mercoledì 4 marzo 2020

Un boccaccio di Amuchina - 3. Un posto per bambini



+ Un posto per bambini, una storia di Giuseppino Occhio+

Ora ve la racconto io una storia! Allora… c’era una volta… c’era una volta…
Un adulto. Un adulto che non voleva andare a scuola. Era un professore questo, sì, un professore che non voleva mai lavorare, perché gli scocciava di correggere tutti quei compiti e di dover sempre punire i bambini.
Era un professore bravo lui, che voleva solo che i suoi alunni si divertissero tanto, e allora gli comprava i gelati, le caramelle e le riviste dei videogiochi. Insomma, a scuola gli piaceva andare perché c’erano i bambini, ma si scocciava perché c’erano gli altri professori che erano tutti noiosi e cattivi.
Il preside lo rimproverava sempre e gli diceva «Sei troppo buono con questi bambini! I professori sono fatti per essere cattivi! Per farli spaventare sempre di prendere un due, per farli tremare, per mandare le note a casa! Che cos’è questa storia che li porti a prendere il gelato?».
E il professore bravo, che si chiamava Giuseppino, ecco, Giuseppino sorrideva con grande bontà e scuoteva la testa.
«I bambini non son fatti per prendere i due» Rispondeva «Son fatti per prendere il sole»
«Ma quale sole e sole?» strillava il preside «Son fatti per prendere le botte!».
E tutti i giorni il preside e il professore Giuseppino litigavano sempre di più. Una volta il preside diede un pugno al professore buono, un pugno forte in faccia, che lo fece cadere a terra e svenire.
Quando il giorno dopo Giuseppino andò a scuola, i suoi alunni si preoccuparono tantissimo nel vedere il grande livido blu intorno all’occhio del loro amato maestro.
«Oh, prof!» Gridò Giannina, arrabbiata come al solito «Chi è stato a farti questo? Se lo trovo, ah, se lo trovo gli mangio la testa!»
«Ma no, ma no Giannina, sono solo caduto dalle scale» disse il professore, ma ovviamente era una bugia.

Tutti i bambini capirono subito che era una bugia, perché se cadi dalle scale mica sbatti solo un occhio! Dovresti sbattere tutto, no? E magari avere le ossa rotte, un braccio ingessato, ma non un occhio nero che sembra una melanzana… qualcuno doveva aver dato un pugno fortissimo al loro professore e quindi loro dovevano fargliela pagare, al maledetto!
Dopo la scuola, tutti i bambini della classe si riunirono in cortile.
«Dobbiamo ammazzare chi gli ha fatto questo» Disse Giannina
«Ma ammazzare è vietato dalla legge» fece Giuseppino Junior, che era il più buono di tutta la classe
«E allora gli dobbiamo rompere le mani, così non lo fa più».
Tutti i bambini erano d’accordo: dovevano rompere le mani al coso che aveva picchiato il professore. Ma come avrebbero fatto a capire chi era?
«Indagheremo» Disse Marco, che aveva gli occhiali grandi grandi e tondi, e che era portato per fare il detective «Ho un’idea! Entreremo a scuola prima, domani, e uno di noi, a turno, seguirà sempre il professore Giuseppino, così scopriremo se qualcuno gli vuole male e gliela faremo pagare!»
«Sì» dissero tutti «Sì, è una bella idea».
E così il giorno dopo tutti i bambini della classe arrivarono a scuola alle cinque, si nascosero ognuno dietro un pilastro, dietro un muretto, dietro uno zaino, e aspettarono. Alle cinque e dieci minuti arrivò il preside, che era grosso grosso, con una pancia gigante, una faccia brutta da mucca con gli occhi da bassettoide e i baffi che facevano “swish swish” per quanto erano lunghi.
«Uhm, ha un’espressione molto cattiva» Disse Marco, sottovoce
«Sì, ma ce l’ha sempre» rispose piano piano Giuseppino «Non è mica una prova questa»
«Hai ragione. Continuiamo a guardare».
Il preside entrò e se ne andò in presidenza, dove si sedette dietro la sua scrivania nera e tirò fuori delle foto da dentro il cassetto. I bambini lo vedevano perché lo stavano spiando dalla finestra, comunque. Allora, il preside guardava le foto, che erano tutte di bambini, e le commentava.
«Ah, Gianni Vilardi!» Diceva, guardando un ragazzo con i capelli marroni «Ora è diventato grande e lavora al MecDonnel! È triste e gli abbiamo rovinato la vita, molto bene, molto bene! Così si diventa adulti, brutti e tristi!» e poi cambiava foto, la guardava e diceva «Ah, Annamaria Nonni, mi ricordo di lei: era una bambina sempre felice, che aveva un topolino domestico! Ora che è grande si è rassegnata e lavora con quelli che ammazzano i ratti e gli scarafaggi! Ah, che bello, quante responsabilità che ha adesso! Triste e piena di responsabilità, proprio come tutti gli adulti!».
E andava avanti così, guardando tutte le foto dei bambini che una volta erano stati alunni spensierati, ma che la scuola aveva costretto a diventare adulti poveri e tristi con lavori bruttissimi. Quei bambini volevano diventare attori, artisti, pittori, fumettisti, calciatori, coltivatori di zucchine, modelli dei costumi da bagno o guidatori di trerruote, ma a scuola li avevano consigliati male e li avevano costretti tutti a fare dei lavori terribili e che loro non volevano fare.
«Lui ce l’ha con i bambini» Disse Giannina «Non può essere stato lui, non picchierebbe un adulto, no? Gli piacciono gli adulti»
«Ma solo quelli tristi e musoni che fanno lavori brutti» rispose Giuseppino
«Già. E invece il professore Giuseppino è contento, perché gli piacciono i bambini e gli piace insegnarci mille cose divertenti» dedusse Marco, che amava molto il suo insegnante perché era da lui che aveva imparato come fare il detective e tanto altro, come la vita degli squali e dei serpenti.
I bambini però non avevano ancora prove, quindi si nascosero di nuovo e aspettarono di vedere gli altri professori.
Alle sei arrivò la professoressa di religione, la malvagia Nancy che odiava quelli diversi da lei. Si vestiva sempre con maglioncini alla naffatallina, pantalonazzi da circo o gonne ancora peggio, e aveva i capelli a caschetto biondi, ma finti biondi, e non le piacevano i bambini che la pensavano diversamente da lei. Una volta aveva detto al piccolo Raji, che adorava un dio elefante bellissimo, che sarebbe andato all’inferno, e un’altra volta aveva detto a Nina, che non andava mai a messa, che il Diavolo l’avrebbe punta tutta.
«Non potrebbe aver dato un pugno al professor Giuseppino» Ragionò Giuseppino «La sua religione dice che deve essere buona, no?»
«Ma lei è buona? Certo che no!» fece Giannina

«Però non credo che sia lei. La controlleremo, comunque».
E la controllarono, mandandole dietro un bambino perché guardasse cosa faceva, ma la malvagia prof Nancy si faceva soltanto il catechismo da sola, con mille segni della croce, e si bagnava tutta con l’acqua santa.
Poi, alle sei e dieci, arrivarono insieme la professoressa di matematica, una zitella acida con i capelli lisci lisci a spaghetto, e il professore di educazione fisica, un gorillone con le braccia tutte pelose e le sopracciglia a spazzola e i capelli a sopracciglio. Questi due stavano insieme, erano fidanzati e si baciavano. Come… che significa che se lei stava con lui non era una zitella? E questa era una zitella lo stesso. Acida. Tanto lo sapevano tutti che si sarebbero lasciati, perché quello di educazione fisica aveva mollato dieci mogli.
E smettetela di interrompermi.
Allora, che stavo dicendo? Ah, sì, c’erano questi due, che erano due piccioncini schifosi e si baciavano.
«Muah, muah, amore mio!» Diceva lui, tutto felice, passandosi la mano nella barbaccia sfatta
«Tesoro» gli faceva lei, proprio con la vocina acida da zitella «Ma oggi come li punirai, i bambini?»
«Li punirò non facendoli uscire e gli dirò che il pallone è bucato»

«Ma il pallone non è bucato, come farai?»
«Ah, ah, lo bucherò io, è chiaro!».

E mano nella mano entrarono nella scuola.
«Lui potrebbe essere stato» Disse Giannina «Guardate che bestione violento e cattivo! Ce lo vedete a dare un pugno in faccia al povero professor Giuseppino, vero?»
«Sono troppo impegnati a baciarsi» le rispose Giuseppino Junior.
Ma, e questa era la cosa preoccupante, Marco si aggiustava gli occhiali e guardava nel vuoto, proprio come quando stava per risolvere il mistero di un romanzo giallo dopo averne lette solo dieci pagine.
«Cos’hai, Marco?» Gli chiese Giannina.
Il giovane detective, preoccupato, la guardò.
«Sai» Disse «Il professore di educazione fisica è molto innamorato della professoressa di matematica, ed è anche molto geloso e violento. Se per caso Giuseppino le avesse rivolto delle attenzioni speciali...»
«No, mai!» gridò Giuseppino Junior «Il nostro amato insegnante non potrebbe mai essere innamorato di una come quella racchia malvagia! Di tutte le insegnanti è la più noiosa e non lo approva neanche, perché lei è allergica al divertimento e il professor Giuseppe è il più divertente».

Marco scosse la testa «L’amore» disse «È una cosa che gli adulti provano e non ha senso a volte. Mio padre si è innamorato di mia madre anche se lei non lo fa mai giocare a calcetto, per esempio».
Tutti si paralizzarono: che davvero il professor Giuseppino, che era tanto bravo e simpatico, si fosse innamorato della brutta zitella che insegnava matematica? E che fosse quello il motivo per cui aveva ricevuto un bell’occhio nero?
Alle sei e mezza arrivarono tutti i bidelli, sia quelli buoni che quelli cattivi. La bidella buona, siora Mimma, era cicciottella e ricciolosa, permetteva sempre ai bambini di usare il computer della sala bidelli per scaricare i giochi e aveva una voce come quella di un canerino. I due bidelli cattivi, Otto detto l’Orco e Fausto detto l’Orco Due, erano tutti pelosi, ma con la testa pelata, e anche se non erano fratelli erano proprio brutti uguali e facevano sempre un casino quando vedevano una macchia di sporco per terra, per di più erano anche amici del preside e facevano la spia.
«Potrebbero essere stati loro, tirano sempre botte e sono malvagi» Disse Giannina
«Ma no» fece Marco «Altrimenti il professor Giuseppino avrebbe due occhi neri, non uno solo: questi due lavorano sempre in coppia. Forse sono gay, oltre che orchi».
Giuseppino Junior rise tenendosi la pancia «Gli orchi finocchi!».
E così anche i due bidelli furono sospettati.
Alle sette e un quarto arrivò proprio… il professor Giuseppino! Aveva addosso una camicia nera, che faceva super figo, e i pantaloni rossi, e sulla testa portava un cappello con le orecchie da coniglio con cui di certo aveva intenzione di fare ridere tutti i bambini.
Appena lo vide dalla finestra, il preside scese le scale di corsa e andò a incontrarlo. I bambini allora entrarono nella scuola e si nascosero dietro le porte delle aule, per vedere e sentire che cosa succedeva in corridoio.
Il preside arrivò con la faccia cattiva, le mani tutte screpolate sui fianchi, e disse ad alta voce:
«Ah! Allora vedo che ne hai inventata un’altra delle tue, professore del malaugurio!».
Il povero prof Giuseppino abbassò lo sguardo.
«È per i bambini» Disse «Oggi studiamo il ciclo vitale dei conigli, come esempio per quello di altri mammiferi, e volevo essere simpatico»
«Levati quello stupido cappello!» ringhiò il preside «O vuoi che te le suoni di nuovo? Vuoi un altro occhio nero?».
Accidenti! Era stato proprio lui, quindi, a picchiare il povero professore buono!
«L’abbiamo scoperto, ora andiamo e picchiamolo» Disse Giannina, con i pugni stretti
«Non ancora» la fermò il suo compagno Marco, acchiappandola per un braccio e aggiustandosi gli occhiali con l’altra mano «Ho un’idea più bella! E poi non vorrai che il nostro prof Giuseppino si rattristi perché siamo diventati violenti, vero?».
Allora i bimbi misero in atto un piano: costruirono una bomba che misero nel cofano della macchina del preside, una di quelle che si accendono e fanno saltare tutto quando si apre il motore. Non volevano uccidere il preside, perché erano bambini bravi, e perciò non fecero una bomba molto forte. La fecero di cartone, questa bomba, tutta piena di polvere da sparo perché il papà di Giannina aveva un negozio di proiettili e fucili e di tutte le armi, compresi i coltelli.
Durante tutte le lezioni, i bambini sorrisero. Sì, lo fecero anche durante l’ora di matematica, quando normalmente avevano dei musi lunghi terribili, e la professoressa mise a tutti una nota perché lei odiava che i bambini si divertissero, figuriamoci se stavano sorridendo durante la sua lezione.
Alla fine, all’uscita da scuola, tutti i bambini presero a fissare la macchina del preside. Ovviamente, se fossero stati tutti lì in piedi, tutti assieme come i pinguini sul ghiaccio, la gente si sarebbe accorta che qualcosa non andava, perciò si nascosero tutti, chi dietro la spazzatura, chi dietro i pilastri e chi dietro i ragazzi più grandi o addirittura dietro alla bidella Mimma, che ne poteva nascondere tre.
Il preside salì in macchina, senza sospettare niente, mise in moto e… BUM!
BAM! BUM BAM! Esplosioni da tutte le parti. La macchina prese fuoco e furono chiamati i vigili del fuoco e l’ambulanza.
Il preside non morì, ma perse per sempre l’uso delle gambe e di una mano. Adesso non si divertiva più, quel cattivo!
No, ma che dite… non è una punizione esagerata! Era cattivo, malvagio! Doveva… avrebbe dovuto morire, capite, ma i bambini erano buoni e non l’hanno ucciso. E finitela di interrompermi!
Che stavo dicendo? Ah, sì: il preside adesso era triste, perché ora era miserabile e nessuno voleva un preside senza le gambe e senza una mano che era per giunta cattivo, perciò fu licenziato e fu povero come tutti quei poveri bambini che aveva mandato a lavorare al MecDonnel o alla dera… deratte… all’ammazzare i ratti.
Ovviamente il professor Giuseppino divenne il nuovo preside e, da quel momento in poi, la scuola divenne un posto per bambini, ma per bambini davvero!

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