+ Ancunu +
Le lunghe dita scarne aderirono allo stipite della porta, issando il corpo longilineo e grottesco a cui appartenevano sulla soglia. Prima affacciò il profilo di una testa animale tutta spigoli e ombre, coperta di corta peluria scura che scendeva la nuca fino a tuffarsi sotto un colletto grigio, poi il collo sottile e le spalle larghe e gobbe, ed infine ecco il torace dalla vita stretta vestito di un'incongrua camicia a righe ordinate.
La creatura stessa era incongrua, proprio come la sua camicia, apparendo del tutto fuori posto sulla soglia di una casetta di campagna baciata da un sole allegro.
Quando Ancunu fu per metà dentro casa iniziò a muovere la testa da roditore avanti e indietro lungo la parete, come per saggiarla con i baffi sottilissimi che gli spuntavano in punta di muso. Si sentiva un delicatissimo sniff provenire da quel suo strano muso appuntito, e di tanto in tanto il ticchettio delle sue unghie battute contro la porta.
Alessandra guardò la madre che attendeva con la sua posa più graziosa, la schiena dritta, le mani intrecciate di fronte a sé e sudate, leggermente tremanti.
Ancunu le osservò entrambe con i suoi occhi grandi grandi, fin troppo grandi, con una pupilla stretta come quella di un gatto spaventato e azzurri come un lago ghiacciato, e con una frustata nervosa della coda sottile entrò.
In un paese arroccato tra i monti, adagiato tra le chiome degli alberi e resistito a temporali e terremoti, vagava Ancunu.
Nessuno sapeva con esattezza da dove venisse, dove dimorasse, o se fosse nato a Bovanova proprio come loro, perché nessuno aveva osato chiederglielo. Nessuno sapeva avesse in programma di andarsene o quale genere di strana creatura fosse, se fosse stato creato da Dio o dal diavolo, se fosse un demone o una creatura mortale come loro, per quanto strana: neppure questo erano riusciti a chiedere.
Certo non era un umano, seppure la sua figura ne potesse ricordasse uno… in fondo camminava su due gambe, seppur fossero secche e lunghissime, aveva un taglio di capelli curato sulla testa affilata che ricordava quella d’un topo molto magro, e copriva quel suo strano corpo con abiti decenti: camicia, pantaloni e scarpe lucide. Aveva mani con cinque dita ciascuna, e il pollice opponibile, anche se queste mani erano ossute e con dita innaturalmente lunghe, ed unghioli spessi e appuntiti che nessun rispettabile cristiano avrebbe mai tenuto senza tagliare.
Per non parlare della coda... No, meglio non parlare della coda.
Di sicuro Ancunu era longevo. Era da quattro generazioni che i cittadini di Bovanova aprivano le loro case perché i grandi occhi di Ancunu potessero posarsi su tutto, giudicare il loro bucato, la loro tavola, la loro casa ed ospitalità.
Le sue visite lasciavano sconvolti i bovanovesi. Avrebbero dovuto essere contenti di aver superato l'esame, quando se ne andava soddisfatto? Avrebbero dovuto essere orgogliosi? O scossi per quella violazione delle loro dimore?
Ancunu poteva presentarsi in tre modi diversi e cioè con invito, senza invito, o a sorpresa.
Alcuni cittadini sceglievano di essere più orgogliosi che turbati dai suoi esami, ed erano loro stessi ad invitare la strana creatura per accoglierlo nelle loro case e farsi giudicare. Ancunu riceveva così i regali più alla moda, le pietanze più squisite, i posti dove riposare più comodi. Si doveva essere proprio convinti per riuscire nell’impresa, dato che non lo si vedeva mai girare per le vie della città e basta: era necessario far sì che altre persone (magari della seconda categoria, cioè che ricevevano le visite della creatura senza che la invitassero) intercedessero per loro. In genere, se si riusciva nell'impresa, Ancunu accettava sempre ed era un invitato quasi grazioso.
Il più comune era il secondo modo, cioè senza invito.
Ancunu si presentava come preferiva, facendo sempre in modo di dare preavviso alla famiglia che avrebbe visitato via lettera – aveva una grafia davvero incantevole per un grottesco topo antropomorfo con le dita incredibilmente lunghe – dandogli tutto il tempo di prepararsi in anticipo alla visita e dare il meglio di sé.
La terza categoria era quella a cui tutti i bovanovesi speravano di non appartenere mai: trovarsi Ancunu sulla porta di casa senza preavviso, oltre a generare ovviamente una certa inquietudine, significava non essere pronti. E se non si era pronti...
Per evitare di aver paura delle visite, i bravi paesani avevano il terrore di lasciare la casa in disordine anche in casi normali e si affaccendavano per tenerla pulita ed in ordine. Avevano insomma, l’avrete capito ormai, sempre paura.
«E se arriva Ancunu?» Era il tormentone, la giustificazione per qualsiasi regola troppo stretta.
Non puoi sporcarti i vestiti, e se arriva Ancunu e ti trova in queste condizioni?
Non puoi mangiare l'ultima fetta di dolce, e se arriva Ancunu e non gli possiamo dare niente?
Non puoi lasciare in disordine, metti caso che arriva Ancunu e vede questo disordine, che succede?
In effetti, non è che ci fosse una risposta alla domanda.
Era difficile essere un bambino a Bovanova.
Anche se la sua famiglia apparteneva alla seconda categoria, Alessandra di anni otto, orgogliosa proprietaria di una collezione di peluche di cani e di tre bucce di agrumi diversi, si considerava a tutti gli effetti facente parte della terza categoria.
Sì, insomma, la lettera era arrivata una settimana fa, scritta in inchiostro viola e con tanti di quegli svolazzi che persino Alessandra, che era la più veloce a leggere le letture di tutta la sua classe, non aveva capito un accidente. E la mamma sempre una settimana fa le aveva intimato di tenere tutto preciso come un orologio e lucido come uno specchio.
Come si aspettava che lei si ricordasse una cosa che le era stata detta una settimana prima? E non una cosa bella o entusiasmante, tipo che le regalassero quel cucciolo che aveva chiesto dall'Aprile scorso. No. Che un uomo topo veniva a sbirciarle la camera. Sai che gioia.
La camera che lei non aveva riordinato, tra l'altro. Da due giorni.
Si sarebbe meritata, a suo parere, almeno un promemoria.
«Si accomodi, Signore, che piacere!» Disse la mamma di Alessandra, con un sorriso chiaramente forzato e un tremolio nella voce «Giusto ad ora di pranzo, puntualissimo».
Ancunu non rispose, ispezionando la piccola entrata, con l'attaccapanni, il comodino e il tappeto vecchio che ad Alessandra non era mai piaciuto perché sapeva di vecchia sporca. Mamma per fortuna lo aveva pulito con ettolitri di liquidi colorati il giorno prima, e ora profumava di menta.
La bambina rimase in disparte, intimorita da quella creatura che caracollava in casa riempiendo lo spazio come se, invece che della famiglia, fosse stato tutto suo. Era molto alto, ma era come se ci fosse qualche motivo aggiuntivo e misterioso per cui le appariva ancora più grande.
La sua coda sottile ondeggiava tracciando costantemente con la punta delle piccole S coricate; il muso era indecifrabile, la bocca aperta appena a mostrare gli impressionanti incisivi superiori e inferiori, ma priva di espressione.
«La aspettavamo ovviamente, Signore» Continuò nervosamente la mamma di Alessandra, tenendo le mani fermissime e intrecciate «Ovviamente. Ovviamente abbiamo ricevuto il suo invito, e spero che la casa sarà di suo gradimento, con un ospite così... ehm, così... gradito come lei».
Ancunu parlò per la prima volta, e la sua voce non era affatto quella che la bambina si era aspettata. Era rotta e scricchiolante, gutturale, più il gracidare di un batrace che lo squittio di un topo. Parlava con calma e a bassa voce, educatamente, ma la sua espressione non mutò: «Lo apprezzo».
Alessandra si voltò e iniziò a trotterellare nell'altra stanza, arricciando il naso.
In breve la mamma radunò tutta la famiglia attorno al tavolo: mancavano solo papà, con la pancia tonda, gli occhiali storti e pronto a mettersi a ridacchiare come faceva sempre quando era nervoso – un’abitudine che Alessandra trovava assolutamente deliziosa in circostanze normali: lo faceva anche quando era arrabbiato – e Cosimo, il fratellino più piccolo, coi capelli cortissimi e scuri e gli occhi grandi e intimoriti.
«Famiglia deliziosa» Disse conciso Ancunu «Bella casa», ed entrambi i genitori si affrettarono a ringraziare calorosamente per la considerazione, cercando di convincerlo che era troppo buono. Alessandra pensò in cuor suo che, con tutto il lavoro che avevano fatto mamma e papà, il signor Ancunu poteva pure sprecarsi un po' più a fare i complimenti. Così sembrava che se li volesse mangiare.
Se li voleva mangiare?
Ancunu rivolse un'occhiata particolarmente intensa al padre, senza cambiare espressione.
«Dato che ho già finito di preparare credo che impiatterò e porterò tutto in tavola, che ne dice Signore?» Fece la madre in cerca di indizi «C'è qualcosa che non mangiate? Le porzioni come le volete?»
«Fate voi» la liquidò Ancunu, senza distogliere lo sguardo dal padre.
La donna si allontanò verso la cucina. Dalle labbra del padre sfuggì una risata nervosa, incontrollata, che gli causò una specie di spasmo mentre si aggiustava agitato sulla sedia. Raccomandò ai figli di comportarsi bene e fuggì anche lui nella stanza accanto, dove Alessandra sapeva che c'era uno specchio a parete.
Cosimo si rattrappì, cercando di sparire oltre il bordo del tavolo. Alessandra drizzò la schiena, provando a mostrarsi coraggiosa, carina e composta.
In silenzio, i tre attesero.
La paura era un sentimento strano. Talvolta attanagliava le viscere come un granchietto tenace, rifiutandosi di andarsene anche dopo molto tempo che il pericolo se n'era andato. Talvolta, invece, il corpo non trovava abbastanza tensione per sostenerla, e svaniva proprio mentre il pericolo era proprio lì di fronte, a mangiare la pasta alla carbonara al tuo tavolo, guardando il tuo fratellino con occhi fin troppo grandi.
Ancunu era un ospite apparentemente molto educato a tavola, ma divorò una razione doppia rispetto a chiunque altro in un terzo del tempo che ci voleva per gli altri. Avere un appetito robusto non era di per sé un male; poteva invece essere considerato piuttosto sgradevole essere fissati mentre si mangiava da una persona, o da una creatura dall'aspetto ibrido tra un umano e un roditore, che non lo stava facendo a sua volta, e che invece si dedicava intensamente al fissare con disappunto gli altri commensali.
I quattro dovevano combattere l'impulso di finire tutto subito, per poter passare alla portata seguente e distrarre ancora Ancunu, e rallentare per non sembrare maleducati.
Cosimo doveva essere costantemente guidato da colpetti punitivi con le nocche sul braccio o sugli stinchi da scarpe familiari, in modo da comportarsi dignitosamente, non deglutire senza masticare e non scivolare oltre il bordo del tavolo cercando di defilarsi quietamente.
«Ho saputo che» Proruppe improvvisamente la creatura, intrecciando le dita di fronte a sé come un uomo d'affari «La nonna Lina fa novantasette anni tra due giorni, verrete a festeggiare?». Parlava come se desse per scontato che lui sarebbe stato lì, e in effetti poteva benissimo essere vero.
«Se nonna Lina ci inviterà» Concesse il papà
«Oh, non lo avete saputo? Tutto il paese è invitato»
«Di solito è una cosa che per i numeri tondi»
«I numeri tondi...?»
«Beh, sì. Novantacinque. Cento. I numeri importanti»
«Arrivati ad un certo punto si dovrebbe festeggiare ogni giorno. Non si sa mai quando può... succedere qualcosa di brutto»
«Ah. Ah ah, ehm, c-certo...»
«Ogni anno è una vittoria quando la vita è incerta. Io credo che nonna Lina abbia avuto un'idea deliziosa. Anche se spero che non sia una cosa troppo appariscente»
«Ah. Già, sì».
«Alla sua età è meglio avere un po' di discrezione»
«Sì»
«Sei poco loquace»
«Oh! Beh, q-quando uno dice le cose giuste non si sa che altro dire».
La creatura annusò discretamente l'aria nella sua direzione, facendo sollevare impercettibilmente i baffi sul muso affilato.
Al contrario del papà di Alessandra, Ancunu, che era stato tanto silenzioso all'inizio, aveva preso a parlare instancabilmente di cose del tutto futili durante la cena, sempre con una certa sicurezza. Con chi si era messa Rosa della famiglia dei Canarini. Perché Marcello Ieroianni non andava più a messa. Sfruttava il fatto che gli altri avessero la bocca piena per parlare, parlare, parlare.
Alessandra sapeva che per fortuna i bambini non erano mai tenuti a partecipare a simili conversazioni, così poteva concentrarsi e contare quante volte Ancunu aveva battuto le palpebre durante tutto il pranzo: fino al momento di arrivare al dessert, lo aveva fatto tre volte.
Poi aveva smesso del tutto.
La mamma aveva servito come coronamento di un pranzo completo, squisito e succulento, una scenografica ed imponente torta al tiramisù, con crema al mascarpone e base di savoiardi fatti in casa. Gli occhi dei commensali brillavano, quelli di Ancunu sembravano se possibile ancora più lucidi e sgranati.
La prima fetta era andata ovviamente all'ospite, adagiata su un raffinato piattino con decori floreali blu: una grossa, grassa, spessa fetta di torta al tiramisù che aveva fatto sentire affamata Alessandra come se non avesse appena consumato un pasto che avrebbe saziato un adulto due volte lei.
«Grazie» Aveva detto educatamente Ancunu, accompagnando il piatto fin davanti a sé e tenendoci su le grinfie strettamente.
La fetta per il papà fu decisamente più sottile, un po' più grandi quelle per Alessandra e Cosimo. La signora si servì per ultima, tagliando una fetta mesta e misera in confronto a quella di Ancunu, lasciando comunque una porzione abbondante ancora sul piatto del dessert.
Alessandra era compiaciuta. Da sempre, le porzioni di cose buone che rimanevano venivano divise tra lei e Cosimo: a Cosimo toccava sempre una fetta un po' più grande, ma era il suo fratellino piccolo e a lei stava bene. Era un'abitudine che nelle case dei suoi amichetti era sconsigliata e guardata con meraviglia, dato che loro lasciavano sempre “U vuccuni du' surici”, cioè il Boccone del Topo, in più.
Mangiò in fretta e di gusto la propria parte, aspettando composta e sicura.
Appena Ancunu ebbe finito, tamponandosi la punta del muso e gli incisivi sporgenti con un fazzolettino, la mamma gli chiese premurosa:
«Allora, vi è piaciuto, Signore?»
«Non il migliore che io abbia mai mangiato, ma squisito, certo, delizioso»
«Oh... Beh, ne sono contenta, Signore. Siete pieno, Signore, ne volete ancora?».
Ancunu si portò una mano al ventre. Era così sottile che la gran quantità di cose che aveva ingurgitato creava un certo gonfiore al livello del suo stomaco, chiaramente visibile.
«Mah, un altro po' mi entrerebbe, se non vi è di disturbo...»
«Cosa?» pigolò Cosimo, deluso. Un calcetto correttivo da suo padre gli fece capire che era meglio tenere la bocca chiusa, e il piccino si acquietò.
Nessuno si aspettava invece di dover rimproverare la figlia, perciò nessuno si prese la briga di prepararsi a correggere lei.
«C'è tanta torta lì, non si potrebbe dividere con noi bambini? Almeno con Cosimo, che è piccolo? Non ce la farà mai a mangiarsela tutta quanta» Osservò Alessandra, sporgendosi in avanti.
Subito dopo, si spalmò sullo schienale della sedia. Aveva l'impressione di averla fatta grossa. La madre e il fratello la guardavano ad occhi sgranati per tanto sfrontato ardire, mentre il padre si mise a ridere, inorridito.
Ancunu ebbe forse la reazione più strana di tutte. Non mutò espressione, non disse nulla. Si voltò semplicemente verso di lei, la mani unghiute aggrappate ai bordi del piatto, e la fissò.
Alessandra cercò di ricambiare lo sguardo, ma ne era intimorita. Quegli occhi lucidi, fissi, non sembravano volerla osservare, scrutare o analizzare. Volevano passarle attraverso.
La bambina si guardò le mani mortificata.
«Mi dispiace, Signor...» Si fermò appena in tempo. Non aveva sentito la mamma chiamarlo Ancunu, quindi non sapeva se poteva farlo o meno. «... Signore».
Ancunu rimase a fissarla per tanto, tanto tempo. La mamma si agitava sul posto, voleva intervenire, ma non osava parlare.
«Vostra figlia è ingorda» Disse la creatura con voce gutturale, con inflessione quasi disgustata.
Alessandra ci rimase molto male. Non credeva di essere una bambina ingorda. Eppure Ancunu diceva che era così, e lui era lì per giudicare tutto, quindi doveva saperne qualcosa.
«Non lo farà più» Assicurò il papà
«Dovete insegnarle a pretendere di meno. Gli ospiti sono sacri. Educatela meglio»
«Certo, Signore! È una bambina vivace, ma le assicuro che è buona in tutto il resto. È ubbidiente e gentile di solito» si affrettò ad assicurare la mamma «E-era solo un atto di... stava cercando di intercedere per il fratellino. È la torta preferita di Cosimo»
«Lo vedremo, quanto è brava. Guarderò le stanze dei bambini, dopo mangiato» sentenziò Ancunu, e affondò la forchettina da dessert nella crema spumosa.
Alessandra si sentì sprofondare, e desiderò che quella sensazione riuscisse a manifestarsi fisicamente. Sarebbe riuscita a sparire sotto il pavimento e apparire da qualche altra parte, se solo si fosse molto concentrata? Non era detto che la magia non esistesse, e se esisteva, non era detto che proprio lei non ne avesse neanche un briciolo. Per quanto si concentrasse però, esibendosi in espressioni di sofferenza, non si spostò di un millimetro; riuscì solo a fare preoccupare Cosimo.
Se la fuga magica non poteva essere contemplata, Alessandra pensò di fuggire oltre la porta prima di essere scoperta, e studiò piani su piani per capire come eludere gli adulti e darsi alla macchia.
«Molto, molto buona. Grazie. Qual è la camera dei bambini più vicina?» Chiese Ancunu, pulendosi ancora il muso scarno, serio.
«Non vuole vedere la biancheria? O l'argenteria? Abbiamo delle belle lenzuola, sa» si intromise la madre, giungendo le mani
«Magari dopo» la liquidò la creatura, alzandosi per primo «Adesso voglio vedere le camere dei piccoli»
«Ma non se lo prende il caffè?» chiese il padre.
Ancunu soppesò, ma infine decretò che no, non voleva il caffè, voleva vedere le stanze dei bimbi. Adesso la sua voce, normalmente educata e ferma, iniziava a suonare vagamente irritata.
«C'è qualche problema con le camere?» Incalzò ancora lui.
Il padre e la madre gettarono delle occhiate ai figli. Alessandra doveva avere una faccia davvero eloquente, perché i genitori tentarono subito di sviare il loro ospite, ma non ci fu nulla da fare.
A sorpresa, Cosimo alzò la manina per chiedere la parola come a scuola.
Ancunu lo guardò interessato e fece un piccolo gesto con la testa, che forse voleva dargli il permesso. Cosimo lo interpretò così e disse con la sua vocetta innocente: «La stanza più vicina è la mia. Se mamma deve riordinare e papà vuole il caffè, ti ci porto io».
Alessandra sapeva che Cosimo l'aveva fatto per salvarla, e anche se ritardava di solo qualche minuto l'inevitabile, ne fu sollevata.
Mamma capì in modo diverso quel “ordinare”, o magari esattamente come Cosimo avrebbe voluto, e mentre i bambini e Ancunu si allontanavano, scappò in camera della figlia.
Alessandra vedeva Cosimo intimorito, tremava un po'. Non era inusuale che tremasse, iniziava a tremare come una foglia ogni volta che aveva un po' di freddo o di nervosismo, anche se non era un bambino iper sensibile, ma vedere come aveva affrontato il timore per salvarla la riempì di calore.
«È questa» Disse a fior di labbra il bambino, indicando la porta blu della sua cameretta
«Questa» ripeté Ancunu
«Sì».
La mano unghiuta si poggiò sul legno, facendo aderire il palmo, e spinse la porta.
La camera era un caos assoluto.
Le lenzuola arancioni a fiorellini color pesca formavano una palla irregolare ai piedi del letto. Il pavimento era irto di peluche, dinosauri giocattolo e Lego, seguendo schemi misteriosi a coloro che non avessero seguito i giochi e le avventure da loro vissuti. Quaderni e libri scolastici inneggiavano all'entropia sparsi sulla piccola scrivania a parete, il pigiama era stato malamente raccolto in un'altra palla più piccola e spuntava da sotto il cuscino. Un libro stava storto sul comò accanto al letto, costringendo la lampada a forma di animaletto dei videogiochi a stare in bilico, in procinto di cadere nel cassetto aperto.
Alessandra era stata così presa dal preoccuparsi per sé stessa che non aveva considerato questa piega degli eventi neanche per un attimo, e si trovò senza fiato.
«Questa è la tua camera» Rispose Ancunu senza inflessione, con la voce più alta di due ottave
«Sì»
«Come può essere la tua camera?»
«Che intendi, signore? Ci dormo e ci faccio i compiti e mi ci mettono in punizione. È la mia camera» rispose Cosimo, che nonostante il tono tranquillo stava tremando come una foglia.
«Come può essere la tua camera?» Chiese ancora Ancunu, come se non se ne capacitasse. Fece qualche passo insicuro avanti. Strinse una maglietta fuori posto nella mano unghiuta, guardandola ad occhi sgranati, voltò la testa verso il disastro di letto «Come può...?».
Finalmente Ancunu capì, qualcosa scattò. Gettò a terra la maglietta di Cosimo con foga, ingobbendosi, con la coda lunga e glabra che frustava l'aria.
«Tu... Voi non avete ordinato la casa! Sapevate che sarei venuto, e non lo avete fatto!» Lo accusò Ancunu, gonfiandosi spaventosamente e protendendosi verso il bambino.
Alessandra sentì una sensazione di gelo attraversarle le membra. Sarebbe morto. Guardò spaventata la creatura, già grottesca, adesso ancora più aliena nella propria rabbia.
Ma Cosimo non si mosse di lì. «Sì» Disse semplicemente «Non ho ordinato la mia camera. Mi sono dimenticato, mi spiace. Ma mica gli ospiti ci devono entrare in tutte quante le stanze, a lei che le interessa?».
Ancunu emise una sorta di ruggito acuto da pantera, e strinse i pugni artigliati, facendo schioccare i denti. Alessandra si mosse per fare da scudo al fratellino, ma Ancunu non cercò di fare male al bimbo.
Spinse via i due ragazzini e, mortalmente offeso, andò in linea dritta verso la porta pestando i piedi e continuando a squittire:
«Inaudito! Inaccettabile! Inaccettabile! Scostumati, siete davvero degli scostumati!».
I genitori fecero in tempo a vederlo uscire dalla porta principale, allibiti, mentre si precipitava fuori come un piccolo tornado all'urlo di: «Non conoscete l'ospitalità!».
Ciò che gli abitanti di Bovanova avevano temuto che accadesse per quattro generazioni, che si sarebbero convinti da soli che gli sarebbe accaduto (ma di cui in realtà neppure loro erano sicuri), non avvenne.
Tutti tornarono a viverci davvero nelle proprie case, a mangiarsi tutte le porzioni che cucinavano e a fare entrare solo chi volevano che entrasse, perché Ancunu se ne era andato definitivamente da quel paese, offeso a morte, lamentandosi a gran voce.
Qualche generazione dopo nessuno avrebbe creduto che fosse esistito davvero, e forse andava bene anche così. Dopotutto, ora sì che si poteva esser bambini, a Bovanova!
«Come sapevi che non ti sarebbe successo niente?» Chiese Alessandra, abbracciandosi le ginocchia.
Cosimo si strinse nelle spalle, sedendosi accanto a lei sulle scale. «Non lo sapevo».
«Allora sei matto ad aver fatto questa cosa. E se ti avesse fatto del male?»
«Nessuno aveva mai provato» si giustificò Cosimo, ignorando l'ultima domanda della sorella
«Appunto. Non potevi saperlo cosa sarebbe successo»
«Appunto, non potevo saperlo» Cosimo si strinse nelle spalle «Non lo sapeva nessuno. Alla fine valeva la pena, no? Ti immagini tutta la vita a fare così, ad aspettare quel coso brutto? Bisognava che qualcuno provasse prima o poi».
Alessandra, rifiutando categoricamente di vedere il fratellino come una persona matura – ci si sarebbe anche dovuta confrontare così, ed invece aveva già i suoi impegni a cercare di convincere i suoi genitori a prenderle un cucciolo – , alzò il mento e lo guardò con aria di superiorità. «Non si fanno le cose se non sai che cosa può succedere. Hai fatto una cosa pericolosa e non la devi fare più».
Cosimo si guardò i piedi, e in quel momento, mentì. «Okay».
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Note degli autori: Quando non nasci in Calabria, ma poi ti ci trasferisci, e tua madre ti dice "Menti in ordini a to camera, ca si trasi ancunu e vidi 'ssu porcili?" (Tr. Metti in ordine la tua camera, che se entra "ancunu" e vede questo porcile?) istintivamente ti chiedi chi diavolo sia questo "Ancunu" che dovrebbe poter entrare in camera tua quando vuole per giudicare il tuo disordine. La parola "ancunu" (a volte con le variazioni "ccarcunu", "ncunu" o "cacchidunu", in relazione al paese in cui ti trovi) in Calabrese significa semplicemente "qualcuno", ma viene ripetuta così spesso in particolar modo dalle madri che redarguiscono i figli riguardo al non sporcare in giro che probabilmente anche i bimbi calabresi si chiedono chi cavolo abbia l'incredibile potere di entrare in casa loro quando vuole per guardare dentro le loro camerette. Ed è da questo interessante spunto che è nato il racconto breve "Ancunu". Speriamo che sia stato di vostro gradimento!
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