domenica 1 marzo 2020

Un Boccaccio di Amuchina - Prologo



«Allora... cosa ci manca?»
«Tutto»
«Tutto? Ma se abbiamo fatto la spesa l'altro ieri! Lo sapevo che zio si mangiava tutto, quello ha la doppia gobba, davanti e dietro, ha le scorte come i cammelli. Sai che si è bevuto il Felce Azzurra? Non mi sono neanche potuto lavare, non so come fa ad essere ancora vivo. Io giuro che...»
«No. Manca tutto» ripeté Emilia, interrompendo Neo a metà della frase ed alzandogli il mento dalla lista della spesa per mostrargli la desolazione della scena di fronte a loro.
Dopo un momento di silenzio, il ragazzo disse, indicando una pila desolata alla loro destra:
«Beh, non proprio tutto. Ci sono ancora quei libri per bambini con sopra il topo».
Il sorcio alzò lo sguardo e li scrutò diffidente. Fece vibrare i baffi e saltò giù dalla pila di libri di Geronimo Stilton per intrufolarsi sotto uno degli espositori e sparire.
I due giovani ebbero un brivido.
Emilia e Pampineo, detto Neo, erano fratelli. Tra loro c'era la somiglianza che condividono persone che vengono dalla stessa zona, con lo stesso colore di pelle e i capelli scuri, ma una parentela tra i due non era ovvia.
Emilia era piccina e rotondetta, con i capelli corti e il sorriso facile, Pampineo era alto e magro, con le sopracciglia spesse aggrottate di base in un'espressione confusa che era il suo marchio di fabbrica. Di davvero uguale avevano soltanto il naso, lungo e affilato come era tipico per la famiglia Appestati.
Visto il loro cognome, entrambi i fratelli sapevano di non avere fortuna con i nomi; concordavano però che il ragazzo era tra i due quello che aveva avuto la peggio. Pampineo era un nome brutterello e lungo, ereditato da un nonno famoso in famiglia per essere un taccheggiatore, e per giunta difficile da abbreviare in modo soddisfacente: nella loro famiglia c'erano già quattro Pino, di farsi chiamare Pampi non se ne parlava, non restava dunque che Neo. Si dava il caso però che il giovane avesse, appunto, un neo proprio sulla punta del suo naso da Appestati e nessun nomignolo migliore.
I due sapevano già dunque di non avere fortuna, quanto meno coi nomi, ma sembrava che la loro sfiga avesse deciso di espandere un po' i propri orizzonti.
Il supermercato in cui avevano messo piede era affollato di gente e deserto di merci. Uomini e donne con carrelli pieni creavano file chilometriche alle casse, mentre le persone rimaste a bocca asciutta si aggiravano come avvoltoi tra gli scaffali alla ricerca di un piccolo trofeo da portare a casa: un barattolo di pelati, dell'avena in busta, o della polvere particolarmente simpatica.
«Si sono presi tutta la pasta! Tutta se la sono presa!» Ululò Emilia con orrore, artigliando il braccio del fratello. Era vero: il reparto era stato completamente ripulito di tutta la sua merce, mostrandosi nella sua cruda, drammatica realtà. Penne, pennette, fusilli, spaghetti, era scomparso tutto.
«Anche il sugo» aggiunse Neo, servizievole
«Selvaggi! Bestie! Lasciare una ragazza senza pasta al sugo!»
«L'Apocalisse...?» disse Neo, educatamente confuso
«Peggio» scandì la sorella lentamente, pensandoci su. Che motivo aveva un supermercato di essere svaligiato così? Che necessità c'era di mangiarsi tutta la pasta nello stesso giorno? C'era forse lo zampino dello zio Pino Appestati?
A meno che i suoi concittadini non stessero facendo scorte. E l'unico motivo per cui dovevano decidersi a fare scorte tutti nello stesso giorno era...
Emilia completò il suo pensiero ad alta voce, lasciando che la gravità di ciò che aveva realizzato trapelasse nel suo tono: «L'unico motivo per cui dovrebbero fare scorte tutti oggi è che c'è stato un caso, proprio qui, nella nostra città».
Non ebbe bisogno di specificare a cosa si riferisse; Neo impallidì, spaventato, mantenendo la sua aria educatamente confusa.
Dalla fatidica data del 31 dicembre del 2019, l'anno morente aveva lasciato all'anno seguente un regalino, e quel regalino era un virus gemello diverso della SARS che si era sparso a macchia d'olio dall'Oriente, per cui nessuno aveva trattamenti né vaccini. Seguito dai media, aveva lasciato i paesi asiatici per terrorizzare l'Occidente come l'urlo di Chen ed era arrivato in Italia.
Ed ora era lì, nella loro città.
Emilia e Neo avevano sentito dire cose orribili sul coronavirus.
Avevano sentito dire che era quello che succedeva quando qualcuno morde un serpente velenoso anziché il contrario. Avevano sentito che aveva un tasso dell'ottantasette percento di morti tra i contagiati, e che il quattordici percento tornavano in vita come creature della notte, ma perdevano i capelli. Avevano sentito che era un complotto ordito dalla Cina, ma che era idea anche dell'America, dei rettiliani, della Russia e dell'Italia, e doveva essere una roba davvero grossa per scomodare tutta questa gente.
E ora lo sapevano, il coronavirus era tutto intorno a loro, li circondava. Potevano sentire i suoi occhietti maligni trafiggerli, la precisione con cui cercava di entrargli nelle vie respiratorie. Ogni superficie poteva essere contaminata, ogni persona presente poteva essere infetta.
Neo guardò sospettoso Emilia e fece un passo indietro.
La ragazza fece per mangiarsi le unghie, ma ora aveva paura di avvicinarsi le mani alla bocca.
«Neo, noi non ne sapevamo niente, non ci siamo preparati... come faremo adesso? Oddio...»
«Calma, respira»
«Ci serve qualcosa che possa salvarci, Neo»
«Qualcosa che elimini i batteri»
«Che disinfetti ed igienizzi»
«Qualcosa come...»
«L'Amuchina!» urlarono trionfanti, se non proprio assieme, almeno con Neo che ripeteva quello che diceva la sorella.
I due fratelli corsero con il loro carrello vuoto al reparto detersivi, ma ahimè, quale triste sorpresa li attendeva lì.
Vuoto. Era tutto vuoto. Non c'era l'acchiappacolori per i capi colorati da buttare tutti insieme in lavatrice, non c'era Felce Azzurra per sostituire quella che si era bevuta lo zio Pino, non c'erano salviettine né altri antibatterici che potessero salvarli dal contagio.
Ma l'Amuchina c'era. Un flacone, uno solo, di Amuchina gel all'aloe vera grande quanto una nocca, che troneggiava tutto solo al centro esatto del suo ripiano altrimenti del tutto vuoto.
Costava trecentocinquantasette euro e novantanove.
Dopo una pausa, Emilia disse lentamente «Beh, se ci vendiamo un rene ciascuno dovremmo...», ma non ebbe tempo di finire la frase che aveva iniziato.
Un vecchio arrivò scatarrando a tutta forza, facendo ben attenzione a tossire in ogni direzione per allontanare i suoi competitori naturali prima di aggiudicarsi il flaconcino. Ci tossì sopra e corse caracollando come un bue zoppo verso le casse.
La folla si aprì come il Mar Rosso al comando di Mosè, e quando il vecchio starnutì tre volte, fu lasciato passare senza pagare.
«Guarda il bastardo!» Esclamò Emilia, indignata
«Avremmo dovuto pensarci noi» fece Neo, mite, con una scrollata di spalle delusa.
Alla fine presero velocemente solo un libro di Geronimo Stilton dal fondo della sua pila, giusto per scacciare il sentore di starsene andando del tutto a mani vuote.
La cassiera della cassa veloce, la signora Nuan Huan, li guardò con occhi a mandorla ridenti – l'unica cosa visibile del suo viso, dato che era coperto da una gigantesca mascherina bianca che le si incollava alla faccia ogni volta che inspirava. Era la migliore, perché accettava anche i centesimi trovati per terra e rovinati fino a non capirne più il valore. Avevano strappato molti sconti così.
«Ma respira?» Si chiese Neo ad alta voce, meravigliato, porgendole il libro. La cassiera lo prese con dei guanti che in realtà erano delle bende fatte di scotch.
Emilia lo strattonò per il braccio: «Muoviti! Muoviti, dobbiamo uscire di qui! Sono tutti infetti»
«Non dipende da me, Lia. Può fare un po' più veloce?».
Nuan Huan mugugnò qualcosa, reso incomprensibile dal fatto che la sua mascherina le si era incollata alle narici e la stava soffocando.
«Mi scusi, può...?» Chiese titubante Neo, indicandosi il viso.
La signora annuì e si spostò la mascherina con un dito, approfittandone per prendere una boccata d'aria.
«Vi piace? Non se ne trovano più, l'ho fatta in casa ritagliando della vecchia biancheria» disse con un bel sorriso, e rimise il rettangolo di cotone a posto. Prese le monete che le passarono e restituì loro il libro che avevano acquistato, con un cenno amichevole del capo. «Di questi tempi non si sa mai» Ebbe il tempo di dire, prima che il tessuto le si infilasse in bocca.
«Okay, dobbiamo avvertire gli altri» Disse Emilia col fiatone, mentre i due si allontanavano a passo veloce dal supermercato «E poi... e poi...»
«E poi?» la incoraggiò Neo.
Emilia sospirò, massaggiandosi le tempie. Inspirò a fondo, e quando espirò alzò il viso e si sforzò di sorridere.
«Hai trovato una soluzione?»
«No, sorrido perché sono positiva» rispose lei
«E sorridi? Quando ti sei fatta testare?» chiese Neo, facendo un salto indietro «Te l'ho detto che non si mordono i serpenti velenosi!»
«Tu quoque!» esclamò un accattone che stava scassinando un pick-up rosso mattone incustodito. Si rimise al collo il suo cartello ricavato da un cartone ritagliato ("Ho dieci figli e dieci mogli, datemi soldi" diceva) e scappò col suo piede di porco.
«Lascia perdere, non sono ammalata» Rispose Emilia, fregandosi le mani insieme come se fosse stata intirizzita.
«Allora, che facciamo?»
«Ce ne andiamo. Torniamo a casa».
Neo annuì appena, e i due si avviarono verso la loro minuscola Smart arancione.
«Non leggere il libro del topo mentre guidiamo» Lo ammonì Emilia «Non. Lo. Leggere. Che poi ti senti male».
Stavano per rientrare in auto, quando, un attimo prima che Neo finisse di chiudere la portiera dal suo lato del passeggero, videro qualcuno sfrecciare per il parcheggio all'inseguimento dell'accattone.
«Ehi! Ehi, fermo!» Urlò la donna, vestita con una camicia di sangallo bianco troppo leggera per la temperatura esterna.
Il terreno era liscio e perfetto e la donna era forte, nonostante il fisico atletico fosse appannato e le curve dei suoi fianchi fossero piacevolmente morbide per il consumo di troppi carboidrati. Era ormai a qualche metro scarso dal malfattore, i lunghi capelli scuri che le svolazzavano dietro per la velocità che aveva preso.
Neo la guardò affascinato, vedendo anche a distanza (aveva un'ottima vista, venti su venti) la sua espressione concentrata da angelo vendicatore mentre si accingeva a placcare il suo bersaglio.
«Neo, ma la chiudi la portiera?».
Di punto in bianco, l'angelo cadde.
L'accattone corse in mezzo alla strada ridendo, fu investito e rotolò sul parabrezza dell'auto che l'aveva colpito. Continuò a correre dall'altro lato della strada sparendo alla vista, ridendo sfiatato, tutto piegato da un lato, ma vittorioso.
La donna, lunga distesa come una rana secca al sole, si issò sulle braccia con un'espressione di fastidio, forse per il dolore, forse per la sconfitta.
Neo scese lentamente dalla Smart, come in un sogno.
«Neo! Vedi che ti lascio qui se continui a... non so neanche cosa stai facendo. Torna indietro!» Minacciò Emilia. Questo bastò a fermare il fratello sui suoi passi, ma non a farlo rientrare.
La donna sembrava essere un po' più grande di lui, doveva aver superato i venti anni ed avviarsi verso i trenta. Aveva il viso tondo, con lineamenti comuni, ma l'intelligenza che li animava la facevano sembrare davvero graziosa. Specie agli occhi di Neo.
«E il mio equilibrio fa schifo, come al solito. Non lo sapevamo già, signori miei?» Disse la donna, con un po' di amarezza. Aveva un accento strano; di sicuro non era cresciuta nella loro stessa città. Sibilò forte tra i denti mentre si metteva a sedere e ritraeva una gamba, controllando delicatamente il danno. «Ahi» Fece, con enfasi, come se stesse rimproverando qualcuno.
Sembrava essersi storta una caviglia, e forse si era anche sbucciata un ginocchio nonostante la protezione dei jeans.
La donna si guardò attorno e cercò di alzarsi, ma il piede non la resse e, senza appigli, cadde di nuovo a sedere. Sospirò e fece un suono di trombetta triste all'angolo della bocca.
Neo, in quel momento, esitò.
Da una parte, la donna poteva essere un'emissaria del coronavirus, e poteva essere una trappola. Dall'altra, poteva essersi fatta davvero male, e non controllare era quantomeno poco cavalleresco.
La donna lo intercettò, fermo e dritto come una scopa a fissarla. Lo scrutò con i suoi occhi espressivi, color nocciola, studiandolo.
«Aiuto?» Chiese, in tono più dubbioso che speranzoso.
Però bastò perché Neo si decidesse. Percorse a grandi passi lo spazio che li separava, offrendole il libro di Geronimo Stilton perché vi si aggrappasse: «Ecco, magari puoi...».
La ragazza alzò le sopracciglia, ma non commentò.
Con l'aiuto di Pampineo, la giovane in maniche di camicia si rimise in piedi, tenendo una gamba su come se fosse stata pronta a sferrare il calcio della gru.
«Quanto hai visto?» Gli chiese.
«Da quando hai detto "Ehi"»
«Insomma, tutto». La giovane donna arrossì, e Pampineo non aveva mai visto nessuno arrossire così tanto e così in fretta. Sembrava che le avessero buttato una cascata di sugo sulla faccia; le si erano colorate persino le orecchie!
«Grazie, giovane misterioso» Disse lei alla fine, cercando di saltellare verso il suo pick-up rosso.
«Pampi» si presentò lui senza pensarci, e sperò che il coronavirus lo prendesse in quell'istante e cancellasse lui e quella presentazione. No, no, non poteva. Avrebbe contagiato Emilia, e anche...
«Scusa, cosa? Cosa faccio io?» Chiese la ragazza si fermò e aggrottò le sopracciglia, voltandosi un po' col supporto della sua auto
«No, tu non pampi. Io Pampi. È un verbo, esiste? No, è-è il mio nome»
«Ah. Belarda Cigna» disse lei, estendendo la mano.
Anche lui lo fece, automaticamente, ma poi entrambi ci ripensarono e si infilarono le rispettive mani in tasca.
«Posso chiamarti Bella?» chiese lui, educatamente confuso
«No, per favore. Puoi chiamarmi Belarda però»
«Oh, grazie»
«Non so perché dovresti chiamarmi, comunque, ma va bene. Quindi, hmm... tu ti chiami Pampi, eh? Grazie, Pampi, ci... vediamo in giro. Credo»
«Neo» si affrettò a rettificare lui «Cioè, Pampineo. Non Pampi. Neo.».
Belarda, dal canto suo, vedeva un uomo con un neo sul naso che si agitava e faceva versi casuali. Ridusse gli occhi a due fessure, sospettosa.
Emilia suonò il clacson impaziente, tre volte.
«Neo! E ti muovi?!»
«Pampineo Appestati. Non siamo appestati, siamo Appestati» Concluse la sua presentazione il ragazzo, educatamente confuso.
Belarda aprì la portiera del suo pick-up con una mano, indietreggiando senza togliergli i suoi occhi sospettosi di dosso e cercò qualcosa in tasca. Un gatto nero miagolò da dentro la vettura.
«Non puoi guidare una macchina» Osservò lui
«Non ne sembri molto convinto»
«È la mia faccia. Ho una faccia confusa».
Sentirono il rumore di una portiera che sbatteva non troppo lontano, ed Emilia si presentò accanto a loro scuotendo la testa con disappunto. Per esprimerlo al meglio, fece grande mostra di come si metteva le mani sui fianchi, facendole cadere dall'alto molto, molto adagio.
Gli occhi di Belarda e Pampineo seguirono il movimento in silenzio.
«Salve signorina, tutto bene?» Esordì Emilia
«Sì» Rispose Belarda, quasi timidamente
«Bene. E allora, ci muoviamo, Neo? Mi è appena arrivato un messaggio»
«Da chi?» Chiese il fratello
«Dalla mamma»
«Cosa dice?»
«Non lo so, non ho visto» rispose lei, come se fosse ovvio. Alzò le sopracciglia e accennò col mento alle proprie braccia, piantate sui suoi fianchi per mostrare il massimo disappunto. Pampineo capì che non poteva abbandonare la propria posizione di giovane donna arrabbiata e annuì appena, abbassandosi a prenderle lo smartphone dalla tasca per leggere il messaggio.
":O LOL!! Il signor Lazzaretti vuole parlarvi IRL ASAP >:\ ".
I messaggi di mamma Appestati erano tutti così. O non aveva bene afferrato come usare le varie espressioni che servivano alla comunicazione virtuale o aveva saltato le sue pilloline, difficile a dirsi.
Dopo aver fissato lo schermo per una trentina di secondi, Pampineo tradusse:
«Mamma dice che il signor Lazzaretti è venuto a trovarci a sorpresa, e che è venuto perché vuole parlare con te e me, Emilia».
Essere contattati dal signor Lazzaretti era un affare grosso. Nonostante avesse avuto una sfortuna nel cognome pari quasi a quella dei due fratelli, la signora bendata gli aveva invece arriso in tutti gli altri aspetti della sua vita. Era ricco, potente, bello e aveva completato tutte le collezioni dei Calciatori Panini, tutti gli anni. Insomma, non si diceva di no ad un incontro con il signor Lazzaretti.
Era un grosso affare non solo incontrarlo, in effetti, ma lo era anche il signor Lazzaretti in sé, con i suoi oltre cento chili di puro muscolo, cosa questa che rendeva ancora più difficile prendere alla leggera delle chiacchierate improvvise da lui volute. Cosa poteva mai desiderare da due giovani come loro?
«Come... se posso chiedere, come facevi a sapere che era tua madre ad averti mandato un messaggio, se non lo avevi controllato?» chiese Belarda ad Emilia, un po' sorpresa
«Beh» disse la ragazza lentamente, riprendendosi dallo shock «Ho una suoneria speciale per la mamma, ed anche per i messaggi»
«E come fa?» chiese Neo
«Fa piripipipì» Disse Emilia, serissima.
Belarda trattenne a stento una risata, che le scappò sotto forma di pernacchia che si originava dalle sua cavità nasali. Arrossì come un peperone e cercò di reprimere una seconda risata imbarazzata, che produsse invece una seconda pernacchia, stavolta imbarazzata.
«Le trombe degli angeli» Sussurrò sottovoce Pampineo
«Eh?».
Pampineo non poteva ripeterlo. «Le tombe degli agnelli» Disse invece, e Belarda si precipitò in auto e chiuse la portiera alle proprie spalle.
«No aspetta! Ti diamo un passaggio» Si offrì Neo, giungendo le mani.
Appena Belarda si ritrovò seduta di fronte al volante, però capì cosa Neo aveva voluto dire con "non puoi guidare una macchina". La caviglia destra le faceva male e si era già gonfiata, e non aveva ancora premuto il piede su un bel niente.
Belarda Cigna era una poliziotta, figlia di poliziotto e nipote di poliziotto e bisnipote di erborista, quindi aveva un forte senso della giustizia e sapeva che era il momento di fermarsi, pensarci su e prendere la decisione giusta. Poteva solo immaginare in che guai avrebbe rischiato di cacciarsi se si fosse inserita nel traffico con quel suo catorcio che era in grado di piegare le Volvo come ciambelle e una distorsione grave come quella.
C'era persino la possibilità di una frattura del malleolo peroneale.
Nella sua vita aveva attirato davvero molte disgrazie e, anche se ne era uscita grazie alle proprie risorse quasi indenne, meno qualche dente e qualche notte di sonno, sapeva che a volte era importante capire in cosa si era disposti a farsi coinvolgere quando ne si aveva la possibilità.
In quel momento, valutò se la disgrazia peggiore che potesse capitarle era cercare di guidare zoppa in mezzo al traffico o accettare un passaggio da due sconosciuti in una Smart arancio, di cui uno si chiamava Pampineo (forse) e belava e parlava di agnelli morti.
«Tu che ne dici, Dracula?» Chiese a bassa voce, girandosi verso la sua destra.
Sul sedile del passeggero, il micio nero di Belarda la guardò con occhi fiduciosi, fece un colpo di fusa, uno solo, e si leccò il sedere nel suo trasportino.
Belarda si emozionò. Non poteva rischiare di fare un incidente con Dracula a bordo.
«Okay ragazzi» Disse lei, sporgendosi dal finestrino con un braccio «Quell'invito per il passaggio è ancora valido?».
Pampineo la guardò con occhi stellanti, ed Emilia, finalmente si sciolse in un piccolo sorriso.
«E quindi sei venuta a trovare tuo cugino?» Chiese Emilia
«Sì. Potreste anche conoscerlo, si chiama Adalrico Merlo» rispose Belarda, accucciata sui sedili posteriori con il trasportino di Dracula sulle gambe. Il micio, che aveva dei dentoni che spuntavano dal labbro superiore e gli occhi rossi, era un gatto molto tranquillo, che viaggiava volentieri in auto.
Ora che erano in quattro nell'auto, micio compreso, l'impressione era quella di stare in una macchina per clown o un TARDIS al contrario.
«Forse, non mi è nuovo» Considerò l'altra, sorridendo nonostante avesse gli occhi sulla strada.
Belarda era molto severa riguardo le regole della strada, e la fierezza di fare bella figura e la paura di una multa donavano ad Emilia capacità da pilota di Smart fenomenali.
«Non ti ho mai vista da queste parti» Disse Neo, mite
«Non lavoro qui, anche se mi piacerebbe starci» ammise Belarda, in tono un po' nostalgico «No, lavoro in America. Beh, sono nata là. Però mio padre è di qui, è il fratello della signora Cigna»
«La signora Cigna, certo!» esclamò Emilia
«Io mica la conosco» fece il fratello, imbarazzato, grattandosi il neo sulla punta del naso. Aprì il libro di Geronimo Stilton
«Non lo leggere!» lo ammonì la sorella, poi tornò a rivolgersi alla loro ospite «Di certo saranno tutti alla grande mangiata»
«La grande mangiata?» ripeté Belarda, incuriosita
«Sì, ci sarà tutta la città, o quantomeno quelli che riescono a muoversi. È per festeggiare Carnevale, sai» spiegò Emilia, contenta della prospettiva «Ci saranno di certo anche i Cigna, credo che il loro panificio sia uno degli sponsor»
«L'avrebbe avvertita se fosse alla festa però» osservò Neo
«In realtà è un'improvvisata» confessò la donna, mettendo una mano nel trasportino per accarezzare il pelo soffice di Dracula. Il micio partì immediatamente a fare le fusa, chiare e sonore, strusciando la testa contro l'indice della sua padrona.
Neo tamburellò sulla copertina del libro. Non doveva aprirlo. Non doveva apirlo. Si sarebbe potuto distrarre alla festa, ci sarebbero stati tutti in fondo! Il panettiere, le maestre, il sindaco, il paziente zero con il coronavirus...
«Lia! Alla mangiata potrebbe esserci il paziente zero!»
I due fratelli si guardarono, inorriditi.
Un luogo pieno pieno di persone, in un posto senza Amuchina e con possibili contagiati. Nessuno dei due voleva morire, né tornare alla vita lasciandosi indietro i capelli.
«Occhi sulla strada!» ammonì Belarda, battendo una mano sul sedile accanto a sé, e i due si voltarono di scatto.
«Aaah, il colpo della strega» lamentò Neo.
Ad ogni modo, entrambi i fratelli sapevano che al signor Lazzaretti non si diceva di no, e quindi gli toccava almeno andare a parlare con lui. Nulla li obbligava ad andare anche alla mangiata, decisero: avrebbero fatto semplicemente la cosa più sicura e poi... poi si sarebbero tappati in casa, cosparsi di sapone per depurarsi dell'aria infetta del mondo esterno, e non ne avrebbero parlato più.
«E andiamo allora» Esortò ad alta voce Emilia «E che Dio ce la mandi buona».
Quando arrivarono a destinazione, si accorsero che un'auto li aspettava già nel vialetto e da quanto era grossa, tirata a lucido e apparentemente costosa, si capiva subito che poteva essere solo della persona che aveva chiesto di parlare con loro: il signor Daniele Lazzaretti.
Certo, magari aiutava anche il fatto che Lazzaretti fosse proprio lì accanto, facendo attenzione di stare appoggiato contro l'auto ma solo con il sedere. Faceva abbastanza freddo, ma lui indossava un paio di jeans e una canottiera nera che gli stava appiccicata ai muscoli come se fosse stata solo dipinta sul suo fisico; teneva le braccia scoperte incrociate al petto e contrattissime, così poteva fare notare la definizione dei suoi avambracci.
Erano contratte da un quarto d'ora perché voleva che i ragazzi pensassero che erano fatte sempre così quando l'avessero visto per la prima volta e ora gli facevano male, ma lui parve soddisfatto lo stesso.
«Bella zii» Disse lui baldanzoso non appena li vide scendere.
Belarda batté le palpebre, continuando ad accarezzare il suo gatto.
«Voleva parlarci, signor Lazzaretti?» Fece mite Neo, che guidava il trio: la sua statura gli consentiva di essere una buona sentinella in caso di pericolo e scorgere il Paziente Zero dall'alto.
«Cosa sono io, un nonno? Sono il tuo nonno?» Tuonò il signor Lazzaretti
«Ehm, io veramente...»
«Devi pensarci? Hai un nonno bello allora, complimenti» Daniele sorrise, mostrando denti piccoli e bianchi «Però non sono il tuo nonno. Chiamami Daniele».
E gli tese la mano. "È una trappola" Pensò Neo, chiedendosi se il Paziente Zero non fosse proprio il suo interlocutore. "È una trappola" Pensò ancora, quando abbassò gli occhi e constatò la circonferenza di polso e avambraccio che gli venivano offerti.
Nonostante questo, gli strinse la mano. E...
Non successe nulla di fuori dall'ordinario, perché non era una trappola. Daniele si presentò ai tre e invece di perdersi in chiacchiere, passò subito al sodo:
«Signori, vi dirò le cose come stanno» esordì, e i presenti ascoltarono attentamente «Non c'è un goccetto di Amuchina a pagarlo oro in tutta Caltaleone, e abbiamo dei casi in forse di persone contagiate nel nostro ospedale. È sparito anche il Felce Azzurra e l'alcool...»
«Zio ci fa fare sempre brutta figura» sussurrò Neo alla sorella, parlando dall'angolo della bocca
«... E sembriamo condannati a vivere nello sporco, sempre se non prendiamo il virus e ci ricoverano, e allora magari un po' di alcool, ammetto, ce l'avranno all'ospedale» Daniele fece una pausa, alzando le mani. Bisognava concederlo, l'ospedale di Caltaleone era efficiente, e il personale aveva pazienza con tutti. Tutti i visitatori dell'Ospedale dei Bambinelli Santi aveva storie interessanti da raccontare a riguardo, oltre a chiedersi a cosa si riferisse quest'allusione a multipli bambini divini.
«E perderei massa muscolare se fossi malato, quindi non si può fare. O almeno» proseguì Lazzaretti «Voi sembrate condannati. Perché io, a casa mia, ho le proteine in polvere, scorte di cibo e acqua, l'alcool e anche l'Amuchina»
«L'Amuchina?» ripeterono i tre in coro – se non proprio assieme, almeno Neo ripeté quello che Belarda ed Emilia avevano detto per prime.
«Sì. Un boccaccio così» Lui fece come per abbracciare un contenitore immaginario per mostrare loro la taglia, ma i tre non la capirono perché furono distratti dai suoi bicipiti «Perciò mi basta chiudermi in casa mia finché non è sicuro uscire e il gioco è fatto. Ma io sono bravo. Sono generoso, io. E allora sono venuto a raccontarlo a voi»
«E in che modo sei bravo se vieni a dirci che moriamo nello sporco?» chiese timidamente Belarda, in tono sconsolato
«Perché io non vi lascerò morire nello sporco, si concentri signorina, si concentri! Ho fatto i miei calcoli e posso condividere la mia villa con ben altri nove signorini e signorine per almeno un mese e mezzo, se non prendiamo qualcuno che mangia come una bestia, perciò facciamo in modo che in casa mia non ci entri nessuno che mangia come una bestia. Dovrebbero aver circoscritto il virus per allora, oppure troveremo altri modi per fare provviste» Daniele annuì alzando gli occhi azzurri al cielo, come per completare un calcolo nella propria testa «Sì, proprio così. E dato che sono molto molto solo da quando il sindaco ha chiuso le palestre, non posso chiudermi in casa da solo per due mesi, oppure divento pazzo io. Divento pazzo. Quindi, che ne direste di farmi compagnia, ragazzi?». Concluse sfregandosi energicamente le mani, scrutandoli a turno per valutare le loro reazioni.
Gli Appestati erano presi in contropiede e facevano la faccia da carpe per l'incredula felicità che provavano. Neo la apriva e la chiudeva anche la bocca, lentamente. Ma Belarda e il gatto Dracula sembravano pensierosi, rimuginavano su qualcosa.
«Noi siamo solo tre» Disse Belarda per prima, lentamente «Hai detto che hai spazio per nove persone»
«Mru» disse Dracula per secondo
«Sì, brava, signorina, ti sei concentrata» Daniele annuì con foga, ignorando la questione del gatto «Voglio che andiate anche a trovare altre persone da portare, nove in tutto con voi. Siate generosi, siate buoni! Salvate le vite! Se siete cattivi, non se ne fa niente. Avete una quarantina di minuti, io vi aspetterò qui nel vialetto»
«Dobbiamo andare a prendere la mamma» esclamò Neo, che non ne sembrava convintissimo (anche se lo era); sia lui che Emilia fecero per sorpassare Lazzaretti e Cigna per rientrare in casa.
«Fermi» disse Belarda, poggiando una mano sul braccio di Emilia. Neo fece dei passetti avanti e indietro sul posto sperando di essere fermato anche lui, ma Belarda stava usando l'altro braccio per reggere Dracula. L'unica cosa che ottenne fu che Daniele gli dicesse in tono un po' interrogativo: «Hai le colichette tu».
«Fermi» Ripeté Belarda, e scosse piano la testa «Se davvero tutte le persone alla mangiata sono ad alto rischio di contagio e la vostra famiglia è lì, non possiamo portarli con noi»
«Brava, signorina, lei sa. Lei vede» approvò Daniele
«Quindi...» disse Emilia sconsolata
«Le uniche persone che è sicuro portare sono persone al di fuori della festa, che conoscete e non sembrano malate» elencò Belarda «So che è dura, ma se anche mio cugino è là dentro, non è sicuro contattarlo. Potrebbe farci ammalare tutti. Che poi lo so che la malattia è quello che è, però non voglio prenderla e passarla a tutte le persone a rischio»
I due fratelli si guardarono: Emilia preoccupata, Neo confuso.
«Potremo uscire quando vogliamo però, vero?» Chiese Belarda, rivolta al signor Lazzaretti
«Asso-lu-ta-mente sì, zia» rispose Daniele, entusiasta, ma aggiunse, in tono molto più serio: «Una volta usciti però, non si potrà più tornare indietro».
Belarda annuì. I tre si prepararono a risalire in auto, ma la più anziana dei due Appestati aveva ancora una domanda da fare.
«Perché proprio noi?» chiese Emilia
«Per due motivi» disse Daniele, mettendo le mani sui fianchi. Sembrava ora così largo che Belarda si spaventò alla prospettiva che un terzo pettorale gli fosse spuntato tra i primi due. «Il primo è che siete gli unici che ero sicuro non fossero alla festa. Il secondo è che sapevo che Emilia – grande, Emilia! – è una brava scrittrice, e vorrei qualcuno che sa raccontare delle storie nella mia casetta per passare il tempo»
«Ma io scrivo solo fanfiction»
«E io le leggo»
«Ma io sono sotto pseudonimo»
«Hai solo messo due numeri alla fine e scritto "Appescati" invece di Appestati. Hai la tua faccia come avatar sul sito»
«Ho davvero scritto Appescati?»
«Sì»
«Devo cambiarlo più tardi».
Con le rispettive curiosità soddisfatte, i nostri tre eroi salirono sulla Smart arancione, la quale a breve sarebbe stata colma più di una scatoletta di sardine da arditi cantastorie che si contorcevano per stare nell'abitacolo tutti insieme. Arditi cantastorie col mal di schiena.
Daniele salutò Neo, Emilia e Belarda con la mano mentre uscivano dal vialetto, poi tornò ad incrociare le braccia e fece ballare i pettorali.
I fratelli Appestati avevano già una mezza idea di quali posti visitare... a partire dal supermercato.
«Ultima chance per non metterci nei guai» Sussurrò Belarda, mentre la loro piccola auto si allontanava sempre di più dalla figura a braccia conserte del signor Lazzaretti «Perché io ho dato per scontato che lo conosceste voi questo Daniele, dato che si è parcheggiato davanti casa vostra e ha il numero di vostra madre, ma quell'ultima domanda che hai fatto, Emilia... non è un pazzo psicopatico, vero? Siete sicuri?»
«No, certo che non è uno psicopatico» disse Neo
«Speriamo bene» disse Emilia.
Sarebbero tornati mezz'ora dopo dalla loro fruttuosa caccia, e così facendo avrebbero messo in moto una serie di eventi che avrebbero cambiato per sempre diciannove vite, contando tutte e nove quelle di Dracula.



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