lunedì 29 ottobre 2018

Sunset 71 - Serata Karaoke parte 1



Avevo telefonato a papà per fargli sapere che ci saremmo trattenuti più a lungo per la serata karaoke e lui era apparso fin troppo comprensivo, persino contento per me. Per una volta avrei voluto che mi dicesse «No, è troppo tardi Belarda! Devi tornare a casa, non tollero ritardi!», così almeno non avrei dovuto sorbirmi la serata karaoke. Lo sapevo che avrebbero cercato di costringermi a cantare di fronte a degli estranei e che io avrei dovuto impuntarmi con furia per riuscire a respingerli e... oh, insomma, non amavo le serate karaoke. Finché cantavano gli altri era ok, ma a me proprio non andava.

Jessica aveva fatto guidare Mike fino ad un bar che non avevo mai visto, di cui non avevo mai sentito parlare e per cui mi chiedevo come avesse fatto a rimanere segreto dentro ad una città piccolina come Forks.

Quando ci eravamo presentati alla porta del locale, tutti ci avevano guardati come si guarda il fuorilegge con il cappello nero e le pistole d'argento che entra in un saloon. In effetti non avevano tutti i torti.

«Mi dispiace» Mimai con le labbra, girandomi verso il wrestler.

Lui sollevò un pollice con aria poco convinta. Perché stava ancora con noi, un gruppo di adolescenti in un bar pronti ad una serata karaoke? Niente lo stava costringendo. Eppure non ci mollò neppure per un secondo.

Non ci mollò quando Angela si mise a ballare Get Lucky insieme ad Eric (che non era una ragazza, come quelle che Jessica ci aveva assicurato che sarebbero state lì, ma era presente pure lui) e non ci mollò quando arrivò un ragazzo del primo anno che cercò di corteggiare tutte le ragazze presenti, compresa me (che mi rovesciai addosso un bicchiere d'acqua) e neppure quando vide che proprio non ce la faceva puntò i ragazzi e alla fine litigò con Eric. Eric era la star della serata: imbranato quasi peggio di me, ma con una voglia di divertirsi infinita. Era trascinante.

Insomma, ce ne stavamo lì a sentire altri giovincelli stonare sulle note di canzoni più o meno famose, poi una donna del personale indicò il nostro tavolo

«È il vostro turno» ci disse, amichevole e professionale al punto giusto.

«Finalmente il mio momento di brillare!» Gridò Eric, aprendo le braccia e saltando su «La prima canzone è mia!».

Inciampò due volte avvicinandosi al palchetto, rise incontrollatamente causando sollevamenti collettivi di sopraccigli e finalmente riuscì ad avvicinarsi al microfono.

Lo schermo di fronte a lui si illuminò con il titolo della canzone. Erano canzoni casuali, come richiesto da Jessica, che aveva preventivamente composto una playlist per il nostro gruppo e aveva richiesto che venisse randomizzata. Quella di Eric era "Hung Up" di Madonna e lui iniziò a cantarla in falsetto, ma con voce stranamente melodiosa.

«Ehi» Mi sussurrò Jessica, dandomi un colpetto con il gomito «Sei pronta?»

«C-cosa? Io non canto, Jess»

«Come il tuo grosso amico silenzioso?» lei scosse la testa, poi fece il suo sorriso-sogghigno di sfida «Scommetto cinquanta dollari che faccio cantare entrambi»

«Beh, mi fai fare soldi facili. Nessuno di noi due canterà. Scommetto volentieri».

"Every little thing that you say or do
I'm hung up
I'm hung up on you
Waiting for your call
Baby night and day
I'm fed up
I'm tired of waiting on you".

Mike stava rotolando dalle risate nel guardare Eric che cercava di imitare le movenze "seducenti" di Madonna, sculettando al ritmo della canzone mentre la intonava in falsetto.
Ci mettemmo tutti a battere le mani a tempo. Eric allargò le braccia.

"Time goes by so slowly
Time goes by so slowly
Time goes by so slowly
"

Eric scese dal palco mentre tutti fingevamo di scioglierci dall'emozione per il ritorno della rockstar. La seconda a salire sul palco fu un'amica comune di Angela e Jessica di cui non ero ancora riuscita a memorizzare il nome, ma che portava occhiali così spessi che dubitavo avrebbe potuto vedere il testo sullo schermo se se li fosse tolti e per giunta aveva un braccio ingessato. Perseguitata dalla sfortuna, mentre si girava per salire sul palchetto notai che aveva anche un buco sulla maglietta.

Il titolo che comparve per lei fu "Blurred Lines".

«Ma io non la conosco!» Si lamentò lei. Sfortunatissima.

«Canta lo stesso!» Gridò Jessica, accolta da un coro di "Yeaaah! Cantaaa!".

Ovviamente non riuscì ad andare a tempo, stonò terribilmente e mi ricordò perché odiavo le serate karaoke. Non volevo che mi capitasse quello che stava capitando a lei.

Nel frattempo Jessica stava contrattando qualcosa, a voce bassissima, con Undertaker. Non riuscivo a sentire cosa si stavano dicendo, i loro sussurri erano coperti dagli strilli stonati della ragazza sfortunata, ma Jessica sembrava molto determinata.

«Lascialo in pace!» Esclamò Mike, tirando via Jessica «E guarda me, adesso».

Le fece un occhiolino. Aspettò che la ragazza sfortunata scendesse dal palco (la canzone era finita) e salì con movenze finto-atletiche per poi scoccare un sorriso catturacuori al suo pubblico. Eric fece un versetto e gridò «Oh, c'è Maaa iii kkk».

Tutti ridemmo. Sullo schermo comparve il titolo "Candy Man". Mike allargò le gambe, si passò una mano fra i capelli lentamente e poi indicò Jessica

«Questa canzone è per te, Baby!»

«Ma io non sono un uomo!»

«Cambierò il testo per te, Baby».

"Tarzan and Jane were swingin' on a vine
Candy
girl, Candygirl
Sippin' from a bottle of vodka double wine
"

Mike fece una giravolta su sé stesso prima di sussurrare seducente nel microfono «Sweet, sugar, candy girl».

Mi misi a ridere, mentre Jessica si faceva aria con la mano e batteva le palpebre lentamente. Metà del locale applaudì l'apertura della performance.

"I met her out for dinner on a Friday night
She really had me working up an appetite
She hadn't tattoos up and down his arm
There's nothing more dangerous than a girl with charm
She's a one stop shop, makes the boxers drop

She's a sweet-talkin', sugar coated candy girl
A sweet-talkin', sugar coated cand
y girl".

Mike era così a suo agio in queste cose flirtose. Io mi sentivo in imbarazzo pure per lui... non avrei mai potuto fare le stesse cose che stava facendo lui al microfono. Ed ecco perché ero sicura che me ne sarei tornata a casa con cinquanta dollari di più in tasca. E poi ero sicura che Taker non mi avrebbe tradita: non avrebbe mai cantato. Anche se adesso stava battendo il piede a tempo... ma come biasimarlo? Mike era travolgente, magari non intonatissimo, magari non con una voce da urlo, ma diamine se ci metteva l'anima.

"She got those lips like sugar cane
Good things come for boys who wait"

«Cose buone» Mi sussurrò Jessica «Arrivano a quelli che aspettano. Tipo cinquanta dollari»

«Non li vincerai mai» alzai il mento

«Staremo a vedere, Cigna. Staremo a vedere».

Mike fece un moonwalk strascicato mentre cantava. Un moonwalk. Anche se non c'entrava niente con la canzone. Quando scese dal palco, Jessica si alzò e lo baciò sulle labbra, lì di fronte a tutti. Per non doverli guardare, imbarazzata, girai la testa e notai che non ero l'unica: c'era qualcun altro, apparentemente, timido quanto me. Undertaker, ovviamente.

Gli feci un timido sorriso, come a dire "siamo sulla stessa barca". Dopo mi sentii immediatamente stupida... certo che non eravamo sulla stessa barca! Lui era un uomo adulto, che si era fatto una famiglia tutta sua, che era dannatamente famoso e per giunta abituato a combattere e a parlare di fronte a folle immense, era da escludersi che fosse timido quanto me. Forse era semplicemente infastidito da tutti quei ragazzini, magari aveva distolto lo sguardo perché stava pensando a qualcos'altro.

E poi anche lui ricambiò il sorrisetto, stringendosi nelle spalle.

Mike mi afferrò d'improvviso una spalla, costringendomi a guardarlo

«Sono fico, eh?»

«Certo, Mike» quasi balbettai.

Poi fu il turno di Jessica, che provò a trascinarmi sul palco con la forza: mi afferrò per un braccio e tirò. Riuscì a malapena a farmi alzare dalla sedia, ma non appena allentò un attimo la presa crollai di nuovo seduta.

«Non ci riuscirai» Dissi «E la tua canzone sta iniziando. Goditela».

Jessica sbuffò e scosse la testa

«Non sono abituata a perdere. Ho anche vinto Mike, è il mio premio»

«Vinto Mike? In che sen...»

«Si. Lo so che gli piacevi tu» sussurrò lei, interrompendomi velenosa «Lo so che gli piaci ancora. Ma lui è mio, non sarà mai tuo»

«Lo so» replicai piano, arrendevole

«Lo so che lo sai. Non ce l'ho mica con te» mi afferrò per un polso e mi tirò, ma ero così spaventata all'idea di poter litigare con la mia migliore amica per colpa di un ragazzo che non riuscii ad oppormi come speravo e fui trascinata sul palchetto «L'ho detto solo per indebolirti e portarti a cantare»

«No! Non canterò!» esclamai, ma senza troppa forza.

Oddio, mi guardavano tutti. Eric, Angela, Mike, la ragazza sfortunata, il ragazzo strambo del primo anno e altra quattro ragazzine che non conoscevo. E Undertaker, che se ne stava dietro le due file dei miei compagni di classe... grosso, enorme, svettava come un obelisco minaccioso. E mi guardava.

Decisi che non avrei mai cantato di fronte a lui. Mai e poi mai.

La canzone era Under Pressure, la stessa che nel 1981 fu cantata in duetto da Freddie Mercury e David Bowie. Io mi sentivo senza dubbio sotto pressione, perciò il titolo era azzeccato, ma non ero all'altezza di nessun cantante, figuriamoci di quei due!

Jessica mi cinguettava intorno, cercando di spingermi ad aprir bocca. Lei era piuttosto intonata, perciò se mai avessi ceduto avrei fatto una figura orribile al suo confronto.

"Pressure pushing down on me
Pressing down on you, no man ask for
Under pressure that burns a building down
Splits a family in two
Puts people on streets"

«Ti prego» Sussurrai

«Canta. Oppure ti guarderanno tutti stare muta e ferma» replicò lei, prima di lanciarsi in una stranamente appagante imitazione di Freddie Mercury.

"It's the terror of knowing
What this world is about
Watching some good friends
Screaming, "Let me out!"
Tomorrow gets me higher, higher, higher...
Pressure on people - people on streets"
Mi guardavano tutti. E io ero lì, imbarazzata e con le guance in fiamme, dritta in piedi e rigida come un bastone di scopa, le labbra serrate. Eric stava ridendo, indicandomi discretamente da sotto il tavolo. Ma io potevo vederlo comunque. E poi Mike batteva le mani a tempo e sorrideva, divertito. Diverse persone che non conoscevo stavano ridendo piano nel vedere quello spettacolo (sinceramente esilarante) in cui una ragazza (Jessica) stava girando intorno ad un altra e cantando con sentimento, mentre quella ferma (io) non faceva assolutamente niente a parte avere un'aria stupida.

A questo punto, l'unica possibilità che avevo di salvare il mio onore giovanile era quello di iniziare a cantare benissimo, meglio di Jessica, meglio di David Bowie e Freddie Mercury e magari anche Lady Gaga messi insieme, in modo da dare una lezione a tutti quelli che stavano ridendo di me. Se fosse stato un film, mi sarei sciolta i capelli (ma avevo i capelli già sciolti, quindi non potevo farlo), avrei afferrato con grinta il microfono e mi sarei scatenata trasformandomi in una diva sexy del karaoke, con movenze sinuose da serpente e una voce tipo incrocio Gianna Nannini/Tina Turner.
Ma questo non era un film. Questi eventi potevano considerarsi a malapena una fanfiction, probabilmente un capitolo fanservice. Io non ero abbastanza cool da essere la protagonista di un film.

«Woohoo, Belarda!» Esclamò Mike, alzando i pugni in aria «Che interpretazione da urlo del manico di scopa!».

Mi disconnessi, ebbi una specie di stato dissociativo. La vergogna era troppa.

Quando tornai in me ero di nuovo seduta al posto e seppi che avevo cantato. Mi coprii la faccia con le mani.

«Sei un'amica pessima» Mormorai, nascosta dietro le dita

«Non è vero» Jessica mi scosse per una spalla, ridendo «Ti sei divertita! E non sei niente male a cantare!»

«Faccio schifo, invece. E le vere amiche non fanno quello che hai fatto tu»

«Tu hai accettato la scommessa. E io vinco sempre».

Abbassai le mani, inspirando a fondo

«Non hai ancora vinto quei soldi» dissi, determinata «Non riuscirai mai a fare cantare lui»

«Staremo a vedere...»



domenica 28 ottobre 2018

Sunset 70 - Ritorno al film, un segreto da svelare?



Quando sgattaiolai al mio posto, Mike mi lanciò un'occhiataccia terribile. Mi sentii arrossire.
«Scusa» Mimai con le labbra, incassando la testa fra le spalle.
In risposta, lui mimò un «Ti uccido!» prima di ritornare a fissare lo schermo.
Non avrei saputo dire se il resto del film fosse stato mediocre oppure no, perché avevo la testa altrove. Ripensavo alla nostra vittoria sulle vampire, al fatto che i Volturi ci avevano inviato delle spie, ai poteri di un negromante. Pensavo alla possibilità di un esercito di morti e ci pensai così tanto e così intensamente che finii per spaventarmi dei miei pensieri e mi affrettai a ragionare su qualcos'altro.
Guardai i miei amici. Mike sembrava davvero molto assorbito dal film, con le labbra assottigliate e il collo piegato un po' in avanti. Jessica era più annoiata, giocherellava con un pop corn e di quando in quando se lo lanciava da una mano all'altra.
Undertaker stava rilassato, appoggiato contro lo schienale, con un approccio piuttosto neutro nei confronti del film: non sembrava divertito né annoiato. La luce cangiante dello schermo che si rifletteva sulla sua faccia seria lo faceva sembrare surreale e pericoloso.
Un negromante. Non potevo smettere di pensarci.
Quando finalmente uscimmo dalla sala, inspirai a fondo. Il cielo era nero come inchiostro, l'aria fresca. Non ero riuscita a godermi per niente la proiezione.
«Che figata, eh?» Domandò Mike, dandomi una pacca su una spalla non appena mi ebbe raggiunta «Non te l'aspettavi che un film dell'Asylum potesse essere così figo, vero?».
Che ne sapevo io dei film dell'Asylum?i averne mai visto un altro in vita mia. Sorrisi nervosamente, ma lui si accorse subito della mia patetica finta
«Non ti è piaciuto?» chiese, rattristandosi immediatamente «Dovevo scegliere un film migliore. Una cosa più cupa, magari, penso che fosse possibile scegliere un horror, non mi ricordo bene quale. O forse non hai capito bene le scene finali perché a metà film eri fuori e...»
«Le è piaciuto» lo interruppe la voce profonda di Undertaker «Sta solo pensando a qualcosa che le ho detto»
«Ah» Mike parve immediatamente nervoso e si fece piccolo piccolo (come se non fosse già un nano di fronte alla mole mostruosa del wrestler) «E che cosa le hai detto?»
«Una cosa molto personale».
Senza aggiungere altro, Taker ci superò con il suo passo lungo e si infilò di nuovo in macchina, seguito da Jessica che gli stava chiedendo consiglio, mi parve, sul colore adatto di smalto per le unghie da abbinare alle scarpe che avrebbe portato ad una festa prossima.
«Jessica ha un fegato grosso come un bisonte» Commentò Mike, raddrizzandosi «Voglio dire, come fa a... a... parlargli così?»
«Ha un fegato grosso come un bisonte» confermai «Non ha paura di niente»
«Che ti ha detto l'Undertaker?»
«Una cosa molto personale» confermai «E sono un poco distratta perché continuo a pensarci»
«Ti ha detto, tipo, che ti vuole in WWE?» parve speranzoso «E in tal caso, posso venire come tuo compagno di tag team?»
«Anche se fosse» ridacchiai «Non credo che possa assumere gente»
«Che ne sai? È una leggenda, magari se ti consiglia...»
«Non sto neanche in piedi, Mike. Faccio schifo come sportiva»
«Quindi che ti ha detto?» insistette lui, spalancando gli occhi come un gufo
«Una cosa che non ti riguarda!» sbottai, per poi aggiungere «Anche se capisco la curiosità. Ma ora andiamo in macchina, salviamolo dalla chiacchiere di Jessica, ti pare?»
«Già. Ormai ne avrà abbastanza di rosso carminio e di rosa sfavillio, di perla graziosa o di qualunque altra cosa vi mettiate sulle mani voi donne...»
«Ehi! Ci sono anche maschi che si mettono lo smalto! E io» alzai una mano per mostrargli le falangi «Non me le faccio le unghie»
«Francamente non ho mai visto un uomo farsi le unghie di rosa sfavillante. Nere. Blu. Ma rosa sfavillante?».
Quando rientrammo in macchina, Jessica stava mostrando tutti i cosmetici che aveva nella borsetta ad Undertaker, che aveva la stessa identica faccia neutra che aveva tenuto per tutta la visione del film. Non annoiato, ma neanche interessato. Probabilmente stava proiettando qualche incontro interessante dentro il suo cervello e se lo stava godendo.
«Io dico che non dovresti mai mettere il carminio con il giallo limone» Disse all'improvviso.
Ops, non stava proiettando un incontro dentro il suo cervello.
«Jessica, lascialo in pace!» Esclamò Mike, mettendo in moto la macchina «È un wrestler, che vuoi che gliene freghi dei trucchi?»
«Senti, Mike» replicò Jessica, divertita «Hai presente che la settimana scorsa siamo andati al Bella Italia a mangiare?»
«Si, certo che me lo ricordo»
«E ti ricor... ah, lasciamo perdere» Jessica fece un gesto con la mano «Non capiresti»
«Cosa? Cosa non capirei?»
«Lascia stare»
«Eddai! Ora me lo devi dire»
«Sono curiosa anche io adesso» mi intromisi «Che è successo al Bella Italia fra voi due?»
«Niente, abbiamo mangiato insieme» mi spiegò Mike, ruotando lo sterzo per imboccare un'altra strada «Non capisco che c'entra Undertaker»
«Io non c'ero, comunque» ci tenne a chiarire il wrestler
«Dai, Jessica!» la pregai «Che volevi dire?».
Io e Mike continuammo a pregarla di svelarci quello che aveva iniziato a dire per almeno una dozzina di minuti, ma lei fu irremovibile. Era molto più brava di me a rimanere ferma sulla sua idea, non c'era che dire.
«Ve lo dico» Disse lei alla fine «Se venite con me alla serata karaoke»
«D'accordo» disse Mike, di slancio «Quando?»
«Stasera»
«Come stasera?»
«Stasera. Con Angela e un altro paio di ragazze. Se fate con me la serata karaoke, vi svelo il mio segreto» lei fece l'occhiolino.
Mike mi guardò. Io deglutii. Una serata karaoke improvvisata?
«N-no?» Dissi con voce tremante «E poi mica ci possiamo portare dietro Undertaker?»
«Io non canto» dichiarò serio il wrestler
«Visto?».
Jessica sogghignò. 
 


lunedì 22 ottobre 2018

Portali di Miomarto



"«Oh mio Dio…» September toccò i bordi del buco nero, poi infilò una mano nella voragine, rabbrividì, continuando a sorridere felice, e la estrasse «… Un Portale di Miomarto, un varco spazio-temporale. Tecnicamente non è possibile che una cosa del genere esista, Miomarto ha dimostrato soltanto due volte che è possibile utilizzare i Portali, ma quelli attuali, sotto la custodia dei maghi, che sono gli stessi che lui utilizzò in pubblico, non sembrano funzionanti. Sono... leggenda. La formula per attivarli è segreta, il principio di funzionamento è... impossibile da capire» deglutì due volte, poi si passò una mano sulla faccia, la stessa che prima aveva infilato nel portale «Ma questo... è già attivo, non è così?»"
-Da "Urban Legends"
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La magia non è che un elemento della natura, come lo è la materia, la luce, la combustione o il tempo, ma può interagire con ciascuno di essi per manipolarlo. Se è cosa comune, tra i maghi di tutto il mondo, utilizzare la magia per creare o incanalare la luce, dare inizio ad una combustione o cambiare forma e consistenza della materia, non altrettanto spesso avviene invece la manipolazione del tempo, considerata assai difficile e fondamentalmente pericolosa.
Per viaggiare attraverso il tempo sono necessarie formule complicatissime all'interno delle quali devono essere incorporate nozioni matematiche di alto livello, e queste formule vanno attualizzate attraverso il disegno di cerchi magici incredibilmente complessi, che possono richiedere dalle nove alle quarantasei ore di lavoro solo durante il processo di disegno, inolte l'energia del mago che attiva tali cerchi magici viene prosciugata fin quasi alla morte... o oltre.

La rivoluzione di Miomarto
Alberico Ziomanno Miomarto (1919-2000), geniale inventore italiano, fu il primo nonché unico mago capace di creare un sistema di viaggio nel tempo (e nello spazio, perfino tra dimensioni diverse) sicuro per il viaggiatore (ovviamente a patto che non si ficcasse nei guai in un'altra epoca), attraverso un'intuzione geniale: incorporò i cerchi magici in un'apparecchiatura elettronica.
Basta perdere giornate intere per disegnare i cerchi magici! Basta essere prosciugati di energia e morire (o quasi)!
Nel 1935, Miomarto creò dei circuiti elettrici che avevano la forma dei cerchi magici per il viaggio nel tempo e che si attivavano semplicemente grazie al passaggio della corrente. Quanto all'energia magica, che era fondamentale per l'attivazione dei poteri di deformazione spazio-temporale, utilizzò delle semplici batterie ad accumulo magico (o pile ad aura, inventate quasi duemila anni prima da Saadaa dei Serpenti) e fece in modo che queste potessero rilasciare la loro energia ai circuiti.
E così creò degli apparecchi, che chiamò "Portali Analessicronotermogeografici", capaci di aprire dei "buchi" nella realtà attraverso cui passare, in modo assolutamente indolore e senza alcuna conseguenza pericolosa per l'organismo, in altri luoghi o epoche, nel presente, nel passato o nel futuro. Le dimostrazioni di uso pubbliche furono esclusivamente due e nessuna incluse un viaggio nel tempo, ma solo nello spazio; ad ogni modo si dimostrarono efficaci e sbalordirono la comunità magica.
Nonostante la grande richiesta, non furono mai effettuati altri esperimenti pubblici. La motivazione fornita fu "ricaricare le pile ad aura per un simile uso è troppo dispendioso, perciò i portali verranno utilizzati ancora solo in caso di assoluta necessità, per questioni di vita o di morte".

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«Questa è un'idiozia bella e buona…» Vlad si avvicinò alla valigia argentata e iniziò a toccarla, a girarla, tentò perfino di aprirla, ma desistette, forse per paura che quella cosa, quella tecnologia apparentemente aliena, potesse scoppiargli in faccia «September, tu sai per caso come si ricarica una di queste?»
«Ehm...» il mago si avvicinò alla valigia «Questa è una pila ad aura»
«Una pila ad aura?»
«Si» September parve sorpreso, poi ridacchiò sommessamente, guardando Vlad da sotto le sopracciglia e la frangia, con la testa un po’ abbassata «Hai detto che studi magia nera, non puoi dirmi che non hai mai sentito parlare di pile ad aura. Come pensi che funzionasse l’unico anello di Sauron?»
«Ma l’unico anello era grande così» il vampiro misurò, fra indice e pollice, una lunghezza di circa tre centimetri «E aveva la potenza per distruggere una terra. Questa è grande come una borsa!»
«Ecco perché è quasi impossibile ricaricarla. I maghi non ce l'hanno fatta, ci vorrebbe, almeno in teoria, la potenza dell’aura di un milione di anime».

-Da "Urban Legends"
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In seguito la comunità magica iniziò a riferirsi ai portali analessicronotermogeografici semplicemente come "portali di Miomarto". Non furono ripetuti esperimenti pubblici, ma la leggenda vuole che Miomarto usò altre due volte i portali per viaggiare nel tempo prima di morire. 

Le limitazioni
Sebbene straordinari nel loro poteri e "comodi" per il viaggiatore, le meccaniche di funzionamento dei portali di Miomarto rivelano alcune importanti limitazioni. La prima è che una volta arrivati a destinazione è impossibile ritornare da dove si è venuti: il portale non ha due "facce" utilizzabili, una nel luogo di partenza e una nel luogo di arrivo, ma soltanto una, quella alimentata dall'apparecchiatura nel luogo di partenza. Un ipotetico viaggiatore che volesse arrivare, ad esempio, al polo nord una volta passato attraverso il portale e arrivato fra i ghiacci non troverebbe nulla alle proprie spalle, nessun modo per tornare indietro.
Se questo può sembrare non particolarmente drammatico per i viaggi spaziali è invece una conseguenza terribile nel caso di viaggi temporali, perché l'ipotetico viaggiatore non avrebbe alcun modo di ritornare al proprio tempo.
Si è pensato di nullificare questo sgradevole effetto collegando fra loro due portali di Miomarto in modo da avere un'entrata e un'uscita, ma dopo la morte del loro inventore nessuno sempre capace di applicare una simile modifica o anche solo di comprendere interamente il funzionamento delle apparecchiature.
Un'altra limitazione è, ovviamente, quella data dalla quantità di energia che è necessaria per aprire un portale e per tenerlo aperto per un certo tempo. Un mito popolare vuole che sia necessaria la potenza "delle aure di un milione di anime" per ricaricare completamente le batterie dei portali di Miomarto, ma questa è una nozione completamente falsa: nessuno, in tal caso, sarebbe stato in grado di far funzionare queste complesse apparecchiature magiche.
È vero però che la forza vitale di una sola persona non basta per ricaricare le batterie e che Miomarto usò una parte dell'energia magica di settecento volontari, oltre che di sé stesso, per una singola ricarica. I volontari furono in seguito fatti riposare e nutriti abbondantemente e nessuno di loro accusò il benché minimo effetto collaterale.

Cinque portali
È conoscenza comune che i portali creati da Miomarto furono quattro. Oggigiorno, due di loro appartengono al Ministero della Luce, uno appartiene a Lilith e uno è considerato dai più disperso, ma è stato in realtà tenuto segreto dai nipoti di Alberico, Mack e Jack.
Quasi nessuno sa che i portali creati da Miomarto furono invece cinque: un prototipo a basso consumo, che però rischia di uccidere il suo utilizzatore ad ogni attivazione, più i quattro portali conosciuti.
Il prototipo è attualmente conservato dal Ministero dell'Oscurità e il suo utilizzo, considerato troppo pericoloso, non è accessibile a nessuno se non al Custode Nero, che comunque non l'ha mai acceso.

Curiosità:
  • Anche gli aurolupus, creature immuni alla magia, possono attraversare i portali di Miomarto: questo perché i portali agiscono sul mondo circostante e non direttamente sul viaggiatore.
  • Il portale più utilizzato di tutti è quello che appartiene a Lilith, l'unica persona al mondo in grado di raccogliere con regolarità abbastanza energia da farlo funzionare anche una volta al mese.
  • La sperimentazione dei portali, in fase di creazione, non è mai stata fatta su animali, ma solo su esseri umani.

venerdì 5 ottobre 2018

Sunset 69 - Poteri divini



Undertaker scese dalla macchina con cautela e quando tirò con uno scatto indietro la testa il suo collo scricchiolò.
«Tutto ok?» Gli domandai
«Eh, più o meno» lui continuava a passarsi la mano dalla nuca alla base del collo, sotto i capelli lunghi «Almeno Jessica aveva ragione e non c'è gente in giro»
«Capisco. Deve essere una seccatura essere famosi, eh?»
«Non proprio. Ma oggi non ho voglia di incontrare i miei fans, non sono... dell'umore» borbottò.
Entrammo nel cinema e Mike si approcciò all'annoiata ragazza orientale che se ne stava in biglietteria.
«Un biglietto» Disse, con un gran sorriso
«Ma siete in quattro» sbuffò la ragazza, con la faccia appoggiata ad una mano
«Abbiamo già tre biglietti. Ce ne serve solo uno, Carlie»
«Chi è il bestione, Mike?» chiese a voce un po' più bassa la ragazza, mentre stampava un biglietto con l'apposita macchinetta «Ha l'aria di essere un motociclista assassino»
«È un wrestler» spiegò fiero Mike «Uno famoso»
«Ah. Ancora peggio» la bigliettaia passò il pezzetto di carta a Mike attraverso la fessura nel vetro «E ora sgancia i soldi».
Mike si frugò nella tasca posteriore dei jeans e ne trasse alcune monete, che diede alla ragazza, poi passammo attraverso l'ampio atrio e risalimmo una scalinata.
«Sala tre» Fece Mike, indicandoci un cartello con entusiasmo «Entriamo».
Ci infilammo fra cortine rosse di velluto pesante. Dietro di esse ci attendeva un ometto magro e pelato con gli occhiali, che non appena ci vide parlò come un automa.
«Biglietti, prego».
Mike gli diede i biglietti e lui li ridusse in mille pezzi e se li infilò nella tasca. Non mi risultava che si facesse così, ma non mossi alcuna obiezione.
In sala c'erano esattamente quattro persone, di cui due ragazze adolescenti, un uomo di mezz'età con i capelli grigi e crespi e un ragazzo che sembrava la copia molto più giovane del tizio che aveva fatto a pezzi i nostri biglietti.
«Prendiamo la prima fila?» Domandò Mike, entusiasta «Non c'è nessuno!»
«Fate voi» replicò sbrigativamente Undertaker «Io non posso stare in prima fila, sono troppo alto, ostruisco la visuale»
«Oh andiamo!» Jessica fece un risolino, aggrappandosi al suo braccio senza ritegno «Se non c'è nessuno dietro di te, non c'è nessuno a cui puoi ostruire la visuale» e detto questo lo trascinò fino alla prima fila e lo fece sedere accanto a lei.
«Cos'è questa storia?» Mi disse fra i denti Mike, approfittando del fatto che eravamo rimasti indietro «Come mai c'era... c'era... The Undertaker a casa tua?»
«Che c'è, sei invidioso?» sentivo un sorrisone disegnato sulla faccia
«Ma che sei diventata tonta, Belarda? Certo che sono invidioso! Come mai era a casa tua?»
«Che fai, non gli credi? Te l'ha detto, l'hanno chiamato i Quileute. E devono avermelo mandato a casa come una specie di... scherzo. Perché sanno che ho un'adorazione per lui»
«Devo diventare il migliore amico dei Quileute, così mi faranno scherzi come li fanno a te»
«Guarda che ho ancora una scarpa sola» gli feci notare «Sono distrattissima quando c'è quello lì in giro».
Entrambi abbassammo lo sguardo. Lui prese a ridere e dopo qualche istante non potei fare a meno di accompagnarlo. Ridemmo fino alle lacrime, fino a dover aggrapparci alle poltroncine. Come diavolo era possibile? Mi ero dimenticata a casa una scarpa! Mi ero fatta tutto il tragitto da casa a qui senza notare minimamente che mi ero scordata di mettere una scarpa! Neanche Jessica, di solito attenta ai dettagli, l'aveva notato.
«Ci ha fatti scemi» Commentai, scuotendo la testa e cercando di rimettermi dritta.
Alla fine riuscimmo a trascinarci fino alla prima fila. Mi sedetti accanto ad Undertaker, che così era intrappolato fra me e Jessica. Mi sentivo come se una di noi due dovesse prendergli la mano, come un'adolescente con il fidanzatino, da un momento all'altro, e questa cosa faceva montare nuove ondate di ilarità dentro di me, perciò continuavo a sbuffare per trattenere le risate.
Mike si sedette accanto a Jessica e le prese immediatamente la mano. Bene. Adesso se lei avesse afferrato la mano a Taker sarebbero sembrati la catenella degli omini di carta meno regolari della storia degli omini di carta.
Questi pensieri non avevano alcun senso, ma non riuscivo a fermarli e mi veniva dannatamente da ridere. Per fortuna, quando iniziò il film iniziarono a ridere tutti in sala, quindi riuscii a farlo anch'io senza sembrare un'idiota.
L'unico che non rideva era proprio Undertaker. Se ne stava con i pugni stretti, appoggiati sui braccioli della sedia, e avrei giurato che stesse tenendo i denti stretti e la mascella contratta, tipo Edward Cullen quando ci eravamo incontrati durante il mio primo giorno di scuola. Il motivo non poteva certo essere lo stesso, Taker non era un vampiro e non doveva essere particolarmente interessato al mio sangue o a quello di chiunque altro nella sala.
«Tutto ok?» Gli domandai sottovoce quando arrivò la pausa fra il primo e il secondo tempo
«Cosa?» lui mi guardò come se si fosse appena svegliato «Ah, intendi... si, tutto bene» sorrise fugacemente «Vado a prendere qualcosa da mangiare, ho fame».
Si alzò e si allontanò. Mike e Jessica lo imitarono, lasciandomi sola.
Era un bravo bugiardo, non c'era che dire: se non mi fossi accorta del suo disagio continuato durante tutto il primo tempo, con le parole l'avrebbe dissimulato senza impegno. Non me la contava.
Quando ritornò, a tempo record, teneva in braccio il più grosso cartoccio di pop-corn che avessi mai visto fino a quel momento e si era legato i capelli in una coda. Si risedette accanto a me.
«Scusa» Mi disse, sbrigativo e complice insieme «C'erano i tuoi amici, non potevo dire niente, li avrei mandati nel panico. Ora siamo soli noi due»
«Ah. Certo. Quindi...»
«Vedi quelle due ragazzine laggiù?».
Mi sporsi a guardarle: erano normali adolescenti, che stavano approfittando della pausa del film per spettegolare e mostrarsi dei messaggini sui telefoni.
«Si, le vedo»
«Ecco, hanno almeno duecento anni ciascuna e sono vampiri»
«Oh cavoli!» esclamai
«Shhh!» mi intimò lui, poggiando l'enorme cesto di pop-corn sul bracciolo fra di noi «Mangia e fai finta di niente. Non le guardare più»
«Vabbé, sono vampiri, ma... ci dobbiamo preoccupare?»
«Sono spie dei Volturi. Diranno loro che sono qui e i Volturi si attrezzeranno di conseguenza»
«Come fai a sapere che sono spie dei Volturi?»
«La loro macchina è parcheggiata qui fuori, ha una targa italiana e due mantelli neri ripiegati sul sedile posteriore. Sono delle idiote, ma vanno alla grande per la loro funzione: spiarti»
«Sono... italiane?»
«No. Vengono dall'Italia, ma non so se sono italiane. Le hanno mandate i Volturi e sono sicuro che se hanno mandato degli... degli scarti come loro... allora vuol dire che ne hanno mandati tantissimi. Avranno occhi e orecchie dappertutto. Non mi dirai che nessuno di voi li aveva notati, vero?»
«No, nessuno di noi» dissi, reprimendo un brividino «Siamo tutti stupidi...»
«Non siete stupidi, è solo che non siete allenati» mangiò una manciata di pop-corn e rimase in silenzio, a rimuginare per un po', prima di proseguire «Le voglio catturare. Magari sanno qualcosa sulla posizione delle altre spie. O magari no, ma ne vale sempre la pena»
«Come pensi di fare?»
«Mi offrirò come preda»
«In che senso?» aggrottai le sopracciglia.
Lui si strinse nelle spalle
«Tu non preoccuparti».
Oh, mi preoccupavo invece, eccome se mi preoccupavo. Ma ecco tornare Jessica e Mike, con un pacco di patatine ciascuno, chiacchierando fra loro e sputacchiando per quanto ridevano. Loro non avevano la benché minima percezione delle due assassine vampire travestite da adolescenti presenti nella sala ed era giusto che fosse così. Dopotutto quelle due vampire non erano lì per loro...
Il che mi faceva dedurre che erano lì per me. Avevo i brividi dappertutto.
Jessica e Mike si sedettero ai loro posti e, dopo pochi istanti, le luci in sala si abbassarono. Poi il film riprese e io inizia a mangiare nervosamente pop-corn, uno alla volta. Poiché condividevamo il pacchettone, una quantità spropositata di volte la mia mano toccò quella di Undertaker. La prima volta gli diedi praticamente un pugno sulle dita, tanto rapidamente tuffavo il braccio per acchiappare i pop-corn, ma lui non ci badò affatto. Le volte successive fui più cauta e lenta e il tutto si ridusse a casuali sfioramenti in cui la mia mano tremava come quella di una vecchia demente che aveva preso la scossa elettrica.
Poi sentii un fruscio. Oh mio Dio. Con la coda dell'occhio vidi le due ragazzine (che ora sapevo essere delle vampire) che si erano sedute nella fila dietro la nostra, così rapidamente che nessuno sembrava essersene accorto.
Rovesciai per sbaglio la confezione di pop-corn, sobbalzando.
«Scusa scusa scusa» Bisbigliai concitata, chinandomi in avanti d'istinto per cercare di acciuffare il cartoccio al volo. Riuscii ad afferrarne il bordo all'ultimo secondo, impacciata, ma una cascata salata di pop-corn aveva avuto tutto il tempo di rovesciarsi sul tappetino rosso e grezzo del cinema.
Mi sentii avvampare nel buio, sbirciando dentro il cartoccio per valutare i danni. Dovevo avere lo stesso colore del tappeto.
Un po' del contenuto era riuscito a salvarlo; rimisi la confezione dov'era prima lentamente e mi strinsi sul sedile, senza osare girarmi né verso le occupanti dei posti alle mie spalle, né verso il Guardiano Nero. Avevo buttato i pop corn di Undertaker. Avevo buttato i pop corn di Undertaker!
«Belarda!» Esclamò Jessica, cercando di tenere il tono di voce basso «Ti aiuto, dai».
Annuii, apprezzando il suo aiuto, anche se in realtà non avevo idea di cosa fare. Non avevo mai buttato cibo sul pavimento di un cinema, ma c'era da aspettarselo con la mia goffagine.
«Torniamo subito, ragazzi, teneteci i posti» Disse Jessica prendendomi per mano e sgusciando tra le file «Non vorremmo mai che degli avidi fan ce li rubino».
Sbuffai una mezza risata, anche se sentivo gli occhi delle due vampire sulla schiena come puntatori laser. Non sapevo se Jessica conoscesse il posto o fosse prassi comune, ma la mia amica mi condusse fino ad una tendina semi-nascosta nel buio, che se spostata rivelava la porta d'ingresso ai bagni delle ragazze. Sopra la tenda c'era un'insegna bianca con sopra la scritta “toilette” e la sagoma di un omino con la gonna in blu. Immaginai che sarebbe stato difficile trovare i bagni altrimenti, dietro le tende e tutto.
Ce n'era una proprio dall'altro lato della sala a guardare bene, e anche se da dove ero io non si leggeva, immaginai che avesse su un'insegna bianca con un un omino blu sopra.
Dentro Jessica trovò senza esitazione una scopa dal manico di plastica rosso, poggiata proprio vicino alla porta, ed un cestino dei rifiuti ancora vuoto, poi, ficcatami di forza la scopa tra le mani, mi fece segno di tornare a raccogliere i pop-corn. Ubbidii come un'automa, e Jessica mi tenne dietro con il cestino in mano.
Ero entrata solo un'altra volta nel bagno di un cinema, e non riuscivo a ricordare o no se in tutti ci fossero delle scope.
Quando tornammo di là, sia Undertaker che le due teenager erano spariti.
Battei le palpebre, cercando di rimanere calma, anche se non lo ero moltissimo. Sullo schermo stavano accadendo cose di cui non riuscivo neanche davvero a capacitarmi, e degli attori espressivi come pezzi di legno verniciati di grigio stavano parlando con altri attori dalle simili abilità, che forse interpretavano degli Zulu.
«Mike!» Sibilò Jessica. Dovette chiamarlo due volte perché lui si girasse, chiaramente impaziente di tornare a guardare il film.
«Dov'è Undertaker?»
«Ah» Disse lui, guardando il posto, ora vuoto, del wrestler «Aveva detto che si allontanava a prendere altri pop corn, visto che Belarda ha buttato quelli che aveva preso prima. Dovrebbe tornare tra poco».
Jessica parve placata dalla risposta, anche perché Mike non era disposto a chiacchierare ancora, ma io non ero altrettanto tranquilla. Per prima cosa, perché Micolo era stato così gentile da ricordarmi che avevo buttato all'aria i pop-corn del mio idolo.
Idolo che era sparito con spie vampire bicentenarie. Andare a cercarlo o no? Non gli sarei stata comunque di grande utilità, no?
Non appena finii di ripulire il disastro che avevo combinato mi presi qualche secondo per ragionare davvero su cosa fare. Non gli sarei stata di nessuna utilità in combattimento, mi dissi, ma se avesse avuto qualche ferita magari avrei potuto fare qualcosa.
Ad essere sincera, per quanto irrazionale potesse essere, volevo esserci per lui.
«Vado a mettere questo a posto e a cercare Undertaker» Bisbigliai verso Jessica.
Lei mi sorrise, la luce del grande schermo riflessa nei suoi occhi vivaci. Vidi che stringeva un po' di più la mano di Mike e, nonostante lui sembrasse assolutamente preso dalla pellicola, ricambiò la stretta.
«Sicuro» Mi disse lei in un sussurro «Vuoi che venga con te?»
«No, grazie, Jess. Fai compagnia a Mike, ha bisogno di qualcuno a cui fare i commenti».
Jessica ridacchiò a bassa voce ed io con lei, perché entrambe sapevamo quanto fosse chiacchierone Mike durante i film che lo entusiasmavano. Non avevo mai visto qualcosa a cui tenessi davvero insieme a lui, ma immaginai che sarebbe stato infernale.
«Okay» Bisbigliò, e tornò a guardare lo schermo soddisfatta.
«A dopo».
Mi alzai e sgattaiolai via con una scopa ed il cestino, ora pieno. Mi dispiacque tantissimo di dover buttare via i pop-corn, ma, in effetti, avevo cose più importanti a cui pensare.
Trovai di nuovo la tenda che celava il bagno delle ragazze ed entrai in fretta. Il bagno era illuminato di una luce tanto bianca da essere cruda, e nell'aria c'era un profumo piacevole ma pungente, con un che di familiare. Sapeva di ibisco messo a macerare e poi congelato.
Che diamine di detersivo aveva un odore del genere?
Rimisi a posto cestino e scopa, e le mie orecchie furono trapanate da una risatina acuta, il terribile squillare di una fila di campanellini.
«Queste lenti a contatto sono una rottura» Disse una voce giovanile, femminile, delicata, acuta come se fosse stata ritoccata al computer. Era vivacizzata da dei picchi di volume che gli davano un'impressione di allegria costante, forse un po' sfottente.
«A chi lo dici, non durano niente» Sbuffò l'altra voce. Anche questa era melodiosa, ma compresa in un registro normale. Avrebbe potuto appartenere ad una teenager qualunque.
«Che ci vuoi fare. Sai com'è. Su di noi non durano mai» Rispose la prima voce più abbattuta, senza la stessa baldanza.
«Tutto bene?».
Mi resi conto che si stava rivolgendo a me solo dopo qualche secondo. Inspirai e mi voltai verso di loro, aggiustandomi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Dovevo rimanere calma. Dovevo rimanere calma e dissimulare tutto, anche se davanti a me c'erano le due vampire che avevano preso posto dietro di noi.
Almeno sapevo che Undertaker non si era messo ad affrontarle da solo.
Mi aprii in un sorriso, ma sapevo benissimo che tutto il mio nervosismo traspariva facilmente. Se me la giocavo abbastanza bene, però, potevo camuffarlo come semplice imbarazzo.
«Ehm, si» Dissi, intrecciando le dita davanti a me per non farle tremare «Qualcuna delle due deve usare il bagno?»
«Siamo qui solo per rifarci un po' il trucco, tesoro» disse la seconda vampira, rimettendo una scatoletta nella borsetta nera e lucida che aveva a tracolla «Vai pure, sono tutti liberi»
«Tu che ci fai con la scopa in mano?» chiese la prima vampira, ravvivandosi la chioma bionda, guardandomi come se trovasse la cosa incredibilmente buffa.
Era strano, però. Con duecento anni sulle spalle potevano benissimo essere delle brave attrici tutt'e due, ma non sembrarono riconoscermi. Battei le palpebre.
La mia bocca farfugliò qualcosa a proposito della mia goffaggine e del fatto che non potevo lasciare le schifezze per terra, mentre il resto di me si chiedeva che senso avesse pedinare proprio me. I Volturi sapevano dell'umana che aveva infranto il loro regolamento, venendo a parte di segreti inaccessibili a quelli della sua specie sulle loro non-vite immortali? E in quel caso, perché non mi avevano ancora trasformata o uccisa, visto che era tanto semplice seguirmi?
C'era la concreta possibilità che sapessero di me, visto che la testimonianza che li aveva fatti muovere veniva direttamente dai ricordi di Rosalie. Quindi dovevo agire dando per scontato che fossero un pericolo per me più che per altri.
«Poverina, non temere» Rise la prima vampira, che aveva nascosto il rosso dei suoi occhi sotto un paio di lenti a contatto verdi
«D'accordo, grazie. Allora io vi...» iniziai ad incamminarmi verso la porta, quando la seconda vampira, voltando la testa a destra e a sinistra per osservarsi scrupolosamente il viso nello specchio, mi fermò sui miei passi:
«Ti sta piacendo il film?»
«Ehm, non è il mio genere» ammisi, sincera «Non so se è il genere di nessuno».
La prima vampira rise ancora. Tutto quel ridere stridulo mi faceva sentire il cervello trapanato da parte a parte.
«Allora io vi lascio al vostro trucco. Ciao» Dissi, riuscendo a mantenere un tono cortese. Solo la vampira numero uno rispose al mio saluto, mentre l'altra era troppo impegnata a battere le ciglia allo specchio per notare che me ne stavo andando.
Caspita, erano brave: da sola non avrei mai notato che erano due vampire. Posai la scopa fuori da uno dei cubicoli dei bagni, poi ci entrai dentro. Le vampire dovevano avere un super udito, perciò l'avrebbero saputo se non avessi fatto pipì, così fui costretta ad usare la tazza per il suo scopo originario... non che non mi scappasse, eh! Ero spaventatissima.
Poi uscii dal cubicolo. Mi lavai le mani. Mi diressi verso l'uscita dei bagni lentamente e vidi le due adolescenti vampire uscire. Tirai un sospiro (che non era di sollievo, era semplicemente un sospiro) e le seguii sperando di non sembrare troppo sospetta. Poi mi fermai.
Le due erano uscite per parlare con qualcuno e quel qualcuno era Taker, che aveva comprato sul serio degli altri pop-corn e glieli stava offrendo con candore.
«Come accettati» Disse la vampire numero uno, con un risolino stridulo «Non posso mangiarli, mi rovinerebbero la linea! E sai quanto ci ho messo per raggiungere questa forma invidiabile?»
«Almeno cent'anni dentro e fuori dalle palestre» disse noncurante il wrestler, ficcandosi in bocca un paio di pop-corn «Io però non direi che hai più di cent'anni, ne dimostri tutt'al più una cinquantina. Portati bene, si intende»
«Sei un tipo spiritoso» altro risolino stridulo «Non sembri uno di queste parti, da dove vieni?»
«Texas»
«Sei poco abbronzato per essere un texano» si intromise la vampira numero due
«Guardate lei» Taker mi indicò e io mi raggelai sul posto, a tre metri di distanza da loro «Lei è di Phoenix e sembra nata a Forks»
«Ah ah» dissi, nervosa e poco convincente «Team pallidoni alla riscossa!».
Le due vampire mi guardarono esattamente come due teenager ricche guarderebbero una persona sfigata fatta di gelatina tremolante. Erano delle attrici impressionanti. Cercai di sorridere.
«Vi conoscete?» Domandò la vampira numero due, girandosi verso di lui
«Altroché» lui annuì «È mia figlia. Cioè, in realtà non ci conosciamo troppo bene, sono venuto qui perché prima non conoscevo affatto la sua esistenza, ma recentemente sua madre mi ha chiamato e mi ha detto di lei, così sono corso a fare il padre. Spero di recuperare meglio che posso» sorrise con il giusto mix di vergogna e felicità e per un millisecondo sembrò uno sfigato peggio di me, stringendosi al petto i pop-corn
«Beh, di certo non hai scelto un bel film per passare il tempo assieme, eh?» disse la vampira numero uno «Se siamo tutti qui fuori a parlare piuttosto che tornare dentro»
«Oh, non ho scelto io il film, sono stati i suoi amici» Taker mi indicò con un mignolo e io tremolai e sorrisi come un amichevole omino di gelatina «Voi, piuttosto, perché siete qui?»
«Siamo venute perché ci avevano invitato due ragazzi» si lagnò la vampira numero uno «Ma ci hanno dato buca, i bastardi. Scusa il linguaggio, mister...»
«Pink. Phillip Pink»
«Mister Pink. Bel cognome»
«Ora, se volete scusarci, torniamo a guardare il film. È stato un piacere, ragazze» Undertaker sorrise tenuemente, diede le spalle alle vampire e mi si avvicinò goffamente, camminando come un orso a cui si era rigenerata male una frattura a un piede.
Mi guardò con aria complice. Con una mano stringeva la confezione di pop-corn, ma l'altra, penzolante lungo il fianco, si alzò appena mostrandomi tre dita alzate, che una dopo l'altra abbassò, come in un conto alla rovescia. Uno, due, tre.
Appena ebbe abbassato il terzo dito, la vampira numero due cinguettò
«Un attimo! Quel film è davvero terribile... forse abbiamo qualcosa di meglio da offrirvi. Qualcosa che può interessare anche ad una ragazza adolescente, signor padre appena ritrovato!».
Lui si girò
«Sarebbe... sarebbe niente male. Grazie. Cosa volete...»
«Salite con noi in macchina!» esclamò la vampira numero uno, squittendo eccitata «Un nostro amico ha aperto da poco un centro benessere, una specie di spa, e dopo il film saremmo dovute andare lì con i nostri ragazzi. Ma quelli, come vi abbiamo detto, non si sono presentati. Magari potremmo dare a voi i loro posti» si strinse nelle spalle «Sembrate persone perbene. E poi a me piace lei» mi indicò «Magari potremmo fare amicizia».
Feci un sorriso forzatissimo. Oddio, quella era una spia dei Volturi che forse mi voleva uccidere o forse mi voleva portare dai suoi orribili padroni assassini.
«Io ci sto» Disse Undertaker «E vi ringrazio davvero» chinò un poco la testa «Non sapete che favore mi state facendo»
«Di niente» dissero le due vampire, quasi contemporaneamente, per poi emettere una serie di risatine stridule che le facevano somigliare a strani uccelli.
«Tu ci stai, bambina?» Taker mi guardò, poi aggiunse a bassa voce e in tono più serio «Se non te la senti puoi rimanere qui, davvero»
«No, no!» mi affrettai a dire «Ci vengo. Se per te va bene, sempre»
«Per me va bene» mi tese la confezione di pop-corn «Ne vuoi?»
«Uhm, no grazie. Ho lo stomaco chiuso».
Le due vampire adolescenti ci fecero strada fino al loro automezzo, un impressionante Dodge Ram rosso fiammante, un pick up persino più bello del mio Chevy e sicuramente più pulito.
«Bello» Commentò Taker, sparando poi una balla colossale con disinvoltura «Io non potrei mai permettermelo uno così. È un bestione!»
«Vero?» la vampira numero uno gli fece l'occhiolino «Ma quando hai un papà con tanti soldi e tanta voglia di fare felice la sua bambina, anche i sogni si avverano».
Non potei fare a meno di immaginare che questo papà con tanti soldi fosse in realtà Aro.
Ci fecero salire dietro. Taker stava più comodo che nella macchina di Mike e continuava a mangiare pop-corn. La macchina partì. Un pensiero più che sgradevole mi attraversò la testa: non potevo credere di star bidonando di nuovo il mio migliore amico! E nel bel mezzo del film, per giunta.
Il pick-up fendeva il buio, con potenti fari abbaglianti.
«Dov'è questo centro di bellezza?» Mi azzardai a domandare.
La vampira numero due, che non guidava, si girò a guardarmi e mi sorrise. I suoi denti bianchissimi scintillavano tenuemente nella penombra
«È una sorpresa» disse, poi si portò un dito alle labbra.
Ben presto il pick-up svoltò per una stradina malmessa e finimmo in una piazzola grigia, circondata di alberi spelacchiati.
«Ma non c'è niente qui» Disse Taker, (fintamente) sorpreso
«Ma no, scendete!» replicò la vamp uno, slacciandosi la cintura di sicurezza.
Le adolescenti immortali scesero. Fuori non c'erano altre luci se non quelle dell'auto e delle stelle.
«Che vogliono?» Domandai sottovoce
«Uccidermi» rispose Taker, facendomi l'occhiolino e dandomi la confezione di pop-corn «Tu rimani qui e proteggi questa».
Anche lui scese. Le due vampire gli si avvicinarono.
«Non c'è niente qui» Ripeté lui, allargando le braccia
«L'auto è in panne» mentì la vampira numero due, civettuola «Vuoi provare ad aggiustarla? Hai l'aria del maschio alfa che lo saprebbe fare...» allungò una mano per toccarlo sul petto, ma lui gliela afferrò con un gesto fulmineo e le spezzò il braccio.
Quando dico che glielo spezzò, non intendo che le fratturò il braccio, intendo che glielo spezzò proprio di netto, come si potrebbe fare con un gessetto, e lo lanciò per terra. Non c'era più alcuna traccia di imbarazzo, di inadeguatezza o di qualsivoglia normalità nella sua espressione facciale: quello era l'Undertaker che ero abituata a vedere sul ring e mio malgrado provai una scintilla di esaltazione. Il mio eroe in azione dal vivo per la seconda volta! E stavolta contro due mostri sovrannaturali.
La vampira mutilata soffiò e si chinò per raccogliere il proprio braccio, Taker ne approfittò per colpirla con il tacco dello stivale alla nuca e schiacciarla al suolo, dove la tenne piantata con la sola forza della gamba.
«Credete che sia stupido?» Disse «Il vostro furgoncino funziona benissimo».
La vampira numero uno indietreggiò di due metri con un saltello. Impressionante.
«Chi sei?» Sibilò, abbassandosi e contraendo le mani come artigli
«Qualcuno che non ha intenzione di diventare la vostra sacca di sangue» Undertaker premette più forte con il tacco della scarpa contro la nuca della vampira due «Che è quello che volevate, no? Questo è grosso, ha un sacco di sangue ed è stupido» sorrise molto lentamente «È quello che avete pensato»
«Certo» la vampira uno si abbassò ancora, acquattandosi pronta a balzare «E non abbiamo mai smesso di pensarlo, idiota».
La vampira saltò, ma fu intercettata dalla mano di Undertaker, che la afferrò a mezz'aria dalla gola. Tuttavia lo slancio era tale che lo aveva sbilanciato e aveva fatto scricchiolare l'osso della sua spalla. La vampira numero due si era liberata da sotto il suo piede, approfittando di quell'istante, e stava correndo verso di me.
Io urlai, o almeno ci provai perché quella era così veloce che mi fu addosso in un'istante, infilandosi nell'auto come un proiettile, e mi mise una mano sulla bocca.
«Fai una mossa falsa, Phillip, e la tua bambina muore!».
Quello che successe dopo mi lasciò alquanto stranita. La vampira, senza che nessuno di visibile la toccasse o la spingesse, cadde all'indietro fuori dall'abitacolo, e lui le premette di nuovo il piede sulla gola. Adesso le tratteneva entrambe, una con il braccio e l'altra sotto il piede.
Eppure erano due vampire, impossibilmente forti, impossibilmente veloci. Lui non poteva essere più forte di loro, prima era riuscito a malapena a non farsi staccare il braccio dall'impeto di un semplice salto! E poi che cavolo era successo, adesso?
Un attimo prima la vampira numero due mi aveva in pugno e l'attimo dopo... si era sabotata da sola, saltando all'indietro?
«Hai da accendere?» Domandò Undertaker, tranquillo
«Si, si certo» mi affrettai a dire. Avevo sempre da accendere.
Lui si abbassò per afferrare dalla gola anche la vampira a terra e trascinò entrambe le succhiasangue lontane dalla macchina. Io scesi, l'accendino in mano.
«Attenta a non bruciarti» Disse lui «Dai loro fuoco»
«Nooo! Nooo!» Gridarono quelle, agitandosi troppo debolmente «Cosa vuoi? Cosa vuoi? Te lo daremo! Qualunque cosa!»
«Cosa vogliamo?» mi chiese Undertaker «C'è qualcosa che desideri? Qualunque cosa. Loro te la daranno».
Strinse l'accendino nel pugno.
«Voglio sapere quanti di voi ci stanno spiando» Dissi
«Spiando?» la vampira numero uno sbarrò gli occhi «Perché dovremmo spiarti? Chi sei tu?»
«Non fare la finta tonta! Sono la ragazza che fa da tramite ai Quileute e ai vampiri! So chi siete e cosa volete!»
«Sei tu?!» «È lei davvero!» esclamarono le due, lanciandosi occhiate terrorizzate
«Quanti siete?» rincarai, facendo scattare la rotellina dell'accendino così che apparisse una fiammella «E dove siete?»
«Non possiamo. Non sappiamo dove sono gli altri, non possiamo!»
«E allora morite!»
«No, no! Aspetta! No! Ti preghiamo!» «Si, ti preghiamo!» «Abbiamo altro da offrirti. Informazioni! Informazioni!»
«Non hanno niente» disse serio Undertaker, il tono pacatamente minaccioso «Uccidile».
E io non me lo feci ripetere: passai l'accendino sul mento della prima vampira, poi su quello della seconda. Il fuoco si propagò in fretta. Undertaker le lasciò per non bruciarsi le mani e le guardammo urlare e contorcersi e cercare di fuggire: riuscirono a correre per quasi duecento metri prima di cadere afflosciate in un mucchio di membra fiammeggianti. Non provavo alcun rimorso: quelle non erano persone. E poi mi volevano morta.
Undertaker camminò lentamente fino alle piccole pire fatte di vampiro che si andavano gradualmente esaurendo e spense le fiammelle che erano attecchite sugli aghi di pino per evitare che si propagassero, schiacciandole con le suole delle scarpe.
Lo raggiunsi, stordita. Lui mi guardò
«Non avevano molto da offrirci» disse, stringendosi nelle spalle «Dove hai lasciato i pop-corn?»
«Oh. Credo che mi siano caduti di mano, io... credo... quando la vampira mi ha attaccato»
«Non è colpa tua»
«Lo... lo so. Come fai?»
«A fare cosa?»
«Le hai fermate. Con le mani, voglio dire, i vampiri sono... sono fortissimi» tossicchiai e guardai altrove «Non sto dicendo che tu non sei fortissimo. Sto dicendo che loro sono veramente tosti e... tu...»
«Sono un negromante» lui prese a camminare verso il pick-up «I vampiri sono morti a metà e vivi a metà. Posso controllare la loro metà morta»
«Quindi puoi... fargli fare quello che vuoi?» battei le palpebre, cercando di tenere il passo con le sue gambe lunghe
«No, purtroppo. Come ho già detto, sono morti a metà, quindi non ho un controllo completo su di loro. È abbastanza per indebolirli quando li tocco, però, perciò finché ho un qualche tipo di contatto con loro, diventano deboli come esseri umani della stessa taglia»
«Su-sul serio?» mi venne da ridere per la felicità.
Mi ero preoccupata non poco per il suo coinvolgimento in questa guerra di sovrannaturali, ma a quanto pare possedeva un potere capace di riequilibrare tutto. Ero davvero felice di saperlo.
«Si, sul serio. E posso anche controllarli mentalmente per brevi istanti»
«È quello che hai fatto per salvarmi, prima?»
«Non sei mai stata in pericolo. Non lo permetterei»
«Grazie» cercai di farlo suonare più sincero possibile, di farlo uscire da dentro il cuore
«P-prego» non mi guardava in faccia e si sedette al posto di guida «Prendi il sedile passeggero?»
«Sissignore!»
«Torneremo dai tuoi amici».
Così non avrei neppure bidonato Mike! Non potevo credere alla mia fortuna.
«Che figata» Dissi, sorridendo e agganciandomi la cintura di sicurezza «Sei un negromante»
«Già» accese il motore e controllò tutte le spie nel quadrante pur di non guardarmi in faccia
«Non me l'aveva detto nessuno, alla riserva. Sono tutti vaghi suoi tuoi “poteri”» risi «E quando gli ho chiesto di più, mi hanno detto che non sanno cosa sei»
«I negromanti non vengono visti di buon occhio da nessuno. Per favore, non raccontarlo in giro»
«Ma perché? Voglio dire, è una cosa fighissima. E poi è esattamente il potere che tutti si aspetterebbero da te!» blateravo come un bimba di dodici anni che ha appena incontrato tutte le Winx all'uscita da scuola «Avere il potere di controllare i morti, insomma, potresti tipo evocare un esercito di morti? Come Aragorn del Signore degli Anelli?»
«In teoria»
«E potremmo usarli contro i vampiri?»
«Non servirebbero a molto. I vampiri sono troppo più forti»
«Ma potrebbero spaventarli! Probabilmente non hanno mai visto qualcosa del genere!»
«E non l'hai mai vista neanche tu» disse divertito, senza staccare gli occhi dalla strada che scorreva «Non ti piacerebbe. Non piacerebbe a nessuno. E i morti vanno rispettati, non risvegliati: non se lo meritano»
«Quindi, tu per cosa li usi questi poteri?» feci una pausa, accorgendomi immediatamente di quanto quella domanda potesse sembrare invasiva «Intendo, se si può... se non è una cosa che ti da fastidio dire...»
«Lo sai che la negromanzia non controlla solo i morti, vero? La gente confonde “necromanzia”, che è la magia operata sulla morte, e la “negromanzia”, che è un calco latino con la parola niger, nero. La negromanzia è magia oscura, è un termine ombrello che comprende anche la necromanzia. Sono un necromante, ma principalmente un negromante, un mago nero, che è una cosa molto meno orribile di quanto la maggior parte della gente si immagini» stavolta mi guardò per un istante, con un'espressione tranquillamente soddisfatta «Scusa se ti annoio»
«No no, è una cosa che mi interessa»
«Sul serio?»
«Sul serio sul serio!»
«Di solito alla gente non interessano queste sottigliezze. E se dico che sono un negromante rischio di prendermi un esorcismo in faccia. Quindi non dirlo a nessuno»
«E se qualcuno dovesse chiedermi o chiederti come fai a fermare i vampiri, che gli rispondiamo?»
«Poteri divini?»
«Ok. Poteri divini».
Poteri divini suonava più che ragionevole. Ritornammo al parcheggio, scendemmo dall'auto delle vampire e ci infilammo di nuovo dentro il cinema. Il film non era ancora finito.