venerdì 10 dicembre 2021

La Cattedra del Giocatore - 5. Le biglie

 
Manuel si sentiva scosso, dalla testa ai piedi. Si era detto che si sarebbe imposto un controllo ferreo, che sarebbe sembrato intoccabile... e ci aveva creduto. Ci aveva creduto perché non aveva niente da perdere, perché si sentiva morto dentro.
E che cosa aveva fatto Fyodor? Gli aveva dato la speranza, qualcosa da perdere. Il demone stava cercando di strappargli via tutto, anche la dignità da sotto i piedi.
«Si sceglie in ordine di età, vi ricordo. Perciò questo gioco tocca ad Achille».
Manuel si sentiva scosso, dalla testa ai piedi. Si era detto che si sarebbe imposto un controllo ferreo, che sarebbe sembrato intoccabile... e ci aveva creduto. Ci aveva creduto perché non aveva niente da perdere, perché si sentiva morto dentro.
E che cosa aveva fatto Fyodor? Gli aveva dato la speranza, qualcosa da perdere. Il demone stava cercando di strappargli via tutto, anche la dignità da sotto i piedi.
«Si sceglie in ordine di età, vi ricordo. Perciò questo gioco tocca ad Achille».
Gli sguardi di tutti si posarono sul ragazzo con la camicia da notte, che con occhi vacui fissava le proprie mani. Achille aveva un volto imberbe di delicatezza sorprendente, con un naso sottile e dalla punta arrotondata, le labbra disegnate, gli occhi grandi e leggermente umidi. Sembrava un quadro.
Manuel, con le dita aggrappate al bordo del tavolo, si chiese perché qualcuno come lui fosse capitato in mezzo a quella brodaglia di persone senza speranza, di stupidi e di bruti, di bastardi e di sfigati. Cosa aveva in comune, lui, con il ragazzo?
Achille raccolse qualcosa sul tavolo, con un rumore vetroso, poi aprì il pugno e lo mostrò: biglie.
«Giocheremo a biglie» Spiegò «Nella variante classica del gioco»
«Illustraci le regole, prego» concesse Fyodor.
Il giovane Achille prese un gessetto e disegnò un grande cerchio sul tavolo, poi iniziò a disporre all'interno del cerchio tante biglie per formare una piccola croce.
«Che schifo è?» Domandò Luna «Achi? Achi, che stai facendo?»
«Preparo il campo» rispose il ragazzo «La partita si svolgerà all'interno di questo cerchio»
«Fai sempre questi giochi scemi»
«No, è interessante» Achille non guardò la ragazzina, rimanendo con le sopracciglia aggrottate mentre finiva di sistemare le piccole sfere «E questo è un gioco che si faceva già nell'Antico Egitto. Funziona così: ognuno di noi sceglierà una biglia. Non di quelle che ci sono nel cerchio, è chiaro, no? Una biglia da tiro. Uno alla volta tireremo la biglia all'interno del cerchio, cercando di buttare fuori le biglie che ci sono all'interno. Ogni biglia che riusciremo a fare uscire risulterà “catturata” e alla fine del gioco varrà un tredicesimo della posta in gioco totale che avremo giocato. Se il giocatore riesce a fare uscire una biglia dal cerchio potrà recuperare la propria e tirare di nuovo, ma se non ci riuscirà dovrà passare il turno al prossimo giocatore. Potenzialmente, se è davvero bravo, il primo giocatore potrebbe vincere l'intera posta in gioco» il ragazzo sorrise, tornando a sedersi al suo posto «Ognuno tirerà da seduto e, ovviamente, la partita terminerà quando tutte le biglie saranno finite fuori dal cerchio».
Capire il gioco era facile: bisogna spingere fuori le biglie tirandone una. La parte difficile era vincere quel maledetto gioco.
«Quanto puntiamo, signori?» Domandò Fyodor, facendosi girare fra le dita una fiche «Io ci metterò tanto quanto il giocatore che punta la somma più alta e darò anche un premio speciale al più bravo, quello che catturerà più biglie, proporzionale alla cifra scommessa dal vincitore stesso. Allora?».
Manuel aveva una buona mira, ma anche l'impressione che il ragazzino, Achille, dovesse essere formidabile a quel gioco. Valeva la pena di mettere in gioco una posta alta, per poi perderla tutta?
Che domanda stupida. Forse non valeva neanche la pena vivere, a chi importava di perdere qualche spiccio?
«Io punto centoquarantamila e cento euro» Disse Manuel, spingendo avanti tutte le fiche che aveva.
C'era una sorta di esaltazione, adesso, che stava montando dentro di lui, come una rivalsa del suo organismo sulla delusione e la depressione che lo avevano colto poco prima. Quando giocava, quando metteva a rischio tutto quello che aveva, si sentiva vivo. Non vivo come quando era stato giovane e innamorato, no, ma in una maniera completamente diversa, una sorta di surrogato artificiale di vita che si nutriva del rischio di perdere tutto, che succhiava dal midollo del dolore e dell'incertezza. Esisto quindi posso perdere. E vincere.
Fyodor sorrise, contando le proprie fiche in fretta, per proporre un mucchietto identico a quello giocato da Manuel.
«Centoquarantamila e cento euro anche io» Disse «Ma se qualcuno propone di più...».
Nessuno propose di più: il gioco era troppo difficile. E Achille, anche se aveva puntato tutto ciò che possedeva, aveva comunque una cifra ridicola fra le mani: cinquecento euro.
La posta totale ammontava a duecentonovanteseimila e cinquecento euro.
«Ogni biglia sul tavolo» Calcolò Fyodor, con tranquillità «Vale ventiduemila e ottocentosette euro. Circa. Non stiamo a fare i puntigliosi... e giochiamo. Ovviamente per primo tira Achille».
I colli di molti si tesero, i busti si stirarono sul tavolo, gli occhi cercarono le mani sottili e pallide del ragazzo in camicia da notte. Solo Eleonora non sembrava minimamente interessata.
Achille prese una biglia e se la mise fra pollice e indice. Era una sfera argentata, decorata con piccole stelle azzurre e traslucide, e Manuel la trovò brutta, più brutta di qualunque biglia lui avesse mai avuto per le mani.
E ne aveva avute, di biglie per le mani. Ne aveva avute così tante che gli bastava pensare alla parola “biglia” per sentire sotto polpastrelli la superficie liscia di quei giocattolini, a volte fredda e altre volte arroventata dal calore delle sue dita di bambino.
Biglie. Le biglie Monster Race, con infilati dentro quei dischetti che recavano stampe di facciacce brutte, creature disegnate male (ma per cui i bambini litigavano e si facevano anche male), le biglie di marmo bianco colorate con strisce di improbabili colori fluo, quelle di vetro trasparente con dentro frange di qualcosa che sembrava dentifricio, quelle mezze trasparenti e mezze opache con dentro foto dei ciclisti, quelle di gomma dura dei calciatori (che finivano sempre malissimo, a volte perse nei fiumiciattoli, a volte sequestrate dalle suore a cui venivano lanciate in testa), quelle che sembravano sassi, grigie, e quelle con sopra spolverate di polvere luccicante (nessuno, a quei tempi, le chiamava “glitterate”, tutt'al più “brillanti”).
E in quel momento, Manuel si accorse che lui era sempre stato molto bravo a biglie, almeno quanto lo era stato a carta sasso forbice. Era bravo a giocare a questi giochi scemi, che non gli erano mai valsi a nulla nella vita... tranne adesso. Adesso davvero ci si giocava tutto.
Achille lanciò la sua biglia, con precisione da cecchino. Due delle biglie della croce rotolarono fuori, spedite come missili dal colpo, e il ragazzo le raccolse e se le infilò in tasca, con tranquillità.
Fyodor rise.
Luna incrociò le braccia sul petto. «Sbaglia il prossimo colpo» Disse «Altrimenti finisce subito, il gioco».
Achille recuperò la propria biglia da lancio, con aria sognante, e tirò di nuovo. Altre due sferette di vetro furono sbalzate fuori dal cerchio. Ancora un altro tiro, ancora un'altra biglia.
«Non vale!» Ruggì Trevor, battendo i pugni sul tavolo «Non vale! Nessuno di noi può giocare!»
«Siediti» gli intimò Fyodor
«NO!» l'uomo vestito da prete scattò in piedi, la faccia arrossata «Non starò a guardare questa... questa...». Non trovava neppure le parole, la sua lingua si annodava, la saliva schiumava agli angoli della sua bocca.
«Siediti!» Ripetè Fyodor, con rabbia «Altrimenti non ti permetterò di giocare».
Clac. Ancora un tiro di Achille, ancora una biglia fuori dal cerchio, accompagnata dagli sguardi preoccupati dei giocatori. Luna sbuffò attraverso il naso, nascondendo la rabbia dietro l'ironia, le sopracciglia sollevate e le mani nascoste sotto le ascelle.
«LO AMMAZZO!» Ringhiò Trevor, la voce da basso che tremava e le mani che si chiudevano a pugno. Era sicuramente squilibrato, questo Trevor, pericoloso e insensato. Irritante.
Manuel spinse un po' indietro la propria sedia, giusto per sicurezza, chiedendosi se avrebbe visto l'uomo vestito da prete che spappolava le labbra al ragazzino delicato con le proprie nocche, se con un pugno gli avrebbe spaccato il naso. Forse, forse sì...
Trevor mise un piede sul tavolo, pronto a saltare su, a disfare il cerchio e atterrare come un falcone sul povero ragazzo.
«Smettila!» Fyodor allungò una mano verso Trevor, ma fu troppo lento.
Bam.
Achille aveva estratto una pistola da sotto la camicia da notte e aveva fatto fuoco dritto in mezzo alla fronte di Trevor. L’uomo in abito talare era crollato all'indietro rovesciando la propria sedia, il corpo che ora giaceva scomposto sul pavimento con l'immancabile pozza rossa scura che si allargava dietro la sua testa. Manuel arricciò il naso: vedeva pezzettini rosa, polposi, in mezzo alla pozzangherina.
Nessuno aveva urlato, nessuno era sembrato terrorizzato o scandalizzato.
Siamo ancora persone?” Si era chiesto Manuel “Perché nessuno ha paura? Perché non abbiamo i brividi, perché non c'è niente nei nostri occhi? Dovremmo gridare, gridare fino a sentire male ai polmoni, e scomporci e scappare”.
«Beh, il nostro prossimo gioco potrebbe essere il tresette col morto» Scherzò Luna, sogghignando.
Era una ragazza così giovane. Quasi una bambina. Però se ne stava lì, il sorrisetto leggerissimo e ironico che aleggiava sul volto, anche se non lontano dai suoi piedi, riverso al suolo, c'era un uomo morto.
«Il tresette col morto si gioca in quattro. Noi siamo di più» Spiegò Eleonora, cupa
«Ma va? Stavo facendo una battuta, nonna» rispose Luna, sollevando la punta del nasino con fare quasi snob.
Fyodor sospirò, mettendo a posto il suo mucchio di fiche, in una formazione diversa, mentre le ragazze iniziavano ad insultarsi e litigare riguardo alle regole del tresette. Achille, dopo aver riposto la pistola di nuovo sotto la camicia da notte, stava finendo di buttare fuori le biglie dal cerchio, con lanci precisi, veloci, come una macchinetta. Clac, clac, clac.
Manuel spostò i piedi per non sporcarsi le scarpe con il sangue che si stava allargando sul pavimento. Si sentiva parte di un quadro surreale e gli piaceva. Gli piaceva di non star dimostrando alcuna umanità, di riuscire a rimanere gelido, disgustato solo dalla parte fisica del delitto (quel sangue, con i pezzettini di materia cerebrale, che inondava il pavimento) e non per le sue implicazioni morali mostruose (la morte di un uomo, che nessuno dei presenti, nemmeno lui, aveva cercato di impedire).
Achille raccolse l’ultima biglia che aveva fatto uscire dal cerchio e si risedette al suo posto. Non c’era gioia sul suo volto imberbe.
«Ho vinto» Disse.
E fu allora che gli altri gridarono: non quando quel ragazzo aveva ucciso un uomo, ma quando aveva preso i loro soldi. Manuel sentiva quelle urla come se avesse le orecchie foderate d’ovatta, confuse e sovrapposte e soffocate. Lontane, come se fosse solo un fantasma e i suoi veri timpani fossero altrove, insieme al suo corpo fisico.
C’era un uomo morto a terra e tutti stavano strillando contro il suo assassino perché aveva vinto un gioco di biglie.
Deglutendo, Manuel si rese conto di aver perso tutti i soldi, fino all’ultimo centesimo. Sapeva di essere bravo a lanciare biglie, ma a cosa gli era servito? A volte, nella vita, non basta essere il migliore se non ti permettono di giocare.
Gli sguardi di tutti si posarono sul ragazzo con la camicia da notte, che con occhi vacui fissava le proprie mani. Achille aveva un volto imberbe di delicatezza sorprendente, con un naso sottile e dalla punta arrotondata, le labbra disegnate, gli occhi grandi e leggermente umidi. Sembrava un quadro.
Manuel, con le dita aggrappate al bordo del tavolo, si chiese perché qualcuno come lui fosse capitato in mezzo a quella brodaglia di persone senza speranza, di stupidi e di bruti, di bastardi e di sfigati. Cosa aveva in comune, lui, con il ragazzo?
Achille raccolse qualcosa sul tavolo, con un rumore vetroso, poi aprì il pugno e lo mostrò: biglie.
«Giocheremo a biglie» Spiegò «Nella variante classica del gioco»
«Illustraci le regole, prego» concesse Fyodor.
Il giovane Achille prese un gessetto e disegnò un grande cerchio sul tavolo, poi iniziò a disporre all'interno del cerchio tante biglie per formare una piccola croce.
«Che schifo è?» Domandò Luna «Achi? Achi, che stai facendo?»
«Preparo il campo» rispose il ragazzo «La partita si svolgerà all'interno di questo cerchio»
«Fai sempre questi giochi scemi»
«No, è interessante» Achille non guardò la ragazzina, rimanendo con le sopracciglia aggrottate mentre finiva di sistemare le piccole sfere «E questo è un gioco che si faceva già nell'Antico Egitto. Funziona così: ognuno di noi sceglierà una biglia. Non di quelle che ci sono nel cerchio, è chiaro, no? Una biglia da tiro. Uno alla volta tireremo la biglia all'interno del cerchio, cercando di buttare fuori le biglie che ci sono all'interno. Ogni biglia che riusciremo a fare uscire risulterà “catturata” e alla fine del gioco varrà un tredicesimo della posta in gioco totale che avremo giocato. Se il giocatore riesce a fare uscire una biglia dal cerchio potrà recuperare la propria e tirare di nuovo, ma se non ci riuscirà dovrà passare il turno al prossimo giocatore. Potenzialmente, se è davvero bravo, il primo giocatore potrebbe vincere l'intera posta in gioco» il ragazzo sorrise, tornando a sedersi al suo posto «Ognuno tirerà da seduto e, ovviamente, la partita terminerà quando tutte le biglie saranno finite fuori dal cerchio».
Capire il gioco era facile: bisogna spingere fuori le biglie tirandone una. La parte difficile era vincere quel maledetto gioco.
«Quanto puntiamo, signori?» Domandò Fyodor, facendosi girare fra le dita una fiche «Io ci metterò tanto quanto il giocatore che punta la somma più alta e darò anche un premio speciale al più bravo, quello che catturerà più biglie, proporzionale alla cifra scommessa dal vincitore stesso. Allora?».
Manuel aveva una buona mira, ma anche l'impressione che il ragazzino, Achille, dovesse essere formidabile a quel gioco. Valeva la pena di mettere in gioco una posta alta, per poi perderla tutta?
Che domanda stupida. Forse non valeva neanche la pena vivere, a chi importava di perdere qualche spiccio?
«Io punto centoquarantamila e cento euro» Disse Manuel, spingendo avanti tutte le fiche che aveva.
C'era una sorta di esaltazione, adesso, che stava montando dentro di lui, come una rivalsa del suo organismo sulla delusione e la depressione che lo avevano colto poco prima. Quando giocava, quando metteva a rischio tutto quello che aveva, si sentiva vivo. Non vivo come quando era stato giovane e innamorato, no, ma in una maniera completamente diversa, una sorta di surrogato artificiale di vita che si nutriva del rischio di perdere tutto, che succhiava dal midollo del dolore e dell'incertezza. Esisto quindi posso perdere. E vincere.
Fyodor sorrise, contando le proprie fiche in fretta, per proporre un mucchietto identico a quello giocato da Manuel.
«Centoquarantamila e cento euro anche io» Disse «Ma se qualcuno propone di più...».
Nessuno propose di più: il gioco era troppo difficile. E Achille, anche se aveva puntato tutto ciò che possedeva, aveva comunque una cifra ridicola fra le mani: cinquecento euro.
La posta totale ammontava a duecentonovanteseimila e cinquecento euro.
«Ogni biglia sul tavolo» Calcolò Fyodor, con tranquillità «Vale ventiduemila e ottocentosette euro. Circa. Non stiamo a fare i puntigliosi... e giochiamo. Ovviamente per primo tira Achille».
I colli di molti si tesero, i busti si stirarono sul tavolo, gli occhi cercarono le mani sottili e pallide del ragazzo in camicia da notte. Solo Eleonora non sembrava minimamente interessata.
Achille prese una biglia e se la mise fra pollice e indice. Era una sfera argentata, decorata con piccole stelle azzurre e traslucide, e Manuel la trovò brutta, più brutta di qualunque biglia lui avesse mai avuto per le mani.
E ne aveva avute, di biglie per le mani. Ne aveva avute così tante che gli bastava pensare alla parola “biglia” per sentire sotto polpastrelli la superficie liscia di quei giocattolini, a volte fredda e altre volte arroventata dal calore delle sue dita di bambino.
Biglie. Le biglie Monster Race, con infilati dentro quei dischetti che recavano stampe di facciacce brutte, creature disegnate male (ma per cui i bambini litigavano e si facevano anche male), le biglie di marmo bianco colorate con strisce di improbabili colori fluo, quelle di vetro trasparente con dentro frange di qualcosa che sembrava dentifricio, quelle mezze trasparenti e mezze opache con dentro foto dei ciclisti, quelle di gomma dura dei calciatori (che finivano sempre malissimo, a volte perse nei fiumiciattoli, a volte sequestrate dalle suore a cui venivano lanciate in testa), quelle che sembravano sassi, grigie, e quelle con sopra spolverate di polvere luccicante (nessuno, a quei tempi, le chiamava “glitterate”, tutt'al più “brillanti”).
E in quel momento, Manuel si accorse che lui era sempre stato molto bravo a biglie, almeno quanto lo era stato a carta sasso forbice. Era bravo a giocare a questi giochi scemi, che non gli erano mai valsi a nulla nella vita... tranne adesso. Adesso davvero ci si giocava tutto.
Achille lanciò la sua biglia, con precisione da cecchino. Due delle biglie della croce rotolarono fuori, spedite come missili dal colpo, e il ragazzo le raccolse e se le infilò in tasca, con tranquillità.
Fyodor rise.
Luna incrociò le braccia sul petto. «Sbaglia il prossimo colpo» Disse «Altrimenti finisce subito, il gioco».
Achille recuperò la propria biglia da lancio, con aria sognante, e tirò di nuovo. Altre due sferette di vetro furono sbalzate fuori dal cerchio. Ancora un altro tiro, ancora un'altra biglia.
«Non vale!» Ruggì Trevor, battendo i pugni sul tavolo «Non vale! Nessuno di noi può giocare!»
«Siediti» gli intimò Fyodor
«NO!» l'uomo vestito da prete scattò in piedi, la faccia arrossata «Non starò a guardare questa... questa...». Non trovava neppure le parole, la sua lingua si annodava, la saliva schiumava agli angoli della sua bocca.
«Siediti!» Ripetè Fyodor, con rabbia «Altrimenti non ti permetterò di giocare».
Clac. Ancora un tiro di Achille, ancora una biglia fuori dal cerchio, accompagnata dagli sguardi preoccupati dei giocatori. Luna sbuffò attraverso il naso, nascondendo la rabbia dietro l'ironia, le sopracciglia sollevate e le mani nascoste sotto le ascelle.
«LO AMMAZZO!» Ringhiò Trevor, la voce da basso che tremava e le mani che si chiudevano a pugno. Era sicuramente squilibrato, questo Trevor, pericoloso e insensato. Irritante.
Manuel spinse un po' indietro la propria sedia, giusto per sicurezza, chiedendosi se avrebbe visto l'uomo vestito da prete che spappolava le labbra al ragazzino delicato con le proprie nocche, se con un pugno gli avrebbe spaccato il naso. Forse, forse sì...
Trevor mise un piede sul tavolo, pronto a saltare su, a disfare il cerchio e atterrare come un falcone sul povero ragazzo.
«Smettila!» Fyodor allungò una mano verso Trevor, ma fu troppo lento.
Bam.
Achille aveva estratto una pistola da sotto la camicia da notte e aveva fatto fuoco dritto in mezzo alla fronte di Trevor. L’uomo in abito talare era crollato all'indietro rovesciando la propria sedia, il corpo che ora giaceva scomposto sul pavimento con l'immancabile pozza rossa scura che si allargava dietro la sua testa. Manuel arricciò il naso: vedeva pezzettini rosa, polposi, in mezzo alla pozzangherina.
Nessuno aveva urlato, nessuno era sembrato terrorizzato o scandalizzato.
Siamo ancora persone?” Si era chiesto Manuel “Perché nessuno ha paura? Perché non abbiamo i brividi, perché non c'è niente nei nostri occhi? Dovremmo gridare, gridare fino a sentire male ai polmoni, e scomporci e scappare”.
«Beh, il nostro prossimo gioco potrebbe essere il tresette col morto» Scherzò Luna, sogghignando.
Era una ragazza così giovane. Quasi una bambina. Però se ne stava lì, il sorrisetto leggerissimo e ironico che aleggiava sul volto, anche se non lontano dai suoi piedi, riverso al suolo, c'era un uomo morto.
«Il tresette col morto si gioca in quattro. Noi siamo di più» Spiegò Eleonora, cupa
«Ma va? Stavo facendo una battuta, nonna» rispose Luna, sollevando la punta del nasino con fare quasi snob.
Fyodor sospirò, mettendo a posto il suo mucchio di fiche, in una formazione diversa, mentre le ragazze iniziavano ad insultarsi e litigare riguardo alle regole del tresette. Achille, dopo aver riposto la pistola di nuovo sotto la camicia da notte, stava finendo di buttare fuori le biglie dal cerchio, con lanci precisi, veloci, come una macchinetta. Clac, clac, clac.
Manuel spostò i piedi per non sporcarsi le scarpe con il sangue che si stava allargando sul pavimento. Si sentiva parte di un quadro surreale e gli piaceva. Gli piaceva di non star dimostrando alcuna umanità, di riuscire a rimanere gelido, disgustato solo dalla parte fisica del delitto (quel sangue, con i pezzettini di materia cerebrale, che inondava il pavimento) e non per le sue implicazioni morali mostruose (la morte di un uomo, che nessuno dei presenti, nemmeno lui, aveva cercato di impedire).
Achille raccolse l’ultima biglia che aveva fatto uscire dal cerchio e si risedette al suo posto. Non c’era gioia sul suo volto imberbe.
«Ho vinto» Disse.
E fu allora che gli altri gridarono: non quando quel ragazzo aveva ucciso un uomo, ma quando aveva preso i loro soldi. Manuel sentiva quelle urla come se avesse le orecchie foderate d’ovatta, confuse e sovrapposte e soffocate. Lontane, come se fosse solo un fantasma e i suoi veri timpani fossero altrove, insieme al suo corpo fisico.
C’era un uomo morto a terra e tutti stavano strillando contro il suo assassino perché aveva vinto un gioco di biglie.
Deglutendo, Manuel si rese conto di aver perso tutti i soldi, fino all’ultimo centesimo. Sapeva di essere bravo a lanciare biglie, ma a cosa gli era servito? A volte, nella vita, non basta essere il migliore se non ti permettono di giocare.
 

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