martedì 19 aprile 2022

Iris Letalis 3. Usignolo

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Alessandro Cattelan uscì dall’ambulatorio del dentista, sentendosi le gengive un po’ indolenzite e un po’ anestetizzate, con la sensazione generale di avere dei grossi pezzi di gomma infilati in bocca. Si estrasse dalla tasca un bigliettino rosa ripiegato e lo aprì. Dentro c’era scritta una lista:

- COSA DA FARE ENTRO TRE GIORNI-
□ Comprare il disco dei Maneskin
□ Comprare la cartaigienica, quella con il lupetto coccolo che è morbida
□ Chiedere alla signora Renata di prestarti le chiavi del terrazzo
□ Farsi rimettere il dente che Mika ti ha buttato con un pugno (nota: vai dalla dottoressa Caruso e digli che ti ha mandato Elodie x sconto)
□ Inventare un finale per “Timmy e l’orsetto bordeaux” (nota: l’orsetto non deve morire, sennò l’editore non ti pubblica)
□ Trovare Mika (e convincerlo).

L’uomo mise una spunta davanti a “farsi rimettere il dente che Mika ti ha buttato con un pugno”, poi chiuse di nuovo il biglietto e se lo infilò in tasca. Sospirò: anche con lo sconto, la dottoressa Caruso era cara e quasi quasi sarebbe stato meglio evitare di rimettersi il dente. I soldi ormai scarseggiavano: quelli guadagnati dal suo ultimo libro per bambini, “Mimma e la rana gialla”, erano a malapena bastati a chiudere il mutuo per il minuscolo appartamento in cui Alessandro abitava; quanto invece al denaro degli incontri clandestini, lui lo aveva investito tutto su un talent show con quattro giudici che cercavano cantanti strepitosi, ma il format era fallito miseramente dopo la prima stagione ed era stato sostituito da un reality in cui le donne dovevano scambiare i loro mariti con dei veri maiali per un mese.
Cattelan aveva ammesso, sconfitto, che l’idea dei maiali era proprio divertente e si diede dell’idiota per non averci pensato lui. Stava ripensando a quella puntata dove in un monolocale al centro di Perugia andava ad abitare un porco di duecentosedici chili, quando vide una familiare testa riccia spuntare oltre la gente che passeggiava. Cattelan si riscosse subito e trottò in direzione di quella testa, determinato, pregando che fosse davvero Mika. Lo era.
«Ehi! Ehi! Mika, Mika, fermati!».
Il pugile si bloccò e girò la testa in direzione della voce che lo chiamava. Indossava un paio di occhiali da sole arcobaleno con la montatura di plastica gialla, terribilmente vistosi.
«Mika!» Esclamò Alessandro Cattelan, afferrandogli un braccio «Ti ricordi di me?»
«Sei lo sporcaccione» rispose Mika, senza esitare e senza neppure sottrarsi alla presa
«Co-come sarebbe a dire lo sporcaccione, scusa?»
«Sei quello a cui piace essere picchiato...»
«No, no, hai capito male!»
«… Che voleva pagarmi per fare quelle cose lì con me. Mamma mi ha detto di non farlo»
«No! No, ascolta Mika, c’è stato un malinteso, un malinteso enorme! Io mi chiamo Alessandro Cattelan e non sono un pervertito, io organizzo incontri di pugilato». Omise bellamente di dire che erano incontri illegali.
Mika ci pensò su per un attimo, spostando molto lentamente il peso da un piede all’altro. Poi incrociò le braccia.
«Io non faccio più gli incontri» Disse infine.
Alessandro si sentì il cuore sprofondare nel petto. «Co-come? Non fai più incontri?» Domandò, allibito
«Già. Ho smesso»
«Ma perché? Non ha senso, sei famoso, è quello che sai fare meglio! Sei un campione, Mika, e io posso farti arrivare ancora più in alto»
«Mamma non vuole che io faccia a botte, dice che è una cosa da criminali. Ora faccio il cantante».
Cattelan era allibito. Batté le palpebre più volte, alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione.
«Il cantante?»
«Sì. Mi piace… un poco, anche, cantare» Rispose Mika, modesto, abbassando la testa per guardarsi i piedi
«Lo sai che è molto difficile fare il… aspetta, dove vai, aspettami!».
L’alto pugile aveva ripreso a camminare a passo lungo, un elegante levriero che spiccava sui passanti, e Alessandro gli trottava dietro dietro con passi irregolari, cercando di tenere un’andatura simile, come un bouledogue francese che insegue una carrozza.
«Mika! Non è facile diventare un cantante» Continuò Cattelan, senza rinunciare e continuando ad inseguire l’altro «Sfondare è quasi impossibile con la concorrenza che c’è oggi. Fidati di me: io avevo un talent show musicale, lo so perfettamente come funziona. Ti conviene fare quello che sai fare meglio, no?»
«Mamma dice che la cosa che so fare meglio è cantare» rispose il pugile, senza neanche guardare il suo interlocutore
«Meglio di fare a botte? Io non credo proprio!»
«E invece sono bravo!»
«Senti, ma hai già un agente? Se vuoi sfondare nel mondo della musica ti serve qualcuno con gli agganci, qualcuno che parli con le case discografiche, con le radio, che ti organizzi gli eventi, i concerti, i firmacopie, tutto tutto tutto! Allora, ce l’hai un agente?»
«Io… la mia mamma è il mio agente, mi ha detto che mi aiuterà»
«Ma tua mamma ha tutti gli agganci che servono? Pensaci bene, Mika, perché stai praticamente andando verso il fallimento se non è così. Io invece posso aiutarti»
«Ho detto che ho smesso. Non li faccio più, gli incontri»
«Sì, sì, questo l’ho capito, anche se credo che sia un gran peccato, ma ora ascoltami bene: io sono un manager richiestissimo anche dai musicisti» mentì Alessandro «Posso farti diventare un cantante molto famoso, posso farti passare dalle radio tutti i giorni. Ho un cugino che lavora per la radio più ascoltata d’Italia, pensa un po’ te!»

«Daveri?» domandò Mika, rallentando un poco
«Daveri daveri, giurò… davvero, caro amico mio. Davvero: ho prodotto alcuni dei migliori artisti italiani»
«Prodotto? Non eri un manager?»
«Sì, sì, certo, non c’è poi così tanta diversità fra management e produzione, vedi che non ne sai proprio nulla, povero caro?»
«E quindi potresti… si, potresti farmi diventare un cantante?»
«Sì, certo!» il sorriso sul volto di Cattelan sembrava così genuino che neanche un profiler dell’FBI avrebbe potuto scorgere la bugia che nascondeva «Ti posso fare diventare famoso»
«Io… ho bisogno di soldi. Per… per la mia famiglia, io...» borbottò Mika, arrossendo un po’
«Ma certo! Ma certo, diventerai famoso e avrai un sacco di soldi se sei davvero bravi come dici. Però se manchi di talento posso farci davvero poco, questa cosa l’hai capita, vero? Quindi posso aiutarti, ma devi saper cantare»
«Lo so fare!»
«Facciamo così: tu hai bisogno di soldi, giusto? Per la tua famiglia, Mika, pensa alla tua famiglia»

«Sì. Sì io ho… bisogno...»
«Ecco. E per la tua famiglia potresti fare una piccola scommessa? Tu ci puoi solo guadagnare. Sei un uomo d’onore e vuoi aiutare la tua famiglia, giusto? Sai mantenere la parola?»
«Sì? Io… sì. Sì» balbettò Mika, confuso
«Bene. Molto bene, facciamo così, visto che mi sto esponendo per te e mi devi anche chiedere scusa per avermi mandato in ospedale: io ti ascolterò cantare, se sei bravo ti metterò sotto contratto come cantante, altrimenti, se non mi piaci come canti, ti metterò sotto contratto come pugile. Ti va?»
«Non lo so...»
«Quindi non sei sicuro di essere così bravo» lo stuzzicò Cattelan «E se non sai di essere bravi, come puoi anche solo pensare di diventare un cantante?»
«No! No, io sono bravi, mamma mi dice che sono bravo, mi dice sempre...»
«E allora dimostramelo. Sii coraggioso, fai l’uomo: accetta la sfida. Se tua madre ha ragione, la renderai fiera di te tornando a casa con un bel contratto. Su, vediamo se mamma ha ragione!»
«Va bene».
Mika si fermò. Si tolse gli occhiali da sole e prese a giocherellarci nervosamente. Alessandro lo guardò con aria di sfida, sicuro di averlo in pugno: che razza di cantante avrebbe mai potuto essere il Fulmine di Beirut? E anche se avesse davvero avuto una stilla di talento, sarebbe stato facile dissimulare, mentire, dirgli che non era bravo abbastanza, che la musica moderna richiedeva standard molto più elevanti.
Poi Mika aprì la bocca. Poi cantò, a voce abbastanza alta perché qualcuno si voltasse a guardarlo.

«Do I attract you?
Do I repulse you with my queasy smile?
Am I too dirty?
Am I too flirty?
Do I like what you like?».

Le sue mani si erano fermate, non tormentavano più gli occhiali. Non aveva quasi neppure iniziato a cantare che i passanti si erano fermati ad ascoltarlo. La sua voce era chiara, pulita, dolce e affilata al tempo stesso, perfettamente intonata, e colpiva le note alte come un martelletto d’argento. 
 
«I could be wholesome

I could be loathsome
I guess I'm a little bit shy
Why don't you like me?
Why don't you like me without making me try?

I tried to be like Grace Kelly
But all her looks were too sad
So I try a little Freddie
I've gone identity mad!»
.

“Un dannato usignolo” Pensò Alessandro, deglutendo.

«I could be brown
I could be blue
I could be violet sky
I could be hurtful
I could be purple
I could be anything you like
Gotta be green
Gotta be mean
Gotta be everything more
Why don't you like me?
Why don't you like me?
Why don't you walk out the door!».

Alessandro Cattelan, colto di sorpresa, non riusciva a frenarsi dal battere il piede a terra in sincrono con il ritmo della canzone. La mimica facciale del pugile era assorbita nel mondo canoro che egli stava creando, più struggente e in una certa misura più sensuale ad ogni strofa. Mika prese anche a schioccare le dita per sottolineare il ritmo della canzone e in un istante anche la gente intorno fece la stessa cosa, come ipnotizzata; c’era una bimba in un passeggino, di appena due anni, che batteva le manine paffute e lo guardava con occhi rotondi come padelle. Alessandro si guardò intorno, stringendo i denti mentre constatava che quel dannato usignolo era effettivamente un trascinatore e che non aveva mai visto così tanti passanti casuali finire coinvolti nell’esibizione di un perfetto sconosciuto. E se quando Mika avesse finito di cantare, quella gente l’avesse cominciato ad applaudire? Sarebbe diventato estremamente difficile ingannarlo per fargli credere di non possedere alcun talento.
Ma quando Mika finì di cantare e riaprì gli occhi (li aveva tenuti chiusi per tutta la durata della performance), la gente semplicemente continuò per la sua strada, senza un solo applauso, senza un solo complimento. Alessandro Cattelan tirò un gran sospiro di sollievo.
«Amico mio» Disse «Se tua mamma crede che tu sia bravo a cantare è solo perché tua madre, credimi quando ti dico che se non lo fossi si comprerebbe un bel paio di robusti tappi per le orecchie».
Mika, che era stato speranzoso, fece una faccia una terribilmente triste, le sopracciglia scure aggrottate, gli occhioni bruni da cerbiatto adombrati, tanto che per poco Cattelan non si convinse a dirgli la verità.
«Davero… Davero io non sono bravo?» Chiese con la vocina, stringendosi nelle spalle e ingobbendosi, quasi volesse rimpicciolirsi, minimizzare il bersaglio che la vergogna poteva colpire
«Proprio così, amico mio. Davvero. Davvero. Vecchio stile stile come una campana e stonato come una campana… tu non ti offendi per un giudizio sincero, vero amico mio?»
«Mi sembra molto… cattivo. Stonato come una campana?»
«Sì, forse non sei così stonato, su col morale! Ma da lì ad essere davvero bravo ce ne passa, eh!»
«Dav… daveri?»
«Ehm, sì… sì, e si dice davvero comunque. Non daveri, non davero. Credimi quando ti dico che mi dispiace tantissimo, ma meglio infrangere il tuo sogno adesso che sei giovane, piuttosto che farti andare avanti facendoti credere che tu possa farcela, no?» Cattelan sorrise in modo incoraggiante, allargando le braccia «Tu sei una persona eccezionale, Mika, hai un posto nel mondo, capisci? Un posto che...»
«Per me non c’è posto neanche in paradiso» lo interruppe il pugile, veemente, riprendendo a camminare con passi lunghi e sciolti.
Cattelan lo inseguì di nuovo.
«Mika! Mika, hey, fermati, avevamo un patto!».
Il pugile si infilò in una stradina laterale fra due case arancioni, scartando agilmente una vecchietta contro cui Cattelan invece su scontrò. Il trolley che l’anziana trascinava, pieno di verdure, bastoncini di pesce e nocciole, si rovesciò al suolo.
«Oh, che disastro!» Esclamò la nonnina, portandosi le mani al volto
«Mi dispiace signora, mi fermerei ad aiutarla, ma sto inseguendo un campione di boxe da mettere sotto contratto!» rispose Cattelan, contrito, ma non abbastanza da fermarsi: rallentò solo un poco per dare un’occhiata alle nocciole che rotolavano dappertutto.
Inaspettatamente, gli occhietti neri della vecchietta si animarono di una luce di gioia e speranza.
«Vai giovanotto! Non fermarti! Prendi il tuo campione!» Esclamò lei, con voce tremula ma vivace
«Grazie! Lo prenderò!».
Alessandro Cattelan accelerò, con il cuore invaso dai sensi di colpa: se aveva rovesciato la spesa di una nonnina indifesa e per giunta supportiva, allora doveva valerne la pena! Doveva prenderlo, questo capriccioso pugile che voleva fare il cantante, costasse anche…
«Sandrino!» Disse una voce conosciuta «Dove vai di corsa? Guarda che ti sloghi le caviglie e cadi e muori!».
Oh no, Nonno Gianfranco! Alessandro rallentò, non perché volesse salutare l’anziano, ma perché temeva che qualche disastro sarebbe potuto avvenire: Nonno Gianfranco era infatti considerato quasi universalmente il vecchio più porta-iella di Milano, da cent’anni a questa parte e anche da giovane non aveva certo mancato di creare disagi a tutti, tanto che veniva pagato da alcuni negozi come iettatore ufficiale, mandato a sedersi di fronte agli esercizi commerciali rivale e fargli perdere tutti i clienti.
«Nonno» Disse Cattelan «Ti prego, non mi posso fermare, c’è uno che mi deve dei soldi che sta scappando!»
«Ma chi?» fece Nonno Gianfranco, con un sorriso tutto gengive e con qualche minuscolo dente giallo «Quello lì lungo lungo che camminava col passo di cammello? Ma che te preoccupi, Sandrino? Camminando così quello lì impincia nel primo tombino aperto e spezza una caviglia, taac!».
Rumore di caduta rovinoso, cose che si rompevano e imprecazioni in francese coronarono il tutto: quando si trattava di sventure, Nonno Gianfranco non contemplava errore.
«Oh, grazie nonno, sei sempre il migliore!» Disse Cattelan, giungendo le mani
«Basta non mi chiudete in una casa di riposo e siete i migliori pure voi» replicò il vecchio, mettendosi le mani sui fianchi «E ora ti lascio, devo andare a pisciare sulle panche della chiesa, che la Mariella mi ha fatto sfida e vinco sei euro e cinquanta».
Cattelan salutò con un amichevole gesto della mano e non disse nulla, ben sapendo quanto pericoloso fosse contrariare il vecchio più porta-iella di Milano. Una volta Nonno Gianfranco era stato beccato dalla polizia a sputare sulle cipolle di un fruttivendolo, ma prima che potessero arrestarlo la volante della squadra di turno aveva misteriosamente preso fuoco, ad uno degli agenti era venuta la diarrea e l’altro aveva avuto un attacco di panico. No, meglio non contrariare il signor Gianfranco, se si teneva alla propria vita… e girato l’angolo Cattelan ebbe ancora una conferma di quel potere, vedendo Mika seduto e con l’aria imbronciata fra due bidoncini del metallo che erano caduti inondando il vicolo di lattine vuote di birra, zuppe varie e tappi di barattolo.
«Ti sei fatto male?» Gli chiese Cattelan, premuroso
«No» rispose Mika, petulante
«Che cosa fai lì per terra, allora?»
«Sono inciampato nel tondino»
«Il tombino vuoi dire?»
«Sì» Mika si imbronciò ancora di più «Sono caduttto». Pronunciava una quantità di t spropositata.
Cattelan gli tese una mano, amichevole. Il pugile non la prese e rimase cocciutamente seduto in mezzo alla spazzatura, guardando verso il muro della casa di fronte. Aveva la faccia rossa di imbarazzo e rabbia.
«Stai bene? Non è che ti sei rotto qualcosa?» Insisté Cattelan, memore del potere di Gianfranco
«Stto bene. L’ho già deto».
Cattela si morse la lingua per non commentare l’uso apparentemente casuale delle doppie da parte di Mika, perché non gli sembrava davvero un buon momento.
«Abbiamo fatto un patto» Disse invece «Ricordi? Posso metterti sotto contratto come pugile!».
Questa volta Mika lo guardò, poi lentamente si alzò. Raccolse da terra gli occhiali da sole e li indossò di nuovo, nascondendo dietro le lenti colorate gli occhioni scuri.
«Non ho firmato nessun contrato» Disse, la voce carica di minaccia
«Ma mi hai dato la tua parola...»
«No!» 
«Hai detto che andava bene! Andiamo amico, l’hai detto!»
«La mia parola non vale nulla. Niente. Non sono un uomo di onore»
«Ma potresti diventarlo! E potresti rendere fiera la tua famiglia, la tua mamma, fare tanti soldi per loro e...»
«No! Gli uomini di onore non mi vogliono. Io non ho onore. Io non sono un pugile, capisci?» sollevò le mani per mostrargliele, le dita ben aperte. Erano mani affusolate, non particolarmente grandi per la taglia del pugile, quasi da pianista e con unghie corte, sottili, madreperlacee; a stonare con l’insieme solo le cicatrici sulle nocche, come se fossero state spaccate più volte. Cattelan immaginò il sangue che colava lentamente lungo le dita, che gocciolava a terra dai polpastrelli.
«Mamma aveva un progetto per me» Continuò Mika, in tono amaro «Ha investito su di me tempo, denaro… amore. Voleva che io cantavo. E io, come uno stuppido, ho rovinato tutto»
«Tua madre ti ha fatto studiare canto?» domandò Cattelan, fingendo indifferenza
«Ho studiato canto, sì»
«Beh, ehm… si vede che dovevi fare il pugile, no?»
«Non capisci» ringhiò Mika, chinandosi di scatto verso Cattelan come uno di quei grossi licantropi dei film di serie b, un lungo mostro in costume «Io ho iniziato a fare a botte nei locali, io l’ho deluso, non mi sono concentrato sul canto e ora lo so, lo so cosa mi resta: i pugni e basta. Dov’è il sogno di mia madre? Dov’è il nostro» si batté il petto «Sogno? Potevamo stare bene e invece faccio solo quattro soldi con gli ingaggi clandestini» si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi con il pugno chiuso, come se avesse prurito, prima di nascondersi di nuovo sotto le lenti «Va bene. Firmo il tuo contratto. Lo so cosa sono, tu hai… vinto».
Cattelan lo guardò incredulo per un istante. Adesso gli si stringeva il cuore a continuare a mentire, a portare quel giovane uomo ancora più lontano del sogno, ad ingannarlo in modo tanto bieco, ma ripensò alle proprie liste della spesa sempre più corte, al conto che aveva appena pagato per farsi rimettere il dente (che era stato proprio Mika a buttargli giù!) al patto che aveva fatto con Marracash ed Elodie.
«Benvenuto a bordo allora! Io sono Alessandro Cattelan, il tuo nuovo manager e allenatore, e se la cosa può tranquillizzarti ti farò di certo fare molti soldi! E poi perché abbandonare il tuo sogno? Quando avrai vinto i primi incontri potrai permetterti di pagare nuove lezioni di canto, magari ricominci da dove hai lasciato, no? E se devo essere sincero non eri così male… certo non eri per niente al livello pro, però un pochino-ino di tecnica si sentiva, bisognava solo concentrarsi… forza e coraggio che ce la fai! Imparerai a cantare di sicuro, Mika!».
Alessando Cattelan dovette chiudere il cuore e mordersi la lingua per non aggiungere che in realtà le sue erano tutte menzogne e che lui cantava come un usignolo, non dissimilmente dal quale avrebbe meritato di volare libero, invece di essere intrappolato in quella gabbia di contratto illegale. Sorrise, mentre si premeva i denti sulla lingua, stringendo la ricevuta della dentista nel pugno sinistro.
“Sto mettendo un usignolo in gabbia” Pensò “Per farlo combattere contro veri pettirossi, per giunta”.

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