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I pettirossi sono animali estremamente territoriali e litigiosi. Non si direbbe a guardarli così carini come sono: pallette di piume con due occhietti neri un delicato beccuccio grigio, l’allegro pettuccio colorato d’arancio.
E invece sono guerrieri.
Emma Marrone era un pettirosso, metaforicamente parlando: una donna abbastanza bassa, bella, con dolci occhi scuri. In pochi, guardandola, avrebbero capito con chi avevano davvero a che fare.
Il primo arresto era arrivato mentre era ancora studentessa. Niente di violento: la polizia era intervenuta per mitigare la situazione durante un picchetto, un’occupazione di protesta che Emma ed altri studenti si rifiutavano di sgombrare. Era stata rilasciata poco dopo, anche grazie all’intervento della preside, arrivata in centrale per intercedere per i suoi studenti, ma Emma aveva capito una cosa molto importante su di sé: non aveva paura di fare quello in cui credeva, anche quando questo sollevava un bel polverone.
I suoi voti non scesero lei continuò ad amare ed ascoltare i suoi genitori, ma presto il nome di Emma Marrone iniziò ad essere associato alle rivolte e non solo quelle studentesche… se c’era da aiutare operai sottopagati, da rovesciare camion, da occupare fabbriche di compagnie crudeli, Emma era sempre lì in prima fila, con il pugno alzato e la voce spiegata, a gridare più forte dei megafoni e delle sirene della polizia. Ovviamente c’erano state anche delle risse e Emma non si era certamente tirata indietro, anche se le prime volte le aveva prese di brutto.
Tornava a casa con i lividi sugli zigomi, il naso sanguinante, le mani graffiate dal selciato su cui era caduta, e cercava di nascondere come poteva le ferite dagli occhi dei suoi genitori e di suo fratello.
«Emma» Le disse un giorno suo padre «Devi imparare a combattere. Non ti dico di smettere di fare a botte, ma almeno smetti di prenderle». E l’aveva iscritta in palestra, ad un corso di boxe.
Dopo qualche mese, la donna aveva smesso di perdere le risse: era un talento naturale e si applicava alla disciplina anima e corpo. Per questo Marracash l’aveva notata e le aveva chiesto di iscriversi al suo torneo underground, il Luna Loca.
«Le pugilesse, in eventi come questo, sono una cosa rara, esotica» Le aveva spiegato, appoggiandosi alle corde del ring della palestra «E tu sei già famosa. Ti sei battuta alla fabbrica, giù all’azienda Grillo, hai fatto a botte con gli uomini, queste cose attirano la gente, ti verranno a vedere»
«Non sono un fenomeno da baraccone» rispose Emma, asciugandosi la fronte «E fra poco Francesca risale sul ring, perciò è meglio che te ne vai. Dobbiamo fare sparring»
«Non sei un fenomeno da baraccone» ripeté Marracash, con lentezza
«Sì, te l’ho detto io. Smamma!»
«Però puoi essere un esempio. Un’apripista per le altre ragazze che vogliono partecipare al torneo. Saresti la prima donna a salire sul ring del mio locale, fino ad ora nessuna ne ha avuto il coraggio».
Emma si concentrò sull’uomo, aggrottando le sopracciglia
«Nessuna donna?» Domandò
«Nessuna» confermò Marracash, scuotendo flemmaticamente la testa
«E allora contro chi combatterei?»
«Contro Massimo Biella. Lo conosci?».
Gli occhi di Emma si illuminarono: certo che lo conosceva! Massimo Biella, detto il Fascio Pariolino, metà fighetto e metà fascista, conosciuto per essere quello che tirava mattoni contro i ragazzini alle manifestazioni studentesche, famoso anche come sempiterno toccaculi e imbucato a qualunque festa, contrario alla legalizzazione della marijuana (per far contento il papà, si capisce) ma con il naso spesso imbiancato (e non di zucchero).
«Accetto!» Aveva esclamato Emma, togliendosi con i denti un guantone per dare la mano a Marracash.
Così era iniziata la sua collaborazione con il Suave e la sfila di partecipazioni al Luna Loca. Lei non faceva mai parte del torneo principale, ma disputava dei match che avevano lo scopo di attrarre pubblico. Comunque, non le interessava vincere trofei, ma solo picchiare i fascisti, come da contratto: Marracash le doveva trovare ogni volta un fascista diverso e sul ring salivano sempre questi tizi con i capelli rasati, tutti tatuati con svastiche, croci celtiche e facce di Mussolini, attirati dall’idea di poter picchiare una donna selvaggiamente senza conseguenze legali. Di solito Emma ci metteva meno di dieci minuti per mandarli all’ospedale e se loro giocavano sporco, lei faceva anche di peggio.
Questi match erano chiamati “la Mattanza del Fascio”. Le cose erano andate avanti così per dieci anni, ma le cose stavano per cambiare…
Quella mattina, Emma si era recata al Suave per due motivi: il primo era fare colazione e il secondo per scoprire chi sarebbe stato il suo avversario al prossimo torneo Luna Loca. Mancavano solo sei giorni alla fatidica data e le sarebbe piaciuto sapere come prepararsi.
Dentro il Suave, quasi tutte le luci erano spente e gli avventori non c’erano; al loro posto, loschi scommettitori parlavano con Marracash, seduti ad un tavolo di metallo mentre mangiavano uova e bevevano vari tipi di alcolici. Il locale era ufficialmente chiuso (l’orario di apertura erano le 19:00), ma gli amici e colleghi dei proprietari si ritrovavano spesso a fare colazione lì.
«Oh, Emma!» Salutò Marracash «Buongiorno! Elodie sta arrivando, ti deve dire una cosa sul Luna Loca!»
«Non mi fai neanche sedere» scherzò Emma, in piedi «E già deleghi a qualcun’altra! Ah, voi maschi!».
Marracash sorrise alla battuta, ma subito dopo distolse lo sguardo, come se volesse evitare di continuare quella conversazione. Emma si sedette ad un tavolo vuoto e accavallò le gambe. Un cameriere grazioso, con i capelli verdi pettinati all’indietro e un orecchio adornato da sette anellini argentati, le si avvicinò celere.
«Cosa prende per colazione, signora?» Le domandò servizievole
«Una birra, un calzone al prosciutto, qualcosa di dolce per favore» rispose Emma «Ah, Nicky, ma la birra alla spina. E non quella dell’altra volta, che sapeva di alito del mattino, grazie»
«Arrivano subito!».
Nicky il cameriere sparì come una donnola nelle misteriose cucine. Emma sapeva che in realtà lì dietro non si cucinava proprio niente, ma ci si limitava a scongelare i prodotti, dolci o salati che fossero, che venivano forniti al Suave da altre ditte, di solito ristoranti.
«Emma, sempre che guardi la cucina!» Esclamò una voce familiare, femminile
«Elo! Ma te lo sai che io ho sempre fame. I muscoli mica possono stare a digiuno, eh!» rise Emma.
Elodie avanzò verso di lei con eleganza, a testa alta. I lunghissimi capelli lisci, raccolti in una cosa bassa, le accarezzavano la schiena come la pigra coda di un gatto. Nonostante quella mattina indossasse vestiti molto semplici, la felpa di una tuta di acetato rosa e un paio di jeans neri aderenti, la sua bellezza e naturale precisione del suo passo attirarono l’attenzione degli scommettitori, che smisero di parlare e si misero a fissarla finché non si schiarì rumorosamente la gola.
Elodie si sedette al tavolo di Emma.
«Dobbiamo parlare del Luna Loca» Le disse, senza giri di parole
«Sì, certo, sono qui per questo» rispose l’altra «Oh, ma che faccia scura che c’hai. E Marra non mi vuole manco dire niente, che succede?»
«Succede che quest’anno tu non combatti. Non avrai un match»
«Cosa? Stai scherzando? E me lo dici solo ora che mancano sei giorni? Se me lo dicevi prima mi risparmiavo di allenarmi come una deficiente e fare tutti i conteggini di calorie per mettermi così tanto in forma per il torneo, me ne andavo al mare e mangiavo la parmigiana di mamma invece di...»
«Non è colpa nostra, cause di forza maggiore: l’avversario che si era fatto avanti si è ritirato. Abbiamo provato a rintracciarlo, ma sembra che abbia avuto guai seri con la legge e se ne sia andato in Sud America. È scappato, con la coda fra le gambe»
«Vabbè, quindi… niente. Non posso fare niente, no? Aspetta! Non mi avevi detto l’altro ieri che il torneo principale aveva ancora un posto vacante?»
«Sì. Ma tu non hai voluto fare il torneo, Emma»
«E quest’anno lo voglio fare. Che faccio, spreco l’allenamento? Neanche per idea!»
«Mi dispiace, Emma…»
«Che c’è? Anzi, chi c’è?»
«Nessuno ancora»
«E allora? Segnami a me e ci provo. Dài, magari non lo vinco, ma mi diverto un poco! Mi stavo pure iniziando a seccare di pigliarmela sempre con gli scarsi…»
«Il fatto è che potremmo avere un’occasione unica, Emma. Non possiamo lasciarcela sfuggire».
Emma appoggiò i gomiti al tavolo, senza dire nulla, pensierosa. Arrivò il cameriere Nicky, le servì la colazione e se ne andò come se avesse avuto fretta.
«È Mika» Spiegò Elodie «Potrebbe unirsi al torneo. Non ne siamo ancora certi, ma dobbiamo sperare che lui accetti»
«E se non accetta posso combattere io al posto suo?»
«Certo, Emma, ma ti avverto: quest’anno siamo davvero riusciti a contattare i migliori. Non hai molte chance di farcela»
«E sono contenta così» rise Emma, rilassandosi di nuovo contro lo schienale della sedia «Ammazza, oh! Mika! Il Fulmine di Beirut, intendi?»
«Proprio lui»
«Dovete avere pugili proprio bravissimi quest’anno, se pensate di avere qualcuno alla sua altezza»
«Oh, sì» il sorrisetto enigmatico di Elodie aleggiò solo per un istante prima di sfumare, come se non fosse mai esistito
«E chi è?»
«È un segreto, Emma. E tanto non possiamo neanche scriverlo sul cartellone, finché non sapremo se anche Mika è dei nostri. La grafica del poster è pronta, ma sapremo se Mika è dei nostri solo fra tre giorni»
«Si fa attendere il ragazzo, eh? Molto primadonna»
«No, è che abbiamo mandato un uomo a convincerlo. E prima di convincerlo deve trovarlo, ma lui è sicurissimo di poterlo fare».
Emma bevve un piccolo sorso di birra, poi addentò il calzone caldo, il cui profumato interno ripieno di prosciutto e formaggio filante era rovente.
«Va bene» Disse, quando ebbe finito di masticare «Me ne faccio una ragione. E poi sono veramente curiosa di conoscerlo, questo Mika»
«Io ora devo andare» Elodie si alzò in piedi «Goditi la tua colazione, Emma. Offre la casa»
«Grazie, Elo»
Emma mangiò con calma il calzone e il dolce, una corposa fetta di cheesecake spolverata di granella di mandorla, poi si disse che doveva smaltire le calore extra e si diresse verso la palestra, correndo a passo leggero (spingere troppo non era una buona idea dopo mangiato) per i tre chilometri che speravano il Suave dal suo posto preferito per allenarsi, la Shark Gym.
Sul tetto della palestra c’era uno squalo di vetroresina dall’aria scossa, più un pesce fuor d’acqua che un grande predatore, che gli abituali clienti chiamavano affettuosamente “Pescetto”. Emma si accorse che qualcuno aveva vandalizzato Pescetto: sul suo fianco grigio campeggiava la scritta “KLAN!” in bianco.
«Si sa chi è stato?» Domandò alla receptionist «La scritta su Pescetto, intendo»
«Mah, dei tizi con i passamontagna neri e le mutande bianche e basta» rispose la donna, che si stava smaltando le unghie
«Li avete beccati con le telecamere?»
«No, l’hanno fatto in pieno giorno: si sono arrampicati sulla facciata del palazzo a mani e piedi nudi. Pazzi esibizionisti»
«Ah. Ok. Ci vediamo dopo, Alba!»
«Buon allenamento, Emma».
Emma scese le scale per andare in sala pesi. Aveva voglia di sudare un po’ spostando roba pesante. Mentre si avvicinava alla macchina della leg press, vide Alessandro Cattelan (tutti i pugili underground lo conoscevano, e lei non faceva eccezione) che urlava contro un ragazzo altissimo e ricciolino dall'aria timida. Il suo istinto di protezione venne fuori come un’orsa dalla tana.
«Cattelan!» Gridò con voce imperiosa, avvicinandosi a grandi passi «La finiamo di bullizzare i novellini, eh?!».
Alessandro sobbalzò, abbracciandosi il torso.
«Emma! Oh, sei tu…» Disse, calmandosi «Questo qua non è mica un novellino, poi non è che io lo bullizzo, è che non vuole fare le cose, tira, molla… sono il suo manager, eh»
«È perché sei il suo manager che lo devi trattare bene, Cattelan. E poi, a me pare un novellino»
«Ma che novellino! Questo qua è Mika!».
E invece sono guerrieri.
Emma Marrone era un pettirosso, metaforicamente parlando: una donna abbastanza bassa, bella, con dolci occhi scuri. In pochi, guardandola, avrebbero capito con chi avevano davvero a che fare.
Il primo arresto era arrivato mentre era ancora studentessa. Niente di violento: la polizia era intervenuta per mitigare la situazione durante un picchetto, un’occupazione di protesta che Emma ed altri studenti si rifiutavano di sgombrare. Era stata rilasciata poco dopo, anche grazie all’intervento della preside, arrivata in centrale per intercedere per i suoi studenti, ma Emma aveva capito una cosa molto importante su di sé: non aveva paura di fare quello in cui credeva, anche quando questo sollevava un bel polverone.
I suoi voti non scesero lei continuò ad amare ed ascoltare i suoi genitori, ma presto il nome di Emma Marrone iniziò ad essere associato alle rivolte e non solo quelle studentesche… se c’era da aiutare operai sottopagati, da rovesciare camion, da occupare fabbriche di compagnie crudeli, Emma era sempre lì in prima fila, con il pugno alzato e la voce spiegata, a gridare più forte dei megafoni e delle sirene della polizia. Ovviamente c’erano state anche delle risse e Emma non si era certamente tirata indietro, anche se le prime volte le aveva prese di brutto.
Tornava a casa con i lividi sugli zigomi, il naso sanguinante, le mani graffiate dal selciato su cui era caduta, e cercava di nascondere come poteva le ferite dagli occhi dei suoi genitori e di suo fratello.
«Emma» Le disse un giorno suo padre «Devi imparare a combattere. Non ti dico di smettere di fare a botte, ma almeno smetti di prenderle». E l’aveva iscritta in palestra, ad un corso di boxe.
Dopo qualche mese, la donna aveva smesso di perdere le risse: era un talento naturale e si applicava alla disciplina anima e corpo. Per questo Marracash l’aveva notata e le aveva chiesto di iscriversi al suo torneo underground, il Luna Loca.
«Le pugilesse, in eventi come questo, sono una cosa rara, esotica» Le aveva spiegato, appoggiandosi alle corde del ring della palestra «E tu sei già famosa. Ti sei battuta alla fabbrica, giù all’azienda Grillo, hai fatto a botte con gli uomini, queste cose attirano la gente, ti verranno a vedere»
«Non sono un fenomeno da baraccone» rispose Emma, asciugandosi la fronte «E fra poco Francesca risale sul ring, perciò è meglio che te ne vai. Dobbiamo fare sparring»
«Non sei un fenomeno da baraccone» ripeté Marracash, con lentezza
«Sì, te l’ho detto io. Smamma!»
«Però puoi essere un esempio. Un’apripista per le altre ragazze che vogliono partecipare al torneo. Saresti la prima donna a salire sul ring del mio locale, fino ad ora nessuna ne ha avuto il coraggio».
Emma si concentrò sull’uomo, aggrottando le sopracciglia
«Nessuna donna?» Domandò
«Nessuna» confermò Marracash, scuotendo flemmaticamente la testa
«E allora contro chi combatterei?»
«Contro Massimo Biella. Lo conosci?».
Gli occhi di Emma si illuminarono: certo che lo conosceva! Massimo Biella, detto il Fascio Pariolino, metà fighetto e metà fascista, conosciuto per essere quello che tirava mattoni contro i ragazzini alle manifestazioni studentesche, famoso anche come sempiterno toccaculi e imbucato a qualunque festa, contrario alla legalizzazione della marijuana (per far contento il papà, si capisce) ma con il naso spesso imbiancato (e non di zucchero).
«Accetto!» Aveva esclamato Emma, togliendosi con i denti un guantone per dare la mano a Marracash.
Così era iniziata la sua collaborazione con il Suave e la sfila di partecipazioni al Luna Loca. Lei non faceva mai parte del torneo principale, ma disputava dei match che avevano lo scopo di attrarre pubblico. Comunque, non le interessava vincere trofei, ma solo picchiare i fascisti, come da contratto: Marracash le doveva trovare ogni volta un fascista diverso e sul ring salivano sempre questi tizi con i capelli rasati, tutti tatuati con svastiche, croci celtiche e facce di Mussolini, attirati dall’idea di poter picchiare una donna selvaggiamente senza conseguenze legali. Di solito Emma ci metteva meno di dieci minuti per mandarli all’ospedale e se loro giocavano sporco, lei faceva anche di peggio.
Questi match erano chiamati “la Mattanza del Fascio”. Le cose erano andate avanti così per dieci anni, ma le cose stavano per cambiare…
Quella mattina, Emma si era recata al Suave per due motivi: il primo era fare colazione e il secondo per scoprire chi sarebbe stato il suo avversario al prossimo torneo Luna Loca. Mancavano solo sei giorni alla fatidica data e le sarebbe piaciuto sapere come prepararsi.
Dentro il Suave, quasi tutte le luci erano spente e gli avventori non c’erano; al loro posto, loschi scommettitori parlavano con Marracash, seduti ad un tavolo di metallo mentre mangiavano uova e bevevano vari tipi di alcolici. Il locale era ufficialmente chiuso (l’orario di apertura erano le 19:00), ma gli amici e colleghi dei proprietari si ritrovavano spesso a fare colazione lì.
«Oh, Emma!» Salutò Marracash «Buongiorno! Elodie sta arrivando, ti deve dire una cosa sul Luna Loca!»
«Non mi fai neanche sedere» scherzò Emma, in piedi «E già deleghi a qualcun’altra! Ah, voi maschi!».
Marracash sorrise alla battuta, ma subito dopo distolse lo sguardo, come se volesse evitare di continuare quella conversazione. Emma si sedette ad un tavolo vuoto e accavallò le gambe. Un cameriere grazioso, con i capelli verdi pettinati all’indietro e un orecchio adornato da sette anellini argentati, le si avvicinò celere.
«Cosa prende per colazione, signora?» Le domandò servizievole
«Una birra, un calzone al prosciutto, qualcosa di dolce per favore» rispose Emma «Ah, Nicky, ma la birra alla spina. E non quella dell’altra volta, che sapeva di alito del mattino, grazie»
«Arrivano subito!».
Nicky il cameriere sparì come una donnola nelle misteriose cucine. Emma sapeva che in realtà lì dietro non si cucinava proprio niente, ma ci si limitava a scongelare i prodotti, dolci o salati che fossero, che venivano forniti al Suave da altre ditte, di solito ristoranti.
«Emma, sempre che guardi la cucina!» Esclamò una voce familiare, femminile
«Elo! Ma te lo sai che io ho sempre fame. I muscoli mica possono stare a digiuno, eh!» rise Emma.
Elodie avanzò verso di lei con eleganza, a testa alta. I lunghissimi capelli lisci, raccolti in una cosa bassa, le accarezzavano la schiena come la pigra coda di un gatto. Nonostante quella mattina indossasse vestiti molto semplici, la felpa di una tuta di acetato rosa e un paio di jeans neri aderenti, la sua bellezza e naturale precisione del suo passo attirarono l’attenzione degli scommettitori, che smisero di parlare e si misero a fissarla finché non si schiarì rumorosamente la gola.
Elodie si sedette al tavolo di Emma.
«Dobbiamo parlare del Luna Loca» Le disse, senza giri di parole
«Sì, certo, sono qui per questo» rispose l’altra «Oh, ma che faccia scura che c’hai. E Marra non mi vuole manco dire niente, che succede?»
«Succede che quest’anno tu non combatti. Non avrai un match»
«Cosa? Stai scherzando? E me lo dici solo ora che mancano sei giorni? Se me lo dicevi prima mi risparmiavo di allenarmi come una deficiente e fare tutti i conteggini di calorie per mettermi così tanto in forma per il torneo, me ne andavo al mare e mangiavo la parmigiana di mamma invece di...»
«Non è colpa nostra, cause di forza maggiore: l’avversario che si era fatto avanti si è ritirato. Abbiamo provato a rintracciarlo, ma sembra che abbia avuto guai seri con la legge e se ne sia andato in Sud America. È scappato, con la coda fra le gambe»
«Vabbè, quindi… niente. Non posso fare niente, no? Aspetta! Non mi avevi detto l’altro ieri che il torneo principale aveva ancora un posto vacante?»
«Sì. Ma tu non hai voluto fare il torneo, Emma»
«E quest’anno lo voglio fare. Che faccio, spreco l’allenamento? Neanche per idea!»
«Mi dispiace, Emma…»
«Che c’è? Anzi, chi c’è?»
«Nessuno ancora»
«E allora? Segnami a me e ci provo. Dài, magari non lo vinco, ma mi diverto un poco! Mi stavo pure iniziando a seccare di pigliarmela sempre con gli scarsi…»
«Il fatto è che potremmo avere un’occasione unica, Emma. Non possiamo lasciarcela sfuggire».
Emma appoggiò i gomiti al tavolo, senza dire nulla, pensierosa. Arrivò il cameriere Nicky, le servì la colazione e se ne andò come se avesse avuto fretta.
«È Mika» Spiegò Elodie «Potrebbe unirsi al torneo. Non ne siamo ancora certi, ma dobbiamo sperare che lui accetti»
«E se non accetta posso combattere io al posto suo?»
«Certo, Emma, ma ti avverto: quest’anno siamo davvero riusciti a contattare i migliori. Non hai molte chance di farcela»
«E sono contenta così» rise Emma, rilassandosi di nuovo contro lo schienale della sedia «Ammazza, oh! Mika! Il Fulmine di Beirut, intendi?»
«Proprio lui»
«Dovete avere pugili proprio bravissimi quest’anno, se pensate di avere qualcuno alla sua altezza»
«Oh, sì» il sorrisetto enigmatico di Elodie aleggiò solo per un istante prima di sfumare, come se non fosse mai esistito
«E chi è?»
«È un segreto, Emma. E tanto non possiamo neanche scriverlo sul cartellone, finché non sapremo se anche Mika è dei nostri. La grafica del poster è pronta, ma sapremo se Mika è dei nostri solo fra tre giorni»
«Si fa attendere il ragazzo, eh? Molto primadonna»
«No, è che abbiamo mandato un uomo a convincerlo. E prima di convincerlo deve trovarlo, ma lui è sicurissimo di poterlo fare».
Emma bevve un piccolo sorso di birra, poi addentò il calzone caldo, il cui profumato interno ripieno di prosciutto e formaggio filante era rovente.
«Va bene» Disse, quando ebbe finito di masticare «Me ne faccio una ragione. E poi sono veramente curiosa di conoscerlo, questo Mika»
«Io ora devo andare» Elodie si alzò in piedi «Goditi la tua colazione, Emma. Offre la casa»
«Grazie, Elo»
Emma mangiò con calma il calzone e il dolce, una corposa fetta di cheesecake spolverata di granella di mandorla, poi si disse che doveva smaltire le calore extra e si diresse verso la palestra, correndo a passo leggero (spingere troppo non era una buona idea dopo mangiato) per i tre chilometri che speravano il Suave dal suo posto preferito per allenarsi, la Shark Gym.
Sul tetto della palestra c’era uno squalo di vetroresina dall’aria scossa, più un pesce fuor d’acqua che un grande predatore, che gli abituali clienti chiamavano affettuosamente “Pescetto”. Emma si accorse che qualcuno aveva vandalizzato Pescetto: sul suo fianco grigio campeggiava la scritta “KLAN!” in bianco.
«Si sa chi è stato?» Domandò alla receptionist «La scritta su Pescetto, intendo»
«Mah, dei tizi con i passamontagna neri e le mutande bianche e basta» rispose la donna, che si stava smaltando le unghie
«Li avete beccati con le telecamere?»
«No, l’hanno fatto in pieno giorno: si sono arrampicati sulla facciata del palazzo a mani e piedi nudi. Pazzi esibizionisti»
«Ah. Ok. Ci vediamo dopo, Alba!»
«Buon allenamento, Emma».
Emma scese le scale per andare in sala pesi. Aveva voglia di sudare un po’ spostando roba pesante. Mentre si avvicinava alla macchina della leg press, vide Alessandro Cattelan (tutti i pugili underground lo conoscevano, e lei non faceva eccezione) che urlava contro un ragazzo altissimo e ricciolino dall'aria timida. Il suo istinto di protezione venne fuori come un’orsa dalla tana.
«Cattelan!» Gridò con voce imperiosa, avvicinandosi a grandi passi «La finiamo di bullizzare i novellini, eh?!».
Alessandro sobbalzò, abbracciandosi il torso.
«Emma! Oh, sei tu…» Disse, calmandosi «Questo qua non è mica un novellino, poi non è che io lo bullizzo, è che non vuole fare le cose, tira, molla… sono il suo manager, eh»
«È perché sei il suo manager che lo devi trattare bene, Cattelan. E poi, a me pare un novellino»
«Ma che novellino! Questo qua è Mika!».
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