venerdì 25 giugno 2021

Iris Letalis 1. Il fulmine di Beirut

 
 
"Hey, what's the big idea?
Yo, Mika!"
 
Sua madre gli diceva sempre: «Mika, tu o diventi famoso o finisci in prigione». Questa era una visione delle possibilità, a dire il vero, piuttosto ristretta, perché la signora non era riuscita ad immaginare che l'amato e irrequieto figliolo fosse in grado di fare entrambe le cose contemporaneamente.
Il primo arresto del ragazzo, per rissa e disturbo alla quieta pubblica, era avvenuta quando aveva solo sedici anni e da allora la fama di Mika, al secolo Michael Holbrook Penniman Jr., aveva iniziato a crescere... soprattutto in certi malfamati ambienti underground, frequentati da omacci in cerca di denaro, botte, donne o tutte e tre le cose allo stesso tempo.
“Il picchiatore del Libano” lo chiamavano, oppure “il fulmine di Beirut”, il “pazzo Londinese”, il “rivoluzionario Parigino”, dimostrando che non c'era molta chiarezza riguardo all'effettiva nazionalità del giovane. C'era ancora meno chiarezza riguardo al suo aspetto fisico, perché di lui c'erano poche foto, molte leggende, e ognuno lo immaginava come voleva. Nei tetri bassifondi londinesi, uomini panciuti che indossavano vecchia giacche di tweed (probabilmente rubate ad alcuni professori di passaggio) raccontavano a giovani e sprovveduti aspiranti pugili (che fino ad ora avevano solo partecipato ad un imprecisato numero di risse da bar) di un gigante dallo sguardo tetro e gli occhi grigi, la faccia segnata di cicatrici, le nocche sempre spaccate e fasciate e i piedi che calzavano solo mocassini italiani di pelle di cavallo numero 44.
«Mika» Dicevano «Sapete, è uno di quei figli di buona donna che non pagano mai da bere... non con i soldi, almeno. Lo fa con i pugni, con quelli paga lui».
Nelle cantinacce di Roma, Mika era descritto come un matto con i capelli sale e pepe, invecchiato precocemente, ubriacone e collerico come una mangusta a cui avessero spruzzato del limone negli occhi, per i lottatori illegali della periferia di Parigi invece era un diciottenne scolpito come una statua, tutto nervi e muscoli, con la testa pelata e un'aquila tatuata sul petto, per altri ancora questo Mika era un ex-soldato tedesco con i denti d'acciaio che si era fatto impiantare dei dadi metallici al posti delle sue nocche, così che i suoi pugni fossero sempre letali.
Si sorprendevano sempre tutti, quando vedevano com'era fatto il vero Mika.

Era una mattina di Giugno quando Alessandro Cattelan, organizzatore di incontri clandestini di pugilato (e nel tempo libero scrittore di libri per bambini), venne a sapere che il fulmine di Beirut sarebbe presto arrivato in città.
Era seduto al bancone di un bar, il MyMood, e stava sorseggiando il suo drink preferito, una mistura bizzarra di Martini, Jagermeister e camomilla che aveva lo stesso nome del locale e che veniva servito insieme ad un ombrellino di carta e ad un vero dente umano.
«Ehi, Cattelan!» Lo richiamò la barista, una bionda dall'aria poco raccomandabile «L'hai sentita l'ultima?»
«Dipende, cosa intendi?» rispose il signor Cattelan, parlando molto velocemente «Se parli delle solite sparate del politico con il farfallino, allora sì, le ho sentite tutte, ma magari ti riferisci alla zia Bettina che ha buttato suo nipote giù dal terzo piano, una notizia che mi ha molto turbato e...»
«Il picchiatore del Libano» lo interruppe la barista, sapendo che altrimenti sarebbe andato avanti per ore, impeterrito
«Il picchiatore del Libano?»
«Proprio lui»
«Il fulmine di Beirut?»
«Già»
«In che senso? Vuoi sapere se ho mai sentito parlare di lui, se so che esiste, oppure se in questi giorni ha fatto qualcosa di particolare che ti aspetti che io sappia e...»
«Presto arriverà in città»
«Ah».
Persino Alessandro Cattelan, noto sproloquiatore a ruota, era ammutolito. Pensieroso, si chiedeva se sarebbe stato in grado di incontrarlo e magari di organizzare un incontro clandestino, uno di quelli che avrebbero riempito la sua arena. O magari, sì, magari avrebbe anche avuto il coraggio di chiedergli di partecipare a quella cosa (non aveva neanche il coraggio di pensarne il nome, per scaramanzia), sempre se il fulmine di Beirut non gli avesse rimpastato i lineamenti per colpa del suo ardire.
«Ha scritto sul suo Twitter che sta per venire qui a Milano» Continuò la barista, fingendo di accanirsi su una macchia che non c'era «E ora tutti i peggiori della palestra del Mandrillo sono su di giri, pensano che se uno di loro riuscirà a batterlo finirà per fare una grande pubblicità alla palestra. E poi potrà vantarsi con tutti, giusto?».
Alessandro si riscosse come dal torpore.
«Mika ha un account Twitter?» Domandò, spalancando gli occhi
«Sicuro» rispose la barista «E anche una cosa come un milione di followers. Che, te non lo segui?».
Alessandro Cattelan tirò fuori lo smartphone, veloce come un pistolero.
«Com'è che si chiama il suo account?»
«Mikasounds».
In quel momento, un uomo che era appena entrato nel bar si sedette sullo sgabello vuoto, accanto a Cattelan. Lo accompagnava una donna tarchiata, anziana, dai capelli scuri, che vestiva un abito di cotone decorato con disegni floreali lungo fino alle caviglie.
«M-i-k-a s-o-u-n-d-s» scandì Alessandro Cattelan «Eccolo qui»
«Lo vedi? L'ultimo tweet» disse la barista
«Ah sì. “Milano sto arivvando. Non vedo lora di manggiare il rissotto”. Si vede proprio che ha deciso di mollare la scuola per darsi alle risse illegali: scrive come un canguro che cerca di digitare una frase usando i piedi»
«Veramente» intervenne l'uomo seduto accanto a lui, timidamente e con una vocetta acuta «La scuola l'ho fatta. Però sono dislessico e non è la mia madrelingua. Si dice madrelingua, vero?».
Alessandro Cattelan sobbalzò, sentendo una scarica di adrenalina che partiva dal naso (neanche lui sapeva perché) e finiva nella parte bassa dell'intestino. C'era una sola cosa su cui tutti i resoconti su Mika andavano d'accordo: il fulmine di Beirut aveva un accento buffo, la cui provenienza era di difficile, se non impossibile, identificazione. L'uomo seduto vicino al bancone, timidino e dal timbro pre-puberale, aveva proprio quell'accento lì.
Alessandro Cattelan alzò lo sguardo dal telefono, per incontrare il volto dello sconosciuto. “Non può essere” Pensò immediatamente. Quel coso non poteva essere Mika.
«Ciao» Disse lo sconosciuto, amichevole, infantile, sorridente «Sono Mika».
Tutto in lui, dai dentini davanti un po' più grandi che spuntavano nel bel mezzo di quel suo sorriso dolce, agli occhioni scuri da cerbiatto orlati di ciglia scure, passando per la zazzera di capelli riccissimi e castani, le mani da pianista, la corporatura slanciata e quasi efebica che si intuiva sotto i vestiti, fino alla magliettina con i personaggi dei cartoni animati, sembrava dire “eccomi, sono uno sfigato che i bulli prendono di mira”. Era bello, ma in un modo strano, come se il suo “design” fosse il risultato degli esperimenti di una sedicenne romantica e pasticciona; l'unica cosa vagamente minacciosa che lo contraddistingueva era l'altezza, ma il suo corpo era così sottile da sembrare pronto a spezzarsi.
Cattelan rise. Prima due risatine brevi, stentate, poi una più forte. Mika rimase a guardarlo, perplesso.
«Io sono Alessandro. E tu non sei quel Mika, giusto?»
«Non lo so. Sono quello di Twitter» l'alto ragazzo riccio indicò il telefonino «Che Mika stai cercando?»
«Clizia deve avermi dato il nome di Twitter sbagliato» Alessandro sorrise, guardando la barista.
La barista non sorrise, guardando Alessandro. Mosse la testa lentamente a destra e poi a sinistra, in un cenno di diniego, mentre con la bocca mimava in silenzio le parole «È lui».
«Mika?» Domandò Cattelan, indicando il petto dell'uomo
«Sì» rispose quello, allegro
«Michael Holbrook Penniman Jr.?»
«Sì»
«Dammi un pugno».
Quando Alessandro l'aveva detto, in tono quasi di sfida, troppo sorpreso per pensare ad altro, non credeva che un pugno gli sarebbe arrivato davvero, né che gli avrebbe fatto saltare un dente. Il colpo era stato così veloce che quasi non l'aveva visto: si era solo ritrovato per terra, scaraventato giù dal suo sgabello con la faccia sul pavimento e un dolore pulsante alle gengive, mentre la bocca gli si riempiva di sangue.
«Tutto bene?» Domandò Mika, preoccupato
«Tu lui as fracassé le visage» disse la donna anziana accanto a lui, in toni di rimprovero «Ce n'est pas bon du tout, Mika. Maintenant, que ferez-vous si vous signalez à la police?»
«Il m'a demandé!» le rispose Mika, un po' allarmato e un po' petulante «Ne me gronde pas, maman!».
Alessandro Cattelan si toccò il volto con mano tremante, poi si asciugò un po' del sangue con il dorso della mano e provò a rimettersi in piedi, barcollando. Gli girava la testa.
«Va tutto bene» Disse euforico, aggrappandosi al bancone per non cadere di nuovo «Sei tu. Sei tu davvero»
«Sì» Mika sollevò le sopracciglia, confuso
«Ho da proporti una cosa! Ora o mai più. Un affare che ti porterà un sacco di soldi»
«
C'est un masochiste, Mika» intervenne la madre «N'acceptez pas de contrats indécents de sa part»
«Signora, ho capito solo “masochista”» disse Cattelan, allungando una mano in attesa di una stretta «Ma le assicuro che tutto quello che voglio fare è un sacco di soldi con suo figlio. Sempre se lei, come ho indovinato, è la madre. Comunque vi invito ad ascoltare la mia offerta»
«Maman, le monsieur a dit qu'il a compris qu'il est masochiste et tout ce qu'il veut c'est m'utiliser pour gagner beaucoup d'argent et peut-être qu'il veut faire la moitié du butin avec nous» tradusse Mika
«Quel fluage!» la signora guardò Cattelan con un'espressione furibonda «Battez-le, Mika»
«Et si j'allais en prison?»
«Cela devait être pour une bonne cause. En plus, ce criminel pervers ne les dénoncera pas, j'en suis presque sûr»
«Ok, maman».
Mika si alzò in piedi. Era ancora più alto di quello che sembrava, un lampione asciutto e solido di almeno un metro e novanta. Cattelan tese la mano anche verso di lui, credendo che stesse per accettarla. Tutti gli avventori del bar guardavano nella loro direzione, con il fiato sospeso.
Dieci minuti dopo, Alessandro Cattelan stava fissando la lucina che un paramedico gli aveva puntato contro le pupille, mentre qualcuno preparava una barella. Gli avevano immobilizzato il collo con un affare di plastica e stavano per portarlo all'ospedale per un controllo approfondito.
«Ma che è successo?» Domandò uno dei soccorritori, in tono atterrito «Sembra che abbia fatto un frontale con un camion»
«I-il f-fulmine di Beirut» riuscì a sussurrare Cattelan. Poi sorrise, compiaciuto.
Tutti lo guardarono spaventati, pensando che quel poveraccio avesse subito un terribile danno cerebrale.
 
 

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