martedì 4 dicembre 2018

Sunset 78 - Alistair è sparito





Mi accorsi della musica prima di uscire dall'auto. Edward non toccava il pianoforte dalla sera della partenza di Alice. Mentre chiudevo la portiera, sentii la canzone passare a un inciso e trasformarsi in una ninna nanna. Edward mi stava dando il bentornato, perché per qualche motivo era convinto che mi piacessero le ninne nanne... o forse stava solo cercando di farmi addormentare, perché da bravo maniaco gli piaceva guardarmi mentre dormivo.
Mentre avanzavo piano verso casa Cullen, capii che la speranza e l'incoraggiamento morale formavano un'aura quasi tangibile intorno alla grande villa bianca quella mattina: c'era Tia che faceva discorsi di incoraggiamento in piedi su una sedia, potevo vederla attraverso le grandi vetrate, e gruppi di vampiri che annuivano sparsi per la casa come quei cani con la testa mobile che si mettono sui cruscotti. Mi venne quasi voglia di piangere ascoltando Edward che suonava per me. Non era, però, un pianto del tutto cattivo. Ero commossa, ma da me stessa.
La Belarda Cigna di solo un anno prima non sarebbe mai rimasta per combattere, non sarebbe mai ritornata ad una casa piena di vampiri.
Il mio coraggio era una cosa epica.
Riuscii tuttavia a non piangere. Quando entrai Edward si girò e sorrise, senza smettere di suonare.
«Bentornata a casa» Disse, come se si trattasse di una giornata qualsiasi, come se fossimo parenti amichevoli (spoiler: non lo eravamo) e nella stanza non si trovasse un'altra decina di vampiri impegnati in varie attività, oltre ad un'altra decina sparpagliata in giro «Ti sei divertita oggi con Carlo?»
«Certo. Mi diverto sempre con papà» replicai «Ma perché questa domanda?»
«Niente, così».
Mi strinsi nelle spalle. Edward curvò le labbra verso il basso, smise di suonare e si girò sullo sgabello, in modo che si trovasse con tutto il corpo di fronte a me. Dovetti ricordare a me stessa che se l'avessi bruciato lì e adesso avremmo avuto un combattente in meno a fronteggiare i Volturi.
«So che avresti voluto festeggiare il Natale in grande stile...»
«Che?» sbottai «Il Natale è ancora lontano, che c'entra ora?»
«Sarà più o meno a Natale, no? Arriveranno loro. Dovremo essere pronti»
«Ah».
In quel momento capii. In effetti a me il Natale piaceva, anche se non ero una persona che lo festeggiava “in grande stile”: quello che volevo era fare l'albero, accoccolarmi con il gatto davanti al camino, pensare ai regali di Natale e bere cioccolata calda. Ma questa volta, quest'anno, non avrei avuto il mio Natale, avrei avuto una carneficina.
«Perciò, se non dovessi sopravvivere» Continuò Edward «Voglio farti un regalo»
«Che cosa?»
«Ascoltami. Solo per un attimo, Belarda»
«Ma io ti ascolto tutto il giorno. Tutti i giorni. E tu dici un sacco di roba, quindi non dire “solo per un attimo”»
«Ma è importante. Ok?»
«D'accordo. Fammi un regalo» incrociai le braccia.
Non aveva molto senso che mi facesse un regalo adesso (la scuola non era neanche ricominciata, il Natale sembrava lontanissimo e faceva caldo), ma lui era fatto così, insensato. Però ora se ne stava fermo e mi guardava invece di darmi il regalo che mi aveva preso.
«Posso vederlo?» Domandai, gentilmente
«Se vuoi. È una sciocchezza»
«Ma se hai insistito tu per... ok. D'accordo» presi un profondo respiro «Per favore, posso vederlo?».
Edward si pescò dalla tasca dei pantaloni un sacchettino di velluto blu scuro, molto elegante.
«L'ho visto nella vetrina di un antiquario passandoci davanti in macchina» Mi disse, poi mi scrollò in mano il contenuto del sacchetto.
Nella vetrina di un antiquario! Ero leggermente eccitata dall'idea che potesse essere un coltello antico placcato di madreperla o d'oro (magari magico) o un piccolissimo libro con le miniature (magari magico) o un giocattolo di fattezze delicate. Amavo la roba d'antiquariato, persino le vecchie credenze, e mi chiesi se per una volta Edward non fosse riuscito davvero a farmi un piacere.
Quello che mi finì in mano, rotolando fuori dall'elegante sacchetto, fu però... un piccolo medaglione d'oro. Edward aprì quel meccanismo minuscolo sul mio palmo e io vi guardai dentro: c'era lo spazio per una piccola foto e, dalla parte opposta, un'iscrizione in francese.
«Sai cosa vuol dire?» Mi chiese con un tono diverso, più pacato di prima.
Io lo lessi. Non ero un asso in francese e non sapevo pronunciare più dell'ottanta percento dei vocaboli, ma tradurre “Plus que ma propre vie” sembrava facile.
«Qualcosa del tipo “più della mia stessa vita”, non è così?» Indagai
«Si, è vero».
Alzò verso di me uno sguardo indagatore con gli occhi color topazio.
C'erano tante, tante, tantissime cose che mi piacevano nel mondo... i gatti di tutte le forme e i colori, con particolare predilezione per quelli neri, i libri, il wrestling, i cucchiaini d'argento, le maglie con disegni elaborati, le cassapanche piene di oggetti dimenticati, le spade orientali, tutti gli oggetti a forma di lupo o di testuggine, i prodotti per capelli alla fragola... ma in questa lista mentale, che avrei potuto continuare per giorni, non figuravano da nessuna parte i medaglioni melensi regalati come pegno d'amore da un vampiro psicopatico.
Avrei voluto fargli notare che non indossavo gioielli di nessun tipo e che lo odiavo, perché mi aveva preso un regalo del genere? Ma non ero stupida: quello era oro. O almeno lo sembrava, ecco, quindi potevo rivenderlo e farci qualche soldino extra.
Sorrisi e mi infilai il medaglione in tasca
«Graazie» Dissi «E ora credo che mi andrò ad allenare un po'... chi vuole fare un turno di allenamento con me?» domandai, rivolta ai vampiri nella stanza.
Benjamin, il ragazzo egiziano con i superpoteri, alzò la mano esibendo un sorriso schietto. Mi sarebbe piaciuto davvero vedere da vicino quelle incredibili capacità, per saggiare se erano davvero così grandiose come si diceva, e poi Benjamin era uno dei vampiri più simpatici e misteriosi del gruppo, perciò risposi con un cenno della testa. Mi faceva paura, è vero, ma mi eccitava anche, come l'idea di lanciarmi con un parapendio da una scogliera.
Edward lanciò un'occhiataccia prima a lui, poi a me
«Avete tutto il tempo di farlo domani» disse
«Non essere ridicolo» mi lamentai «Sono appena arrivata! La giornata di allenamento inizia tipo, adesso! E lo sai benissimo che non esiste più il concetto di “tutto il tempo”. Non esiste più. Ho molte cose da imparare, specie sui poteri fisici dei vampiri, e...».
M'interruppe
«Domani».
Aveva un'espressione tale che persino Benjamin non osò discutere e si allontanò con un'espressione di scuse sul volto. Ma perché diavolo Edward riusciva a fare paura pure al ragazzo che controllava gli elementi? Non mi era dato di saperlo.
D'improvviso, Jacob comparve dalla porta dietro di me, senza maglietta e con i capelli scompigliati. Non lo avevo sentito arrivare, stava diventando sempre più bravo.
«Hey, Belarda, ciao!» Mi disse, nascondendo il nervosismo dietro l'allegria «Ho solo un attimo, perché Taker ci sta insegnando a fare una cosa fichissima con la coordinazione mentale e non mi posso perdere l'allenamento, ma...»
«Taker?!» quasi urlai «Undertaker? È da voi?»
«Ahem, si» Jacob sorrise, confuso «Pensavo che lo sapessi. Sono giorni che ci sta aiutando, alla riserva»
«Sono giorni che io non lo vedo!»
«Beh, è perché passi un sacco di tempo con i vampiri» sghignazzò lui «E lui non è con noi proprio sempre sempre. Quindi non vi incrociate mai. Comunque volevo dirti che...»
«Bella non si avvicinerà assolutamente alla riserva quando c'è anche quel mostro» si intromise Edward, con i pugni serrati «Non è vero, Bella?»
«No, non è vero, ci andrò eccome» lo liquidai «Che volevi dirmi, Jake?»
«Undertaker ti manda questo» Jacob mi tese un sacchettino spelacchiato «Mi ha detto che te lo dovevo portare di corsa. Appena gli abbiamo spiegato che stavi tutto il tempo dai vampiri... è scappato e poi è tornato con questo. Vuole che ce l'abbia tu»
«Cos'è?» domandai, come incantata
«Non lo so» ammise Jacob «Devi aprirlo tu»
«Non prenderlo!» ringhiò Edward e tanto mi basto perché lo afferrassi più velocemente che potevo.
Al contrario del sacchettino in cui Edward aveva conservato il medaglione, che era blu notte e tutto vellutato, questo sembrava essere stato fatto con la pelle di un ratto nero morto da qualche settimana, perché aveva innumerevoli chiazze pelate e piccoli buchi.
Jacob batté i piedi
«Andiamo, aprilo, sbrigati! Dai che devo tornare a La Push!».
Allentai i cordini, fatti anche quelli di pelle, e frugai dentro il sacchetto con le dita: ne estrassi un anello spesso che sembrava d'argento, con sopra intagliate una serie di piccole rune indecifrabili.
«Mettilo!» Esclamò Jacob, illuminandosi «Dai!»
«Non farlo» disse Edward, minaccioso «Non sai cosa potrebbe succedere».
Ovviamente mi infilai l'anello, all'indice sinistro. Non accadde assolutamente nulla.
«Meglio che vai, Jacob» Sorrisi «Potrebbe volerci un po' perché questo coso faccia una qualunque cosa»
«Comunque è magico di sicuro! Taker ha dato delle cose magiche anche a noi!» il mio amico fece un gran sorriso «Seth sta per arrivare, ti terrà compagnia insieme ai succhiasangue. Vengo anch'io appena finisco l'allenamento. Fammi sapere cosa fa l'anello!»
«Senz'altro».
Jacob saltellò sul posto un paio di volte, mi sollevò alzando una mano e imboccò di nuovo la porta, acquistando velocità man a mano che si allontanava.
Mi guardai incuriosita la mano, guardando quell'anello estraneo scintillare al mio dito. Era bello, decisi, e il fatto che me lo avesse regalato The Undertaker lo rendeva ancora più bello di quanto non fosse prima. Oddio, Undertaker mi aveva regalato un anello.
«Ti senti repulso da me come se non volessi toccarmi mai più?» Chiesi ad Edward, allungando la mano verso di lui
«No, certo che no» mi disse lui, tutto zucchero e miele, con tanto di mosche appiccicate dentro «Ma sono davvero dispiaciuto del tuo comportamento, Belarda»
«Abbastanza dispiaciuto da non volermi toccare mai più?»
«No»
«Una ragazza può sempre sperare».
Pareva che il potere dell'anello non fosse tenermi a distanza Edward come il mio ordine restrittivo avrebbe voluto, ma confidavo che avrei scoperto presto la sua utilità.
Avevo una voglia matta di lasciarmi alle spalle casa Cullen e precipitarmi a La Push, ma non sarebbe stato carino piantare in asso Seth. Mi accomodai su una poltrona nell'attesa, mettendomi a scambiarmi messaggi con Mike e Jessica contemporaneamente.
Lui si stava lamentando del fatto che non esisteva un quarto film di Ip Man, e io lo rassicurai dicendogli che, se davvero era una serie così straordinaria, un giorno avrebbero potuto ripensarci e girarlo. Era solo una risposta di cortesia dato che non avevo neanche visto la suddetta serie, ma speravo davvero che un giorno sarebbe successo se lui ci teneva così tanto.
Jessica mi stava mandando delle foto di colori di smalti diversi, alternando messaggi di aggiornamento su cosa stava combinando sua cugina piccola venuta a farle visita al chiedermi pareri ed accostamenti per lo smalto. Sebbene fossi una che non usava personalmente i trucchi, mi impegnai nel darle i miei pareri sinceri.
Edward rimase immobile a fissare la parete senza neanche darsi la pena di respirare, perciò mi fu facilissimo bloccarlo fuori e farmi gli affari miei fino a quando non arrivò Seth, baldanzoso ed allegro come al solito, passando attraverso la porta aperta di casa Cullen completamente a suo agio.
Non arricciò neanche il naso quando fu investito dall'odore dei vampiri, che non era proprio menta e rose per i licantropi.
Accennò un saluto verso Edward, che fece un cenno di rimando con aria del tutto assente, ma venne dritto verso di me e si accucciò sui talloni con una mossa fluida, molleggiando una volta.
«Ciao, Belarda! Guarda guarda guarda!». Non perse tempo e ancor prima che potessi restituirgli il saluto, mi mostrò allegramente un pezzo di metallo legato ad una lunga catenella. Mi ci volle un momento e due battiti di palpebre per capire che c'era una piccola bussola di metallo bronzeo alla fine della catenella che Seth aveva stretta nel pugno.
Invece dei punti cardinali, tre piccole rune diverse erano al posto di Sud, Est ed Ovest. Ad indicare il Nord, vi era il complicato disegno di due stelle a quattro punte sovrapposte, una dritta ed una obliqua, simile ad una rosa dei venti.
«Che cos'è?» Chiesi, affascinata
«Una bussola» mi disse Seth con un sorriso. Lo guardai negli occhi e battei lentamente le mani.
Lui rise. «Undertaker ci ha...».
Qualcuno sbottò rabbiosamente qualcosa in una lingua sconosciuta, e si alzarono all'improvviso delle voci e dei mormorii irritati, forti e sibilanti come un covo di vipere.
«Alistair è sparito» Mormorò Edward riscuotendosi dalla sua trance, mentre io e Seth ci precipitavamo nell'altra stanza.
Doveva stare ascoltando i pensieri degli altri finora: ecco perché si era imbambolato. Oltre alla sua incredibile passione per i muri, ovviamente.
Dentro il salone, i segni del dissidio in corso erano evidenti. Addossata alle pareti stava una folla di spettatori: tutti i vampiri che si erano uniti a noi, tranne Alistair e i tre coinvolti nel litigio. Esme, Kebi e Tia si mantenevano vicine ai tre vampiri al centro della stanza: Amun sibilava rivolto a Carlisle e Benjamin.
Sibilava davvero, un gesto del tutto inumano, e c'era un che di impressionante nel vedere la contrazione della sua mascella forte e nello snudare dei denti bianchi contro gli altri due. Il suo sibilo non era quello di un serpente: era più il suono di un piccolo alveare prolungato, con piccole interruzioni simili al sibilare di un gatto molto grande, che erano i momenti in cui doveva riprendere fiato. I vampiri non devono respirare, ma anche loro hanno bisogno di aria per produrre suoni e non hanno capacità polmonare infinita.
Benjamin aveva un'espressione a metà tra il preoccupato e il divertito, Carlisle era dolcemente calmo.
Edward ci superò in un lampo bianco di pelle candida e vestiti candeggiati e si precipitò al fianco di Esme.
«Amun, se vuoi andartene nessuno ti costringe a restare» Disse calmo Carlisle
«Mi stai rubando metà del mio clan, Carlisle!» gridò Amun, tormentando Benjamin con un dito «Mi avete chiamato qui per questo? Per derubarmi?».
Carlisle sospirò e Benjamin alzò gli occhi al cielo.
«Si. Carlisle ha litigato con i Volturi e messo in pericolo tutta la sua famiglia solo per attirarmi fin qui ed uccidermi» Disse sarcastico Benjamin «Cerca di essere ragionevole, Amun. Mi sto solo impegnando a fare la cosa giusta, non sto entrando in un altro clan. Ma tu puoi fare quello che vuoi, naturalmente, come ti ha appena detto Carlisle»
«Non andrà a finire bene» ruggì Amun «Alistair era l'unico che avesse un minimo di buonsenso qui. Dovremmo fuggire tutti quanti».
Che il non-morto mistantropo che si chiudeva in soffitta a parlare da solo come un pipistrello matto fosse ritenuto il più ragionevole poteva dare qualche indizio sulla mentalità di Amun.
Facendo eco ai miei pensieri, Tia commentò mormorando fra sé: «Guarda un po' a chi attribuisci del buonsenso...»
«Ci massacreranno tutti!»
«Non ci sarà nessuno scontro» disse Carlisle con voce ferma
«Questo lo dici tu!»
«Ma, anche in quel caso, puoi sempre cambiare parte, Amun. Sono sicuro che i Volturi gradiranno moltissimo il tuo aiuto»
«Forse questa è la risposta giusta» lo schernì Amun.
La risposta di Carlisle fu sommessa, dolce, e le sue parole risuonarono sincere nel silenzio generale «Non te ne farei una colpa, Amun. Siamo amici da tanto tempo, ma non ti chiederei mai di morire per me».
Ora anche Amun aveva una voce più controllata. «Però porti il mio Benjamin a morire con te».
Carlisle posò la mano sulla spalla di Amun, che la scrollò via con un gesto secco.
«Resterò, Carlisle, ma la cosa potrebbe volgersi a tuo sfavore. Se si tratterà di sopravvivere, non esiterò ad unirmi a loro. Siete pazzi a credere di potere sfidare i Volturi» Disse, duro e accigliato.
«Così non va bene» Disse Tia, fulminandolo con lo sguardo. Si guardò attorno e, muovendosi alla velocità del lampo si mise in piedi su di un tavolo: «Noi siamo giunti fin qui. Noi, creature normalmente solitarie, che dovrebbe rifuggire gli uni dagli altri. E per cosa abbiamo fatto questa cosa tanto fuori dall'ordinario? Perché abbiamo sovvertito le leggi della natura, infranto una delle norme a cui non siamo ancora andati incontro con la nostra innaturale forza ed immortalità?» strinse uno dei pugni forti e lasciò scorrere lo sguardo dagli occhi rossi su tutti i presenti, lasciando che il silenzio iniziasse a pesare.
«Per... l'amicizia?» Azzardò Seth
«Per l'amicizia» Tia lo indicò ed annuì lentamente, come assaporando l'aria riempitasi di quella dolce parola «Per qualcosa di cui nessuno ci crede capaci, di formare legami duraturi. Noi siamo accorsi qui da tutte le parti del mondo» ed allargò le braccia «Da tutte le parti del mondo, si. Abbiamo risposto alla chiamata di Carlisle. Ma non per gravare ancora di più su di lui, oh no» e scosse la testa con enfasi, poi più lentamente «Siamo accorsi qui per togliere un po' di peso dalla schiena del nostro povero amico. E anche se noi ne saremo un po' rallentati, togliere a lui questo fardello lo libererà, e potremo camminare tutti allo stesso passo da fratelli, da compagni. Come potremmo chiamarci amici altrimenti? Come potremmo chiamarci ancora persone, accanendoci su un nostro amico che ha affrontato lutti, sciagure, litigi non voluti?». Ci guardò come se fossimo persone orribili, incrociò le braccia ad X davanti al petto e poi le riaprì spazzando l'aria come in una mossa di ballo, con tanta foga che avrei giurato che mi fosse arrivata una folata d'aria «Noi non ci metteremo conto Carlisle. Noi non lo tradiremo». Allargò le braccia verso di noi, ed improvvisamente i suoi occhi si ammorbidirono, come se non fossimo più stati persone orribili.
Randall annuì, con gli occhi lucidi. Non avrei saputo dire se erano più lucidi del solito, perché mi ero appena ricordata che esisteva e non avrei saputo fare il confronto con il solito.
«Perché tutti voi, tutti voi, siete persone straordinarie, buone, generose, degne dell'amicizia di questa famiglia di vampiri buoni. E ognuno di voi farà quello che sente giusto nel suo cuore, che sia partecipare alla battaglia che potrebbe venire poi oppure non farlo, perché siete tutti forti, speciali ed importanti e la vostra decisione conta, quindi lo farete solo se sarà per vostra volontà. Nessuno può costringervi a fare il male. Ma nessuno, finora, vi ha costretti a fare il bene, eppure è in voi la natura di farlo. Sarò fiera di voi se continuerete a farlo, amici».
Noi ci guardammo in silenzio, commossi. Alcuni vampiri si abbracciarono.
Amun si arrese e sospirò. «Testimonierò che avete fatto ammenda uccidendo l'orso-vampiro e che non state creando un esercito di animali vampiro. Chiunque può confermarlo. Ma non mi esporrò più di così, Carlisle»
«Non abbiamo mai chiesto altro».
Amun storse la bocca «Però rischiate di ottenere anche altro». Si girò verso Benjamin e gli parlò accusatorio ma non troppo per non attirare un nuovo discorso motivazionale, mentre Tia scendeva con calma dal tavolo «Io ti ho dato la vita e tu la stai sprecando».
Il viso di Benjamin era più freddo che mai, un'espressione in forte contrasto con i suoi tratti di adolescente. «Peccato che tu non sia riuscito a sostituire la mia volontà con la tua nel farlo: forse in quel caso saresti stato contento di me» Rispose. Ouch, bruciava.
Amun socchiuse gli occhi. Fece un gesto brusco a Kebi, poi ci superò a grandi passi e uscì dalla porta principale.
«Non se ne va» Mi disse piano Edward «Però ora terrà ancor più le distanze. Non stava bluffando quando ha parlato di passare dalla parte dei Volturi»
«Perché Alistair se n'è andato?» Domandai in un sussurro, anche se immaginavo la risposta. Chissà, magari mi sarebbe mancato un pochino, quel vampiro matto.
«Nessuno lo sa con certezza: non ha lasciato messaggi. A giudicare da quello che borbottava di solito, è chiaro che secondo lui lo scontro è inevitabile. Nonostante il suo comportamento, in realtà tiene troppo a Carlisle per schierarsi con i Volturi. Immagino abbia deciso che il pericolo è troppo grande» disse Edward stringendosi nelle spalle.
Forse Alistair era davvero il tizio con più sale in zucca in casa.
Anche se la nostra conversazione, chiaramente, si teneva solo fra noi due, era ovvio che tutti la potevano sentire. Eleazar rispose all'osservazione di Edward come fosse destinata a tutti i presenti.
«Dal suono dei suoi mugugni, c'era qualcosa di più». Credo di averlo fissato a bocca aperta per qualche secondo per aver detto davvero una frase del genere. «Non abbiamo parlato molto delle intenzioni dei Volturi, ma Alistair temeva che, per quanto possiate dimostrare in modo decisivo la vostra innocenza, non vi ascolteranno. È convinto che cercheranno una scusa per realizzare qui i loro progetti».
I vampiri si scambiarono occhiate inquiete. L'idea che i Volturi manipolassero la loro legge sacrosanta per motivi di opportunismo non era molto amata. Solo i rumeni restavano composti, con i loro sorrisini ironici. Sembravano divertiti del fatto che gli altri insistessero nel pensare tutto il meglio possibile dei loro vecchi nemici.
Cominciarono molte discussioni a bassa voce quasi contemporaneamente, ma io mi concentrai soltanto su quella dei rumeni. Forse perché il biondo Vladimir continuava a lanciare occhiate nella mia direzione.
«Spero tantissimo che Alistair abbia ragione» Mormorò Stefan a Vladimir «Comunque vada a finire, si spargerà la voce. È ora che il nostro mondo veda i Volturi per ciò che sono diventati. Non cadranno mai se tutti credono a quell'assurdità secondo cui proteggono il nostro stile di vita»
«Almeno, quando comandavamo noi, siamo stati onesti su quello che eravamo» rispose Vladimir.
Stefan annuì «Non ci siamo mai dati una patina di correttezza e non ci siamo mai definiti dei santi»
«Credo sia giunta l'ora di combattere» disse il biondo «Non pensi che non troveremo mai una forza migliore con cui allearci? Un'altra occasione così buona?»
«Niente è impossibile. Forse un giorno...»
«Sono ben millecinquecento anni che aspettiamo, Stefan. E in tutto questo tempo loro non hanno fatto altro che rafforzarsi» Vladimir fece una pausa e mi guardò di nuovo. Non mostrò alcuna sorpresa nel vedere che anch'io lo stavo osservando. «Se i Volturi vincono questa contesa, ne usciranno ancora più potenti di prima. Ogni conquista aumenta la loro forza. Pensa a cosa potrebbero semplicemente ricavare da quell'umana, diventasse una vampira» fece un cenno verso di me con il mento «E sta scoprendo i suoi talenti solo adesso».
Non l'avevo mai vista sotto questa prospettiva. Era davvero possibile che, se avessimo perso, avrebbero potuto decidermi di trasformarmi per tenermi nella loro Guardia? Non avevo mai sentito di un essere umano che riuscisse a fare quello che facevo io. Se avevo capito un po' di questo strano tipetto di Aro, sembrava una cosa che avrebbe potuto fare.
La sola idea mi dava i brividi.
«E poi c'è quello che sposta la terra» Proseguì Vladimir, facendo un cenno in direzione di Benjamin, che s'irrigidì. Ormai quasi tutti, come me, stavano “origliando” i discorsi dei rumeni. «Ma con i loro gemelli stregati, non hanno nessun bisogno dell'illusionista o del tocco infuocato». Il suo sguardo sfrecciò da Zafrina a Kate.
Ma come parlavano? Usando espressioni tipo “visi pallidi” e “cavalli di ferro”? Ma non erano una cosa tipo dei nobili rumeni?
Stefan guardò Edward «E non gli serve nemmeno quello che legge nel pensiero. Ma ho capito cosa vuoi dire. In effetti, se vincono guadagneranno davvero molto»
«Più di quanto possiamo concedere loro, non trovi?».
Stefan sospirò «Temo di dover concordare con te. E ciò significa che...»
«Che dobbiamo schierarci contro di loro finché c'è ancora speranza»
«Se potessimo anche solo neutralizzarli, o smascherarli...»
«Così, un giorno, saranno altri a completare l'opera»
«E l'affronto che abbiamo subito per tutti questi secoli finalmente sarà vendicato».
Si guardarono negli occhi per un attimo e poi mormorarono all'unisono: «Sembra l'unico modo».
«Quindi ci batteremo» Disse Stefan.
Malgrado si leggessero in loro il dubbio e il conflitto interiore fra istinto di conservazione e brama di vendetta, il sorriso che si scambiarono fu pieno di attesa.
«Ci batteremo» Concordò Vladimir.
Immaginai che fosse un bene: nel caso l'assennato Alistair avesse avuto ragione e lo scontro fosse stato inevitabile altri due combattenti, anche se sembrava che un alito di vento avrebbe potuto farli turbinare via come polverina brillante, erano sempre incredibilmente preziosi nella nostra situazione precaria.
«Ci batteremo anche noi» Disse Tia, con la voce grave ancora più solenne del solito «Secondo noi, i Volturi eccederanno nell'uso della loro autorità. Non abbiamo alcuna intenzione di appartenergli». E con gli occhi indugiò sul suo compagno.
Benjamin sorrise e lanciò uno sguardo ammiccante ai rumeni. Vladimir parve impassibile, mentre Stefan incassò appena la testa tra le spalle, quasi impercettibilmente. «A quanto pare sono una merce molto ricercata. Sembra proprio che mi debba guadagnare il diritto di essere libero»
«Non sarà certo la prima volta che combatto per difendermi dal dominio di un re» disse Garrett in tono canzonatorio. Ce lo vedevo bene, era uno che se le andava a cercare nel vero senso della parola. Chissà quanto era vecchio?
Si avvicinò e diede una pacca sulla schiena a Benjamin ed esclamò: «Evviva la libertà dagli oppressori!».
«Noi stiamo con Carlisle» Disse Tanya «E ci battiamo insieme a lui».
La dichiarazione dei rumeni, a quanto pareva, aveva creato negli altri il bisogno di schierarsi a loro volta. Io non avevo ben capito se aveva senso che anche io dicessi la mia, e nel dubbio avrei lasciato che tutti parlassero prima di me.
«Noi non abbiamo ancora deciso» Disse Peter, il nomade. Abbassò lo sguardo verso la sua minuscola compagna: Charlotte aveva un'espressione insoddisfatta sulle labbra. A quanto pareva, una decisione l'aveva già presa. Immaginai che, dopo queste dichiarazioni di amicizia e d'intenti ed il discorso di Tia, se non voleva farsi avanti molto probabilmente non vedeva l'ora di dare la sua testimonianza e svignarsela.
«Vale anche per me» Disse Randall
«E per me» aggiunse Mary, tornando nel campo dell'esistenza. Erano due gatti di Schrödinger.
«E questa chi cavolo è?» Domandò Seth sbalordito, cercando di tenere la voce abbastanza bassa da non essere scortese. Tra che i Quileute non sanno sussurrare, tra che i vampiri hanno un udito naturalmente sviluppato, la manovra non gli riuscì benissimo a giudicare dall'occhiataccia che la vampira – che sul momento ancora non avevo ricordato chi fosse – gli lanciò.
Seth si schiarì la voce e dichiarò, repentino: «I nostri branchi si batteranno insieme ai Cullen, e a tutti coloro che saranno loro alleati» e aggiunse, con un sorrisino «Non abbiamo paura dei vampiri».
Mi offrì il pugno chiuso e io ci feci cozzare contro il mio ridendo. Sarebbe stato più d'effetto se anche io fossi stata un licantropo, ma era carino da parte sua includermi nel novero dei senza paura.
«Bambini» Borbottò Peter
«Infanti» lo corresse Randall. Seth sorrise sarcastico.
«Anch'io ci sto» Disse Maggie, scrollandosi di dosso la mano di Siobhan che la tratteneva «So che la verità è dalla parte di Carlisle. E non posso ignorarlo».
Siobhan fissò il membro più giovane del suo clan con sguardo preoccupato. «Carlisle» Disse, come se fossero da soli, negando che l'atmosfera di quella riunione fosse stata resa improvvisamente formale da una serie di dichiarazioni inattese «Non voglio che si arrivi ad uno scontro»
«Neanch'io Siobhan. Sai che è l'ultima cosa che vorrei». Abbozzò un sorriso «Forse dovresti concentrarti sul mantenere la pace»
«Sai che non servirà a niente» disse lei.
Davano l'impressione di sottintendere qualcosa, ma era difficile cosa per me, da persona estranea.
«Male non farà» Disse Carlisle con un sorrisetto.
Siobhan alzò gli occhi al cielo. «Devo immaginare il risultato che desidero?» Chiese sarcastica.
Ora Dottor Canino rideva apertamente «Se non ti dispiace»
«Allora, visto che non ci sarà alcuno scontro, non c'è nessun bisogno che il mio clan si schieri apertamente, no?» ribatté l'irlandese. Appoggiò di nuovo la mano sulla spalla di Maggie, attirandola più vicino a sé. Liam, il compagno di Siobhan, restò in silenzio, impassibile.
Quasi tutti nella sala sembravano spiazzati dallo scambio di battute chiaramente giocoso fra Carlisle e Siobhan, ma i due non si persero in spiegazioni.
E fu così che si conclusero i discorsi impegnativi tra vampiri per quella sera. Il gruppo si sparpagliò gradualmente, alcuni uscendo a caccia, altri per ammazzare il tempo con i libri di Carlisle, la televisione o i computer.



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