastico scivoloso ed invisibile, che in un qualsiasi momento poteva trasformarsi, da concreto e tangibile, in fumo impalpabile.
Volevo impegnarmi di più, ottenere di più!
Dall'altro lato, anche se non era semplice stava diventando una routine che mi faceva stare più tranquilla, e le endorfine rilasciate durante gli allenamenti mi aiutavano a rilassarmi come la sola lettura non era riuscita a fare prima. Gatti, libri, allenamento, amici: sembrava una ricetta di cui, dopo solo una settimana, non potevo più fare a meno.
Soltanto Edward era disposto a prestarsi come cavia per aiutarmi a sviluppare il mio scudo. Anche se non mi fossi lanciata in prima linea, se avessi imparato a proiettare il mio potere avrei potuto proteggere i miei amici in guerra. Era una cosa che valeva la pena considerare.
Ad essere sincera anche altri forse si sarebbero fatti avanti per aiutarmi se non fosse stato che quello da cui avrei dovuto proteggere Edward erano le scosse elettriche di Kate. Riceveva un trauma dopo l'altro da Kate mentre io mi cimentavo, inetta, con quello che avevo dentro la testa. Lavoravamo a volte per ore ed alla fine ero ricoperta di sudore, anche se la stanchezza era solo mentale.
Era ovviamente Edward quello che soffriva di più di queste prove, patendo continuamente gli attacchi “a bassa intensità” di Kate.
In realtà il mio scudo avrebbe potuto essere allenato altrettanto efficacemente anche con il potere di Zafrina, ed in quel caso Edward avrebbe dovuto solo guardare le illusioni indotte da Zafrina finché io non fossi riuscita ad impedirgli di vederle. Ma Kate insisteva sul fatto che avevo bisogno di motivazioni più intense. Stavo cominciando a dubitare dell'affermazione che aveva fatto quando ci eravamo conosciute: che non usava il suo dono in modo sadico. A me sembrava proprio che si divertisse.
Dovevamo essere più simili di quello che pensavo, per certi versi. Chissà perché, in quei momenti, il mio scudo non si muoveva mai.
La prima volta che riuscii a proiettare il mio potere abbastanza da scoprire qualcun altro, però non fu con Edward. Fu alla fine di quella settimana, quasi per gioco, e quando accadde fu per me un'emozione potentissima.
Riuscii, solo per appena un secondo e mezzo, ad impedire a Seth di vedere uno dei paesaggi imposti da Zafrina. Il sorriso stupito che mi rivolse mi parve una bella ricompensa per l'impegno che stavo cercando di mettere in tutto ciò che stavo facendo, ma forse fu nulla rispetto allo sguardo che mi diede Eleazar. Mi guardò come se fossi... un alieno. Come se fosse stato sicuro che non ce l'avrei mai fatta. Aver superato le aspettative di uno la cui peculiarità era conoscere i poteri della gente era gasante.
«Brava Belarda!» Esclamò Seth, alzando le braccia al cielo «Sei stata tu, vero? Ah, sono tornate le foglie!».
Feci un respiro profondo ed annuii, rendendomi conto con un secondo di ritardo che non poteva vedermi, cercando di capire cosa fossi riuscita a fare precisamente. Misi alla prova l'elastico – ormai avevo imparato a trovarlo, quasi a palparne i contorni – e mi sforzai di costringerlo a rimanere solido mentre lo allontanavo di nuovo da me.
Grugnii, a denti stretti, e sentii Seth sospirare di sollievo. «Ci vedo di nuovo».
Kate si avvicinò con un sopracciglio alzato, osservando la nostra interazione.
«Meglio» Sorrisi.
Kate si sporse verso Zafrina «Stai ancora usando il tuo potere?»
«Si»
«Se usiamo i nostri poteri, cioè, i nostri poteri, quello che è parte di noi, quello che ci rende unici» disse Tia con forza, sorpassandoci ed indicando nella nostra direzione con gli indici «Non possiamo perdere. Anche per quel poco che possiamo fare, in realtà non è mai poco. La nostra sola presenza può cambiare tutte le regole in gioco. Siete speciali, siete importanti».
«Grazie Tia» Dissi rincuorata. Gli altri annuirono, riflettendoci su.
All'improvviso sentii l'elastico tremare come un muscolo sotto uno sforzo che non era in grado di reggere e tornarmi addosso. Seth sibilò sorpreso, ma il suo sguardo non divenne vacuo: Zafrina aveva smesso di usare il suo potere.
«Scusa» Dissi al suo indirizzo, passandomi una mano sulla nuca. Mi mordicchiai il labbro. Se era davvero parte di me, perché non riuscivo a farlo bene?
«Te la stai cavando alla grande, Bella» Disse Edward, tentando di stringermi a sé. Mi divincolai e gli misi un dito nell'occhio e lui mi lasciò tornare accanto a Seth «È solo da qualche giorno che ci provi e riesci già a proiettare lo scudo ogni tanto. Kate, dille quanto è brava».
Kate storse le labbra «Non saprei. È ovvio che ha un talento enorme a cui stiamo cominciando appena ad avvicinarci. Può fare meglio, ne sono sicura. Le mancano un po' di stimoli».
E di nuovo con questi stimoli. Sentivo i mormorii del pubblico sempre più numeroso che si era raccolto intorno a noi mentre mi allenavo: all'inizio erano solo Eleazar, Carmen e Tanya, ma poi si era avvicinato quel mostro di Garrett, seguito da Benjamin e Tia (che era tornata), le irlandesi e persino Alistair sbirciava da una finestra del secondo piano, come un grosso pipistrello impagliato. Gli spettatori erano d'accordo con Edward: pensavano che me la stessi cavando egregiamente.
Troppo buoni.
«Kate...» Disse Edward in tono ammonitore. Lei stava escogitando qualcosa. No, dai, mi stava simpatica: non era un buon momento per mostrarsi una sadica psicopatica se volevano che io avessi ancora qualche fiducia nella bontà di qualche vampiro.
«Forse dovrei... cambiare bersaglio» Considerò Kate pensierosa «Uno che... sappiamo già... che funzioni». E si voltò a guardare Seth.
Okay, i vampiri erano malvagi. «No» Quasi ringhiai «Non si può fare, Kate!».
Per una volta fu al contrario: il licantropo la guardò allarmato e mi venne incontro in cerca di protezione. Kate aveva già fatto un passo nella mia direzione, la mano tesa verso di noi.
«No» Dissi, arretrando rapida. Cominciò ad avvicinarsi a grandi passi. Sorrideva come un cacciatore che ha intrappolato la sua preda.
Non riuscivo a non sudare freddo anche se razionalmente sapevo che, se avesse fatto del male a Seth, sarebbe andata contro le regole che i licantropi e i vampiri avevano stabilito per una convivenza pacifica. Se avesse seriamente avuto delle cattive idee, Edward lo avrebbe saputo leggendoglielo nel pensiero. Se così fosse stato, l'avrebbe fermata? Gli sarebbe importato di Seth?
La paura rendeva ancora più scivolosi i contorni del mio elastico, ma la rabbia mi donava una presa più salda. Percepivo anche l'elasticità dello scudo con maggiore precisione: capii che non era un elastico, ma piuttosto uno strato, una pellicola sottile che mi copriva dalla testa ai piedi.
Appena mi resi conto di come il mio umore influiva sulla mia abilità, cercai di arrabbiarmi il più possibile. Pensai a tutti gli aspetti che non mi piacevano di quella situazione, alla mia impotenza nel salvare Sarah, a tutte le volte che Edward Cullen aveva fatto lo scemo con me (un numero notevole di ricordi affiorò in mio aiuto, servizievole), a come i vampiri avessero messo in pericolo la mia vita, a come mia madre non si fosse mai davvero presa cura di me, a come fossi stata costretta per tutta la mia infanzia a vedere il sorriso, quando era sincero, spegnersi sulla faccia di papà ogni volta che rimpiangeva quella donna che non lo meritava.
E con la rabbia che mi ribolliva in corpo sentii il mio potere, lo controllai, lo sentii mio.
Lo forzai a stendersi attorno a me e lo allungai fino ad avvolgere completamente anche Seth, come un abbraccio dato con un braccio riluttante, ma la mia volontà per una volta era più forte.
Kate fece un altro passo avanti ben calcolato e dalla gola di Seth salì un ringhio feroce, che vibrò tra i suoi denti serrati. Un suono simile, ma molto più breve, mi sfuggì nel mio tentativo di mantenere la concentrazione più a lungo possibile.
«Stai attenta, Kate» La mise in guardia Edward.
Garrett ci guardava affascinato e incuriosito, tamburellandosi interessato indice e medio sulle labbra. «Carlisle!» Chiamai io, rivolgendomi al vampiro di cui mi fidavo di più.
Edward sfrecciò nello spazio fra di noi, bloccando l'accesso di Seth a Kate e, fortunatamente, viceversa.
«Ora allontanati e lascia un po' d'aria a Bella e Seth per calmarsi, Kate. Non devi stuzzicarlo così. Lo so che sembra più grande, ma è un ragazzino, è un licantropo solo da qualche mese»
«Non abbiamo tempo per fare le cose con delicatezza, Edward. Dobbiamo costringerla. Restano solo poche settimane e lei ha tutte le potenzialità per...»
«Arretra un attimo, Kate».
Kate fece una smorfia, ma prese l'avvertimento di Edward molto più sul serio del mio.
Una parte di me capiva la saggezza delle parole di Kate: la rabbia mi stava aiutando. Avrei imparato molto più in fretta sotto pressione.
Ciò non significava che dovesse prendersela con i miei amici, o che questo mi facesse piacere.
Sentivo ancora il mio scudo come un telo forte e flessibile che avvolgeva me e Seth, e quel successo, che finora non ero mai riuscita a raggiungere, mi fece venire una nuova ispirazione. Lo spinsi oltre, costringendolo intorno ad Edward. Il tessuto elastico non mostrava difetti né rischi di cedimento: non potevo vederlo con i miei occhi, ma era come se una parte di me fosse acutamente cosciente di com'era fatto, quanto si estendeva, e aveva persino una rudimentale forma di tatto grazie alla quale potevo capire quando avevo lambito i contorni delle persone che volevo proteggere. Tutte queste informazioni venivano elaborate dal mio cervello come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, e mi venivano restituite dandomene “un'immagine” fantasma. Era come avere un arto d'acqua o un famiglio magico bolla di sapone, fluido ma forte, che potevo dirigere a mio piacimento.
Sentii la meraviglia del momento, ma la ricacciai indietro per il momento: la rabbia, avevo bisogno della rabbia. Quel singolo momento di gioia mi aveva indebolita: ansimavo per lo sforzo e le parole mi uscivano deboli anziché rabbiose. «Rifacciamolo» Dissi a Kate «Però tocca solo Edward».
Così, se anche non fossi riuscita a mantenerlo come volevo, non ne avrei sofferto troppo.
Lei alzò gli occhi al cielo e l'altro vampiro mi lanciò un'occhiata apertamente preoccupata, ma Kate avanzò rapida e premette il palmo della mano sulla spalla di Edward.
«Non sento niente» Disse lui. Nella voce gli udivo la sfumatura di un sorriso.
«E ora?» Chiese Kate
«Ancora niente»
«E ora?». Stavolta nella voce di Kate si avvertiva una forte tensione.
«Ancora niente».
Kate grugnì e si allontanò. Sembrava piena di disappunto, il che in effetti, mi divertì. Ero riuscita a batterla in un certo senso, ed i vampiri non sono abituati a sentirsi vulnerabili. O ad essere battuti, se per questo.
«Vedi questo?» Chiese Zafrina con la sua voce profonda e selvaggia, fissandoci intensamente tutti e tre e avvicinandosi di un passo aggraziato, a suo modo. Parlava un inglese fluente ma con uno strano accento, con le parole salivano di tono in punti insoliti.
«Non vedo niente di strano» Disse Edward
«E tu, Seth?» Chiese Zafrina. Lui le sorrise, felice di essere stato chiamato per nome e scosse il capo. Era un vero e proprio lusso non essere apostrofato con un nomignolo dalla maggioranza dei vampiri nella casa per lui.
La mia rabbia si era quasi dissolta e serravo i denti, ansimando più forte mentre spingevo lo scudo verso l'esterno: più a lungo lo reggevo, più mi sembrava pesante. Si ritirò trascinandosi verso l'interno.
«Niente paura» Disse Zafrina avvertendo il gruppetto che mi guardava «Voglio capire quanto riesce ad estenderlo».
Era una buona idea: volevo saperlo anche io, finché reggevo.
Tutti i vampiri tranne Edward, Zafrina stessa e Senna emisero un'esclamazione terrorizzata: Eleazar, Carmen, Tanya, Garrett, Benjamin, Tia, Siobhan, Maggie; Senna sembrava fosse stata preparata all'azione successiva di Zafrina, quale che fosse. Gli altri avevano lo sguardo vacuo e l'espressione ansiosa. Kate, invece, non urlò, ma emise una sorta di pigolio intermittente.
Sentimmo un urlo isterico e stridulo venire dal soffitto.
«Alzate la mano quando vi torna la vista» Li istruì Zafrina «Ora, Bella, vedi un po' quante persone riesci a riparare con lo scudo».
Il fiato mi uscì con uno sbuffo. A parte Edward e Seth, Kate era la persona più vicina, però si trovava ad almeno tre metri di distanza. Serrai la mascella e spinsi, cercando di estendere quella difesa resistente ed elastica. Centimetro per centimetro, secondo dopo penoso secondo, la spinsi verso Kate, lottando contro la reazione che scattava ad ogni minimo avanzamento. Mentre ero all'opera cercai di guardare solo l'espressione ansiosa di Kate come segnale rivelatore e produssi un lieve suono di sollievo quando la vampira batté le palpebre e mise a fuoco lo sguardo. Alzò la mano.
«Affascinante!» Sussurrò Edward, e ringraziai la mia buona stella che non avesse detto “effervescente” «Come uno specchio unidirezionale. Posso leggere tutto quello che pensano, ma qui dietro sono irraggiungibile. Chissà se Kate potrebbe mandarmi una scarica elettrica adesso, visto che anche lei è sotto l'ombrello. Però continuo a non sentire te, Belarda... mmmh. Come funziona? Chissà se...».
Continuò a borbottare tra sé, probabilmente ignaro di quanto questo stesse erodendo la mia concentrazione e facendomi saltare i nervi – a quanto pare lo scudo funzionava bene sotto rabbia, ma l'irritazione di un vampiro borbottante non faceva che rendere più scivolosa la mia presa – e non riuscii a prestare attenzione alle parole. Digrignai i denti cercando di estendere lo scudo a Garrett, che era il più vicino a Kate. Lui alzò la mano molto prima di quanto mi sarei aspettata, scatenandomi un attimo di genuina sorpresa. E quello infranse tutto.
«Ottimo» Si congratulò Zafrina «Ora...».
Aveva parlato troppo presto: un secco rantolo e sentii il mio scudo schizzare all'indietro come un elastico troppo teso, che torna di scatto alla sua forma originale. Seth fece una sorta di guaito, sperimentando qualunque paesaggio da incubo l'amazzone avesse escogitato per fare lanciare urletti a tutti i mostri sovrannaturali nella stanza. Lottai stancamente contro la forza elastica, spingendo lo scudo in modo che tornasse ad avvolgerla.
Volevo solo dormire. “Solo un attimo” mi dissi “lo userò ancora solo un attimo finché Zafrina non la finisce. Per Seth”.
«Mi date un minuto di pausa?» Chiesi ansante. Mi sentivo totalmente svuotata, pronta a svenire o qualcosa del genere. Indietreggiai fino a trovare la parete alle mie spalle e ci poggiai contro la schiena, lasciandomi scivolare fino al pavimento.
Seth venne a sedersi vicino a me con le braccia conserte sulle ginocchia, ma in posa rilassata.
«Sei stata fortissima» Mi disse, incoraggiante.
Io ero mezza morta, e probabilmente avevo un odore orribile di sudore, ma riuscii ad apprezzare la sua gentilezza e sorridergli. Provai l'intensa voglia di alzarmi e correre a farmi una doccia, ma contemporaneamente non credevo di esserne in grado in quel momento.
Forse era la rabbia a sostenere il mio scudo perché avevo bisogno di adrenalina per non collassare.
«Certo» Mi garantì Zafrina e gli spettatori si rilassarono appena restituì loro la vista.
«Kate» Gridò Garrett mentre gli altri si allontanavano un poco mormorando, infastiditi da quel momento di cecità: come detto prima, i vampiri non erano abituati a sentirsi vulnerabili. Eppure confronti, anche amichevoli come quello che si era appena svolto, erano inevitabili in presenza di un numero di vampiri così alto: probabilmente era per quello che la maggioranza dei vampiri erano nomadi e viaggiavano soli o a coppie.
Garrett di loro era forse l'unico immortale privo di doni che sembrava di attratto dalle mie sedute di allenamento... ma sospettavo che in effetti l'oggetto dell'attrazione di quell'avventuriero non fossi proprio io.
«Fossi in te non lo farei, Garrett» Lo ammonì Edward.
Garrett proseguì in direzione di Kate nonostante l'avvertimento, con le labbra corrucciate e pensieroso. «Dicono che sei in grado di stendere un vampiro».
Lei si voltò verso il nuovo arrivato con uno svolazzo dei lunghi capelli serici, soppesandolo. «Si» Confermò lei. Poi, con un sorrisino astuto, gli fece un cenno scherzoso con le dita «Sei curioso?».
Garrett alzò le spalle. «È una cosa che non ho mai visto. Mi sembra un po' un'esagerazione....»
«Forse» rispose Kate, facendosi improvvisamente seria «Forse funziona solo con i deboli o i giovani. Non sono sicura. Però tu sembri forte. Forse riusciresti a resistere al mio potere». Stese la mano aperta verso di lui a palmo in su: un chiaro invito. Ebbe un fremito delle labbra, e fui abbastanza sicura che la sua gestualità solenne fosse un tentativo di fregarlo.
A dire la verità era una “trappola” non troppo nascosta, ma non per questo meno efficace. Almeno, non per uno come Garrett, per cui una sfida del genere era anche più irresistibile.
Probabilmente Jessica sarebbe riuscita a convincerlo a scommettere contro di lei decine di volte (vincendogli ogni centesimo di patrimonio e forse pure i denti e i capelli).
Garrett rispose alla sfida di Kate con un sorriso. Molto fiducioso, le toccò il palmo con l'indice.
Fu un secondo: con un rantolo sonoro, le ginocchia gli cedettero e stramazzò all'indietro. Con la testa colpì il ripiano di granito del mobile dietro di lui e si sentì un orripilante crepitio secco. Era uno spettacolo sconvolgente, vedere un immortale ridotto in quel modo.
«Te l'avevo detto» Borbottò Edward fra i denti.
A Garrett tremarono le palpebre per qualche secondo, poi spalancò gli occhi. Alzò lo sguardo verso Kate, che sogghignava compiaciuta, e un sorriso di stupore gli illuminò il volto.
«Perbacco!» Esclamò
«Ti è piaciuto?» chiese lei scettica
«No, non sono mica pazzo» rispose ridendo, e scosse il capo mentre si rialzava piano fino a mettersi in ginocchio «Ma di sicuro era qualcosa di speciale!».
Eccolo, ecco l'inizio di una grande love story: la sadica e il masochista immortali si erano trovati, e lei avrebbe potuto picchiarlo per il resto dell'eternità. Ma che carini. Evviva il Karrett.
Edward alzò gli occhi al cielo, mentre Kate rispondeva allegramente: «Così si dice in giro».
Ad interrompere l'idilliaco momento di dolore e sofferenza, dal giardino anteriore arrivò un ululato singhiozzante, vibrante come un ringhio. Non ero sicura che avesse un significato nel linguaggio dei veri lupi, ma parve avere un significato particolare per Seth, che scattò in piedi all'urlo di: «Jacob! Intrusi!».
Buona parte dei sovrannaturali si spostò in giardino, compreso il mio amico lupo, ma io ero spossata e spostarmi mi parve una cattiva idea. Il pavimento mi sembrava un materasso di piume.
Rimasero per un po' fuori, poi sentii le loro voci avvicinarsi di nuovo. Sopra tutti, udii Carlisle parlare sopra un brusio sorpreso.
«Vi ha mandati Alice?» Chiese lui a qualcuno, con voce malferma, vagamente turbato.
Un altro ospite inatteso?
Edward si precipitò in casa e la maggior parte degli altri lo imitò. Seth e Jacob rientrarono; Jacob era ringhioso, spettinato e coperto da un paio di pantaloncini scuri davvero molto corti, mentre Seth gli girava attorno nervosamente, rapido e scattante come una libellula.
Cercai di alzarmi faticosamente da terra, puntellandomi al muro con i gomiti e gli avambracci.
Se qualcosa di nuovo era entrato in casa, preferivo essere stanca e pronta piuttosto che farmi trovare accasciata come una bambolina.
«Non ci ha mandati nessuno» Rispose in un sussurro una voce profonda. Mi bloccai bel nel mezzo della mia scalata: quelle voci suonavano antiche e strane, distorte ed eteree come se provenissero da dietro una barriera di cristallo.
Sapevo che il soggiorno era affollato: quasi tutti erano rientrati per vedere i nuovi ospiti, eppure non si sentiva alcun rumore. Solo respiri leggeri, nient'altro.
Carlisle rispose con voce guardinga «Allora cosa vi porta qui proprio adesso?».
Carlisle guardingo? Quello che aveva gli amici... che aveva? Mi chiesi che razza di mostri lovecraftiani fossero i nuovi ospiti per indurlo a comportarsi con diffidenza.
«La gente mormora» Rispose una voce diversa, evanescente quanto la prima «Abbiamo sentito dire che i Volturi stavano per attaccarvi. Girano voci segretissime sul fatto che non siete soli. Ovviamente le voci sono vere. Avete radunato una brigata notevole»
«Non stiamo sfidando i Volturi» rispose Carlisle con voce tesa «C'è stato un equivoco, tutto qui. Un equivoco molto grave, certo, ma speriamo di riuscire a chiarirlo. Vogliamo solo che i Volturi ci ascoltino. Non abbiamo...»
«Non ci importa di cosa vi accusano» lo interruppe la prima voce «Non ci importa se avete infranto la legge»
«E quanto madornale sia la vostra infrazione» s'intromise il secondo
«Da millecinquecento anni aspettiamo che qualcuno sfidi quella feccia di italiani» disse il primo «Se c'è la minima possibilità che vengano sconfitti, staremo qui ad assistere».
Per un attimo mi sentii offesa nel mio onore patriottico, poi mi ricordai che i connazionali di cui si parlava non erano esattamente santerelli. Non era il caso di difenderli.
«Oppure, potremmo persino aiutavi a stroncarli» Aggiunse il secondo. Parlavano l'uno dopo l'altro in tono sommesso e le voci si assomigliavano talmente tanto che mi veniva difficile capire che non erano un'unica persona. A dire il vero, davano proprio quell'impressione. Per fortuna erano molto educati e aspettavano ognuno il proprio turno per parlare, oltre ad aver specificato di essere in due, così mi facilitavano il lavoro. «Se riteniamo che abbiate qualche possibilità di riuscita».
«Bella?» Mi chiamò Edward con voce brusca «Vieni qui, per favore. Forse dovremo mettere alla prova le affermazioni dei nostri visitatori rumeni».
Mi rincuorava sapere che probabilmente molti dei presenti mi avrebbero difesa se i rumeni avessero avuto una reazione violenta. Non mi piaceva il suono della voce dei “nostri visitatori rumeni” né il tono di oscura minaccia delle loro parole, ma mi ritrovai comunque ad ubbidire.
Mentre entravo ciondolando nella stanza, vidi che non ero l'unica a pensarla così. La maggior parte dei vampiri immobili li fissava con occhi ostili e alcune, cioè Carmen, Taya, Zafrina e Senna, senza averne l'aria, si erano piazzate in atteggiamento difensivo fra i nuovi arrivati e me e i licantropi, che stavano discosti dal resto dei freddi.
I vampiri sulla soglia erano smilzi e bassi al tempo stesso; uno aveva i capelli scuri e l'altro, invece, talmente biondi da sembrare grigio chiaro. La pelle aveva un aspetto polveroso e strano ed avevano occhi penetranti di un bordeaux scuro, ma, nonostante il generale aspetto derelitto, chiari e consapevoli. Indossavano vestiti neri molto semplici che potevano passare per moderni, ma riprendevano motivi antichi.
Il vampiro bruno aveva il naso pesante ma lineamenti piacevoli, capelli corti e basette consistenti, mentre quello biondo aveva una pettinatura che sembrava una specie di caschetto che, francamente, gli stava molto male, ed era leggermente meno attraente dell'altro, con il naso largo, ma le labbra più rosse. L'unica cosa che tradiva la loro età era proprio la consistenza polverosa della loro pelle bianca, che, insieme alla loro statura modesta ed al loro fisico apparentemente fragile, mi dava l'impressione che si sarebbero sbriciolati in tandem da un momento all'altro.
Quello scuro di capelli sorriso quando mi vide. «Che buon odore. Ce ne offrireste un sorso?»
«Belarda è un'amica» Disse nervosamente Carlisle, proteggendomi e presentandomi in una sola mossa. Punti per te, dottor Canino. «Non è una serva umana, e non ci nutriamo di lei»
«Quindi conosce i nostri segreti e non è una di noi?» disse il biondo polveroso. Vedendoli, il fatto che avessero la stessa identica voce dava un'impressione ancora più strana, perché non si somigliavano più di tanto.
«Bene, bene, Carlisle. Hai fatto proprio il briccone, vero?»
«Non è come credi, Stefan»
«In ogni caso non ce ne importa niente» rispose il biondo «Proprio come abbiamo detto prima». Che bella politica, punti anche per gli Sbriciolini.
Il dottor Cullen sospirò «Quindi restate pure ad osservare, Vladimir, ma sta' sicuro che non abbiamo in programma di sfidare i Volturi, come abbiamo detto prima»
«Allora ce ne staremo qui con le dita incrociate» iniziò la frase Stefan
«E speriamo di avere fortuna» finì Vladimir.




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