Manuel si sentiva scosso, dalla testa ai piedi. Si era detto che si
sarebbe imposto un controllo ferreo, che sarebbe sembrato
intoccabile... e ci aveva creduto. Ci aveva creduto perché non aveva
niente da perdere, perché si sentiva morto dentro.
E che cosa aveva
fatto Fyodor? Gli aveva dato la speranza, qualcosa da perdere. Il
demone stava cercando di strappargli via tutto, anche la
dignità da sotto i piedi.
«Si sceglie in
ordine di età, vi ricordo. Perciò questo gioco tocca ad Achille».
Manuel si sentiva scosso, dalla testa ai piedi. Si era detto che si
sarebbe imposto un controllo ferreo, che sarebbe sembrato
intoccabile... e ci aveva creduto. Ci aveva creduto perché non aveva
niente da perdere, perché si sentiva morto dentro.
E che cosa aveva
fatto Fyodor? Gli aveva dato la speranza, qualcosa da perdere. Il
demone stava cercando di strappargli via tutto, anche la
dignità da sotto i piedi.
«Si sceglie in
ordine di età, vi ricordo. Perciò questo gioco tocca ad Achille».
Gli sguardi di
tutti si posarono sul ragazzo con la camicia da notte, che con occhi
vacui fissava le proprie mani. Achille aveva un volto imberbe di
delicatezza sorprendente, con un naso sottile e dalla punta
arrotondata, le labbra disegnate, gli occhi grandi e leggermente
umidi. Sembrava un quadro.
Manuel, con le dita
aggrappate al bordo del tavolo, si chiese perché qualcuno come lui
fosse capitato in mezzo a quella brodaglia di persone senza speranza,
di stupidi e di bruti, di bastardi e di sfigati. Cosa aveva in
comune, lui, con il ragazzo?
Achille raccolse
qualcosa sul tavolo, con un rumore vetroso, poi aprì il pugno e lo
mostrò: biglie.
«Giocheremo a
biglie» Spiegò «Nella variante classica del gioco»
«Illustraci le
regole, prego» concesse Fyodor.
Il giovane Achille
prese un gessetto e disegnò un grande cerchio sul tavolo, poi iniziò
a disporre all'interno del cerchio tante biglie per formare una
piccola croce.
«Che schifo è?»
Domandò Luna «Achi? Achi, che stai facendo?»
«Preparo il campo»
rispose il ragazzo «La partita si svolgerà all'interno di questo
cerchio»
«Fai sempre questi
giochi scemi»
«No, è
interessante» Achille non guardò la ragazzina, rimanendo con le
sopracciglia aggrottate mentre finiva di sistemare le piccole sfere
«E questo è un gioco che si faceva già nell'Antico Egitto.
Funziona così: ognuno di noi sceglierà una biglia. Non di quelle
che ci sono nel cerchio, è chiaro, no? Una biglia da tiro. Uno alla
volta tireremo la biglia all'interno del cerchio, cercando di buttare
fuori le biglie che ci sono all'interno. Ogni biglia che riusciremo a
fare uscire risulterà “catturata” e alla fine del gioco varrà
un tredicesimo della posta in gioco totale che avremo giocato. Se il
giocatore riesce a fare uscire una biglia dal cerchio potrà
recuperare la propria e tirare di nuovo, ma se non ci riuscirà dovrà
passare il turno al prossimo giocatore. Potenzialmente, se è davvero
bravo, il primo giocatore potrebbe vincere l'intera posta in gioco»
il ragazzo sorrise, tornando a sedersi al suo posto «Ognuno tirerà
da seduto e, ovviamente, la partita terminerà quando tutte le biglie
saranno finite fuori dal cerchio».
Capire il gioco era
facile: bisogna spingere fuori le biglie tirandone una. La parte
difficile era vincere quel maledetto gioco.
«Quanto puntiamo,
signori?» Domandò Fyodor, facendosi girare fra le dita una fiche
«Io ci metterò tanto quanto il giocatore che punta la somma più
alta e darò anche un premio speciale al più bravo, quello che
catturerà più biglie, proporzionale alla cifra scommessa dal
vincitore stesso. Allora?».
Manuel aveva una
buona mira, ma anche l'impressione che il ragazzino, Achille, dovesse
essere formidabile a quel gioco. Valeva la pena di mettere in gioco
una posta alta, per poi perderla tutta?
Che domanda
stupida. Forse non valeva neanche la pena vivere, a chi importava di
perdere qualche spiccio?
«Io punto
centoquarantamila e cento euro» Disse Manuel, spingendo avanti tutte
le fiche che aveva.
C'era una sorta di
esaltazione, adesso, che stava montando dentro di lui, come una
rivalsa del suo organismo sulla delusione e la depressione che lo
avevano colto poco prima. Quando giocava, quando metteva a rischio
tutto quello che aveva, si sentiva vivo. Non vivo come quando
era stato giovane e innamorato, no, ma in una maniera completamente
diversa, una sorta di surrogato artificiale di vita che si nutriva
del rischio di perdere tutto, che succhiava dal midollo del dolore e
dell'incertezza. Esisto quindi posso perdere. E vincere.
Fyodor sorrise,
contando le proprie fiche in fretta, per proporre un mucchietto
identico a quello giocato da Manuel.
«Centoquarantamila
e cento euro anche io» Disse «Ma se qualcuno propone di più...».
Nessuno propose di
più: il gioco era troppo difficile. E Achille, anche se aveva
puntato tutto ciò che possedeva, aveva comunque una cifra ridicola
fra le mani: cinquecento euro.
La posta totale
ammontava a duecentonovanteseimila e cinquecento euro.
«Ogni biglia sul
tavolo» Calcolò Fyodor, con tranquillità «Vale ventiduemila e
ottocentosette euro. Circa. Non stiamo a fare i puntigliosi... e
giochiamo. Ovviamente per primo tira Achille».
I colli di molti si
tesero, i busti si stirarono sul tavolo, gli occhi cercarono le mani
sottili e pallide del ragazzo in camicia da notte. Solo Eleonora non
sembrava minimamente interessata.
Achille prese una
biglia e se la mise fra pollice e indice. Era una sfera argentata,
decorata con piccole stelle azzurre e traslucide, e Manuel la trovò
brutta, più brutta di qualunque biglia lui avesse mai avuto per le
mani.
E ne aveva avute,
di biglie per le mani. Ne aveva avute così tante che gli bastava
pensare alla parola “biglia” per sentire sotto polpastrelli la
superficie liscia di quei giocattolini, a volte fredda e altre volte
arroventata dal calore delle sue dita di bambino.
Biglie. Le biglie
Monster Race, con infilati dentro quei dischetti che recavano stampe
di facciacce brutte, creature disegnate male (ma per cui i bambini
litigavano e si facevano anche male), le biglie di marmo bianco
colorate con strisce di improbabili colori fluo, quelle di vetro
trasparente con dentro frange di qualcosa che sembrava dentifricio,
quelle mezze trasparenti e mezze opache con dentro foto dei ciclisti,
quelle di gomma dura dei calciatori (che finivano sempre malissimo, a
volte perse nei fiumiciattoli, a volte sequestrate dalle suore a cui
venivano lanciate in testa), quelle che sembravano sassi, grigie, e
quelle con sopra spolverate di polvere luccicante (nessuno, a quei
tempi, le chiamava “glitterate”, tutt'al più “brillanti”).
E in quel momento,
Manuel si accorse che lui era sempre stato molto bravo a biglie,
almeno quanto lo era stato a carta sasso forbice. Era bravo a giocare
a questi giochi scemi, che non gli erano mai valsi a nulla nella
vita... tranne adesso. Adesso davvero ci si giocava tutto.
Achille lanciò la
sua biglia, con precisione da cecchino. Due delle biglie della croce
rotolarono fuori, spedite come missili dal colpo, e il ragazzo le
raccolse e se le infilò in tasca, con tranquillità.
Fyodor rise.
Luna incrociò le
braccia sul petto. «Sbaglia il prossimo colpo» Disse «Altrimenti
finisce subito, il gioco».
Achille recuperò
la propria biglia da lancio, con aria sognante, e tirò di nuovo.
Altre due sferette di vetro furono sbalzate fuori dal cerchio. Ancora
un altro tiro, ancora un'altra biglia.
«Non vale!» Ruggì
Trevor, battendo i pugni sul tavolo «Non vale! Nessuno di noi può
giocare!»
«Siediti» gli
intimò Fyodor
«NO!» l'uomo
vestito da prete scattò in piedi, la faccia arrossata «Non starò a
guardare questa... questa...». Non trovava neppure le parole, la sua
lingua si annodava, la saliva schiumava agli angoli della sua bocca.
«Siediti!» Ripetè
Fyodor, con rabbia «Altrimenti non ti permetterò di giocare».
Clac. Ancora
un tiro di Achille, ancora una biglia fuori dal cerchio, accompagnata
dagli sguardi preoccupati dei giocatori. Luna sbuffò attraverso il
naso, nascondendo la rabbia dietro l'ironia, le sopracciglia
sollevate e le mani nascoste sotto le ascelle.
«LO AMMAZZO!»
Ringhiò Trevor, la voce da basso che tremava e le mani che si
chiudevano a pugno. Era sicuramente squilibrato, questo Trevor,
pericoloso e insensato. Irritante.
Manuel
spinse un po' indietro la propria sedia, giusto per sicurezza,
chiedendosi se avrebbe visto l'uomo vestito da prete che spappolava
le labbra al ragazzino delicato con
le proprie nocche, se con un pugno gli avrebbe spaccato il naso.
Forse, forse sì...
Trevor mise un
piede sul tavolo, pronto a saltare su, a disfare il cerchio e
atterrare come un falcone sul povero ragazzo.
«Smettila!»
Fyodor allungò una mano verso Trevor, ma fu troppo lento.
Bam.
Achille aveva
estratto una pistola da sotto la camicia da notte e aveva fatto fuoco
dritto in mezzo alla fronte di Trevor. L’uomo in abito talare era
crollato all'indietro rovesciando la propria sedia, il corpo che ora
giaceva scomposto sul pavimento con l'immancabile pozza rossa scura
che si allargava dietro la sua testa. Manuel arricciò il naso:
vedeva pezzettini rosa, polposi, in mezzo alla pozzangherina.
Nessuno aveva
urlato, nessuno era sembrato terrorizzato o scandalizzato.
“Siamo ancora persone?” Si
era chiesto Manuel “Perché nessuno ha paura? Perché non
abbiamo i brividi, perché non c'è niente nei nostri occhi? Dovremmo
gridare, gridare fino a sentire male ai polmoni, e scomporci e
scappare”.
«Beh, il nostro
prossimo gioco potrebbe essere il tresette col morto» Scherzò Luna,
sogghignando.
Era una ragazza
così giovane. Quasi una bambina. Però se ne stava lì, il
sorrisetto leggerissimo e ironico che aleggiava sul volto, anche se
non lontano dai suoi piedi, riverso al suolo, c'era un uomo morto.
«Il tresette col
morto si gioca in quattro. Noi siamo di più» Spiegò Eleonora, cupa
«Ma va? Stavo
facendo una battuta, nonna» rispose Luna, sollevando la punta del
nasino con fare quasi snob.
Fyodor sospirò,
mettendo a posto il suo mucchio di fiche, in una formazione diversa,
mentre le ragazze iniziavano ad insultarsi e litigare riguardo alle
regole del tresette. Achille, dopo aver riposto la pistola di nuovo
sotto la camicia da notte, stava finendo di buttare fuori le biglie
dal cerchio, con lanci precisi, veloci, come una macchinetta. Clac,
clac, clac.
Manuel spostò i
piedi per non sporcarsi le scarpe con il sangue che si stava
allargando sul pavimento. Si sentiva parte di un quadro surreale e
gli piaceva. Gli piaceva di non star dimostrando alcuna
umanità, di riuscire a rimanere gelido, disgustato solo dalla parte
fisica del delitto (quel sangue, con i pezzettini di materia
cerebrale, che inondava il pavimento) e non per le sue implicazioni
morali mostruose (la morte di un uomo, che nessuno dei presenti,
nemmeno lui, aveva cercato di impedire).
Achille raccolse
l’ultima biglia che aveva fatto uscire dal cerchio e si risedette
al suo posto. Non c’era gioia sul suo volto imberbe.
«Ho vinto» Disse.
E fu allora che gli
altri gridarono: non quando quel ragazzo aveva ucciso un uomo, ma
quando aveva preso i loro soldi. Manuel sentiva quelle urla come se
avesse le orecchie foderate d’ovatta, confuse e sovrapposte e
soffocate. Lontane, come se fosse solo un fantasma e i suoi veri
timpani fossero altrove, insieme al suo corpo fisico.
C’era un uomo
morto a terra e tutti stavano strillando contro il suo assassino
perché aveva vinto un gioco di biglie.
Deglutendo, Manuel
si rese conto di aver perso tutti i soldi, fino all’ultimo
centesimo. Sapeva di essere bravo a lanciare biglie, ma a cosa gli
era servito? A volte, nella vita, non basta essere il migliore se non
ti permettono di giocare.
Gli sguardi di
tutti si posarono sul ragazzo con la camicia da notte, che con occhi
vacui fissava le proprie mani. Achille aveva un volto imberbe di
delicatezza sorprendente, con un naso sottile e dalla punta
arrotondata, le labbra disegnate, gli occhi grandi e leggermente
umidi. Sembrava un quadro.
Manuel, con le dita
aggrappate al bordo del tavolo, si chiese perché qualcuno come lui
fosse capitato in mezzo a quella brodaglia di persone senza speranza,
di stupidi e di bruti, di bastardi e di sfigati. Cosa aveva in
comune, lui, con il ragazzo?
Achille raccolse
qualcosa sul tavolo, con un rumore vetroso, poi aprì il pugno e lo
mostrò: biglie.
«Giocheremo a
biglie» Spiegò «Nella variante classica del gioco»
«Illustraci le
regole, prego» concesse Fyodor.
Il giovane Achille
prese un gessetto e disegnò un grande cerchio sul tavolo, poi iniziò
a disporre all'interno del cerchio tante biglie per formare una
piccola croce.
«Che schifo è?»
Domandò Luna «Achi? Achi, che stai facendo?»
«Preparo il campo»
rispose il ragazzo «La partita si svolgerà all'interno di questo
cerchio»
«Fai sempre questi
giochi scemi»
«No, è
interessante» Achille non guardò la ragazzina, rimanendo con le
sopracciglia aggrottate mentre finiva di sistemare le piccole sfere
«E questo è un gioco che si faceva già nell'Antico Egitto.
Funziona così: ognuno di noi sceglierà una biglia. Non di quelle
che ci sono nel cerchio, è chiaro, no? Una biglia da tiro. Uno alla
volta tireremo la biglia all'interno del cerchio, cercando di buttare
fuori le biglie che ci sono all'interno. Ogni biglia che riusciremo a
fare uscire risulterà “catturata” e alla fine del gioco varrà
un tredicesimo della posta in gioco totale che avremo giocato. Se il
giocatore riesce a fare uscire una biglia dal cerchio potrà
recuperare la propria e tirare di nuovo, ma se non ci riuscirà dovrà
passare il turno al prossimo giocatore. Potenzialmente, se è davvero
bravo, il primo giocatore potrebbe vincere l'intera posta in gioco»
il ragazzo sorrise, tornando a sedersi al suo posto «Ognuno tirerà
da seduto e, ovviamente, la partita terminerà quando tutte le biglie
saranno finite fuori dal cerchio».
Capire il gioco era
facile: bisogna spingere fuori le biglie tirandone una. La parte
difficile era vincere quel maledetto gioco.
«Quanto puntiamo,
signori?» Domandò Fyodor, facendosi girare fra le dita una fiche
«Io ci metterò tanto quanto il giocatore che punta la somma più
alta e darò anche un premio speciale al più bravo, quello che
catturerà più biglie, proporzionale alla cifra scommessa dal
vincitore stesso. Allora?».
Manuel aveva una
buona mira, ma anche l'impressione che il ragazzino, Achille, dovesse
essere formidabile a quel gioco. Valeva la pena di mettere in gioco
una posta alta, per poi perderla tutta?
Che domanda
stupida. Forse non valeva neanche la pena vivere, a chi importava di
perdere qualche spiccio?
«Io punto
centoquarantamila e cento euro» Disse Manuel, spingendo avanti tutte
le fiche che aveva.
C'era una sorta di
esaltazione, adesso, che stava montando dentro di lui, come una
rivalsa del suo organismo sulla delusione e la depressione che lo
avevano colto poco prima. Quando giocava, quando metteva a rischio
tutto quello che aveva, si sentiva vivo. Non vivo come quando
era stato giovane e innamorato, no, ma in una maniera completamente
diversa, una sorta di surrogato artificiale di vita che si nutriva
del rischio di perdere tutto, che succhiava dal midollo del dolore e
dell'incertezza. Esisto quindi posso perdere. E vincere.
Fyodor sorrise,
contando le proprie fiche in fretta, per proporre un mucchietto
identico a quello giocato da Manuel.
«Centoquarantamila
e cento euro anche io» Disse «Ma se qualcuno propone di più...».
Nessuno propose di
più: il gioco era troppo difficile. E Achille, anche se aveva
puntato tutto ciò che possedeva, aveva comunque una cifra ridicola
fra le mani: cinquecento euro.
La posta totale
ammontava a duecentonovanteseimila e cinquecento euro.
«Ogni biglia sul
tavolo» Calcolò Fyodor, con tranquillità «Vale ventiduemila e
ottocentosette euro. Circa. Non stiamo a fare i puntigliosi... e
giochiamo. Ovviamente per primo tira Achille».
I colli di molti si
tesero, i busti si stirarono sul tavolo, gli occhi cercarono le mani
sottili e pallide del ragazzo in camicia da notte. Solo Eleonora non
sembrava minimamente interessata.
Achille prese una
biglia e se la mise fra pollice e indice. Era una sfera argentata,
decorata con piccole stelle azzurre e traslucide, e Manuel la trovò
brutta, più brutta di qualunque biglia lui avesse mai avuto per le
mani.
E ne aveva avute,
di biglie per le mani. Ne aveva avute così tante che gli bastava
pensare alla parola “biglia” per sentire sotto polpastrelli la
superficie liscia di quei giocattolini, a volte fredda e altre volte
arroventata dal calore delle sue dita di bambino.
Biglie. Le biglie
Monster Race, con infilati dentro quei dischetti che recavano stampe
di facciacce brutte, creature disegnate male (ma per cui i bambini
litigavano e si facevano anche male), le biglie di marmo bianco
colorate con strisce di improbabili colori fluo, quelle di vetro
trasparente con dentro frange di qualcosa che sembrava dentifricio,
quelle mezze trasparenti e mezze opache con dentro foto dei ciclisti,
quelle di gomma dura dei calciatori (che finivano sempre malissimo, a
volte perse nei fiumiciattoli, a volte sequestrate dalle suore a cui
venivano lanciate in testa), quelle che sembravano sassi, grigie, e
quelle con sopra spolverate di polvere luccicante (nessuno, a quei
tempi, le chiamava “glitterate”, tutt'al più “brillanti”).
E in quel momento,
Manuel si accorse che lui era sempre stato molto bravo a biglie,
almeno quanto lo era stato a carta sasso forbice. Era bravo a giocare
a questi giochi scemi, che non gli erano mai valsi a nulla nella
vita... tranne adesso. Adesso davvero ci si giocava tutto.
Achille lanciò la
sua biglia, con precisione da cecchino. Due delle biglie della croce
rotolarono fuori, spedite come missili dal colpo, e il ragazzo le
raccolse e se le infilò in tasca, con tranquillità.
Fyodor rise.
Luna incrociò le
braccia sul petto. «Sbaglia il prossimo colpo» Disse «Altrimenti
finisce subito, il gioco».
Achille recuperò
la propria biglia da lancio, con aria sognante, e tirò di nuovo.
Altre due sferette di vetro furono sbalzate fuori dal cerchio. Ancora
un altro tiro, ancora un'altra biglia.
«Non vale!» Ruggì
Trevor, battendo i pugni sul tavolo «Non vale! Nessuno di noi può
giocare!»
«Siediti» gli
intimò Fyodor
«NO!» l'uomo
vestito da prete scattò in piedi, la faccia arrossata «Non starò a
guardare questa... questa...». Non trovava neppure le parole, la sua
lingua si annodava, la saliva schiumava agli angoli della sua bocca.
«Siediti!» Ripetè
Fyodor, con rabbia «Altrimenti non ti permetterò di giocare».
Clac. Ancora
un tiro di Achille, ancora una biglia fuori dal cerchio, accompagnata
dagli sguardi preoccupati dei giocatori. Luna sbuffò attraverso il
naso, nascondendo la rabbia dietro l'ironia, le sopracciglia
sollevate e le mani nascoste sotto le ascelle.
«LO AMMAZZO!»
Ringhiò Trevor, la voce da basso che tremava e le mani che si
chiudevano a pugno. Era sicuramente squilibrato, questo Trevor,
pericoloso e insensato. Irritante.
Manuel
spinse un po' indietro la propria sedia, giusto per sicurezza,
chiedendosi se avrebbe visto l'uomo vestito da prete che spappolava
le labbra al ragazzino delicato con
le proprie nocche, se con un pugno gli avrebbe spaccato il naso.
Forse, forse sì...
Trevor mise un
piede sul tavolo, pronto a saltare su, a disfare il cerchio e
atterrare come un falcone sul povero ragazzo.
«Smettila!»
Fyodor allungò una mano verso Trevor, ma fu troppo lento.
Bam.
Achille aveva
estratto una pistola da sotto la camicia da notte e aveva fatto fuoco
dritto in mezzo alla fronte di Trevor. L’uomo in abito talare era
crollato all'indietro rovesciando la propria sedia, il corpo che ora
giaceva scomposto sul pavimento con l'immancabile pozza rossa scura
che si allargava dietro la sua testa. Manuel arricciò il naso:
vedeva pezzettini rosa, polposi, in mezzo alla pozzangherina.
Nessuno aveva
urlato, nessuno era sembrato terrorizzato o scandalizzato.
“Siamo ancora persone?” Si
era chiesto Manuel “Perché nessuno ha paura? Perché non
abbiamo i brividi, perché non c'è niente nei nostri occhi? Dovremmo
gridare, gridare fino a sentire male ai polmoni, e scomporci e
scappare”.
«Beh, il nostro
prossimo gioco potrebbe essere il tresette col morto» Scherzò Luna,
sogghignando.
Era una ragazza
così giovane. Quasi una bambina. Però se ne stava lì, il
sorrisetto leggerissimo e ironico che aleggiava sul volto, anche se
non lontano dai suoi piedi, riverso al suolo, c'era un uomo morto.
«Il tresette col
morto si gioca in quattro. Noi siamo di più» Spiegò Eleonora, cupa
«Ma va? Stavo
facendo una battuta, nonna» rispose Luna, sollevando la punta del
nasino con fare quasi snob.
Fyodor sospirò,
mettendo a posto il suo mucchio di fiche, in una formazione diversa,
mentre le ragazze iniziavano ad insultarsi e litigare riguardo alle
regole del tresette. Achille, dopo aver riposto la pistola di nuovo
sotto la camicia da notte, stava finendo di buttare fuori le biglie
dal cerchio, con lanci precisi, veloci, come una macchinetta. Clac,
clac, clac.
Manuel spostò i
piedi per non sporcarsi le scarpe con il sangue che si stava
allargando sul pavimento. Si sentiva parte di un quadro surreale e
gli piaceva. Gli piaceva di non star dimostrando alcuna
umanità, di riuscire a rimanere gelido, disgustato solo dalla parte
fisica del delitto (quel sangue, con i pezzettini di materia
cerebrale, che inondava il pavimento) e non per le sue implicazioni
morali mostruose (la morte di un uomo, che nessuno dei presenti,
nemmeno lui, aveva cercato di impedire).
Achille raccolse
l’ultima biglia che aveva fatto uscire dal cerchio e si risedette
al suo posto. Non c’era gioia sul suo volto imberbe.
«Ho vinto» Disse.
E fu allora che gli
altri gridarono: non quando quel ragazzo aveva ucciso un uomo, ma
quando aveva preso i loro soldi. Manuel sentiva quelle urla come se
avesse le orecchie foderate d’ovatta, confuse e sovrapposte e
soffocate. Lontane, come se fosse solo un fantasma e i suoi veri
timpani fossero altrove, insieme al suo corpo fisico.
C’era un uomo
morto a terra e tutti stavano strillando contro il suo assassino
perché aveva vinto un gioco di biglie.
Deglutendo, Manuel
si rese conto di aver perso tutti i soldi, fino all’ultimo
centesimo. Sapeva di essere bravo a lanciare biglie, ma a cosa gli
era servito? A volte, nella vita, non basta essere il migliore se non
ti permettono di giocare.
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