venerdì 22 novembre 2019

Come scrivere di ogni cosa 9. I dialoghi



Le parole sono cose vive. Hanno personalità, punti di vista... scopi”.

Questa perla di saggezza è particolarmente vera nella delicata arte della scrittura: sarà il modo in cui le utilizzate, queste parole, che edificherà le sensazioni che il vostro lavoro saprà trasmettere ai lettori, che determinerà quanto figo sarà il vostro personaggio bello e dannato col ciuffo, e quanto significativo sarà il momento in cui torna a casa dopo il lungo viaggio che l’ha portato a scoprire la perfetta ricetta della tempura per salvare il negozio dei vecchi genitori…
Per fare un esempio.
Ma da non sottovalutare è come i vostri personaggi useranno le parole!
Tralasciamo quindi che il creatore della citazione che abbiamo usato per aprire la questione sia Hannibal Lecter (Punti Pianta a chi lo aveva capito da sé!) perché, almeno per oggi, non è sul cannibalismo che ci soffermiamo, e passiamo oltre.
Insieme, cari germogli, stiamo imparando a costruire le creature che popoleranno le vostre storie, o a mettere per iscritto quelle che già abitano la vostra mente. E ora stanno lì.
Eh sì, ma, ora che li avete creati, non possono mica passare centinaia di pagine a guardarsi in faccia zitti zitti o a lanciare urli sgrammaticati. Dov’è l’amore, la passione? Da cosa scaturisce l’odio, come si redimono o finiscono per sprofondare ancora di più nel loro lato oscuro?
E, per quanto ci intrighi l’idea di un’intera storia i cui protagonisti non fanno altro che lanciarsi occhiate significative e si pestano dall’inizio alla fine (magari sfruttando i nostri consigli sugli stili di combattimento), oggi opponiamo la lingua alla spada: si parla di dialoghi, signore e signori!
Sia chiaro, in questo deserto noi crediamo che dialoghi e relativa punteggiatura siano strumenti importantissimi e personali per uno scrittore per costruire i propri ritmi ed il proprio stile unico, perciò ci soffermeremo ben poco sul lato grammaticale della cosa e molto di più su quello logico.

Detto questo, partiamo dalle basi con uno spieghino utile!
Ci sono due modi per esprimere un dialogo: indiretto e diretto.
La prima modalità consiste nel non riferire al lettore parola per parola ciò che un certo personaggio sta dicendo e può essere molto utile quando non si vuole entrare nei dettagli di una conversazione che non è importante ai fini della trama, ma permette comunque di riportare a grandi linee i toni e i contenuti del dialogo che ci siamo persi. Ad esempio, invece di annoiare i vostri lettori con tutte le lagne di un personaggio molto lamentoso, si può semplicemente condensare con un magico: “Rosina passò tutta la durata del viaggio in auto piangendo e strepitando, per grande scorno dei suoi genitori, perché non avevano voluto comprarle la barbola Birbie che gettava luce dagli occhi a lampi alterni”.

Esempio: Ambrogio Ginulfo Asterio disse di amare molto la Galleria Borghese.

La modalità diretta consiste, al contrario, nel riportare in modo fedele i dialoghi dei personaggi parola per parola. Non solo ci consente di far “entrare” con maggiore efficacia il lettore in una certa scena, ma è fondamentale per definire il modo in cui parlano i personaggi e creare frasi e punchline indimenticabili.

Esempio: «Amo molto la Galleria Borghese» Disse Ambrogio Ginulfo Asterio.

I dialoghi vanno separati dal resto del vostro testo con qualche carattere speciale, e ce ne sono diversi che vengono usati allo scopo.
Le caporali, cioè questi simboli: « » , sono quelle che noi preferiamo, ma altri scrittori usano anche i doppi apici o virgolette, cioè “...”, o i trattini lunghi, cioè –…– .
Adesso che abbiamo ripassato la forma, passiamo senza ulteriore indugio a parlare dei tre errori più comuni che vengono fatti nello scrivere i dialoghi, e ad ognuno di loro seguirà subito una contromisura efficace che potete adottare per evitarli.
Sì, lo sappiamo che stavate aspettando questa parte. E onestamente, anche noi.

1. Disse, disse, e disse ancora. Come è facile capire, questo è il problema degli scrittori che, dopo ogni singolo dialogo, sentono la necessità compulsiva di piazzare lì un “disse”. Ogni. Singolo. Dialogo.
L’effetto è sgradevole, e tanto più è lungo il dialogo in questione, maggiore sarà evidente quanto sgraziata risulti questa scelta. Non solo è monotona e finisce per annoiare – o addirittura dare proprio sui nervi – al lettore, ma dà l’impressione che lo scrittore cerchi di mantenere una presa febbrile sul libro, come se vivesse nella paura che il suo personaggio, invece di “dire” la sua risposta, potesse arbitrariamente decidere di pensarla solamente o di articolarla in peti.
Inoltre toglie potenza narrativa a quello che sta succedendo, rendendo il dialogo monocorde perché non suggerisce alcun tipo di variazione nel tono o nelle emozioni dei due interlocutori.
È un problema ingenuo, di solito da imputarsi ad una scarsa esperienza nella scrittura, ma da evitare.
Esempio: «Tu non capisci» Disse Lorenzio, guardando altrove
«Allora fammi capire!» disse Gianmarchetto, contraendo la mascella.
«Non ci riusciresti» Disse Lorenzio
«Provaci almeno» disse Gianmarchetto
«Io...» disse Lorenzio
«Sono tuo amico, merito di sapere la verità» Disse Gianmarchetto
«Hai vinto, ti racconterò tutto» Disse il ragazzo, gravemente.

Potreste invece…
Variare i verbi. La nostra amata lingua italiana ci fornisce un’ampia gamma di vocaboli da cui scegliere che ci permettono di esprimere intenzione, volume e tono in un colpo solo: obiettò, ammise, sussurrò, urlò, strepitò, cantilenò, chiese, ecc… sono solo alcune di queste paroline magiche.
Un altro accorgimento utile è snellire i pezzi del dialogo, tagliuzzando senza pietà come un giardiniere matto col bosso: osate puntare i riflettori solo sulle parole che avete racchiuso tra i caratteri speciali, lasciate parlare i vostri personaggi col cuore e condite giusto con quel pizzico di verbi che danno forma alla situazione emotiva e, bam! Avete ottenuto un botta e risposta brillante e niente affatto noioso.

Esempio: «Tu non capisci» Sussurrò Lorenzio, guardando altrove.
«Allora fammi capire!» Insistette Gianmarchetto, contraendo la mascella.
«Non ci riusciresti»
«Provaci almeno»
«Io...»
«Sono tuo amico, Lorenzio. Merito di sapere la verità».
«Hai vinto» Sospirò il ragazzo, gravemente «Ti racconterò tutto».

2. Facciamo che torni ad usare disse. Rispetto a quello che abbiamo trattato poc’anzi, ecco che siamo saltellati allegramente al lato opposto dello spettro: quello degli scrittori che sembrano dizionari al randomizzatore.
È bello sapere tante parole, ma ogni parola ha la capacità di alterare un po’ lo scenario nella mente del lettore. Non solo inserendo tutti questi verbi ne risente il ritmo del dialogo, che rischia di risultare singhiozzante, ma chi lo legge automaticamente cercherà di adattare le nuove informazioni alla scena nella propria mente, creando una situazione emotiva che cambia troppo spesso e che finisce per non sapere di nulla.

Esempio: «Tu non capisci» Sussurrò Lorenzio, guardando altrove.
«Allora fammi capire!» Insistette Gianmarchetto, contraendo la mascella.
«Non ci riusciresti» Replicò Lorenzio
«Provaci almeno» supplicò l’amico
«Io...» borbottò Lorenzio
«Sono tuo amico, Lorenzio. Merito di sapere la verità» affermò Gianmarchetto
«Hai vinto» Sospirò il ragazzo, gravemente «Ti racconterò tutto».

Potreste invece…
Usare meno verbi. Scherzi a parte, usarne di diversi non è una cattiva idea di per sé, ma ci vuole un pizzico di metodo in più se ci si trova ad avere a che fare con la problematica appena trattata. Un modo per ottenere un dialogo equilibrato, costruire meglio un personaggio e vantarci anche un po’ delle nostre conoscenze linguistiche è usare dei vocaboli specifici per rendere il modo in cui si esprime ogni vostro personaggio.
Avete un personaggio che parla sempre a voce alta, che magari ha una certa autorità? Parole utili per descrivere il suo modo di parlare potrebbero essere tuonò, ruggì o ordinò. O al contrario, un personaggio dolce e timido? Più che urlare è probabile che sussurri, e più che ordinare potrebbe trovarsi a suggerire.

3. Il ballo di San Vito. Esattamente come una scena sul piccolo o grande schermo è fatta di inquadrature in sequenza, il dialogo nel suo insieme è fatto da tutte le frasi che lo compongono. E anche se le frasi di per sé son scritte a regola d’arte, se vi scordate che vanno messe tutte insieme ... beh, preparatevi a delle brutte sorprese.
Ci è capitato una quantità stupefacente di volte di leggere, sia in testi pubblicati che amatoriali, di personaggi che apparentemente non hanno controllo sui propri muscoli facciali e, giostrando inconsulti, ghignano come gargoyle e rabbrividiscono. Sono afflitti da qualche malattia? Sono usciti da una novella di Lovecraft? No – o almeno non lo sono nella maggior parte dei casi – sono stati semplicemente descritti da scrittori distratti.
Questo particolare caso è legato ai dialoghi indiretti, ma compare molto facilmente anche accanto ai dialoghi diretti.
Mettiamo che il nostro personaggio sia felice e che stia conversando con qualcuno. Il primo impulso di molti scrittori potrebbe essere quello di descrivere ciò che vedono nella propria testa man a mano che il dialogo avanza (Stephenie Meyer, stiamo guardando te) senza rendersi conto di essersi ripetuti, solo perché stanno dicendo paro paro ciò che hanno in testa. Ed ecco come nasce questo, facendo un esempio mite:

«Frase interessante» Sorrise
«Risposta»
«Risposta alla risposta» e sorrise
«Ma risposta!»
«Risposta...» ci pensò un attimo su, poi sorrise.

Ecco, anche se il tratto emotivo del personaggio è rimasto chiaramente lo stesso durante tutto il dialogo – cioè il primo personaggio è bendisposto – sembra che abbia smesso e ricominciato a sorridere tre volte nel giro di cinque frasi. Avrà la faccia pasticciata come il Didò se fa così tutto il giorno, povero cristo.
Possono essere anche persone che scoppiano a piangere, o rabbrividiscono, o scuotono la testa come un giochino rotto. Meglio di no.

Potreste invece…
È una buona idea descrivere la mimica dei vostri personaggi! Limitatevi però a comunicare solo quando un certo comportamento appare e, se è importante, quando poi scompare in favore di qualcos’altro.
Se volete essere stringati, potete anche fare capire l’atteggiamento di risposta ad una certa cosa senza neppure interrompervi, facendo sì che uno dei due interlocutori faccia notare lo stato d’animo dell’altro con piccole osservazioni, tipo “non ti arrabbiare, dai”, “che ti ridi?” o “perché mi guardi così, che ho detto?”.
Può essere più importante soffermarsi su comportamenti anomali che su cose che sono quasi scontate: è più degno di nota che qualcuno dica “fatti gli affari tuoi” in modo calmo che chiaramente irritato, quindi talvolta, come nel caso in cui qualcuno sbotti appunto “fatti gli affari tuoi!” può non essere necessario approfondire.
Altri consigli per rendere più organici i vostri dialoghi:

1. Cambiate registro linguistico. Sembra scontato dire che uno straniero con la quinta elementare e un astrofisico pluripremiato non parleranno la stessa lingua nello stesso modo. Nella vita reale, ognuno di noi ha un vocabolario unico che è influenzato dalle nostre esperienze, livello d’istruzione, passioni e anche da quanto siamo propensi a inventarci parole che non stanno scritte da nessuna parte… ebbene, così deve essere anche per i nostri personaggi!
Evitate di mettere in bocca ad un personaggio ignorante termini troppo colti – o almeno, fatelo come gag se vi va, ma non lasciate che sappia che cosa diamine sta dicendo –, lasciate che un esperto in un dato settore invece si lasci sfuggire dei termini tecnici, date un intercalare ad un personaggio insicuro, fate dire “Aulin” alle nonne, all’occasione distribuite parolacce e date una catchphrase al vostro protagonista.
I vostri personaggi sembreranno molto più realistici! Per ispirazione potete semplicemente ascoltare le persone intorno a voi e prendere nota.

2. Il dialogo indiretto vi è amico. Non sarà responsabile delle citazioni che renderanno il vostro libro famoso e raramente la gente stampa dialoghi indiretti sulle magliette o le spille, ma vi permette di non entrare nei dettagli di ogni singola interazione sociale che avviene nel vostro libro e magari porre l’accento su un certo modo di fare, un’anomalia nel comportamento di qualcuno o semplicemente dare l’idea generale di una scena. Può essere utile anche per completare un dialogo diretto, dopo un paio di battute di apertura che rendano l’idea; comunque, vogliate bene al dialogo indiretto.

3. Segnalate solo cambiamenti nello status quo. Tutti i tre errori principali che abbiamo segnalato qui sopra, in effetti, possono essere sventati in un colpo solo, prendendo questa regoletta a cuore.
L’immaginazione dei vostri lettori vi è amica, e spesso non è necessario spingere più di tanto perché una scena si formi nella loro mente; anzi, lasciare loro un certo “margine creativo” può aiutare a rendere il vostro dialogo più significativo e immersivo: ci penserà il vostro lettore a riempire tutti gli spazi bianchi. E non vi preoccupate, capirà anche che la risposta seguente è stata pronunciata dal vostro personaggio con la bocca, anche se non lo avete scritto, proprio perché avete stabilito uno status quo e non gli avete dato nessuna indicazione che le cose siano cambiate.

4. Dare ritmo al dialogo. Semplice: nelle scene in cui volete dilatare il tempo inserite più descrizioni, date più spazio alle emozioni e ai ricordi, in quelle brevi togliete il superfluo e lasciate un bel botta e risposta. Per variare il ritmo potete anche spezzare i dialoghi diretti mettendoci qualcosa in mezzo, come in: “«Ciao, Loretta!» Disse Paolino, arrivando al trotto «Dov’eri finita?»”.

5. Leggete opere teatrali. Se non siete sicuri di come procedere o avete l’impressione che i vostri dialoghi manchino di espressività, può essere molto utile passare dai libri ai loro cugini copioni: dato che questi si affidano quasi esclusivamente ai dialoghi, vi potranno sicuramente essere d’ispirazione.
Se volete fare pratica, potete anche provare a scrivere voi stessi qualche scena da copione teatrale per prenderci la mano!



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