lunedì 2 marzo 2020

Un Boccaccio di Amuchina - 1. Villa Lazzaretti





La grande e sontuosa villa Lazzaretti, con le sue pareti bianche e la terrazza lussuosa e lussureggiante di sedani in vaso, si stagliava contro uno sfondo di palme che pareva accuratamente composto e disegnato da un artista fissato con i tropici.
Tre macchine percorsero il viale e attraversarono il grande cancello, poi si fermarono vicine ad una panchina, in un grande spazio ricoperto di ghiaia candida. Una delle tre auto era la Smart arancione degli Appestati, un’altra era il Chevy americano rosso che apparteneva a Belarda Cigna, la terza era una Panda vecchio tipo, polverosa e di colore indefinibile.
«Siamo arrivati!» Gridò Emilia Appestati, sporgendo un po’ la testa dal finestrino abbassato
«Secondo me lo hanno capito» disse suo fratello Pampineo «Perché si sono fermati»
«La signora Gomblotti ha ancora il motore acceso, però»
«Una volta ho sentito il suo motore acceso a mezzanotte, e la macchina era parcheggiata. Non c’era nessuno dentro».
Emilia Appestati rabbrividì, pensando che c’erano solo due possibilità: o la macchina della signora Rosetta Gomblotti era posseduta dai fantasmi, oppure la signora scaricava batterie a raffica tenendola sempre accesa. Per qualche motivo, entrambe le possibilità la inquietavano profondamente.
La portiera destra della Panda si aprì e lasciò uscire i due Gomblotti, nonna e nipote. Il nipote, Giangiorgio Gomblotti, sembrava abbagliato dalla luce e teneva gli occhi stretti, la testa bassa e una mano a mensoletta per proteggersi, strascicava i piedi e con l’altra mano si artigliava la maglietta (che recitava “gli alieni ci rubano il lavoro” in caratteri cubitali gialli) proprio sopra il cuore. La nonna, Rosetta Gomblotti, vestiva invece una specie di cappotto lungo di colore indefinibile, tutto sgualcito, con sopra uno scialle di colore indefinibile, tutto sgualcito, e da questa specie di cappa di indefinibilità spuntavano solo le mani, la testa e le scarpe di colore appena definibile (marroncino) e tutte sgualcite. Le mani rugose, callose e macchiate della signora Rosetta stringevano due enormi valigie, la sua e quella del nipote, esattamente identiche: marroni, vecchie, economiche e brutte.
«Nonna» Disse Giangiorgio «Che razza di posto è questo?»
«Una casa orrenda» rispose la vecchia, in tono sprezzante
«Vogliono rapirci, secondo te?»
«Ah, se ci rapiscono è buono» non potendo muovere le mani, occupate dalle maniglie delle valigie, la signora Rosetta gesticolava con la testa, in strane combinazioni che solo suo nipote poteva comprendere.
Dal Chevy rosso scesero invece tre persone. La prima persona era Belarda Cigna, che reggeva uno zaino e un gatto. La seconda persona era una giovane donna dall’aria un po’ timida, con i capelli lunghi e castani e una camicia a fiori, Piera Elodea della Francesca, che indossava un grosso zaino scolastico decorato con margheritine disegnate a pennarello argentato. La terza persona era un ragazzo dai folti capelli castani pettinati all’indietro, abbronzato, con una camicia aperta sul petto, crocefissino al collo che pendeva fra i (pochi) peli, jeans terribilmente aderenti, bagaglio a mano della Playboy, scarpe nere lustre che si sporcarono immediatamente appena toccarono la ghiaia polverosa e lo sguardo fisso sul fondoschiena di Piera che era proprio davanti a lui: era Eros Giannetta, un nome e una garanzia, conosciuto fin da bambino per essere un inguaribile corteggiatore di ogni umano di sesso femminile che sciaguratamente fosse entrato nel suo campo visivo, comprese le donne sposate, le vecchie e i fenomeni da baraccone. Sfortunatamente, né Belarda né Piera sapevano di questa sua particolarità, così lo avevano raccattato lo stesso per portarlo a villa Lazzaretti… così, perché sembrava simpatico.
Dalla Smart arancione scesero i due Appestati e la cassiera del supermercato, Nuan Huan, con la sua mascherina fatta in casa, i pantaloni fatti in casa e la t-shirt che aveva ricavato ritagliando una maglia a maniche lunghe.
Ad attenderli di fronte alla casa non vi era Daniele, ma una cagnolina piccina, dal pelo bianco e fulvo all’apparenza morbidissimo e le orecchie pendule. La cagnolina inclinò la testa da un lato, guardandoli interrogativi con grandi, teneri, occhi scuri, facendo tintinnare la medaglietta che aveva al collo, poi alzò il sederino peloso e rientrò in casa. Il portone non era del tutto chiuso, ma aperto quel tanto che bastava perché la cagnolina lo oltrepassasse.
«È un Cocker! Oh, che carino!» esclamò Piera, portandosi le mani alla bocca.
«Veramente, è un Cavalier King Charles Spaniel» obiettò Belarda, accarezzando la testa del suo micio
«È un topo che ci guida» proclamò Rosetta solenne, e appoggiandosi al nipote iniziò a farsi avanti per prima. La folla era rimasta un po’ impalata all’idea di entrare in quel posto sconosciuto, ma alla fine, spronati dall’esempio della vecchietta, si mossero tutti insieme.
Il fasto della casa era lampante: bastava metterci piede dentro per capire che il possessore era ricco, casomai non l’avessero capito dalle palme, il giardino, la macchina e… beh, se non l’avevano capito prima, ora era il loro momento di riscattarsi.
Il pavimento era liscio e coperto da un tappetto rosso che portava ai gradini di una scala di marmo, la quale si dipartiva dal centro della sala e conduceva al piano superiore. Due porte chiuse e speculari, una bianca a sinistra e una nera a destra, erano in fondo alla sala, raggiunte appena dalla luce proiettata da un lampadario di cristallo.
Alle pareti erano appesi numerosi quadri con cornici dorate; sembrava che tutti rispettassero lo stesso tema. Le dame si adagiavano languide sulle panche piane, Giuditta decapitava Oloferne buttandogli addosso un bilanciere nel sonno, con la sua dama di compagnia accanto, Narciso fletteva un braccio per rimirarsi nel proprio riflesso con l’acqua, Cupido tirava pesi contro gli innamorati.
Un quadro più grande degli altri troneggiava sulla parete a destra, dove uomini e donne dai fisici prestanti strisciavano sulle braccia, svenivano o si abbandonavano per terra. Una targhetta dorata ne rivelava il nome: “Leg day”.
Di fronte all’entrata c’era un appendiabiti modellato come un manichino in posa, leggermente piegato sulle ginocchia e con le mani allargate, come se fosse stato pronto a ricevere qualcosa sui palmi, rivolti verso l’alto.
«Mi fa impressione, perché è messo così?» Chiese Nuan Huan
«Ha problemi di stomaco» disse Neo, con compassione
«No, è un segnale occulto» si intromise Giangiorgio, con tono velenoso e convinto «Vedi? Sta allineando i suoi chakra»
«I chakra sono… già allineati» replicò la cassiera, perplessa
«Stanno facendo un sigillo allora! Un simbolo. Lo sta tracciando col suo corpo!»
«Dovrebbe shakerarsi per disegnare un sigillo con i chakra» sospirò Belarda, scuotendo la testa.
«Non sta facendo i bisognini e non sta mandando messaggi ai signori alieni, è in posizione da spotter» disse una nuova voce, interrompendo la contesa.
Daniele era apparso dalla porta bianca, che si era richiuso a chiave alle spalle, e teneva in braccio la sua cagnolina. Ora che era perlopiù ferma, tranne la coda che andava a mille, si poteva vedere il suo nome inciso sulla targhetta: Ivy.
Daniele aveva l’aria di uno che non vedeva l’ora che qualcuno capisse il genio di un appendiabiti in posizione da spotter, o quantomeno che qualcuno gli chiedesse cosa fosse uno spotter. Alla peggio, che qualcuno chiedesse cosa fosse un appendiabiti.
«Tanto lo sappiamo tutti che ti prendi le pillole» Disse la nonna Gomblotti, appendendo le scarpe alle mani del povero manichino.
«Mi fa piacere che vi troviate con queste preziose conoscenze» Replicò Lazzaretti senza battere ciglio «Non so che intende, ma auguri. Sono sicuro che anche lei prende molte pillole. Benvenuti!» esclamò, rivolgendosi ora a tutti gli altri «Benvenuti a villa Lazzaretti! Siete uno, due, tre… nove, non male! Dieci, contando il gatto. Ci siamo direi. Seguitemi, zii».
Daniele salì le scale senza mai voltarsi indietro. Se si fosse voltato avrebbe visto i suoi ospiti che camminavano tutti con passi diversi, chi titubante, chi baldanzoso, chi gonfiando il petto per farsi notare, chi lanciando occhiate sospettose.
«Sta andando verso la porta bianca» Sussurrò Emilia Appestati
«Lo stanno vedendo tutti» le rispose suo fratello, nello stesso tono
«Sì, solo… non è eccitante?»
«È una porta bianca»
«Ma cosa ci sarà dietro?»
«Più di quello che c’era al supermercato, spero...».
Il signor Daniele Lazzaretti aprì la misteriosa porta ed entrò, invitando gli altri a farlo con un gesto.
La prima fu Nuan Huan e da fuori gli altri la sentirono gridare «Incredibile!». Il secondo fu Giangiorgio Gomblotti, che gli altri sentirono esclamare «Non è possibile, che razza di complotto è mai questo?».
Tutti si affrettarono ad entrare allora, spintonandosi e correndo. La signora Rosetta Gomblotti cadde a terra con entrambe le valigie, maledisse la vecchiaia, promise vendetta, ma riuscì a rialzarsi ed entrò per ultima nella stanza.
Ora erano tutti dentro, disposti in cerchio intorno ad un tavolo dal ripiano di marmo, sorretto da quattro statue del famoso culturista Ronnie Coleman di squisita fattura. Ronnie Coleman fu però bellamente ignorato in favore di quello che c’era sopra il tavolo: un grosso barattolo pieno di un liquido denso e trasparente. Sul barattolo era stata applicata alla bell’e meglio un’etichetta che sembrava essere stata rubata ad un altro contenitore, la quale recitava “AMUCHINA” in grandi lettere blu scuro e sotto “soluzione DISINFETTANTE concentrata”.
«È efficace contro il coronavirus, dicono» Balbettò Pampineo
«Se la bevi quando stai morendo, evita che ritorni come morto vivente» mormorò Piera, stringendosi le mani al petto
«Sono una vecchia, usarlo spetta a me!» esclamò la signora Rosetta, lasciando cadere a terra le valigie e battendosi il petto con entrambe le mani, come un gorilla.
Si scatenò un grande putiferio, in cui ognuno diceva la sua e non sempre pacificamente. Giangiorgio Gomblotti minacciò che avrebbe sparato con il suo telefono, qualunque cosa significasse, mentre Eros Giannetta promise che non avrebbe mai più toccato una donna se non gli avessero permesso di igienizzarsi con l’Amuchina, così che tutto il genere femminile avrebbe perso l’uomo più seducente d’Italia, e forse del mondo.
«Calma, calma zii!» Esclamò il signor Lazzaretti, allargando le braccia che sembravano tronchi.
Il palestrato era talmente grosso che coprì la luce, stagliando sul pavimento e sui presenti l’ombra scura di un’enorme croce. Tutti si zittirono, spaventati da quel presagio nefasto, e guardarono verso il padrone di casa.
«Tutti voi potrete usufruire di codesta invenzione!» Continuò Daniele Lazzaretti «Personalmente scioglierò per voi poche gocce nell’acqua, ogni giorno, e voi potrete lavarvi le mani, farci i gargarismi o trastullarvi nel modo che ritenete più appropriato. Come vedete si tratta di una soluzione concentrata: basta un niente di questa per debellare il virus. MA!» e qui tutti sobbalzarono «Essa dovrà essere pagata!».
Belarda Cigna alzò la mano come una scolaretta in attesa di parlare.
«Mi dica, signorina!» Esclamò energico Daniele, indicandola.
Belarda prese un profondo respiro.
«Non vorrà farci pagare poche gocce di Amuchina ad un prezzo esorbitante?» Domandò «Ho idea che sia un po’ una truffa… e vede, io sono parte delle forze dell’ordine...»
«Non c’è preoccupazione, zia!» la interruppe il signor Daniele Lazzaretti «Non dovrete sborsare un solo centesimo per usare la mia Amuchina! Vi chiedo un pagamento» e congiunse le dita delle mani «In natura»

«Non sono gay!» quasi strillò Eros Giannetta «E non lo sarò mai!»
«Non quella natura» ridacchiò il signor Lazzaretti, cercando di trattenere l’ilarità per quella che, a quanto pareva, gli sembrava una gran bella battuta
«Non siamo coltivatori, non possiamo offrire frutta o verdura» disse sconsolata Emilia Appestati
«Io posso aggiustare tutto!» esclamò invece Nuan Huan, da dietro la striscia di tessuto che le copriva la bocca «Fare lavoretti, lavorare faretti e costruire mascherine anticontaminazione».
Il signor Lazzaretti scosse la testa, guardando tutti con un gran sorriso. Ci fu una pausa che parve lunga dieci secondi perché fu, effettivamente, lunga dieci secondi. Se pensate che si tratti di una pausa breve, provate a rimanere fermi e zitti per dieci secondi e capirete.
«Io amo molto le storie» Disse Daniele Lazzaretti, mettendosi di lato e flettendo leggermente il tricipite «Le amo così tanto, in effetti, che ho finito gli audiolibri da ascoltare mentre mi alleno. Su Amazon non ce ne sono più. Così ho avuto un’illuminazione: avrei barattato la mia ospitalità, e la mia Amuchina, per audiolibri nuovi, che nessuno ha mai sentito prima, raccontati dal vivo. Merce di grande valore!»
«E va bene, ti farò ascoltare in anteprima il mio audiolibro sulle abductions aliene di Caltaleone, se è questo che vuoi» sospirò Giangiorgio «Ma prima devo sapere come hai fatto a sapere che lo stavo scrivendo. Come mi spii? Hai messo un virus nel mio computer? Oppure una cara vecchia cimice?».
Daniele lo guardò chiaramente confuso, con la bocca semiaperta, poi decise di ignorarlo e tornò a far scorrere lo sguardo sul suo improvvisato pubblico. Gli piaceva fare i discorsoni, caspita se gli piaceva!
«Vi offrirò un vitto glorioso e proteico» Disse fiero, mostrando il bicipite che sembrava una palla di cannone impiantata sottopelle «Con variazioni sane e gustose come non ne avete mai provate in vita vostra! Vi offrirò il mio abbonamento a Netflix, il mio abbonamento a Sky, la mia rete Wi-Fi, perché possiate trastullarvi come si conviene ai miei ospiti! Vi offrirò acqua calda, una vasca a idromassaggio, due bagni e, cosa più importante di tutte, l’alloggio in questa mia villa lontana da ogni contagio, cosicché siate tutti al sicuro. Saranno giorni comodi, in cui potrete usare l’Amuchina, fare la doccia anche due volte al giorno e divertirvi come più vi aggrada, ma...»
«Qual’è la fregatura?» sospirò Belarda, così sottovoce che nessuno la sentì, anche se qualcuno la vide muovere la bocca
«… Ma dovrete pagarmi raccontandomi delle storie. Almeno una storia al giorno, per la precisione, e se la storia non mi sarà erogata, io non erogherò a voi nemmeno l’odore dell’Amuchina» concluse tutto fiero Daniele Lazzaretti, incrociando le braccia.
Nuan Huan si strinse nelle spalle: le piaceva costruire le cose, fare delle storie non doveva essere così diverso.
«Delle storie?» Chiese Eros Giannetta, con uno scintillio malizioso negli occhi «Tipo, vuoi sapere le storie che ho avuto con delle donne in passato? Perché ne ho da raccontare! C’era una tale che aveva...»
«Credo voglia dire solo dei racconti» gli spiegò Piera Della Francesca
«Beh, io gliele racconterei le mie storie con le donne!» Eros guardò speranzoso il signor Lazzaretti.
Il palestrato annuì.
«Avete ragione entrambi» Disse «Voglio solo racconti, ma questi racconti possono parlare di qualsiasi cosa. Le storie d’amore mi vanno benissimo, basta che non riguardino ancora Naruto e Sasuke. Mi sono stufato di Naruto e Sasuke. Oh, e anche dei baldi giovincelli chiamati One Direction, che ormai ho trovato le loro storie pure sul cartone del latte. Esclusi questi, potete raccontarmi qualunque storia desiderate, di qualunque genere, non sono impressionabile io!» e alzò il mento tutto fiero, irrigidendo gli avambracci come a dire “pensate che questi muscoli possano avere timore di una storiella dell’orrore?”.
«Quindi...» Disse Belarda Cigna, un po’ titubante «Dovremo semplicemente raccontarti delle storie, una al giorno? E in cambio avremo… il cibo, l’alloggio, l’Amuchina, la vasca idromassaggio… tutto?»
«Tutto» il signor Lazzaretti annuì fiero «Accettate?».
Considerati i supermercati presi d’assalto, le palestre chiuse, il paziente zero che forse se ne andava ancora a zonzo per il paese impunito e il clima barbarico che lentamente si stava instaurando a Caltaleone, quasi chiunque avrebbe accettato quell’accordo. C’era la vasca idromassaggio, per Giove!
Così, i presenti accettarono uno dopo l’altro.
«Molto bene» Disse soddisfatto il signor Lazzaretti, sorridendo «Allora credo proprio che vi richiederò… sì, vi richiederò la prima rata del vostro affitto. Sedetevi, fate un cerchio bambini! Su, fate come faccio io!».
C’erano dieci sedie nella stanza, addossate alle pareti, che furono spostate per formare un circolo tutt’intorno al tavolo su cui troneggiava il barattolo di Amuchina. Tutti si sedettero, ma una delle sedie rimase vuota.
«È quella per chi è?» Domandò sospettoso Giangiorgio, seduto tutto gobbo e spinto in avanti, con solo mezza chiappa che poggiava
«Doveva essere per la decima persona, quella che non siete riusciti a trovare» disse il signor Lazzaretti «Poco male, possiamo sederci il cane e il gatto, in due fanno un quarto di persona...».
Il gatto nero Dracula e la cagnolina Ivy furono fatti accomodare insieme nel posto vuoto. Nonostante la leggendaria rivalità fra cani e gatti, questi due sembravano abbastanza contenti di stare insieme, o almeno Dracula appariva impassibile e Ivy scodinzolava ad una velocità di poco inferiore a quella del suono.
«Voglio che ciascuno di voi mi racconti una storia...» Iniziò Daniele, ma si interruppe quando vide qualcuno entrare dalla porta.
Tutti girarono la testa.
«Chi è quello?» Domandò la signora Rosetta Gomblotti «Certo che sembra proprio bruttino...».
La persona che era appena entrata era un bambino magro magro, con una testa grossa, leggermente sproporzionata, ricoperta di foltissimi capelli neri. Sul suo corpo a bastone di scopa ricadevano vestitucci tutti colorati e a motivi floreali.
«Sono tuo nipote» Disse indispettito il bambino, rivolto alla vecchia Rosetta
«Mio nipote?» la donna strizzò gli occhi «Buondio, sei a malapena umano...».
Il bambino fece per andarsene, chiaramente stizzito, ma il signor Lazzaretti gli fu addosso in un attimo, lo afferrò per il colletto della camicia blu decorata a ibischi gialli e rossi e lo portò al centro della stanza, vicino al tavolo.
«Parla!» Gli ordinò.
Il bambino aprì la bocca. Chiuse la bocca. Si mise le mani sui fianchi e guardò in alto, poi strillò
«Sono Giuseppino Occhio!»
«Non ho nessun nipote che si chiama così! Non credetegli!» gracchiò la signora Rosetta, velenosa
«Ero in macchina con mia nonna» il bambino indicò la vecchia «E lei è venuta qui. Ho sentito tutto. Si sta qui, si raccontano le favole e si guarda la tv e si mangiano le caramelle, quindi voglio rimanere!».
A sentir nominare le caramelle, il signor Lazzaretti impallidì un poco e scosse la testa borbottando «No, no, niente dolciumi qui...».
Il bambino allargò le braccia, tutto allegro, emise delle strida incongrue da gabbiano e poi si sedette davanti alla sedia su cui c’erano il gatto e il cane, per terra.
«Quel piccolo selvaggio e io non abbiamo alcuna parentela» Reiterò Rosetta Gomblotti «E dovreste proprio buttarlo fuori»
«Ma lì fuori c’è il Coronavirus!» esclamò preoccupato Pampineo
«Già, non possiamo buttarlo lì fuori, poverino. Teniamolo qui con noi, almeno finché i suoi genitori non verranno a riprenderlo» supplicò Piera della Francesca.
Il bambino sorrise soddisfatto, sapendo di avere già vinto, dopotutto glielo diceva sempre la sua mamma: era adorabile. Adorabile e diabolico. Ma che fosse diabolico non era vero e forse, beh, nemmeno che fosse adorabile… era solo una cosa che gli diceva sua madre, niente di più.
Gli adulti discussero per un paio di minuti, ma la decisione finale doveva prenderla il padrone di casa.
«Va bene Pinocchio, siediti sulla sedia con il cane e il gatto» Disse magnanimo il signor Lazzaretti «Prendili in braccio, su. Così siete quasi… quasi una persona completa. Sì, una di taglia piccola…».
Il bambino obbedì con gran gioia, prendendo posto sulla decima sedia, cosicché ora tutto il cerchio era completo.
«Va bene» Daniele sospirò, sedendosi pesantemente «C’è qualche altro ritardatario? No? Ci siamo tutti? Molto bene. Adesso cominciamo. Raccontatemi le vostre storie. Chi vuole iniziare?».
Già, chi voleva iniziare?


Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi