Dopo essermi tolta l'unica scarpa da ginnastica con cui ero andata in giro per tutta la sera e per una parte della notte, mi sentii immediatamente meglio. Dracula mi raggiunse con un miagolio acuto e mi si strusciò contro le calze, deliziato. Quel gatto era probabilmente l'unica creatura al mondo capace di essere felice di premersi contro i miei calzini sudati.
Papà non era in casa, ma aveva lasciato un messaggio sul frigo, attaccato con una calamita a forma di gatto che non avevo mai visto prima e che somigliava in maniera sospetta a Lillo.
Il messaggio recitava, in una grafia tutta scarabocchiosa, “Belarda, il tuo papà è a dormire da Billy Black. Sempre se dormiamo!!!! Serata film + sport. Chiamami al telefono se hai bisogno che venga a prenderti al karaoke!”.
Ma se ero a casa e stavo leggendo quel messaggio, come facevo a chiamarlo dal karaoke? Era un po' incoerente. Però ero contenta che fosse a divertirsi da Billy.
Salii al piano di sopra, portando in braccio Dracula, ed entrai nella mia camera. La finestra era spalancata, anche se ricordavo chiaramente di averla lasciata chiusa. La richiusi, con un filo di inquietudine, sperando che Capelli Pazzi non fosse in giro.
Decisi di concedermi un buon sonno, visto che l'indomani avrei dovuto essere di nuovo in giro a controllare i vampiri e fare da messaggera per i licantropi. Sarebbe stato faticoso.
Nonostante tutto quello che era successo, ero contenta e sentivo il cuore leggero come una piuma. Ero andata al cinema con Undertaker, al bar con Undertaker, avevamo eliminato due vampire e lo avevo visto battere un piede contro la gamba del tavolo!
Quest'ultima cosa era... non so, magari un filo meno sensazionale a dirsi del resto, ma era comunque una cosa che mi era rimasta piuttosto impressa. Forse era meglio così, meglio imprimersi in mente una cosa innocente come quella, piuttosto che pensare alle spie dei Volturi.
Ma mentre ci pensavo, cercando di spiegarmela, iniziai a scivolare nel sonno.
Sognai che mi trovavo all'interno del cinema, quasi completamente vuoto. Pochissime poltrone erano occupate: quella accanto a me, occupata da Jessica vestita in giallo limone e rosso carminio, attenuati in modo realistico dal buio del cinema, ed altre lontane da persone dal volto in ombra di cui non riuscivo a distinguere le fattezze.
Sia i miei occhi che quelli di Jessica erano incollati al grande schermo, ma la pellicola che veniva proiettata sembrava non avere alcun senso. Erano delle macchie nere e grigie su sfondo bianco cangianti, simili alle macchie di un test di Rorschach, ma nel sogno non potevo fare a meno di seguirne il mutare, come se fosse stato di grandissima importanza. Poi finalmente riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo, ma perché era entrato dal retro Undertaker, così alto da coprire il sottile raggio bianco del proiettore e stampigliando una silhouette nera con i suoi contorni sulle macchie.
Un battito di ciglia ed era diventato l'orso-vampiro. Tutti gli altri occupanti del cinema, che – ora che si muovevano riconoscevo in loro i volti dei Cullen e di qualcuno dei Quileute – sgattaiolarono via in fretta, cercando di non attirare l'attenzione del mostro. Ma io sentivo che non potevo andarmene, perché non avevo ancora capito cosa volevano dirmi le macchie. E qualunque cosa volessero dirmi, era dannatamente importante.
Jessica si alzò e andò senza paura incontro all'orso-vampiro, mentre io rimasi inchiodata al mio posto. Jessica sorrise al mostro; lo sapevo anche se dal mio punto di vista non sarei dovuta essere in grado di vederlo. La mia amica estrasse dalla tasca un accendino economico rosa, ed inclinò la testa appena, quasi civettuola. L'orso-vampiro fece lo stesso.
«Vuoi fare una scommessa?» Chiese Jessica. Era la sua voce, ma stranamente acuta, quasi uno scampanellio. Poi accese l'accendino.
Ormai l'enorme casa dei Cullen conteneva più ospiti di quanti sembrava poter alloggiare. La situazione era gestibile soltanto perché nessuno dei nuovi arrivati aveva bisogno di dormire... o di usare il bagno.
Era stato un mezzo inferno aiutare Cullen e Quileute ad accordarsi in questi giorni, ma, una volta tanto dovevo riconoscere l'immenso sforzo di carisma che Carlisle aveva fatto per venire incontro ai licantropi e convincere i vampiri che avrebbero ospitato a non mangiarsi nessun umano. Alcuni vampiri si rifiutarono di rimanere in zona e promisero che sarebbero tornati in tempo, anche perché, seppure non lo volessero dare a vedere, ero sicura che non si sentissero tranquillissimi all'idea che un enorme branco di mutaforma avrebbe preteso le loro teste dure e brillanti se fosse accaduto qualcosa a noi umani.
Ci volle un po' anche per assicurarsi che nessuno mi avrebbe fatta fuori ogni volta che facevo da ambasciatrice e, con mia grande sorpresa, il clan di Denali mi aiutò ad assicurarmi che sarei stata protetta. Spesso e volentieri, anche se un piccolo gruppo di licantropi mi proteggeva rimanendo fuori dalla casa (i membri del gruppo cambiavano, ma Jacob insisteva sempre per venire e quasi sempre riusciva a spuntarla), erano le vampire di Denali ad accompagnarmi dentro e rimanermi accanto.
Più tempo passavo con loro, più mi sentivo in colpa ad aver giudicato in una volta sola tutti i vampiri. Non esistevano forse persone orribili e criminali anche tra gli umani? Capelli Pazzi forse non era rappresentativo di tutta la sua specie... anche se il buon senso continuava a strillarmi che, effettivamente, almeno e dico almeno il novanta per cento dei vampiri banchettavano allegramente sugli esseri umani. Forse erano i Denali ad essere eccezioni.
Alla fine si riuscirono a creare una serie di norme precarie che consentivano l'arrivo di altri vampiri in aiuto ai Cullen, ma in modo tale che la tregua tra vampiri e licantropi potesse prosperare.
La prima regola, ovviamente, era che non ci dovevano essere aggressioni ingiustificate tra vampiri e licantropi.
E gli umani erano off-limits finché gli ospiti fossero rimasti in zona. Alcuni vampiri si rifiutarono di cacciare animali quando venni a negoziare insieme ad Aida e Jared, e la volta dopo trovai quegli stessi vampiri a ciucciare soddisfatti da sacche di sangue trasparenti, fornite probabilmente da Carlisle.
I pasti erano comunque rischiosi, però, perché i vampiri non erano esattamente famosi per il loro autocontrollo durante le cacce. Sorprendentemente, la collaborazione filava comunque liscia: gli ospiti avevano cura di stare alla larga da Forks e La Push e cacciavano solo al di là dei confini dello Stato; Edward era un padrone di casa impeccabile e, senza battere ciglio, prestava le sua automobili a destra e a manca a chi ne aveva bisogno.
Quel compromesso aveva iniziato a mettermi a disagio quando il numero di vampiri dagli occhi rossi che mi circondava giornalmente era aumentato, ma ero fiera di dire che non mi stavo affatto lagnando. La cosa che mi metteva più a disagio era che quegli stessi vampiri, alleati momentanei, se fossero sopravvissuti sarebbero tornati liberi a scorrazzare nel mondo e fare strage dei miei simili, ma cercai di non concentrarmi solo su quel particolare per il momento.
Jacob ne era ancora più sconvolto. I licantropi esistevano proprio allo scopo di evitare perdite di vite umane, ed ecco che si doveva passare sopra alla nascita della casa degli orrori, puzzolente e piena di assassini non-morti, proprio fuori dai confini territoriali del branco, e si pretendeva che non li si toccasse.
Ma date le circostanze, tenne la bocca chiusa e guardava in cagnesco i propri piedi invece dei vampiri.
Vedere altri Freddi però gettò luce sul mio modo di percepirli. Tutti i Freddi, tranne il clan di Denali, aveva una certa aria distaccata che non riuscivano mai a scrollarsi davvero di dosso nel trattare con qualunque cosa. A proposito di Jacob... non riuscivo bene a spiegarmi come potessero avere più o meno tutti la stessa reazione nell'apprendere, al loro arrivo, che dovevano avere a che fare con i licantropi e quella nell'incontrarli le prime volte. I licantropi sembravano più o meno invisibili ai loro occhi: non proprio persone vere, ma nemmeno una potenziale fonte di cibo, e un ottimo deterrente dall'avvicinarsi a me. Quando li vedevano, sollevavano i loro nasini vampirici e ci danzavano attorno, senza mai avvicinarsi più del dovuto. Li trattavano come la gente che non ama le bestie tratta gli animali domestici dei propri amici.
Piano piano memorizzai i visi e i nomi degli ospiti di casa Cullen mano a mano che arrivavano, trovando che, per qualche motivo, mi riusciva più facile che con i miei coetanei. Mah, forse istinto di sopravvivenza.
Dopo i simpatici vampiri del clan di Denali, era arrivata una coppia di vampiri nomadi: Peter e Charlotte. Alice li aveva mandati lì senza fornire loro alcun chiarimento: come la maggior parte delle persone che conoscevano Alice, si erano fidati delle sue istruzioni nonostante la mancanza di ragguagli. Alice non aveva raccontato nulla della direzione verso cui avrebbe proseguito il suo viaggio, e non aveva fatto alcuna promessa di rivederli in futuro.
Né Peter né Charlotte avevano mai visto dei licantropi o sentito di un animale trasformato in vampiro, ma la curiosità li aveva spinti ad accettare le spiegazioni che la famiglia Cullen aveva fornito loro. E si erano impegnati a fare da testimoni né più né meno della famiglia di Tanya.
Erano una coppia particolare, che sembrava esercitare un campo magnetico l'uno sull'altra che gli impediva di allontanarsi di troppo dal proprio partner. Lui era bello, ma in modo più convenzionale rispetto a tutti gli altri vampiri che avevo visto finora (ed a quelli che avrei visto in seguito), con capelli castani mossi, le sopracciglia spesse e lineamenti squadrati. Lei sembrava giovanissima con i capelli corti e scuri su un viso dai contorni morbidi, da ragazzina, con il collo sottile che spuntava da vestiti semplici. Anche se entrambi parlavano per esprimere la propria opinione, non li vidi mai in disaccordo: sembravano una specie di mente comune che parlava per due bocche diverse.
Il clan irlandese fu incredibilmente facile da convincere.
Il loro capo era Siobhan, una donna imponente con un corpo enorme. Nonostante la stazza, le sue movenze erano comunque fluide, e il governare con tanta disinvoltura quel corpaccione la rendeva forse ancora più affascinante, capace di movenze sinuose. Lei e Liam, il suo compagno dal volto severo, erano evidentemente abituati a fidarsi parecchio del giudizio dell'ultimo acquisto del loro clan ed agire di conseguenza: questa era una piccola vampira dagli esuberanti riccioli rossi che aveva un fisico decisamente più minuto, ma aveva il dono di capire quando qualcuno le mentiva, perciò i suoi verdetti non venivano mai messi in discussione.
Personalmente trovavo ingenuo pensare che qualcuno che sapeva riconoscere le bugie non fosse in grado di mentire o manipolare i verdetti per il proprio interesse, ma non conoscendola cercai di non giudicarla. Intanto mi ci volle una vita per memorizzarne correttamente il nome: si chiamava Maggie, anche se per qualche motivo mi ero fissata sul pensiero che si chiamasse “Freddie”.
Maggie decretò che Edward aveva detto la verità, quindi Siobhan (che, più tardi, appresi si scrive solamente Siobhan, mentre io lo sentii sempre pronunciato come “Shi-vawn”) e Liam accettarono completamente le nostre condizioni e la loro verità.
Io memorizzavo, cercavo di discernere i caratteri dei nuovi arrivati e mediare, e raccontavo ancora e ancora tutto a Sam o Ayita.
Amun e gli altri vampiri egizi furono un altro paio di maniche.
I primi membri del clan che memorizzai furono un ragazzo dal viso
simpatico con le orecchie un po' sporgenti, di nome Benjamin, e una
giovane donna dai capelli liscissimi e molto scuri, che le ricadevano
attorno a testa e spalle come un tendaggio, di nome Tia. Lui in
particolare era stranamente cordiale ed un'aria sicura e maldestra al
tempo stesso, che adoperava quando agiva con i suoi simili, che lo
facevano sembrare molto più giovane degli anni che il suo corpo
dimostrava in effetti. Loro furono i primi ad accettare di testimoniare a
favore dei Cullen quando fosse arrivato il momento, e nel frattempo di
aiutarli ad abbattere l'orso-vampiro. Ma persino dopo che loro due ne
furono convinti, Amun si rifiutò di avere a che fare con ursidi da
incubo e ordinò ai suoi di levare le tende.
Benjamin se la prese a male evidentemente, perché minacciò di sciogliere
il sodalizio ed abbandonare il clan se non fossero rimasti tutti.
Sembrava una combriccola davvero male assortita.
Sebbene Amun fosse il membro più anziano ed il capo dichiarato, la sua
autorità era davvero pietosa e si subordinava spesso al volere del ben
più carismatico Benjamin per paura di perderlo, ma sembrava avere un
ascendente anche troppo importante sulla sua compagna, di cui non
ricordavo mai il nome perché non le udii mai spiccicare una parola, e
che non si allontanava mai da lui più della lunghezza della sua ombra.
Il che, siccome li incontravo sempre in casa con la luce artificiale,
voleva dire che gli stava spalmata alla schiena con i piedi vicini, come
quei gatti che si ostinano a dover stare dentro cose piccine come i
contenitori dello yogurt, le insalatiere e cose così.
Tia,
la compagna di Benjamin, era a sua volta un donna silenziosa, però,
quando parlava, faceva sempre discorsi profondissimi e risolutivi. Una
volta le chiesi di spostarsi appena perché io potessi attraversare la
porta, e lei trasformò “l'attraversare la porta” come una metafora per
la possibile riconciliazione delle nostre specie e tutti convennero con
lei che una pace era possibile.
Eppure sembrava che
tutti ruotassero intorno a Benjamin, come se possedesse un magnetismo
invisibile da cui dipendeva l'equilibrio degli altri. Vidi Eleazar
fissare il ragazzo ad occhi spalancati e concludere che il potere di
Benjamin doveva essere quello di attrarre a sé le altre persone.
Io
e Seth eravamo seduti accanto a Tanya e Kate sul divano, cercando di
sfuggire ad un discorso motivazionale di Tia. Eleazar era seduto sul
bracciolo del divano dal lato di Kate, e fissava con occhi da pesce le
orecchie di Benjamin attraverso la porta aperta.
«Quindi voi non mangiate gli esseri umani?» Stava chiedendo curioso Seth.
Tanya
abbozzò un sorriso a labbra rigorosamente serrate e scosse la testa
«No. Abbiamo deciso molto tempo fa che è una dieta sbagliata. Sono
persone innocenti e, anche se non possiamo fare a meno di nutrirci di
sangue, possiamo fare del nostro meglio per non essere dei mostri»
«Anche noi. Noi proteggiamo gli esseri umani» replicò allegramente il ragazzo.
Gli
faceva piacere essere calcolato una volta tanto, perché aveva mille
domande sui vampiri e tanta voglia di trovare nuovi sovrannaturali con
cui parlare. Oppure era solo un gran chiacchierone. Non capivo la sua
fascinazione con i nostri ospiti, ma era davvero incantevole vedere come
aveva perseverato nel volersene fare amico qualcuno fino a quando non
era riuscito ad attirare l'attenzione dei Denali.
Si
era anche avvicinato timidamente ad Edward, ma sapendo come si era
comportato con me aveva preferito stringere amicizia con il dottor
Cullen e la silenziosa Esme, a cui potevo leggere praticamente stampato
in fronte ogni volta che si parlavano “ORA MI ADOTTO QUESTO LUPO”.
Rosalie lo disprezzava con ovvio e rabbioso astio; era inavvicinabile.
«Siamo comunque dei dannati, giovane uomo-lupo» Disse Eleazar, cupamente, ma Seth li sorprese scuotendo la testa con energia.
«Non
vuol dire niente. Sapete, ci ho pensato tanto, e in fondo vampiri e
licantropi non sono così diversi. Tutti e due all'inizio siamo umani,
siamo come tutti gli altri, e solo dopo cambiamo e diventiamo qualcosa
di diverso. Anche se possiamo trovarci bene nella pelle di ciò che
diventiamo, e possiamo scordare questa cosa, in realtà alla fine
partiamo tutti dall'essere umano. Da un essere umano a cui è stata tolta
la scelta di vivere la vita esattamente come la voleva. Noi non abbiamo
scelto di essere mostri, non ho scelto di discendere da una
stirpe di mutaforma e voi penso che non abbiate scelto di essere
attaccati o trasformati» si strinse nelle spalle «Una volta che impari a
gestire la rabbia puoi avere tranquillamente una vita da licantropo se
lo vuoi. Puoi fare l'avvocato, il pittore, il meccanico. Stare in mezzo
agli umani e basta, lasciare il branco. Ma... non è la stessa cosa.
Gli altri licantropi sanno cos'hai passato, e sanno cosa vuol dire
condividere l'immagine di un albero bellissimo solo perché è bellissimo
nella vostra mente, e come a volte sei così... così pieno di emozione
che è come se quella... crescesse da dentro e diventasse solida,
diventasse il lupo. Gli umani non lo capiranno mai. Ma in fondo siamo
tutti persone, umani, vampiri e licantropi, buoni o cattivi che siamo.
Voi andate fuori controllo quando c'è del sangue, noi con le emozioni, e
possiamo fare del male a quelli che amiamo, ma possiamo anche scegliere
di essere buoni e proteggerli invece. E se lo facciamo abbastanza bene,
possiamo anche diventare degni della loro fiducia».
Mi
sorrise, aperto, gentile. Ingenuo. Tanya e Kate lo imitarono – Kate
fece addirittura un vero sorriso, con i denti in mostra e tutto – mentre
Eleazar ed io eravamo sconcertati.
Avevo sempre
pensato che fosse semplicemente parte del carattere socievole di Seth
volere comunicare col mondo, ma ora sapevo anche che aveva davvero
qualcosa da dire.
E mentre mi riprendevo dalla
sorpresa, e la voglia di riflettere sulle parole di Seth serpeggiò tra i
miei pensieri, un nuovo arrivato interruppe la bellezza del momento
tagliuzzandolo come un foglio di velina in un tritatutto.
«Non esattamente» Disse la voce di Edward.
Ci voltammo a guardarlo interrogativi. Seth sembrava molto contrariato, tra il dispiaciuto e l'oltraggiato. «Che intendi?».
L'uomo dai capelli di truffula sorrise, sghembo, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni color kaki.
«Benjamin.
Il potere di Benjamin non è esattamente quello. Lui è dotato di un dono
così unico che Amun vive nel terrore di perderlo. Un po' come noi, che
speravamo di non essere notati da Aro per le capacità di alcuni membri
della nostra famiglia, come me e Alice» Disse con un sospiro «Amun ha
cercato di nascondere Benjamin ai suoi occhi. Amun ha creato Benjamin
sapendo già che sarebbe stato speciale».
Dato che
immaginavo che stesse per avviare un lunghissimo teatrino sui poteri
mistici del vampiro egizio, che probabilmente erano qualcosa di inutile
tipo farsi crescere i peli del naso fino ai piedi, chiesi: «Cosa sa
fare?»
«Qualcosa che Eleazar non ha mai visto.
Qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare. Qualcosa davanti alla
quale persino il tuo scudo sarebbe impotente». Sfoderò il suo sorriso
sghembo. «È in grado di influenzare gli elementi atmosferici: la terra,
l'aria, l'acqua, il fuoco»
«Ma da quando in qua il fuoco è un elemento atmosferico? E la terra?»
«Si
tratta di vera manipolazione in senso fisico, non di illusioni mentali.
Benjamin sta ancora collaudando la sua facoltà e Amun cerca di
trasformarlo in un'arma. Ma vedrai con i tuoi occhi quanto Benjamin sia
indipendente. Non permetterà di farsi usare»
«Ti è simpatico» dedussi dal tono della sua voce
«Ha un forte senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Mi piace il suo modo di vedere».
«Scusa» Disse Seth, cordiale, rivolto verso Eleazar «Ma il tuo potere qual era?»
«Eleazar è in grado di capire i talenti speciali dei vampiri e quelli latenti negli esseri umani» spiegò Tanya
«Ma se è il suo potere, come ha fatto a cannare così?».
Edward
si strinse nelle spalle. Anche io ero combattuta al pensiero che
esistesse una creatura con dei simili poteri: era una divinità, un vero e
proprio dio vampiro, se davvero era in grado di fare una cosa del
genere.
«Io... questa cosa non è possibile» Disse
Eleazar: sembrava offeso dalla sola prospettiva che esistesse un potere
del genere «Non mi sono mai sbagliato»
«Eppure ti assicuro che è vero, amico mio» si pronunciò il bronzo-capelluto, sornione
«Certo, me lo assicuri, ma...»
«Magari
è multi-potere, questo Benjamin» osservai, e sollevai un pugno chiuso
«Quello che ha detto Edward è raggruppato solo semanticamente. Cioè, a
malapena, perché il fuoco dal cielo c'è solo nelle Apocalissi dei film. E
non so di piogge di zolle di terra, magari può richiamare dei meteoriti
dallo spazio profondo, non lo so. Ma in quel caso contano come poteri
diversi. Controllo del fuoco. Dell'aria. Dell'acqua. Della terra. E
magari è anche iper-carismatico. A questo punto, che vuoi che sia» avevo
alzato un dito per ogni voce del mio elenco, arrivando a sollevare
tutte le dita della mia mano.
Entrambi i vampiri
sembrarono considerare le mie parole. Tanya mi guardava in modo strano,
ma non ostile, perciò non mi preoccupai troppo.
«Siete tutti e due sicuri sicuri di quello che avete detto?» Chiese Seth
«Il potere di Benjamin è scatenare gli elementi» ribadì Edward
«Il potere di Benjamin è quello di attirare a sé le altre persone» rincarò Eleazar.
«Lo
hai letto nei pensieri di tutto il suo clan? Ed è tanto forte? Tipo che
fa i terremoti?» Il licantropo chiese conferma al primo dei due
vampiri, ed Edward annuì. «Sei certo che sia il suo potere e non sia
solo che se la cacano sotto di uno che muove l'indice e si scatenano i
terremoti infuocati, coi tornado-maremoti?» Chiese poi ad Eleazar, e lui
annuì con enfasi.
«Seth» Lo ripresi bonariamente, ma
lui mi rivolse solo un sorrisetto prima di lanciare in alto le braccia,
dare in una risata fragorosa e allacciarsi le mani dietro la testa.
«Ma allora non dobbiamo fare un cavolo! Abbiamo vinto se c'è questo dalla nostra parte! Cioè, dai!» Esclamò, di umore ottimo.
E... non potevo dargli torto. Porca miseria, avevamo vinto!
Ma
come uno spettinato uccello emo del malaugurio, Edward piombò subito
sul suo buonumore, deciso a farlo a pezzettini con i suoi artigli di
sorrisetti sghembi e frasette condiscendenti.
«Non puoi usarlo come un'arma, Seth. Te l'ho detto, è una persona molto indipendente»
«Ma
hai pure detto che ha un senso forte di cosa è giusto e cosa è
sbagliato, no? E la cosa giusta da fare è non lasciare schiattare dei
ragazzini lupo e non per le bugie di una vampira impazzita d'amore, e
vendicare questa vampira amica uccidendo l'abine... l'abominevole orso
vampiro pazzo pure lui, no? Cioè, già è dalla nostra parte, mica lo
stiamo usando».
Edward emise un «Hmmm» che era a malapena una risposta, e si allontanò.
«Qualcuno di voi sa dov'è Rosalie?» Chiesi io «È già un po' che non la vedo»
«Meno
male» Bofonchiò Seth, facendosi il segno della croce sovrappensiero.
Per un attimo mi aspettai che i vampiri intorno a noi si ritraessero, ma
non fu così.
Kate prese la parola, alquanto
allegramente: «Si è allontanata. Visto ciò che ci ha indicato Alice e il
piano a cui siamo arrivati, cioè distruggere questo animale immortale e
fare da testimoni per rallentare i Volturi, ci sarà bisogno di tutto
l'aiuto possibile. Così si è allontanata e sta cercando di radunare
chiunque abbia voglia di aiutarci»
«Probabilmente la seconda parte sarà più difficile della prima» aggiunse Tanya, pensierosa
«Ma così non rischia di allertare i Volturi di più?» chiesi io preoccupata
«Tesoro, i Volturi sanno probabilmente già tutto» fece Tanya, rivolgendomi un sorrisetto amaro
«Così
come sono già in allerta, se hanno addirittura minacciato di venire qui
con tutta la guardia» considerò Eleazar, ben più che amaro. Cupo, con
gli occhi di ambra – ogni giorno più scuri – induriti in chissà quale
ricordo. Chissà quante atrocità aveva visto militando tra i Volturi.
I
vampiri viaggiavano davvero molto, molto velocemente. Già il giorno
dopo, a casa Cullen tutti si erano dovuti mettere un po' più stretti per
fare posto ad un nuovo ospite.
Garrett era un
vampiro alto, slanciato, con occhi bramosi color rubino e lunghi capelli
biondi che teneva raccolti con un laccetto di pelle. Aveva un che di
davvero inquietante, molto più somigliante ad un vampiro uscito dalle
pagine di un libro di Anne Rice rispetto a tutti gli altri che avessi
mai conosciuto. Se fossi stata all'inizio della mia avventura,
probabilmente i suoi occhi ed i suoi modi di fare mi avrebbero
assolutamente terrorizzata. Adesso non ero molto più felice di averlo
intorno – i Cullen non potevano garantire per tutti, non ero ancora
sicura che non mi avrebbe mangiata – ma ero in grado di darmi un
contegno maggiore ogni volta che mi girava intorno.
Era
animato da una curiosità che forse era per me più pericolosa del
desiderio egocentrico di rompermi le scatole di Edward. Edward non
avrebbe mai potuto fare a meno di me, perché senza pubblico le sue
piccole pantomime di “sono un mostro, ma non sono un mostro, ti amo ma
ti mangio” non avrebbero avuto alcun senso. Per Garrett ero superflua.
Finché avesse saziato la sua curiosità (e\o la sua sete) che io
rimanessi in vita o meno non era importante.
La prima
volta che entrai in casa il giorno dopo, scortata dal più innocuo dei
lupi della mia guardia – oggi erano Jacob, Paul e Seth – lo trovai
proprio di fronte all'uscio con le mani dietro la schiena e feci un
balzo indietro, rischiando di inciampare nei miei stessi piedi e
riuscendo a non cadere solo grazie all'aiuto del mio piccolo
accompagnatore.
Garrett mi guardò come una curiosità,
la testa leggermente inclinata di lato e un sorriso tirato che sembrava
dividergli in due il volto mi salutò immediatamente. Sembrava una
regola d'educazione non scritta che i vampiri non dovessero sorridere
mostrandomi i denti; tutti gli altri vampiri evitavano di farlo. Non
perché avessero chissà quale aspetto dato che sembravano in tutto e per
tutto dei denti umani, ma per i sottintesi.
Garrett
mi stava, poco educatamente secondo quelle regole scritte, sbattendo in
faccia il fatto che lui aveva voglia di mangiarmi. I suoi occhi erano
di un rosso così intenso da sembrare che avessero una leggera
fluorescenza, spiccando grottescamente nel pallore del viso. Anche le
leggerissime occhiaie sotto i suoi occhi corollati di ciglia bionde
sembravano spiccare sul candore eccessivo del suo viso.
La prima cosa che pensai nel trovarmelo davanti fu: “Non potrebbe mai passare per un umano”.
Nonostante la giacca di finta pelle e la maglia bianca, spiegazzati e
normalissimi, che indossava, il resto di lui era quasi alieno.
«Ho sentito il tuo cuore battere forte da dietro la porta» Mi disse, a
mo' di saluto, e tornò a mostrarmi i denti in un sogghigno. Il profumo
emanato dalla sua pelle gelida, floreale, ghiacciato, con una nota di
qualcosa di viscido che mi ricordava il pesce fresco, raggiunse le mie
narici.
Indietreggiai di un altro passo e Seth si
mise di fronte a me, protettivo. Anche se era in forma umana un ringhio
roco e gutturale gli stava risalendo dalla gola ancora quasi
impercettibile, una reazione istintiva come il tremore sottile che si
era impossessato delle mie mani.
Quella di Seth era una reazione da predatore minacciato. La mia... Mi sentivo in tutto e per tutto una preda.
«Così
sono venuto a vedere. Mi hanno detto di fare il bravo, che sarebbero
venuti a visitarci un'umana e dei cuccioli. Ma non potevo non venire a
vedere. Hai un bel cuore, umana. Mi chiedo come mai, se sai di noi,
batta ancora. Dovresti essere morta, in un modo o nell'altro, ormai. E
così, eccomi qui» Batté le palpebre, compiaciuto della reazione di Seth.
«Ho sentito anche il tuo cuore» Disse al giovane, come a fare ammenda
per non averlo salutato prima.
«Che fissazione hai
coi cuori?» Chiese Seth. Doveva essere una specie di domanda da duro, ma
chiedere ad un vampiro perché gli piacciono i cuori non è mai una frase
da duro perché la risposta è ovvia. E poi Seth sembrava curioso.
«È
un rumore insolito. Non sono fissato coi cuori, vorrei che lo capiste.
Ma li apprezzo. Danno un rumore molto rassicurante, di vita, ho bisogno
di cuori per capire dove andare e come mangiare. Potete capire la sfida
di una caccia, sia umani che lupi, ma non cosa voglia dire sentire,
letteralmente, con le orecchie, la preda. Mi piace quando sono viscidi e
vanno lenti, e allora fanno dei tonfi» e imitò il rumore con la suola
dello stivaletto consunto a terra «oppure quando hanno paura, o sono
eccitati, e allora vanno veloce. Sono, come dire, più argentini».
Schioccò le dita ad imitare il ritmo frenetico di un cuore spaventato.
Fece un passo in avanti. Il rumore che usciva dalla gola di Seth aumentò.
Quel
vampiro era meravigliato, come un bambino che scopre per la prima volta
come dare vita ad un fuoco. Continuò ad avvicinarmisi mentre io
indietreggiavo, e Seth con noi, finché non fui praticamente fuori dalla
porta, pensando intensamente a cosa avrebbe fatto se avessi preso
l'accendino che avevo in tasca. Da quanto era divertito, si capiva che
stava testando le acque. Voleva vedere fin dove si sarebbe potuto
spingere.
Il ringhio di Jacob tagliò l'aria, sonoro,
appena si accorse di noi sulla soglia, seguito da un abbaiato furioso
di Paul, e sembrò che questo avesse una qualche risonanza col corpo di
Seth, perché lui iniziò ad avere una serie di spasmi. Fu allora che
Garrett sembrò trovare il suo limite, e si allontanò velocissimo dentro
casa saettando all'indietro.
Vidi Carlisle e le
Denali avvicinarci preoccupati. Il dottor Canino in particolare sembrava
turbato e sussurrò qualcosa al suo nuovo ospite.
«Comunque sono Garrett» Si presentò con un sorriso zannuto, lasciandosi
portare via dal dottor Cullen che lo sospinse, all'apparenza
delicatamente, in un'altra stanza della casa.
Taya e
Kate aspettarono che Seth si calmasse prima di venirci incontro, poi ci
scortarono dentro. Salutai con un cenno Jacob e Paul dall'uscio, ma fu
come se non lo vedessero: erano tremendamente nervosi.
Vidi negli occhi di Kate, di un rassicurante color oro, che avrebbe
voluto tranquillizzarmi avvicinandomisi di più, ma le fui grata quando
evitò di farlo. Non che io avessi qualcosa contro di lei personalmente,
anzi, ma i vampiri erano sempre ghiacciati e duri e il contatto con la
loro pelle, le poche volte che mi era capitato, non mi era mai sembrato
particolarmente piacevole o naturale.
Fu un inizio
burrascoso con Garrett, ed in effetti le cose non migliorarono di molto
col tempo. Appena aveva capito che i licantropi erano macchine di morte
per i vampiri e che io ero ben protetta, approfittò di ogni momento per
testare quei limiti. Mi sfiorava i capelli o il collo quando passava,
sussurrava all'orecchio di Seth. Piccoli gesti di ribellione.
Che begli amici che aveva Carlisle.
Accettò con entusiasmo di unirsi a noi appena gli fu spiegato che la
missione era ammazzare un coso che non si poteva uccidere e suicidarsi
contro i Volturi. Magari non gli fu spiegato proprio così, ma credo che,
solo per il gusto di mettersi alla prova, avrebbe accettato anche una
sfida del genere se gliela avessimo proposta. Cominciò presto a
frequentare le sorelle di Denali e a fare domande infinite sul loro
insolito stile di vita (con mio grandissimo dispiacere, perché a Tanya e
Kate piaceva starmi accanto. Ma almeno quando parlava con i suoi simili
non sembrava del tutto un idolo di pietra indemoniato). Mi chiesi se
intendesse adottare il credo “vegetariano” come sua prossima sfida,
tanto per vedere se era in grado di mantenervi fede.
Rosalie aveva iniziato ad inviare persone isolate: tutti gli amici nomadi di Carlisle che era riuscita a rintracciare.
Il
giorno dopo la partenza anche Carlisle ed Esme si erano organizzati per
partire alla ricerca di amici brillanti, ma dopo lo spettacolino di
Garrett, Carlisle decise di rimanere a casa a controllare tutti quei
suoi simpatici amici già dentro villa Cullen.
Con
grande sorpresa di tutti, Esme non era solo un'estensione quasi muta
della mente di Carlisle che ci teneva a raccontare i fattacci della sua
famiglia a tutti, ma riusciva anche, in rari sprazzi di autonomia, a
fare cose da sola. Ce lo dimostrò partendo in solitaria alla ricerca di
amici brillanti.
Tornò tre giorni dopo, ma non è che l'autonomia potesse durarle per sempre.
Due
tramonti dopo l'arrivo di Garrett, arrivarono anche Mary e Randall, che
erano già amici tra loro, anche se non viaggiavano insieme. Ascoltarono
la storia dei Cullen e, proprio come gli altri, rimasero a fare da
testimoni. Come il clan di Denali, si chiesero in che modo avrebbero
reagito se i Volturi non si fossero fermati ad ascoltare le spiegazioni.
Tutti e tre i nomadi si trastullavano con l'idea di prendere le nostre
parti.
Per il resto, Mary e Randall avevano la rara
caratteristica di non essere per niente memorabili. Avevano occhi rossi
di un rosso poco intenso, tipo salsiccia appena appena abbrustolita,
capelli castani, corti per lui e lunghi per lei, ma non di un castano
particolare, vestiti che sembravano presi da un discount e che non
sembravano esprimere nessuno stile specifico. I loro lineamenti erano
belli in modo artificiale, non troppo regolare ma neanche asimmetrici, e
non erano particolarmente pallidi. Avevano le occhiaie, ma non troppe.
Non
parlavano. L'unico motivo per cui ricordavo i loro nomi (più o meno) è
che Tia li inserì in un discorso motivazionale per unire la squadra, ma
non seppi nient'altro su di loro.
Naturalmente, man a
mano che arrivavano i vampiri Jacob diventava sempre più scontroso. Si
teneva a distanza se poteva, e si lamentava con Lara che avrebbero
dovuto fornirgli un elenco se credevano che sarebbe riuscito a
ricordarsi i nomi di tutti i nuovi succhiasangue.
Esme era riuscita a tornare indenne dalla sua avventura, e aveva persino trovato un amico brillante! Anche se forse amico non era la parola giusta.
Alistair era un vampiro inglese misantropo, col naso grosso e l'accento
pesante, che riteneva Carlisle il suo conoscente più intimo, anche se
sopportava a malapena una visita più di una volta ogni cent'anni.
Alistair preferiva di gran lunga vagabondare per proprio conto ed Esme
gli aveva promesso ogni sorta di favori pur di trascinarlo fin da noi.
Respingeva ogni compagnia ed era chiaro che non aveva alcun ammiratore
in questa congrega.
Io lo trovavo quasi simpatico,
ma forse ero l'unica. Il cupo vampiro bruno prese in parola Carlisle su
tutto ciò che gli disse, rifiutandosi di toccare chiunque anche per una
stretta di mano. Edward disse a Carlisle, a Esme e a me (perché no, già
che c'era) che Alistair aveva paura di trovarsi fra noi, e ancora più
paura di non sapere come sarebbe potuta andare a finire. Nutriva
profondi sospetti verso qualsiasi autorità, e quindi anche nei confronti
dei Volturi. Ciò che stava accadendo sembrava confermare tutti i suoi
timori.
«Ovvio, ora sapranno che sono stato qui» Lo
sentimmo mugugnare – così forte che lo sentii anche io – fra sé in
soffitta, il suo posto preferito per andare a tenere il broncio.
Che begli amici che aveva Carlisle.
«A questo punto non ha nessun senso nasconderlo ad Aro. Per colpa di
questa faccenda mi toccherà darmi alla macchia per secoli e secoli.
Metteranno sulla lista nera chiunque abbia parlato con Carlisle
nell'ultimo decennio. Come diavolo ho fatto a farmi trascinare in questo
pasticcio? Bel modo di trattare gli amici!».
Ma se
aveva ragione sul fatto di dover scappare dai Volturi, quantomeno aveva
più speranze di riuscirci rispetto a tutti noi. Alistair era un segugio,
sebbene non preciso ed efficiente quanto Demetri. A lui capitava di
sentire soltanto un'attrazione fuggevole verso l'oggetto delle sue
ricerche, però sufficiente per dirgli in quale direzione correre: quella
opposta rispetto a Demetri.
Il problema dei vampiri
era che non stavano lavorando per coordinarsi in vista di uno scontro,
né contro l'orso né contro i Volturi. I Quileute erano sempre al lavoro,
e andavano a dormire esausti per quanto si erano sforzati ed impegnati
quel giorno.
Questi vampiri sembravano estraniati dal
mondo. Facevano salotto tutto il giorno, tranne per quel dissociato di
Alistair che bofonchiava da sopra le nostre teste come il demone dei
Weasley.
Forse ero troppo dura, e si stavano solo
conoscendo meglio. Supposi fosse importante conoscersi prima di
stabilire una chimica, quindi il loro “fare salotto” in realtà era
positivo.
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