martedì 19 marzo 2019

Scrivimi ancora - Cecelia Ahern

Deserto di Atacama, 19 Marzo 2019
Cari lettori,
qui le giornate scorrono veloci, e tra impegni, escursioni di piacere ed escursioni termiche è difficile fare tutto ciò che l'ispirazione ci detta. Eppure siamo eroicamente riusciti a destreggiarci e trovare il tempo di leggere qualcosa di nuovo, e a scrivere queste righe pensando a voi.
Senza ulteriore indugio, vi presentiamo dunque la recensione di una scrittrice che è già una nostra vecchia conoscenza dalla recensione del distopico Flawed, ma che qui si presenta con un tipo di romanzo ben diverso dal precedente: il romantico epistolare “Scrivimi ancora”. E via!

1. La trama
I protagonisti di Scrivimi ancora sono Alex e Rosie, due creature nate sotto il cielo d'Irlanda, che si conoscono da quando erano piccini picciò e non avevano idea di come mettere due lettere in fila. Eppure l'intero libro va avanti proprio così: a lettere, ma anche cartoline, e-mail, note sui post-it, messaggi virtuali e chat online di divorziati apparentemente felici ma in realtà piuttosto disperati.
Tutti gli eventi proposti al lettore vengono raccontati attraverso le interazioni scritte dai personaggi, senza alcun tipo di terza persona che racconti gli eventi da un punto di vista esterno (tranne per un paio di pagine, in una situazione particolare) e perciò iniziamo ad addentrarci nella storia, con delizioso realismo, con dei bigliettini scambiati durante le lezioni da due complici piccini di sette anni ciascuno.
Così, veniamo informati del fatto il cane Sandy puza.
Seguiamo la crescita dei due, che maturano pian piano ed imparano ad affrontare le tante, tantissime, più del normale, ebbasta dai, ma allora sei sadica Cecilia, difficoltà che la vita gli pone davanti.
Rosie è una ragazza incosciente, romantica ed ubriacona, amica inseparabile di Alex e ossessionata dagli alberghi, da cui ruba ogni cosa non sia saldata alle pareti (semicitazione) per portarla a casa in una sorta di idolatria invasata.
Alex è un ragazzo sarcastico ma simpatico, decisamente meno invasato di Rosie e suo migliore amico inseparabile, si diverte troppo a combinare marachelle con la sua amica e perciò non ha ancora avuto il buon senso di chiamarle un'esorcista, o quantomeno ad invitarla ad abbassarlo un po' quel gomito. In compenso, la accompagna a fare la lavanda gastrica: è un galantuomo.
I due inseguono i loro sogni con impegno arrivando a sfiorarli, ma dato che Rosie a quanto pare è figlia di un dio minore e dannatamente sadico (che potrebbe chiamarsi Cecilia Ahern, dicono fonti non confermate), più di un problema si metterà tra lei e la sua felicità, allontanandola dal suo sogno di lavorare in un albergo d'alta classe e anche dal suo migliore amico.
Alex e Rosie sono incapaci di accettare la distanza che li separa; riusciranno comunque a mantenersi in contatto proprio come facevano da bambini, scrivendosi le proprie giornate, mantenendo intatta un'amicizia salda e meravigliosa.
Avranno anche il coraggio di confessarsi i sentimenti complessi che li legano, oppure saranno separati ancora dalle diverse strade che imboccheranno nella loro vita, stavolta definitivamente?
Tra apparizioni fugaci di mirabolanti esemplari di “magho” alle feste dei più piccoli, sfortune che si susseguono carambolando e rovinando i piani di tutti i protagonisti, sorprese, equivoci e mogli e mariti davvero carogne, Scrivimi ancora fa interagire un microcosmo di personaggi tutti diversi, ed ogni messaggio spedito avrà le sue conseguenze...
Menzioni onorevoli ai seguenti personaggi:

- Ruby, irriverente migliore amica di Rosie. È l'amica che magari non tutti vorrebbero, ma di cui tutti avrebbero bisogno. Paragona la faccia del suo uomo ad un pomodoro e dice di volerla mordere.
- Gary, figlio di Ruby, brutto, apatico ed inutile per ammissione della madre, comunica a grugniti. Ritorna alla vita quando calza per la prima volta delle scarpe da ballo, svelando il genio che c'è in lui. Ora i suoi grugniti sono più ispirati e musicali.
- Il magho. Si arrabbia se i bambini svelano i suoi trucchi.
- Toby, piccolo futuro dentista. Ama osservare l'apparecchio della sua migliore amica per vedere cosa ha mangiato a pranzo e sfiora il nirvana quando osserva interventi odontoiatrici.
- Stephanie, sorella di Rosie. Quella che ha capito tutto sin dall'inizio. È l'unico personaggio che ha capito tutto della vita e quindi la vivrà dall'inizio alla fine del libro felicemente, senza drammi e a modo suo. Questo libro ha bisogno di Stephanie.

2. La copertina:
Come con tutti i libri della Ahern, anche Scrivimi ancora si presenta con una bella caterva di copertine diverse.
Dopo l'uscita del film (si, c'è un film. In inglese “Love, Rosie”, in italiano “#ScrivimiAncora”. Perché l'hashtag? Beh, il libro in inglese si chiamava “Where Rainbow Ends”, cioè “Dove finisce l'arcobaleno”. Ci è andata bene, i traduttori italiani sono capaci di cose molto peggiori) la copertina che va per la maggiore è quella di due tizi che non somigliano ai protagonisti descritti nel libro, che sorridono mentre un sole iper-luminoso appollaiato sul naso del ragazzo li illumina, idilliaco.


La copertine italiane più popolari prima dell'avvento della pellicola ispirata erano queste due, più semplici ma graziose:
È anche quella usata nella versione inglese. Il pendente a cuore non ha niente a che vedere con quello che c'è scritto nel libro, ma vabbé.
Notarsi che anche i soffioni non appaiono mai in tutto il libro, ma vabbé.

 
Dato che noi troviamo queste cose in una biblioteca semi-sconosciuta, che per entrarci devi parlare serpentese, ottenere il permesso d'accesso dai piccioni guardiani e poi aggirarti tra libri di autori locali o volumi di edizioni dubbie, ovviamente abbiamo letto questo libro con una copertina ancora diversa, edita dalla Mondolibri:


Qui possiamo ammirare una Rosie con le meche bionde ed un orecchino nel buco dell'orecchio (?) che annusa una lettera aromatica inviatale da Alex. Sa di accappatoio rubato, imbevuto di vodka. Il paradiso.
La parola “ancora” di “Scrivimi ancora” è sottolineata da uno sbaffo rosa e rabbioso. Devi scriverle ancora.
Tutto il resto è avvolto in un oblio blu.
E questa è la copertina più fedele al romanzo tra tutte.

3. Cosa ci è piaciuto:
Il cane che puza, il magho che si arrabbia e la signorina Nasona Alito Pesante Casey.
Ma parlando in modo più organico, la scrittrice ha saputo rendere una caratterizzazione distinta e interessante di ogni singolo personaggio, comprese le comparse ultra secondarie, solamente attraverso i dialoghi. Che non è facile!
Ha saputo scegliere e usare un modo diverso di “parlare” e scrivere per ognuno di loro, tanto che, dopo che si impara a conoscerli, sarebbero riconoscibili anche se non si firmassero.
Attraverso questa caratterizzazione ha saputo raccontarci una famiglia supportiva per la protagonista che l'ha sostenuta durante tutti questi momenti difficili, e le relazioni interpersonali che si instaurano tra le persone sanno di vero.

4. Cosa non ci è piaciuto:
Questo è uno di quei rari libri in cui non tutto è eccellente, ma nulla è insufficiente. Non ci sentiamo di puntare il dito verso nulla in particolare, non ci sono buchi di trama o errori di concetto, niente di particolarmente irritante o scorretto.
Comunque, proprio il suo non essere eccellente in diverse cose fa sì che non tutti i lettori se ne sentano presi: alcuni potrebbero trovare poco esaltante seguire la protagonista di disgrazia in disgrazia.

Voto complessivo: 71 su 100. Bravo libro bello, hai superato il test!

A chi lo consigliamo: A chi ama i libri realistici, ma molto realistici, perché non c'è alcun tipo di magia o spiritualità neanche accennata. A chi ama conoscere una gran varietà di personaggi diversi, con qualche spunto comico.
Non lo consigliamo agli amanti dell'avventura, perché nonostante i personaggi vivano diverse situazioni a volte anche movimentate, il fatto che si tratti di un romanzo epistolare nullifica le scene d'azione: come lettore puoi arrivare solo ad azione già conclusa.

Dove potete trovare il libro:
Nelle librerie, online e nelle biblioteche, anche quelle con i piccioni guardiani. Lo beccate QUI su Amazon e QUI in e-book su kobo books (vi ricordiamo che noi non ci guadagniamo niente a fare pubblicità a questi store, non abbiamo, almeno per ora, un programma di referral quindi potete comprarli da dove vi pare: questi link ci sono solo per comodità).
Se siete pigri e non volete leggere il libro, niente paura, vi ricordiamo che ci hanno fatto anche un film con un hashtag!

Che cosa ne pensate del libro? Siete d'accordo con noi su tutto o siamo stati troppo indulgenti? Troppo cattivi? Fateci sapere, e alla prossima recensione!
Con un abbraccio spinoso, ma delicato,
I Cactus di Fuoco.


P.S. Suggeriteci libri da recensire che vi piacciono! (Meglio se sono gratis, che siamo senza soldi. Ma accettiamo di tutto). Presto uscirà una recensione proprio di uno dei libri che siete stati voi a suggerirci!


lunedì 18 marzo 2019

Draghi schattenzauber (o gettaombre)

Drago Schattenzauber (o drago gettaombre)
(Verusdraco sapiens umbrem)

Origine

Il drago gettaombre è un drago originario dell'Austria, che ben sopporta il freddo ed aveva esemplari sparsi per l'estensione dell'arco alpino, che occupa i tre quinti del territorio austriaco.
Non è una specie che può definirsi primitiva, considerato che in realtà mostra una varietà di adattamenti evolutivi che lo allontanano nettamente dalle specie più arcaiche o addirittura dai protodraghi, ma si presenta praticamente invariata sul territorio da secoli.
Sono draghi che difficilmente espongono la propria presenza alle altre creature o cambiano “casa”, ma diverse prove indicano che alcuni di loro fossero sopravvissuti allo Scisma causato da Ermes Siegader To'Rvak, tanto isolati che la specie era comunque minacciata di estinzione.
Al giorno d'oggi non è chiaro quanti esemplari rimangano, dato che sono divenuti creature ancora più schive e vogliose di evitare contatti non richiesti con altre civiltà. In effetti, al momento l'unico esemplare di cui sia certa la presenza è una femmina di gettaombre proprietaria di una piccola isola nell'Oceano Atlantico.
È probabilmente la razza di Verusdraco sapiens che ha meno casi di dragonieri (umani o altre creature antropoidi legati in modo magico e spirituale da un antico patto ai draghi) in assoluto.

Descrizione

I gettaombre sono draghi alati di taglia medio-piccola: gli adulti raggiungono tranquillamente i due metri di altezza con un'apertura alare di quattro metri e mezzo. Si aggirano intorno ad un peso di 380 kg, arrivando ad un massimo di 400-410 kg. Le ali sono funzionali.
Sono contraddistinti dal loro aspetto affusolato e in qualche modo elegante, sebbene fortemente rettile. In particolare, ad essere del tutto distintivo per questi draghi è la flessibilità del corpo che consente loro contorsioni che sarebbero incredibili per quasi qualunque altra creatura con uno scheletro.
Difatti, in passato era credenza comune che i gettaombre fossero privi di ossa! In seguito si ipotizzò che il loro scheletro fosse cartilagineo; il mistero sarebbe potuto essere risolto molto più in fretta se solo i Gettaombre si fossero degnati di rispondere alle domande. E invece no.
In realtà entrambe le teorie erano errate: le ossa dei gettaombra, che sono di un magnifico color oro, sono in realtà piuttosto leggere e di dimensioni ridotte. Il gran numero di vertebre consente loro una certa flessibilità, ma la leggerezza e piccola taglia delle ossa del loro scheletro faceva si che dopo la morte fosse molto semplice per altri animali o agenti esterni disperdere le ossa.
Le uniche ossa di una certa dimensione, che quindi non sparivano con altrettanta facilità, erano il teschio, le ossa delle ali e quelle delle zampe (senza contare le dita). Dato che il resto era assente, era difficile ricostruire il fisico vero e proprio dell'animale e ricollegarlo ai gettaombra, pertanto questi ritrovamenti venivano attribuiti ad un'altra creatura, di fantasia, chiamata nei bestiari “Goldene Vipere” (Vipera D'Oro), svanita presto dalla mitologia locale ed unitasi ad altri miti già esistenti.
La coda dei gettaombra è prensile e lunga circa due volte il loro corpo, anche se la punta viene di solito portata con la punta arrotolata verso l'alto.
Sono coperti da squame piccole e lisce, di colore che va dal grigio argenteo all'antracite, con accenni bianchi attorno agli occhi e mascella scura, spesso che porta disegni bianchi. Sulle ali e sulla coda vi sono delle macchie, così come su tutte le zampe posteriori e su quelle anteriori che formano dei “guanti” senza dita, di color rosso mattone. Il pattern non dipende dal sesso, e può variare da individuo ad individuo.
Le zampe anteriori e quelle posteriori sono differenti, sebbene abbiano entrambe cinque dita con artigli neri. Le zampe anteriori hanno pollice opponibile e dita lunghe e abili, le zampe posteriori sono più rettili e tozze, il pollice si è alzato lungo la gamba diventando uno sperone.
Hanno occhi a forma di mandorla, con pupille verticali e frastagliate come quelle di un geco; con iridi di colori sulla gamma dell'oro (compresi giallo e ocra) e del violaceo (dal rosa al violetto). Colori più rari sono il nero e l'argento.
I gettaombre hanno un paio di corna appuntite, rivolte all'indietro e precedute da due paia di piccole punte ossee, e un paio di orecchie scure, mobili, spesse e triangolari dalla punta smussata.
Tutti i loro corpi sono percorsi da una serie di solchi molto sottili in cui sono riposte delle membrane di cui hanno il perfetto controllo e che possono aprire come ventagli, inframmezzate da listelli d'osso. Queste membrane sono colorate di rosso mattone con sfumature calde, con macchie circolari di colore più intenso.
Vengono utilizzate per impressionare un possibile partner – l'intensità dei colori è una spia per la salute dell'esemplare – e vengono manovrate in modo peculiare per poter proiettare delle ombre specifiche, l'abilità da cui questi draghi prendono il nome.
Talvolta vengono usati anche per spaventare intrusi o nemici, se spiegate improvvisamente.
Hanno una lucentezza grassa per evitare di catturare inavvertitamente la luce mentre proiettano le ombre.


Dimorfismo sessuale
Basso. Le femmine si distinguono dai maschi per via della loro taglia maggiore, e raggiunta la maturità sessuale hanno polsi più spessi e resistenti, dove sono poste particolari ghiandole.
Le femmine tendono ad accettare più facilmente qualcuno sul loro territorio – sempre temporaneamente, dato che sono una specie territoriale – , specie se lo classificano come una creatura divertente e non un pericolo, mentre i maschi sono decisamente più diffidenti.

Comportamento
Ironicamente, mentre tutto il loro corpo è estremamente flessibile, la loro mimica è minimale e difficile da comprendere. Ciò che bisogna osservare per capire i loro stati d'animo sono occhi, orecchie e punta della coda; gli esemplari meno comunicativi sembrano avere una costante poker face.
I draghi gettaombre sono creature di un'intelligenza brillante, in qualche misura più fredda di quella umana. Il loro maggiore nemico è la noia, che cercano di combattere in qualunque modo possibile.
Sono creature che possono facilmente scadere in comportamenti ossessivi se non ricevono stimoli appropriati; molti esemplari sono accaparratori compulsivi, se non di metalli e/o pietre preziose – che scatenano la brama di quasi tutti i Verusdraco – possono esserlo di qualunque altra cosa gli abbia fatto piacere trovare in passato.
Di solito il passatempo preferito dei gettaombra sono le storie: libri, fumetti, pergamene con disegni, storie a voce, murales; ne sono avidi. Nei tempi antichi si diceva addirittura che rapissero gli uomini e le donne che passavano vicino alle loro tane, nascoste tra le montagne, e li rilasciassero solo in cambio di belle storie.
Quando sono adeguatamente stimolati, i gettaombre sono conversatori brillanti e di mente aperta, sebbene possono risultare difficili da comprendere ad alcuni e un po' oscuri. A volte si divertono ad imbrogliare la gente, più per curiosità che per vera cattiveria.
L'abilità da cui prendono il nome, indicata di solito con i termini inglesi “shadow casting” – o solo “casting” – , viene utilizzata per proiettare ombre specifiche, allo scopo di scacciare o attrarre nemici o prede. Sono anche utilizzate nel corteggiamento, o semplicemente per divertirsi alle spese di coloro che attirano nella loro tana.
Può capitare che debbano assumere posizioni buffe per fare proprio l'ombra che vogliono, ed è il motivo per cui scelgono di solito un punto inaccessibile per il loro casting: tendono ad essere draghi orgogliosi e si vergognerebbero moltissimo di essere visti così da tutti.
È molto difficile che lascino il loro territorio in cui sono nati per trasferirsi in un altro posto, e generalmente lo fanno solo se si avvicina un pericolo che credono di non essere assolutamente in grado di fronteggiare. Hanno un forte istinto di sopravvivenza, che li spinge a porre la propria incolumità di fronte al resto.
Il motivo principale per cui non abbandonano mai il loro territorio, oltre alla loro forte possessività e all'istinto protettivo, è che sentono il bisogno di conoscere ogni anfratto delle loro tane, cosa indispensabile per la buona riuscita del loro casting.
La visione e il rapporto che hanno con le altre creature dipende molto dalle esperienze dei loro primi di anni di vita. Alcuni potrebbero considerare gli esseri umani al pari di Verusdraco molto piccoli e scacciarli senza ucciderli dai loro territori, altri essere amichevoli oppure considerarli in tutto e per tutto alla stregua di prede, mentre altri potrebbero addirittura avere una visione mista e “meritocratica” degli umani che incontrano, rispettando quelli che li intrattengono e si dimostrano particolarmente ingegnosi, ma cacciando altri esemplari della stessa specie allo scopo di nutrirsi.

Magia e fuoco
I Gettaombre si affidano principalmente alla loro magia, che è tipicamente di tipo oscuro, dunque le loro capacità di sputare fuoco sono piuttosto ridotte rispetto a quelle di altri Verusdraco e dipendenti più da meccanismi fisici che da accorgimenti magici.
Il fuoco dei Gettaombre ha un meraviglioso color amaranto, e raggiunge di solito intorno ai 525 °C. Non sono in grado di produrre fiammate continuate, le loro fiamme si presentano come brevi ma potenti vampate, causate dal contatto di un liquido infiammabile di loro produzione con l'ossigeno atmosferico.
Sono maghi abili, e potrebbero utilizzare il loro potere naturale per fare buona parte del casting. Però la caccia “tradizionale” è una sorta di arte tramandata di generazione in generazione, e considerata più impegnativa, e pertanto meno noiosa, del casting magico.
Stranamente, di solito utilizzano la loro magia per incoraggiare la flora a crescere dentro e attorno alla loro tana. Hanno il pollice verde, chi l'avrebbe detto? Non è un dettaglio molto conosciuto su di loro.

Nascita e crescita
Le mamme gettaombre depongono due uova, più raramente uno solo, in un nido peculiare. Una volta delimitata una circonferenza attorno alle uova, costruiscono poi un secondo cerchio delimitato esternamente e internamente da pietre intorno al nido, che riempiono di materiale infiammabile e a cui danno fuoco, generando fiamme controllate per riscaldare le uova. Generalmente le femmine di gettaombre che hanno concluso con successo una deposizione aspettano almeno due-tre anni prima di riprodursi nuovamente.
Così come le femmine dei mammiferi producono il latte sotto la spinta ormonale di una gravidanza, le femmine di gettaombre sono in grado di produrre un liquido da alcune ghiandole poste sui polsi che si solidifica velocemente a contatto con l'aria, chiamato “seta di drago” o “ragnatela di drago”.
A differenza della vera seta, è praticamente impossibile da tessere.
Viene usato dalle neo-mamme per ancorare le uova al terreno ed evitare che possano rotolare giù in caso di pendenza, visto che vivono in un ambiente montano, (e visto che c'è del fuoco lì vicino, insomma) e per diminuire le possibilità che vengano rubate in loro assenza. Le uova sono color crema con sommità e macchie su tutto il guscio color nocciola. Sono relativamente fragili.
Le uova schiudono circa 160 giorni dopo essere stati deposti; i piccoli gettaombre sono uniformemente grigi, senza alcun tipo di marking, che apparirà solamente con l'adolescenza; hanno occhi grandi, blu e “all'insù”, che sembrano costantemente tristi. A differenza dei piccoli di altri Verusdraco rimangono nell'uovo per un tempo relativamente breve, uscendone appena è possibile invece di rimanere dentro per accumulare informazioni o ad attendere un dragoniere.
La madre impartisce le prime lezioni ai draghetti, lasciando che si irrobustiscano. Dopo circa due settimane e mezza i due piccoli vengono separati, e ne viene affidato uno al padre e uno alla madre. Nel caso il cucciolo sia uno solo, la precedenza è data alla madre.
È in questo momento che vengono affidati i nomi definitivi ai draghetti, che finora sono stati chiamati dalla madre con dei nomignoli provvisori, in genere di natura affettuosa.
I genitori si devono ora occupare di proteggere la prole, nutrirla e trovare loro una tana tutta per sé. Man a mano che crescono, li porteranno a visitarla per tempi sempre più lunghi per farli entrare in confidenza con la loro nuova casa, finché non li riterranno abbastanza abili ed indipendenti da lasciarli lì definitivamente. Questo processo prende tempi diversi a seconda del draghetto, che possono andare da un paio di settimane al raggiungimento della pubertà.

Vita sociale e corteggiamento
Essendo creature solitarie e territoriali, i gettaombre hanno una situazione sociale piuttosto complicata. Il momento in cui sono più predisposti all'incontro con altre creature, della propria o di altre specie, è il loro periodo riproduttivo.
Preferiscono essere loro ad iniziare ogni contatto, ma sono in generale una specie schiva che preferisce rimanere nell'ombra.
I gettaombre non sono monogami, ma può capitare che si creino dei legami duraturi tra un maschio e una femmina che si sono occupati della stessa cucciolata, e se entrambi si trovano piacevoli e genitori affidabili è più semplice che si scelgano nuovamente.
Durante la stagione degli amori, i maschi e le femmine lasciano ogni giorno le proprie tane per qualche ora alla ricerca di altri gettaombra. Il corteggiamento vero e proprio consiste di tre fasi: incontro, ballo, e appuntamenti. Quando due gettaombre si incontrano per prima cosa si coinvolgono l'un l'altro in uno scontro verbale in cui saggiano la personalità e l'intelligenza l'uno dell'altro. Se rimangono colpiti e iniziano a valutare quello che hanno incontrato come un possibile partner, si inchinano e aprono le membrane intorno alla testa; se l'altro non lo imita, i due prendono strade diverse, altrimenti iniziano una complicata danza che coinvolge lo spiegamento di tutte le membrane sul loro corpo. Se rimangono soddisfatti da ciò che vedono nel partner, iniziano a frequentare per qualche giorno l'uno la tana dell'altro a turni e a condividere storie e oggetti.
Concluso il corteggiamento, avviene l'accoppiamento, di solito nella tana di lei. Il maschio ritorna alla propria tana accumulando scorte extra per quando nasceranno i piccoli, e la femmina torna a cercarlo quando è il momento di affidargli uno dei cuccioli.
Dato che sono schizzinosi e hanno standard e un rituale di corteggiamento molto precisi, è praticamente impossibile l'incrocio con altre razze.


Habitat e dieta
I gettaombre vivono esclusivamente in habitat montani, all'interno di
caverne che imparano a conoscere sin da cuccioli.

Dall'Austria si sono sparsi anche sul resto delle Alpi, e addirittura alcuni esemplari hanno provato a spostarsi sull'arco appenninico, ma sono stati spesso scacciati dalle razze indigene, e ovviamente sono presenti anche sull'isola di Shadow Castle.
Sono carnivori, anche se sono curiosi e provano volentieri alimenti nuovi. Sono intolleranti al lattosio e digeriscono i cereali con qualche difficoltà.

Draghi gettaombre famosi
I draghi gettaombre, nonostante la loro intelligenza e sagacia, sono creature allo stesso tempo molto private e schive che evitano appositamente la fama.
Per questo motivo, vi è praticamente un solo gettaombre che può considerarsi famoso, ed è la dragonessa proprietaria di Shadow Castle, un isolotto al largo di Horn Blu Island, dove organizza regolarmente il più grande evento di cantastorie ad oggi, un festival che occupa l'intero isolotto.
Non ha mai rivelato il nome che le è stato assegnato dai suoi genitori, ma è conosciuta dai frequentatori del Festival delle Storie di Shadow Castle come “Ombraia” (Shadow Weaver), per la sua immensa abilità nel raccontare storie usando i suoi talenti per animare i racconti con delle ombre cinesi assai realistiche.
Ha dichiarato durante il Festival del 1975 che svelerà la storia della sua vita, e il suo nome, poco prima di morire. Nel caso morisse prima di riuscire a raccontarla, è già stata scritta e per sua volontà sarà raccontata dal vincitore del festival che sarà organizzato in sua memoria nell'anno della sua dipartita.

Curiosità
  •  Gli umani che sapevano come “utilizzare” le ossa di Gettaombre cercavano di mantenere segreta la loro esistenza, alimentando le credenze popolari per essere i soli a poterle trovare ed usare; riducendo in polvere le ossa dei Gettaombre e unendole per ottenere una miscela di sostanze base con feldspati, quarzo, carbonato e cloruro di sodio e poi lavorati, si può ottenere uno smalto dal color oro fuso vellutato e vivido anche senza aggiunta di coloranti. Viene anche chiamato “Smalto del Falsario”, perché in passato è stato utilizzato per ricoprire monete false di leghe non-preziose allo scopo di farle apparire d'oro.
  • Il nome che loro preferiscono è Schattenzauber, la loro denominazione originale in tedesco, ma in italiano sono chiamati draghi “Gettaombre” e in inglese “Shadow casters”. Difatti, il loro nome ha lo stesso significato più o meno in tutto il mondo, tranne in Ungheria, dove prendono il nome di “Sárkány csont nélkül” cioè “draghi senza ossa”.
  • I cuccioli di gettaombre sono considerati tra i cuccioli più irresistibili fra i draghetti. Dato che sono sia estremamente snodati che molto goffi, si rendono protagonisti di una serie di episodi comici e teneri, ed anche se sono molto intelligenti e curiosi, sono fondamentalmente più “cuccioli” degli altri Verusdraco che accumulano le informazioni all'interno del loro uovo e nascono molto meno impacciati. Hanno anche grandi occhioni blu che sembrano sempre tristi, e sono molto attenti e affettuosi.


Tutti i disegni in questa pagina (e molto probabilmente anche in tutte le altre pagine, se non diversamente specificato) sono stati realizzati dalle nostre artiste, Furiarossa e Mimma. Potete vedere altri loro lavori e/o supportarle (e supportare così anche tutti i Cactus di Fuoco ;)) sulla loro pagina Patreon. Diventate patroni delle arti!

giovedì 7 marzo 2019

Recensione - Guerre Stellari (il libro)

Poco tempo fa, in una biblioteca lontana lontana...
Si sa, il lettore sta alla biblioteca come il piccolo del cuculo sta ai nidi altrui.
Cioè cerca di riempirla tutta, può provare a buttare con perfidia i fratellini lettori via dagli scaffali (ma non tutti i lettori lo fanno, e non dovresti farlo neanche tu) e sta a ravanare, incerto, tra i vari volumi, alla ricerca di qualcosa di nuovo da leggere.
Eravamo in una simile situazione quando ai nostri occhi si è palesato improvvisamente un libricino dalle pagine ingiallite, seconda edizione del luglio 1979, con in copertina un'allegra banda di creature seminude.
È stato l'inizio di tutto. Credevamo di sapere cosa aspettarci, ma era davvero così? Allacciate le cinture, salite sul vostro aerospider scassone, e preparatevi per esplorare con noi la recensione di...

GUERRE STELLARI

Siamo certi che tutti voi abbiate sentito parlare del popolarissimo Guerre Stellari di George Lucas!
Oppure, come il protagonista di questo simpatico libro, avete vissuto buona parte della vostra vita a cercare di zappare un pianeta talmente desertico da brillare nello spazio di “riverberi gialli astrali”, e in quel caso potrebbe essere tutto molto nuovo per voi.
Ma se ci troviamo a conversare con persone della prima categoria, è facile che siate più familiari con l'adattamento cinematografico di questa fortunata saga rispetto alla serie di romanzi, se anche ne conoscevate l'esistenza, ed è ancora più probabile che i più giovani lo conoscano meglio con il suo nome inglese, ossia “Star Wars”.
Niente paura, è del tutto normale: il romanzo è in realtà nato basandosi sul film, allo scopo di aggiungersi al merchandising e scrivere qualche scena extra per “l'Universo Espanso” di George Lucas.
La particolare edizione che è passata dalle nostre mani, che è solo la prima della saga e quella a cui questa recensione si rivolge, è vecchiotta e si nota: non tanto per le condizioni del libro quanto per altri, interessanti dettagli che approfondiremo tra poco. Ad ogni modo, una delle prime cose che salta all'occhio è che l'edizione del 1979 scalza senza tante cerimonie Alan Dean Foster dalla copertina, collaboratore del regista nella scrittura del libro, dichiarando George Lucas come suo unico autore con un font triste.
Ma senza ulteriori indugi passiamo a...

1. La trama: Siamo in un'altra era, un'altra galassia.
Il libro si apre con una lettera del senatore Leia Organa, che fa da introduzione per le vicende politiche che danno contesto al tutto, ma che saltiamo a pie' pari per arrivare all'introduzione del personaggio più carismatico del libro: un robot a barilotto con cefalotorace e arti chelati, che si esprime solo con cinguetti e versi da bancomat rotto. Si tratta di Artoo Detoo, che insieme al suo compare Threepio, un androide bronzeo schizzinoso e polemico, sta precipitando sul pianeta desertico di Tatooine su un baccello di salvataggio espulso dalla loro nave, ormai distrutta.
A parte avere i nomi di un duo comico da film muto, in forma letterale, potrebbe non essere immediato capire che il libro si riferisce ai robot R2D2 e C-3PO, perciò lo specifichiamo qui sin da subito.
Il nostro protagonista ufficiale (anche se Artoo è quello che fa tutto il lavoro dalla prima all'ultima pagina), il giovane Luke Skywalker, vede nel cielo un punto di luce molto intenso, e intuisce subito che c'è stato uno scontro a fuoco tra due navi spaziali.
Prende il suo veicolo, un' “aerospider”, ossia una navetta volante, e lasciando il suo posto di lavoro e i suoi vecchi robot agli sciacalli di Tatooine – che pare mangino pure i ferri degli orologi, e non gli faranno più trovare niente al ritorno – sfreccia fino ad un'officina facendosi insultare dalle vecchine.
Lì racconta a tutti ciò che ha visto, cercando di mettere i conoscenti in allarme. Siccome di solito è uno sparaballe di prima categoria, nessuno gli crede, anche perché è inconcepibile che qualcosa di interessante succeda a Tatooine. Tutti lo deridono dato che già altre volte ha detto di aver visto battaglie in cielo, ma non era mai vero.
Luke è un complottista. E ha pure un brutto soprannome: “Vermetto”.
Scopriamo anche che mentre tutti i suoi amici vanno all'Accademia raggiunta una certa età, compreso il suo migliore amico Biggs, che vuole eroicamente unirsi ai Ribelli contro le forze imperiali che li opprimono, Luke no.
Luke ha una brava zia adottiva, la zia Beru, e uno zio adottivo meno bravo, lo zio Owen, che lo vorrebbe capra per sempre e anela a tenerlo lì a lavorare la terra, cioè la sabbia, di Tatooine per sempre senza avere uno straccio di attrezzo agricolo che funziona davvero.
Lo zio Owen gli dice anche che c'è un vecchio pazzo di nome Ben, e che lui lo deve evitare a tutti i costi. Ovviamente Vermetto andrà a trovarlo una manciata di pagine dopo.
Una serie di eventi porta tutti questi elementi di trama ad intersecarsi nel momento in cui Luke entra in possesso dei due robot, nella speranza di usarli in qualche modo per aiutarsi nel lavoro agricolo, ma R2-D2 sostiene di appartenere ancora ad un certo Obi-Wan Kenobi e fa di tutto per raggiungerlo, riuscendoci dopo diverse peripezie.
Viene così rivelato che Obi-Wan e Ben sono la stessa persona e che non è un vecchio pazzo come dice zio Owen. Non del tutto.
Al suo incontro con Luke e i robot una serie di eventi si metteranno in moto, che porteranno il giovane Skywalker a sapere di più sul suo passato, sui quasi estinti cavalieri di Jedi e a partecipare ad una pericolosa missione di salvataggio insieme al suo nuovo maestro Obi-Wan, mettendosi contro l'Impero.
E mentre il vecchio Ben (?) Kenobi si rifiuta di spiegare cosa sono gli anatroccoli, il cattivo Darth Vader picchia i suoi sottoposti e commilitoni come una scimmia, Chewbacca urla e Luke fantastica su un ologramma molto attraente, una squadra di eroi si crea e cementa, mettendosi finalmente in moto per andare a salvare la bella principessa e senatrice Leia Organa, prigioniera delle forze imperiali su di un satellite artificiale dotato di incredibile forza bellica, in grado di distruggere interi corpi celesti, il... Pianeta della Morte. Si, così è tradotto il nome della Death Star.
Riusciranno nella loro missione di salvataggio? La ribellione ha una qualche possibilità contro l'oppressione delle forze imperiali?
Non abbiamo intenzione di farvi troppi spoiler, perciò passiamo a...

2. La copertina: Abbiamo un debole per le copertine disegnate, e questo è il caso. È una bella copertina, retro', che fa tanto manifesto dei vecchi film! Ma c'è un problema.
Il protagonista non c'è.

Che sia stato confinato nella navetta a sparare raggi rosa?

Hanno messo tutti gli altri personaggi, prendendosi la briga di fare a Chewbacca la faccia di uno che si diverte moltissimo, piazzare un faccione di Darth Vader spaventosamente grande a sbirciare da sopra la spalla della principessa Leia, e spolverare il tutto di una nebbiolina minacciosa che si origina presumibilmente dalle rotule di C-3PO, ma il povero Luke non ha posto nella foto di gruppo dei suoi amici anche se è l'eroe della storia.

Retro della copertina (già che c'eravamo abbiamo passato allo scanner anche questa):
Uomini e robot partono. Così, degli uomini e dei robot a caso.
 
 
3. Cosa ci è piaciuto
Nonostante sia parte di una saga, questo libro è avventuroso e chiaro, e può essere letto anche da solo senza lasciarti lì appeso come la cornetta di un telefono fisso.
Il finale è aperto, ma l'avventura presentata nelle prime pagine si chiude in modo molto pulito senza lasciare niente che sporge, che è sicuramente un punto a favore.
I personaggi riescono ad essere ben caratterizzati anche apparendo per pochi secondi, e tutti diversi tra loro! Anche mettendo in chiaro alcuni “vizi” dei protagonisti, ad esempio l'avarizia di Han Solo, i protagonisti riescono comunque simpatici al lettore. Le scene umoristiche sono ben bilanciate con l'azione e il dramma, e i cattivi sono costruiti in modo tale da mettere subito in chiaro che non sono antagonisti da prendere alla leggera.

4. Cosa non ci è piaciuto
Adattamento e traduzione. Non è un problema dello scrittore in sé, ma dato che la recensione è di un libro in italiano va tenuto in conto.
Mentre possono aver cercato di impegnarsi un attimo nella traduzione dei dialoghi di personaggi altolocati come la principessa Leia o dei generali più importanti, Han Solo con fierezza non azzecca un congiuntivo e Luke fa sembrare Hagrid un grammar nazi.
Darth Vader, tra i pestaggi degni di un babbuino arrabbiato e l'uso barbino dei tempi verbali, perde gran parte della sua potenziale raffinatezza.
Qualcosa che invece può essere imputato allo scrittore è il fatto che la maggioranza delle azioni si svolge al chiuso o addirittura nel cosmo (e quindi al chiuso nelle navicelle spaziali), dando ben poco spazio alla possibilità di vedere alcun tipo di mondo o meravigliarsi delle creature aliene, salvo qualcosina nelle primissime pagine su Tatooine, che è una delle cose che prediligiamo nei fantascientifici.
Se qualcuno avesse sostituito le pistole a raggi con pistole a proiettili, o aerospider e caccia spaziali con auto alla Fast&Furious, sarebbe cambiato ben poco.
Di certo altre persone hanno amato questa atmosfera peculiare, ma non è il nostro caso.

Voto complessivo: 68 su 100. Complimenti, hai passato il test, libro bello!

A chi lo consigliamo: Ovviamente a tutti gli appassionati della saga! Può essere divertente leggere qualcosa dall'Universo Espanso di Lucas, o semplicemente rivedere i personaggi che hanno amato, e magari avere un punto di vista diverso su qualcuno di loro che aveva immaginato solo in un certo modo dalla loro versione cinematografica.
Anche per qualcuno che vuole trovare un fantascientifico pieno di sparatorie e che non si dispiace troppo per i massacri, perché di gente ne muore, è un bel libro intrattenitivo.
Persone che amano il congiuntivo, evitate come la peste le prime edizioni di Guerre Stellari.

Dove potete comprare il libro?
Il libro “Guerre Stellari” di Lucas e Foster può essere difficile da trovare nelle librerie, dato che è piuttosto vecchiotto. Le vostre migliori possibilità per acquistarlo sono su Internet, sia da privati che da piattaforme come Amazon e Ebay.
Ad ogni modo, mentre ci sono prime edizioni come se piovesse, se voleste specificamente la seconda potreste incontrare molti più problemi. Forse dovrete rassegnarvi a leggere un libro grammaticalmente corretto, mi dispiace.


Che cosa ne pensate del libro? Avete avuto modo di leggerlo, anche in edizioni seguenti? Siete d'accordo con noi su tutto o siamo stati troppo indulgenti? Troppo cattivi? Fateci sapere, e alla prossima recensione!
Ps. Suggeriteci libri da recensire che vi piacciono! (Meglio se sono gratis, che siamo senza soldi. Ma accettiamo di tutto).

Che la Forza sia con voi!

martedì 5 marzo 2019

Raccontro breve - Il mio buon Sole

Ogni tanto è bene anche infilare un racconto non-fantasy, non-fantascientifico e per giunta pieno di speranza. 
Dedicato a voi, sognatori con i piedi per terra. Specie se siete del Sud Italia.

+ Il mio buon Sole +

Mamma e papà si erano trasferiti nel Trentino qualche anno fa. Lui non gli aveva proprio proprio detto che non voleva che partissero, ma dava per scontato che l'avrebbero capito, di certo non poteva immaginare che si aspettassero che fosse felice di andarsene.
I grandi potevano essere davvero stupidi.
Ricordava, in particolare, la faccia di un uomo in giacca e cravatta che aveva vista sfuocata tra le lacrime, fastidiose e umide, e che – non sapeva ancora come, forse era un consulente di viaggio, ma di certo era responsabile del fatto che mamma e papà avessero deciso di partire – si era chinato su di lui e gli aveva chiesto «Ve ne andate! Sei felice?». La stupidità di quel grande in particolare era proprio abissale; se solo si fosse ascoltato quando parlava, forse avrebbe capito. Forse.
Al tempo non aveva pianto, sebbene le sentisse pericolosamente aggrappate alle sue ciglia. Piangere però era un tabù; solo i mocciosi piangono, quelli senza spina dorsale, i bambini. Era fiero di essere riuscito a non piangere... ci riusciva sempre, tranne poche eccezioni, come quella volta in cui era caduto di schiena dal muretto inseguendo Rocky.
Ma se si era fatto male non contava, anche se alla fine il gatto non l'aveva neanche raggiunto.
Adesso aveva dieci anni e sapeva qualcosa in più rispetto a qualche anno fa. Aveva imparato che si può piangere quando nessuno ti vede, che quando sei arrabbiato, stanco o spaventato, sentire il nodo in gola sciogliersi è un sollievo, ma piangere in pubblico era ancora l'umiliazione massima.
Peggio che cadere dal muretto.
Il Trentino era freddo. Non freddo freddo, ma la mamma non gli lasciava più tenere i capelli umidi dopo lo shampoo e gli capitava sempre meno di trovare un grosso masso caldo su cui sedersi quando facevano le scampagnate in montagna, a prendere il sole in pantaloncini corti.
Lo faceva sempre in Calabria, era tutto diverso lì. La tentazione era irresistibile! Papà lo guardava con finto rimprovero e diceva: «Salvatore, non fare la lucertola!», ma lo lasciava sempre qualche minuto a godersi il calore rassicurante della pietra contro le scapole.
A volte Salvatore ci premeva contro una guancia fin quasi a farsi male, finché lo zigomo non toccava la roccia calda. Chiudeva le palpebre, ma non diventava tutto nero: la luce passava comunque attraverso le palpebre, dipingendo sui suoi occhi chiusi una sorta di arancio-pesca che gli mancava più del resto.
Quando era a pancia in giù mamma o papà dovevano sempre svegliarlo perché ci si appisolava in pochi minuti, e poi si sedevano tutti e sei a riposare prima di continuare la scampagnata: mamma, papà, Salvatore, Lucia (sempre in braccio alla mamma, perché si stancava facilmente), Rocky e Diana. Il centro del suo piccolo mondo, della vita che amava.
Si, persino Rocky veniva in montagna con loro; a Salvatore piaceva inseguirlo, farlo rifugiare per gioco sugli alberi, ma papà lo sgridava perché diceva che si sarebbe potuto perdere se lo faceva sempre correre via.
Diana era un incrocio cane da caccia, trovata in un rifugio. Ora era grande, ma a differenza degli altri grandi non era mai stata stupida e l'aveva sempre capito; forse perché era più sua sorella che sua mamma. Era bianca, grigia e marrone, con le orecchie pendenti e la coda sottile che si dimenava come una girandola in un tornado ogni volta che lo avvistava.
Era diversissima da quando l'avevano presa in canile. Era stata piccolissima e molto magra, con la pelliccia meno morbida. Si era fiondata e aveva sporto il musino (quant'era piccolo rispetto alla mano di una persona!) oltre le sbarre dimenandosi nel tentativo di leccargli le dita. Aveva visto i denti piccoli e bianchi come miniature, e il corpicino morbido mettersi su due zampe nel tentativo di raggiungerlo. Si erano innamorati, e avevano portato a casa la nuova sorellina.
Rocky era più un amico che un parente, ed era un gattone rossiccio tigrato che si metteva a miagolare disperato in specifiche sere, secondo un ordine assolutamente incomprensibile a Salvatore. Mamma e papà lo chiudevano sempre in casa in quei periodi, e lui sembrava avere sempre mal di pancia... mamma diceva che era per farsi piacere alle gattine, ma Salvatore dubitava che lui avrebbe mai fatto innamorare qualche bambina lamentandosi come un disperato.
Tra gli amici, anzi, i migliori amici, rientravano Aldo e Laura.
Era stata proprio una stupidaggine andare in Trentino senza portarseli.
L'aveva detto alla mamma e lei, ridendo, gli aveva spiegato che erano figli di altre persone che non erano proprio d'accordo, e che quindi lei non poteva portarli con sé.
Sì, aveva replicato Salvatore, però loro vogliono venire: gliel'ho chiesto. Niente, la mamma aveva detto che non era proprio possibile, e allora Salvatore si era imbronciato sia con lei che con papà, perché lui era sempre d'accordo con lei: non per niente diceva “mammaepapà” sempre insieme, tutto attaccato. Li percepiva come una sorta di doppia emanazione di un'unica entità, niente di diverso dalle tante teste di un'idra: se era arrabbiato con mamma, doveva esserlo anche con papà.
Ora che aveva dieci anni, capiva che mamma e papà erano staccati proprio in virtù di quella “e”: papà era sempre pronto, per esempio, a passare del cibo in più a Diana e Rocky da sotto il tavolo durante i pranzi, e la mamma leggeva sulla sedia a dondolo che era stata della sua mamma in giardino. Mamma coltivava l'orto e papà fumava la sigaretta, ma poteva farlo solo fuori sennò mamma si arrabbiava.
Anche Aldo e Laura erano stati d'accordo sul fatto che dovevano essere tutti uniti, ma non nella stessa maniera.
«Forse, invece di partire noi, dovresti rimanere tu» Aveva sentenziato Laura in tono d'accusa, i capelli rossicci (come Rocky; si somigliavano in tante cose) raccolti in una treccia sottile
«Lo so» Salvatore aveva scosso la testa «Ma i miei non vogliono»
«E perchè?» si era stupito Aldo. Proprio per lui era un'idea senz'altro bislacca – “bislacco” era il termine preferito di sua nonna – volersene andare. Suo padre aveva molti begli appezzamenti di terra che gestiva con maestria da generazioni, e Aldo era cresciuto con le ginocchia sbucciate e la terra sparsa addosso come zucchero a velo sulle ciambelle.
«Perché dicono che se non andiamo non riescono più a dare da mangiare né a Rocky né a Diana» Aveva risposto Salvatore con genuino terrore «E io...». E si era guardato le scarpette penzolare nel vuoto, mentre Laura si sdraiava sui mattoni nudi della Casa delle Mano-Morte.
Ci aveva pensato su, poi aveva detto «Non mi dispiacerebbe troppo andarmene. Però mi dispiace che te ne vai tu».
Gli era mancato indicibilmente il loro punto di ritrovo – che a loro piaceva pensare fosse un segreto ben custodito, senza calcolare che in paesini così chiunque sapeva tutto di tutti –, “la Casa delle Mano-Morte” la chiamavano loro. Per dimostrarsi vicendevolmente il proprio coraggio avevano inventato ogni sorta di leggende sulla vecchia casa di periferia, che sembrava diroccata, ma in realtà non era semplicemente mai stata finita.
A detta loro, lì ci aveva nidificato la “Miula” o “Pigula”, uccello notturno e maligno che portava moltissima sfortuna: l'avevano persino vista una notte... . Si diceva che dal momento e dal luogo in cui emetteva il suo lamento – un suono acuto e ritmico da fare accapponare la pelle – si poteva sapere quando sarebbe morto qualcuno. Laura ci aveva subito intessuto una storia per la loro casetta: c'era un motivo per cui la Pigula aveva addirittura nidificato nel loro ritrovo, e questo motivo erano le Mano-Morte. Erano creature tutte nere, simili a delle persone, ma più cattive. Erano liberi nel loro territorio solo la notte, perché di giorno riposavano sotto terra, ma se qualcuno si avventurava di notte nella loro casetta e le Mano-Morte lo avessero visto, di sicuro lo avrebbero inseguito, perché caracollavano e poi scattavano ad una velocità sovrumana. E quel che peggio, erano dei morti...
«E se ti prendono che succede?» Aveva chiesto Aldo
«Nessuno... lo sa...» aveva sussurrato tenebrosa Laura. Alla fine, dichiarando urgenti impegni per un motivo o per un altro, si erano catapultati tutti e tre via dal loro covo ostentando indifferenza falsissima, arrivando a casa all'arrossire del cielo nel tramonto.
Quando li aveva salutati non gli era sembrato niente di terribile, anche se era l'ultima volta prima della partenza.
Si era reso conto che qualcosa non andava solo quando aveva realizzato che voleva uscire, voleva giocare con loro, prendere i grilli e raccontare le storie di paura... e che loro non erano lì fuori. Lì fuori c'era un mondo che non conosceva, con bambini che non erano Aldo e Laura, con massi su cui non poteva sdraiarsi, con case di cui non conosceva né aveva mai inventato i segreti.
Aveva pianto nella sua stanzetta, nuova ed estranea, ma solo un poco, anche se non era solo solo: c'era Diana con lui, l'unico essere vivente al mondo che potesse vederlo piangere e consolarlo; neppure a Rocky era permesso avvicinarsi.
Gli erano mancati da morire.
E gli erano mancati tutti al paese, in cui chiunque sapeva tutto di tutti, e questo la rendeva una piccola comunità e una grande famiglia. Gli erano mancati l'odore legnoso e amico degli olivi, simile alla lana e all'erba e alla cannella, il verde intenso, come verniciato, delle loro foglie, con i piccoli insetti poggiati sulla pagina inferiore, e come questi alberi si ricoprissero di fiorellini bianchi e minuti verso maggio, che cadevano (“gli olivi pelano” era il suo dotto commento) ricoprendo come neve minuta e preziosa tutto il terreno e l'erba. Lì crescevano alti il millefiori, il cardo dai fiori colorati, la portulaca, il cumino dei prati e il mentastro che potevano essere scambiati per millefiori e menta, ma il cumino aveva dei semi che se seccati potevano essere mangiati mentre il mentastro, se mangiato come lui usava con la menta (cioè le foglie intere tutte in bocca), aveva un saporaccio.
La menta vera invece potevi trovarla in prossimità delle fiumare, come gli aveva detto la zia Domenica, ed era buona anche se era selvatica. Cresceva tra le canne verdi e oro che nascondevano piante più piccole, serpenti, rane verdi e rosse e raganelle.
Le sue amate, perdute “fiumare” erano belle perché cambiavano sempre. Quando era estate e faceva molto, molto caldo (e d'estate faceva sempre molto molto caldo, salvo i temporali che sembravano buttare tutta l'acqua che non era caduta finora in una grossa secchiata fredda) il letto della fiumare si asciugava completamente. A volte rimanevano delle pozze laterali in cui nuotavano dei girini ritardatari o qualche pesciolino argenteo, che potevi prendere con le mani.
In primavera e autunno dava vigore alle piante sulle sue sponde rinverdendole – una volta c'era cresciuto persino un pomodoro selvatico – e riempiva l'aria di spruzzi, piccoli arcobaleni e l'odore frizzante e ferrugginoso della buona acqua. Il suo brontolio acuto era quasi una ninna nanna.
Il letto delle fiumare era scosceso e scostante, dando vita a forti correnti, cascatelle di luccicante bellezza, punti di calma tra le acque correnti e piccoli rigagnoli che si dipartivano tra la poca sabbia e il pietrisco chiari.
Amava gli alberi alti e ingrigiti, come vecchi, dallo sguardo della luna; aveva visto grandi pareti irregolari di argilla luccicare nell'umidità di una giornata piena di calore dopo un temporale.
Davanti agli occhi vedeva ancora gli aranceti dalle foglie verdissime, di quelli da cui puoi rubare una sola arancia che, se gratti un po' con le unghie, sprigionerà il suo profumo.
Somigliava un po' al profumo della mamma, ma non era proprio quello... anche se era dolce come il profumo di una mamma. Vedeva il cielo del ciano più vasto e stupendo che si possa desiderare e le nuvole che in alta montagna sembravano sempre correre su di loro, un po' come il Bianconiglio di Alice, l'acqua che si può bere direttamente dal ruscello, i giochi di luci e ombre sulle foglie, e il cuore della sua vita pulsare forte.
Diana gli leccò piano le dita, mettendogli il muso in grembo con un mugolio, mentre lo sguardo di Salvatore spaziava sul cielo e i paesi pittoreschi, sulle montagne che diventavano blu e quasi illusorie in lontananza.
Lucia belò come una capretta, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno, probabilmente della mamma se non proprio la sua.
«Salvatore, non fare la lucertola!» Lo richiamò suo padre, ridendo.
E ridendo Salvatore si drizzò, e, a malincuore, lasciò la sporgenza bassa della parete rocciosa illuminata dal suo buon sole.
Casa sua era un posto bellissimo.
Sarà per questo che erano tornati.

sabato 2 marzo 2019

Racconto breve - Ancunu

+ Ancunu + 

 

Le lunghe dita scarne aderirono allo stipite della porta, issando il corpo longilineo e grottesco a cui appartenevano sulla soglia. Prima affacciò il profilo di una testa animale tutta spigoli e ombre, coperta di corta peluria scura che scendeva la nuca fino a tuffarsi sotto un colletto grigio, poi il collo sottile e le spalle larghe e gobbe, ed infine ecco il torace dalla vita stretta vestito di un'incongrua camicia a righe ordinate.
La creatura stessa era incongrua, proprio come la sua camicia, apparendo del tutto fuori posto sulla soglia di una casetta di campagna baciata da un sole allegro.
Quando Ancunu fu per metà dentro casa iniziò a muovere la testa da roditore avanti e indietro lungo la parete, come per saggiarla con i baffi sottilissimi che gli spuntavano in punta di muso. Si sentiva un delicatissimo sniff provenire da quel suo strano muso appuntito, e di tanto in tanto il ticchettio delle sue unghie battute contro la porta.
Alessandra guardò la madre che attendeva con la sua posa più graziosa, la schiena dritta, le mani intrecciate di fronte a sé e sudate, leggermente tremanti.
Ancunu le osservò entrambe con i suoi occhi grandi grandi, fin troppo grandi, con una pupilla stretta come quella di un gatto spaventato e azzurri come un lago ghiacciato, e con una frustata nervosa della coda sottile entrò.


In un paese arroccato tra i monti, adagiato tra le chiome degli alberi e resistito a temporali e terremoti, vagava Ancunu.
Nessuno sapeva con esattezza da dove venisse, dove dimorasse, o se fosse nato a Bovanova proprio come loro, perché nessuno aveva osato chiederglielo. Nessuno sapeva avesse in programma di andarsene o quale genere di strana creatura fosse, se fosse stato creato da Dio o dal diavolo, se fosse un demone o una creatura mortale come loro, per quanto strana: neppure questo erano riusciti a chiedere.
Certo non era un umano, seppure la sua figura ne potesse ricordasse uno… in fondo camminava su due gambe, seppur fossero secche e lunghissime, aveva un taglio di capelli curato sulla testa affilata che ricordava quella d’un topo molto magro, e copriva quel suo strano corpo con abiti decenti: camicia, pantaloni e scarpe lucide. Aveva mani con cinque dita ciascuna, e il pollice opponibile, anche se queste mani erano ossute e con dita innaturalmente lunghe, ed unghioli spessi e appuntiti che nessun rispettabile cristiano avrebbe mai tenuto senza tagliare.
Per non parlare della coda... No, meglio non parlare della coda.
Di sicuro Ancunu era longevo. Era da quattro generazioni che i cittadini di Bovanova aprivano le loro case perché i grandi occhi di Ancunu potessero posarsi su tutto, giudicare il loro bucato, la loro tavola, la loro casa ed ospitalità.
Le sue visite lasciavano sconvolti i bovanovesi. Avrebbero dovuto essere contenti di aver superato l'esame, quando se ne andava soddisfatto? Avrebbero dovuto essere orgogliosi? O scossi per quella violazione delle loro dimore?
Ancunu poteva presentarsi in tre modi diversi e cioè con invito, senza invito, o a sorpresa.
Alcuni cittadini sceglievano di essere più orgogliosi che turbati dai suoi esami, ed erano loro stessi ad invitare la strana creatura per accoglierlo nelle loro case e farsi giudicare. Ancunu riceveva così i regali più alla moda, le pietanze più squisite, i posti dove riposare più comodi. Si doveva essere proprio convinti per riuscire nell’impresa, dato che non lo si vedeva mai girare per le vie della città e basta: era necessario far sì che altre persone (magari della seconda categoria, cioè che ricevevano le visite della creatura senza che la invitassero) intercedessero per loro. In genere, se si riusciva nell'impresa, Ancunu accettava sempre ed era un invitato quasi grazioso.
Il più comune era il secondo modo, cioè senza invito.
Ancunu si presentava come preferiva, facendo sempre in modo di dare preavviso alla famiglia che avrebbe visitato via lettera – aveva una grafia davvero incantevole per un grottesco topo antropomorfo con le dita incredibilmente lunghe – dandogli tutto il tempo di prepararsi in anticipo alla visita e dare il meglio di sé.
La terza categoria era quella a cui tutti i bovanovesi speravano di non appartenere mai: trovarsi Ancunu sulla porta di casa senza preavviso, oltre a generare ovviamente una certa inquietudine, significava non essere pronti. E se non si era pronti...
Per evitare di aver paura delle visite, i bravi paesani avevano il terrore di lasciare la casa in disordine anche in casi normali e si affaccendavano per tenerla pulita ed in ordine. Avevano insomma, l’avrete capito ormai, sempre paura.
«E se arriva Ancunu?» Era il tormentone, la giustificazione per qualsiasi regola troppo stretta.
Non puoi sporcarti i vestiti, e se arriva Ancunu e ti trova in queste condizioni?
Non puoi mangiare l'ultima fetta di dolce, e se arriva Ancunu e non gli possiamo dare niente?
Non puoi lasciare in disordine, metti caso che arriva Ancunu e vede questo disordine, che succede?
In effetti, non è che ci fosse una risposta alla domanda.
Era difficile essere un bambino a Bovanova.


Anche se la sua famiglia apparteneva alla seconda categoria, Alessandra di anni otto, orgogliosa proprietaria di una collezione di peluche di cani e di tre bucce di agrumi diversi, si considerava a tutti gli effetti facente parte della terza categoria.
Sì, insomma, la lettera era arrivata una settimana fa, scritta in inchiostro viola e con tanti di quegli svolazzi che persino Alessandra, che era la più veloce a leggere le letture di tutta la sua classe, non aveva capito un accidente. E la mamma sempre una settimana fa le aveva intimato di tenere tutto preciso come un orologio e lucido come uno specchio.
Come si aspettava che lei si ricordasse una cosa che le era stata detta una settimana prima? E non una cosa bella o entusiasmante, tipo che le regalassero quel cucciolo che aveva chiesto dall'Aprile scorso. No. Che un uomo topo veniva a sbirciarle la camera. Sai che gioia.
La camera che lei non aveva riordinato, tra l'altro. Da due giorni.
Si sarebbe meritata, a suo parere, almeno un promemoria.
«Si accomodi, Signore, che piacere!» Disse la mamma di Alessandra, con un sorriso chiaramente forzato e un tremolio nella voce «Giusto ad ora di pranzo, puntualissimo».
Ancunu non rispose, ispezionando la piccola entrata, con l'attaccapanni, il comodino e il tappeto vecchio che ad Alessandra non era mai piaciuto perché sapeva di vecchia sporca. Mamma per fortuna lo aveva pulito con ettolitri di liquidi colorati il giorno prima, e ora profumava di menta.
La bambina rimase in disparte, intimorita da quella creatura che caracollava in casa riempiendo lo spazio come se, invece che della famiglia, fosse stato tutto suo. Era molto alto, ma era come se ci fosse qualche motivo aggiuntivo e misterioso per cui le appariva ancora più grande.
La sua coda sottile ondeggiava tracciando costantemente con la punta delle piccole S coricate; il muso era indecifrabile, la bocca aperta appena a mostrare gli impressionanti incisivi superiori e inferiori, ma priva di espressione.
«La aspettavamo ovviamente, Signore» Continuò nervosamente la mamma di Alessandra, tenendo le mani fermissime e intrecciate «Ovviamente. Ovviamente abbiamo ricevuto il suo invito, e spero che la casa sarà di suo gradimento, con un ospite così... ehm, così... gradito come lei».
Ancunu parlò per la prima volta, e la sua voce non era affatto quella che la bambina si era aspettata. Era rotta e scricchiolante, gutturale, più il gracidare di un batrace che lo squittio di un topo. Parlava con calma e a bassa voce, educatamente, ma la sua espressione non mutò: «Lo apprezzo».
Alessandra si voltò e iniziò a trotterellare nell'altra stanza, arricciando il naso.
In breve la mamma radunò tutta la famiglia attorno al tavolo: mancavano solo papà, con la pancia tonda, gli occhiali storti e pronto a mettersi a ridacchiare come faceva sempre quando era nervoso – un’abitudine che Alessandra trovava assolutamente deliziosa in circostanze normali: lo faceva anche quando era arrabbiato – e Cosimo, il fratellino più piccolo, coi capelli cortissimi e scuri e gli occhi grandi e intimoriti.
«Famiglia deliziosa» Disse conciso Ancunu «Bella casa», ed entrambi i genitori si affrettarono a ringraziare calorosamente per la considerazione, cercando di convincerlo che era troppo buono. Alessandra pensò in cuor suo che, con tutto il lavoro che avevano fatto mamma e papà, il signor Ancunu poteva pure sprecarsi un po' più a fare i complimenti. Così sembrava che se li volesse mangiare.
Se li voleva mangiare?
Ancunu rivolse un'occhiata particolarmente intensa al padre, senza cambiare espressione.
«Dato che ho già finito di preparare credo che impiatterò e porterò tutto in tavola, che ne dice Signore?» Fece la madre in cerca di indizi «C'è qualcosa che non mangiate? Le porzioni come le volete?»
«Fate voi» la liquidò Ancunu, senza distogliere lo sguardo dal padre. 
La donna si allontanò verso la cucina. Dalle labbra del padre sfuggì una risata nervosa, incontrollata, che gli causò una specie di spasmo mentre si aggiustava agitato sulla sedia. Raccomandò ai figli di comportarsi bene e fuggì anche lui nella stanza accanto, dove Alessandra sapeva che c'era uno specchio a parete.
Cosimo si rattrappì, cercando di sparire oltre il bordo del tavolo. Alessandra drizzò la schiena, provando a mostrarsi coraggiosa, carina e composta.
In silenzio, i tre attesero.
La paura era un sentimento strano. Talvolta attanagliava le viscere come un granchietto tenace, rifiutandosi di andarsene anche dopo molto tempo che il pericolo se n'era andato. Talvolta, invece, il corpo non trovava abbastanza tensione per sostenerla, e svaniva proprio mentre il pericolo era proprio lì di fronte, a mangiare la pasta alla carbonara al tuo tavolo, guardando il tuo fratellino con occhi fin troppo grandi.
Ancunu era un ospite apparentemente molto educato a tavola, ma divorò una razione doppia rispetto a chiunque altro in un terzo del tempo che ci voleva per gli altri. Avere un appetito robusto non era di per sé un male; poteva invece essere considerato piuttosto sgradevole essere fissati mentre si mangiava da una persona, o da una creatura dall'aspetto ibrido tra un umano e un roditore, che non lo stava facendo a sua volta, e che invece si dedicava intensamente al fissare con disappunto gli altri commensali.
I quattro dovevano combattere l'impulso di finire tutto subito, per poter passare alla portata seguente e distrarre ancora Ancunu, e rallentare per non sembrare maleducati.
Cosimo doveva essere costantemente guidato da colpetti punitivi con le nocche sul braccio o sugli stinchi da scarpe familiari, in modo da comportarsi dignitosamente, non deglutire senza masticare e non scivolare oltre il bordo del tavolo cercando di defilarsi quietamente.
«Ho saputo che» Proruppe improvvisamente la creatura, intrecciando le dita di fronte a sé come un uomo d'affari «La nonna Lina fa novantasette anni tra due giorni, verrete a festeggiare?». Parlava come se desse per scontato che lui sarebbe stato lì, e in effetti poteva benissimo essere vero.
«Se nonna Lina ci inviterà» Concesse il papà
«Oh, non lo avete saputo? Tutto il paese è invitato»
«Di solito è una cosa che per i numeri tondi»
«I numeri tondi...?»
«Beh, sì. Novantacinque. Cento. I numeri importanti»
«Arrivati ad un certo punto si dovrebbe festeggiare ogni giorno. Non si sa mai quando può... succedere qualcosa di brutto»
«Ah. Ah ah, ehm, c-certo...»
«Ogni anno è una vittoria quando la vita è incerta. Io credo che nonna Lina abbia avuto un'idea deliziosa. Anche se spero che non sia una cosa troppo appariscente»
«Ah. Già, sì».
«Alla sua età è meglio avere un po' di discrezione»
«Sì»
«Sei poco loquace»
«Oh! Beh, q-quando uno dice le cose giuste non si sa che altro dire».
La creatura annusò discretamente l'aria nella sua direzione, facendo sollevare impercettibilmente i baffi sul muso affilato.
Al contrario del papà di Alessandra, Ancunu, che era stato tanto silenzioso all'inizio, aveva preso a parlare instancabilmente di cose del tutto futili durante la cena, sempre con una certa sicurezza. Con chi si era messa Rosa della famiglia dei Canarini. Perché Marcello Ieroianni non andava più a messa. Sfruttava il fatto che gli altri avessero la bocca piena per parlare, parlare, parlare.
Alessandra sapeva che per fortuna i bambini non erano mai tenuti a partecipare a simili conversazioni, così poteva concentrarsi e contare quante volte Ancunu aveva battuto le palpebre durante tutto il pranzo: fino al momento di arrivare al dessert, lo aveva fatto tre volte.
Poi aveva smesso del tutto.
La mamma aveva servito come coronamento di un pranzo completo, squisito e succulento, una scenografica ed imponente torta al tiramisù, con crema al mascarpone e base di savoiardi fatti in casa. Gli occhi dei commensali brillavano, quelli di Ancunu sembravano se possibile ancora più lucidi e sgranati.
La prima fetta era andata ovviamente all'ospite, adagiata su un raffinato piattino con decori floreali blu: una grossa, grassa, spessa fetta di torta al tiramisù che aveva fatto sentire affamata Alessandra come se non avesse appena consumato un pasto che avrebbe saziato un adulto due volte lei.
«Grazie» Aveva detto educatamente Ancunu, accompagnando il piatto fin davanti a sé e tenendoci su le grinfie strettamente.
La fetta per il papà fu decisamente più sottile, un po' più grandi quelle per Alessandra e Cosimo. La signora si servì per ultima, tagliando una fetta mesta e misera in confronto a quella di Ancunu, lasciando comunque una porzione abbondante ancora sul piatto del dessert.
Alessandra era compiaciuta. Da sempre, le porzioni di cose buone che rimanevano venivano divise tra lei e Cosimo: a Cosimo toccava sempre una fetta un po' più grande, ma era il suo fratellino piccolo e a lei stava bene. Era un'abitudine che nelle case dei suoi amichetti era sconsigliata e guardata con meraviglia, dato che loro lasciavano sempre “U vuccuni du' surici”, cioè il Boccone del Topo, in più.
Mangiò in fretta e di gusto la propria parte, aspettando composta e sicura.
Appena Ancunu ebbe finito, tamponandosi la punta del muso e gli incisivi sporgenti con un fazzolettino, la mamma gli chiese premurosa:
«Allora, vi è piaciuto, Signore?»
«Non il migliore che io abbia mai mangiato, ma squisito, certo, delizioso»
«Oh... Beh, ne sono contenta, Signore. Siete pieno, Signore, ne volete ancora?».
Ancunu si portò una mano al ventre. Era così sottile che la gran quantità di cose che aveva ingurgitato creava un certo gonfiore al livello del suo stomaco, chiaramente visibile.
«Mah, un altro po' mi entrerebbe, se non vi è di disturbo...»
«Cosa?» pigolò Cosimo, deluso. Un calcetto correttivo da suo padre gli fece capire che era meglio tenere la bocca chiusa, e il piccino si acquietò.
Nessuno si aspettava invece di dover rimproverare la figlia, perciò nessuno si prese la briga di prepararsi a correggere lei.
«C'è tanta torta lì, non si potrebbe dividere con noi bambini? Almeno con Cosimo, che è piccolo? Non ce la farà mai a mangiarsela tutta quanta» Osservò Alessandra, sporgendosi in avanti.
Subito dopo, si spalmò sullo schienale della sedia. Aveva l'impressione di averla fatta grossa. La madre e il fratello la guardavano ad occhi sgranati per tanto sfrontato ardire, mentre il padre si mise a ridere, inorridito.
Ancunu ebbe forse la reazione più strana di tutte. Non mutò espressione, non disse nulla. Si voltò semplicemente verso di lei, la mani unghiute aggrappate ai bordi del piatto, e la fissò.
Alessandra cercò di ricambiare lo sguardo, ma ne era intimorita. Quegli occhi lucidi, fissi, non sembravano volerla osservare, scrutare o analizzare. Volevano passarle attraverso.
La bambina si guardò le mani mortificata.
«Mi dispiace, Signor...» Si fermò appena in tempo. Non aveva sentito la mamma chiamarlo Ancunu, quindi non sapeva se poteva farlo o meno. «... Signore».
Ancunu rimase a fissarla per tanto, tanto tempo. La mamma si agitava sul posto, voleva intervenire, ma non osava parlare.
«Vostra figlia è ingorda» Disse la creatura con voce gutturale, con inflessione quasi disgustata.
Alessandra ci rimase molto male. Non credeva di essere una bambina ingorda. Eppure Ancunu diceva che era così, e lui era lì per giudicare tutto, quindi doveva saperne qualcosa.
«Non lo farà più» Assicurò il papà
«Dovete insegnarle a pretendere di meno. Gli ospiti sono sacri. Educatela meglio»
«Certo, Signore! È una bambina vivace, ma le assicuro che è buona in tutto il resto. È ubbidiente e gentile di solito» si affrettò ad assicurare la mamma «E-era solo un atto di... stava cercando di intercedere per il fratellino. È la torta preferita di Cosimo»
«Lo vedremo, quanto è brava. Guarderò le stanze dei bambini, dopo mangiato» sentenziò Ancunu, e affondò la forchettina da dessert nella crema spumosa.
Alessandra si sentì sprofondare, e desiderò che quella sensazione riuscisse a manifestarsi fisicamente. Sarebbe riuscita a sparire sotto il pavimento e apparire da qualche altra parte, se solo si fosse molto concentrata? Non era detto che la magia non esistesse, e se esisteva, non era detto che proprio lei non ne avesse neanche un briciolo. Per quanto si concentrasse però, esibendosi in espressioni di sofferenza, non si spostò di un millimetro; riuscì solo a fare preoccupare Cosimo.
Se la fuga magica non poteva essere contemplata, Alessandra pensò di fuggire oltre la porta prima di essere scoperta, e studiò piani su piani per capire come eludere gli adulti e darsi alla macchia.
«Molto, molto buona. Grazie. Qual è la camera dei bambini più vicina?» Chiese Ancunu, pulendosi ancora il muso scarno, serio.
«Non vuole vedere la biancheria? O l'argenteria? Abbiamo delle belle lenzuola, sa» si intromise la madre, giungendo le mani
«Magari dopo» la liquidò la creatura, alzandosi per primo «Adesso voglio vedere le camere dei piccoli»
«Ma non se lo prende il caffè?» chiese il padre.
Ancunu soppesò, ma infine decretò che no, non voleva il caffè, voleva vedere le stanze dei bimbi. Adesso la sua voce, normalmente educata e ferma, iniziava a suonare vagamente irritata.
«C'è qualche problema con le camere?» Incalzò ancora lui.
Il padre e la madre gettarono delle occhiate ai figli. Alessandra doveva avere una faccia davvero eloquente, perché i genitori tentarono subito di sviare il loro ospite, ma non ci fu nulla da fare.
A sorpresa, Cosimo alzò la manina per chiedere la parola come a scuola.
Ancunu lo guardò interessato e fece un piccolo gesto con la testa, che forse voleva dargli il permesso. Cosimo lo interpretò così e disse con la sua vocetta innocente: «La stanza più vicina è la mia. Se mamma deve riordinare e papà vuole il caffè, ti ci porto io».
Alessandra sapeva che Cosimo l'aveva fatto per salvarla, e anche se ritardava di solo qualche minuto l'inevitabile, ne fu sollevata.
Mamma capì in modo diverso quel “ordinare”, o magari esattamente come Cosimo avrebbe voluto, e mentre i bambini e Ancunu si allontanavano, scappò in camera della figlia.
Alessandra vedeva Cosimo intimorito, tremava un po'. Non era inusuale che tremasse, iniziava a tremare come una foglia ogni volta che aveva un po' di freddo o di nervosismo, anche se non era un bambino iper sensibile, ma vedere come aveva affrontato il timore per salvarla la riempì di calore.
«È questa» Disse a fior di labbra il bambino, indicando la porta blu della sua cameretta
«Questa» ripeté Ancunu
«Sì».
La mano unghiuta si poggiò sul legno, facendo aderire il palmo, e spinse la porta.
La camera era un caos assoluto.
Le lenzuola arancioni a fiorellini color pesca formavano una palla irregolare ai piedi del letto. Il pavimento era irto di peluche, dinosauri giocattolo e Lego, seguendo schemi misteriosi a coloro che non avessero seguito i giochi e le avventure da loro vissuti. Quaderni e libri scolastici inneggiavano all'entropia sparsi sulla piccola scrivania a parete, il pigiama era stato malamente raccolto in un'altra palla più piccola e spuntava da sotto il cuscino. Un libro stava storto sul comò accanto al letto, costringendo la lampada a forma di animaletto dei videogiochi a stare in bilico, in procinto di cadere nel cassetto aperto.
Alessandra era stata così presa dal preoccuparsi per sé stessa che non aveva considerato questa piega degli eventi neanche per un attimo, e si trovò senza fiato.
«Questa è la tua camera» Rispose Ancunu senza inflessione, con la voce più alta di due ottave
«Sì»
«Come può essere la tua camera?»
«Che intendi, signore? Ci dormo e ci faccio i compiti e mi ci mettono in punizione. È la mia camera» rispose Cosimo, che nonostante il tono tranquillo stava tremando come una foglia.
«Come può essere la tua camera?» Chiese ancora Ancunu, come se non se ne capacitasse. Fece qualche passo insicuro avanti. Strinse una maglietta fuori posto nella mano unghiuta, guardandola ad occhi sgranati, voltò la testa verso il disastro di letto «Come può...?».
Finalmente Ancunu capì, qualcosa scattò. Gettò a terra la maglietta di Cosimo con foga, ingobbendosi, con la coda lunga e glabra che frustava l'aria.
«Tu... Voi non avete ordinato la casa! Sapevate che sarei venuto, e non lo avete fatto!» Lo accusò Ancunu, gonfiandosi spaventosamente e protendendosi verso il bambino.
Alessandra sentì una sensazione di gelo attraversarle le membra. Sarebbe morto. Guardò spaventata la creatura, già grottesca, adesso ancora più aliena nella propria rabbia.
Ma Cosimo non si mosse di lì. «Sì» Disse semplicemente «Non ho ordinato la mia camera. Mi sono dimenticato, mi spiace. Ma mica gli ospiti ci devono entrare in tutte quante le stanze, a lei che le interessa?».
Ancunu emise una sorta di ruggito acuto da pantera, e strinse i pugni artigliati, facendo schioccare i denti. Alessandra si mosse per fare da scudo al fratellino, ma Ancunu non cercò di fare male al bimbo.
Spinse via i due ragazzini e, mortalmente offeso, andò in linea dritta verso la porta pestando i piedi e continuando a squittire:
«Inaudito! Inaccettabile! Inaccettabile! Scostumati, siete davvero degli scostumati!».
I genitori fecero in tempo a vederlo uscire dalla porta principale, allibiti, mentre si precipitava fuori come un piccolo tornado all'urlo di: «Non conoscete l'ospitalità!».


Ciò che gli abitanti di Bovanova avevano temuto che accadesse per quattro generazioni, che si sarebbero convinti da soli che gli sarebbe accaduto (ma di cui in realtà neppure loro erano sicuri), non avvenne.
Tutti tornarono a viverci davvero nelle proprie case, a mangiarsi tutte le porzioni che cucinavano e a fare entrare solo chi volevano che entrasse, perché Ancunu se ne era andato definitivamente da quel paese, offeso a morte, lamentandosi a gran voce.
Qualche generazione dopo nessuno avrebbe creduto che fosse esistito davvero, e forse andava bene anche così. Dopotutto, ora sì che si poteva esser bambini, a Bovanova!
 
«Come sapevi che non ti sarebbe successo niente?» Chiese Alessandra, abbracciandosi le ginocchia.
Cosimo si strinse nelle spalle, sedendosi accanto a lei sulle scale. «Non lo sapevo».
«Allora sei matto ad aver fatto questa cosa. E se ti avesse fatto del male?»
«Nessuno aveva mai provato» si giustificò Cosimo, ignorando l'ultima domanda della sorella
«Appunto. Non potevi saperlo cosa sarebbe successo»
«Appunto, non potevo saperlo» Cosimo si strinse nelle spalle «Non lo sapeva nessuno. Alla fine valeva la pena, no? Ti immagini tutta la vita a fare così, ad aspettare quel coso brutto? Bisognava che qualcuno provasse prima o poi».
Alessandra, rifiutando categoricamente di vedere il fratellino come una persona matura – ci si sarebbe anche dovuta confrontare così, ed invece aveva già i suoi impegni a cercare di convincere i suoi genitori a prenderle un cucciolo – , alzò il mento e lo guardò con aria di superiorità. «Non si fanno le cose se non sai che cosa può succedere. Hai fatto una cosa pericolosa e non la devi fare più».
Cosimo si guardò i piedi, e in quel momento, mentì. «Okay».

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Note degli autori: Quando non nasci in Calabria, ma poi ti ci trasferisci, e tua madre ti dice "Menti in ordini a to camera, ca si trasi ancunu e vidi 'ssu porcili?" (Tr. Metti in ordine la tua camera, che se entra "ancunu" e vede questo porcile?) istintivamente ti chiedi chi diavolo sia questo "Ancunu" che dovrebbe poter entrare in camera tua quando vuole per giudicare il tuo disordine. La parola "ancunu" (a volte con le variazioni "ccarcunu", "ncunu" o "cacchidunu", in relazione al paese in cui ti trovi) in Calabrese significa semplicemente "qualcuno", ma viene ripetuta così spesso in particolar modo dalle madri che redarguiscono i figli riguardo al non sporcare in giro che probabilmente anche i bimbi calabresi si chiedono chi cavolo abbia l'incredibile potere di entrare in casa loro quando vuole per guardare dentro le loro camerette. Ed è da questo interessante spunto che è nato il racconto breve "Ancunu". Speriamo che sia stato di vostro gradimento!


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