mercoledì 27 febbraio 2019

Tiraturi

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Tiraturi
(Antaianthus Pugnax)


 
Il tiraturi comune è una pianta perenne, caratterizzata da una grande infiorescenza a capolino che la rende immediatamente riconoscibile.
Sebbene sia una pianta che cresce nelle zone endocontinentali di Mimmum, ed abbia dunque ricevuto una classificazione tassonomica diversa da quella terrestre, per moltissimi versi può essere accomunata ad una pianta della famiglia delle Asteracee.
 
Il tiraturi è rinomato per la sua capacità di individuare con precisione le creature che gli si muovono intorno e, soprattutto, di usare tutto ciò che ha intorno come proiettile da lanciargli contro; comincia a reagire a circa tre metri di distanza, ma la gittata effettiva è di un misero metro, e solo a distanza ravvicinata un singolo lancio del tiraturi può essere seriamente pericoloso, grazie ad una serie di accorgimenti fisiologici della pianta adibiti proprio allo scopo. 
Questo suo comportamento è detto ectropismo, dalle parole greche εχθρός (echthrós) “nemico” e τρέπομαι (trépomai) "mi volgo".
Per questo motivo il tiraturi è anche conosciuto comunemente, al di fuori dell'ambito sacro, anche come "erba vandala" o "fiore violento".

Aspettative di vita media
Il tiraturi è una pianta perenne, che può arrivare in genere
ai sei anni di età.

Etimologia
Il nome scientifico terrestre del tiraturi usa sia il greco che il latino nel tentativo di arrangiare alla lingua terrestre la classificazione tassonomica in voga su Mimmum.
Antaianthus è l'unione delle due parole greche antaios (ανταίος), il cui significato è “opposto, ostile” e antheia (άνθεια), “fiore”. Pugnax, dal latino, vuol dire “pugnace, combattivo”.

Descrizione
Il tiraturi è una pianta erbacea ad alto fusto. È un'emicriptofita (cioè una pianta alla cui base si formano delle gemme che sopravvivono alle stagioni più rigide svernando al livello del terreno, protette dalla lettiera o dalla neve, mentre il resto dell'organismo appassisce).
Presenta un asse fiorale eretto ed il fusto, dritto ed ascendente, arriva al metro e mezzo d'altezza e dall'uno agli otto centimetri di diametro. 
 
Mentre il fusto ha una superficie liscia e lucida, le foglie sono coperte da una sottile peluria cosparsa di una sostanza oleosa ed appiccicosa che gli consente di afferrare gli oggetti che usa come proiettili. 
Una volta che la foglia aderisce al proiettile improvvisato (un sasso ad esempio, o un bastoncino, o foglie da un'altra pianta) si attiva una risposta tigmonastica della pianta allo stimolo e quella gli si curva automaticamente attorno per garantire una presa più salda. Infine, il tiraturi scaglia l'oggetto contro “l'avversario” percepito; accade spesso che parte della peluria sulla pagina fogliare rimanga attaccata al proiettile, perciò dall'osservazione di queste piante si può capire se la zona è popolata da animali di una certa dimensione. Infatti i tiraturi non reagiscono alla presenza di animali troppo piccoli, come rane o lucertoline, ma iniziano a trovare bersagli plausibili quelli grandi come un grosso coniglio o un dodo.
 
Il modo in cui percepisce le creature intorno a sé è ancora oggetto di studio. Una delle spiegazioni è che il fenomeno sia possibile grazie alla disposizione particolare delle radici: esse vengono divise in primarie e secondarie e sembrano svolgere ruoli diversi. 
Le radici primarie sono fittonanti e si sviluppano in profondità, occupandosi principalmente di mantenere riserve e trovare il nutrimento necessario alla sopravvivenza della pianta. Se vengono danneggiate la pianta può soffrirne gravemente, specie se in fase di sviluppo.
Le radici secondarie sono invece più sottili e creano una fitta rete che si estende in ogni direzione sotterranea a partire dalla pianta, spostandosi principalmente vicino alla superficie e circondando sassi, zolle di terra e addirittura radici di altre piante; le radici secondarie hanno probabilmente il compito di tenere la pianta ancorata ancora più saldamente al suolo e “mappare” la zona circostante per scoprire la presenza ed il peso di potenziali nemici saggiando la pressione esercitata da questi sul terreno in cui si sono infiltrate, oltre ad essere a loro volta in grado di fornire un po' di nutrimento. Se le radici secondarie vengono danneggiate, la pianta non sembra risentirne affatto ed è in grado di ricrearle in fretta.
 
Le foglie del tiraturi, simmetriche e di un bel verde bottiglia intenso, sono grandi e spesse, a disposizione alterna nella parte bassa del fusto e a disposizione opposta nel resto della pianta. La forma è lanceolata-ovale, allungata, con apice acuminato e margini regolari, attraversate da un solo nervo che sostiene la foglia. Sono lunghe dai dodici ai diciassette centimetri.
A venire impiegate per raccogliere gli oggetti sono unicamente le foglie sulla parte inferiore del fusto, dato che le foglie sulla parte alta tendono ad essere più sottili e coperte da peluria più rada.
 
Infiorescenza e frutti
Il tiraturi prepara l'infiorescenza immediatamente alla fine della stagione fredda, con precisione matematica, tanto che in passato era utilizzato dagli abitanti dell'endocontinente come punto di riferimento stagionale. Il capolino sfiorisce nel periodo delle pioggie del primo autunno.
L'infiorescenza non è un fiore unico, ma un capolino costituito da una serie di minuscoli fiori di colore giallo intenso. All'interno del capolino è custodita una superficie liscia, su cui sono posti due minuti organi di senso che funzionano come occhi estremamente rudimentali, costituiti da una membrana delicata capace di stabilire con precisione la luminosità ambientale.
Dapprima si credeva che questi occhietti, che hanno l'aspetto di due macchiette scure al centro del capolino, servissero a far sì che la pianta potesse determinare il clima, ma la teoria è stata scartata in favore di quella per cui il loro scopo è di determinare l'avvicinamento di creature volanti che potrebbero volersi cibare dei semi ancora acerbi ed allontanarli (preferibilmente a sassate). È un meccanismo molto preciso, in quanto gli animali volanti non possono essere avvertiti dalle radici secondarie e questi “occhietti” si sono evoluti praticamente al solo scopo di ovviare a questa mancanza, scopo a cui adempiono finché i semi non sono del tutto maturi. 
 
Un tiraturi non sviluppa mai più di un capolino per pianta.
La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: un asse floreale carnoso sorregge un involucro composto da più brattee (delle foglie modificate). Le brattee dell'involucro sono spesse e vellutate, di un colore giallo canarino estremamente appariscente. Dato che gli “occhietti” del tiraturi sono molto delicati, durante i temporali o in presenza di agenti esterni pericolosi le brattee centrali si piegano per coprirli.
Quando i piccoli fiori nel disco del capolino maturano, diventando dei frutticini arancioni a punta di freccia compressi ai lati, circondati da una pula (una specie di guscio). La superficie del guscio è vellutata. I semi hanno colori e dimensioni diverse, ed in generale quelli più corti contengono più olio. I colori vanno dal giallo paglierino fino all'antracite. Il frutto è grande dai sei ai tredici millimetri.


Riproduzione
La riproduzione del tiraturi avviene principalmente attraverso la fecondazione per impollinazione entomogama (tramite gli insetti) e poi disseminazione dei semi caduti a terra ad opera di piccoli animali (gli animali più grandi non ne hanno la possibilità, per ovvi motivi).

Distribuzione e habitat
Nonostante sia una pianta sufficientemente rara, può crescere in tutto l'areale interno di Mimmum, prediligendo le zone rocciose.

Variabilità
Il tiraturi è una pianta ben poco variabile. Possono essere talvolta riscontrate piccole differenze cromatiche, ma in generale è una pianta che non presenta grandi variazioni.

Nel piatto
Il tiraturi non è una pianta molto versatile in cucina, tuttavia l'olio prodotto dai suoi semi – attraverso un processo lungo e molto complesso – è utilizzato per rituali che si pensava potessero ristabilire la salute della pelle. Si pensava questo perché è effettivamente vero; inoltre, se usato come condimento, dà un sapore delizioso e vagamente pungente alle pietanze.
Quest'olio è generalmente di colore arancio-ambrato, e particolarmente amato come condimento dei piatti speziati, mentre è considerato disgustoso se usato nelle pietanze dolci.

Nella cultura popolare
Il tiraturi è una pianta sacra al culto della Sterei, dato che il suo capolino dai colori vividi ricorda la figura del sole. Questa pianta è tanto sacra che è considerato un affronto sradicarne dal terreno una già cresciuta, tuttavia non è impossibile crescerne una a casa. Bisogna però aspettare che la pianta faccia i semi, ed evitare i numerosi oggetti contundenti che questa tira addosso a chi gli si avvicina.
Il tiraturi è una pianta difficile da coltivare, perché se non si controlla la crescita delle radici secondarie in modo da non calpestarle per sbaglio, essa cerca di assassinare il suo coltivatore. Per il resto si adatta bene a molti tipi di terreno e se ben coltivata può sfiorare i due metri di altezza. È una pianta eliofila e adattabile.
Si tende a non disegnarlo nelle nature morte, in quanto da un'impressione di vigore a chi lo ha almeno visto una volta dal vivo.

Specie simili

  • Antaianthus perennis, il fiore ostile comune. Non presenta un ectropismo spiccato come quello del tiraturi. Rabbrividisce se viene toccato.
  • Antaianthus liberalis, o tiraturi generoso. Somiglia molto al tiraturi, quasi da poter essere confuso con quest'ultimo da un occhio inesperto. Al contrario del tiraturi, l'ectropismo del tiraturi generoso si dimostra solo nel momento in cui i suoi frutti sono maturi. In quel caso si scrolla e usa le sue stesse foglie per spargere i propri frutti in giro, nella speranza che l'animale in avvicinamento riesca a portare ancora più lontano i suoi semi. È una specie molto rara, perché di solito gli animali li mangiano invece, anche se sono di sapore più sgradevole rispetto a quelli del tiraturi.
  • Helianthus pauciflorus, un tipo di girasole selvatico dalle foglie lanceolate.
  • Helianthus annuus, il girasole comune. Anche se i Mimmi negano, i terrestri ci vedono una certa somiglianza, tanto da valere il nomignolo ironico al tiraturi di “girasole matto”.
Curiosità
  • Se bruciate, le sue foglie possono avere un leggero effetto psicotropo.
  • Sembra che il loro corpo sia in grado di una rudimentale forma di apprendimento, in quanto la medesima pianta risponde allo stesso stimolo in modi diversi a seconda dell'età. Ad esempio, dopo almeno un anno di convivenza, i tiraturi potrebbero riconoscere i passi dei loro coltivatori e smettere di cercare di assalirli.
  • I tiraturi sono in grado di sollevare oggetti fino al peso di quattro chili.
  • Gli animali più grandi sono considerati un pericolo dai tiraturi, ma gli animali un po' più piccoli vanno bene come proiettili.

🌵🎨Tutti i disegni in questa pagina (e molto probabilmente anche in tutte le altre pagine, se non diversamente specificato) sono stati realizzati dalle nostre artiste, Furiarossa e Mimma. Potete vedere altri loro lavori e/o supportarle (e supportare così anche tutti i Cactus di Fuoco ;)) sulla loro pagina Patreon. Diventate patroni delle arti!🌵🎨

mercoledì 20 febbraio 2019

Muschio nottetempo

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Muschio Nottetempo
(Bryum horanoctis)

Il muschio nottetempo è solo una delle sessantamila specie di muschi magici che ricoprono la superficie del pianeta Furioh (il pianeta conosciuto che ospita il maggior numero di briofite, ovvero piante prive di tessuto vascolare, nell'universo).
Si tratta di un muschio dall'odore gradevole che forma grappoli di piante bassissime (un centimetro) di colore verde-blu intenso e piccole capsule sospese su sottilissimi fusticini di colore viola in cui vengono prodotte e, a maturazione, emesse spore oppure immagazzinata energia.
La mancanza di un sistema di conduzione del nutrimento impedisce lo sviluppo in altezza, perciò il nottetempo mantiene dimensioni piuttosto ridotte e con crescita generalmente orizzontale, ma questo non gli impedisce di svilupparsi su estensioni di terreno enormi.
Il muschio nottetempo mostra sia riproduzione sessuale sia moltiplicazione vegetativa.
La principale particolarità di questa pianta sta nella sua capacità di ricoprire chilometri di superficie, crescendo durante la notte su rocce, legno e terreno, uccidendo per soffocamento gli altri muschi: il nottetempo sarebbe l'unica specie di briofita presente sul pianeta se non fosse anche il cibo preferito di un gran numero di animali, fra cui il vorace tarloratto romolano, che lo ridimensionano adeguatamente.

La magia
Il muschio nottetempo è capace di raccogliere l'energia dell'astro diurno attraverso la fotosintesi e trasformarla in energia magica di tipo oscuro che convoglia all'interno di alcune delle sue capsule addette all'immagazzinamento della magia, ma virtualmente impossibili da distinguere a occhio da quelle che contengono le spore.
Durante la notte, la pianta utilizza l'energia che ha conservato nelle ore diurne per crescere rapidamente e soffocare gli altri muschi.
Un mago che abbia bisogno di una piccola riserva di energia oscura potrà facilmente attingere da queste piante durante il giorno, prima che inizino a trasformarla per dare il via alla loro spettacolare e velocissima crescita notturna; tuttavia è tradizione che dopo aver usato il muschio nottetempo si debba regalargli qualcosa in cambio, come un po' d'acqua, di saliva o addirittura (se le si è sfruttate massicciamente) un paio di gocce del proprio sangue, allo scopo di “ristabilire l'equilibrio”.

Nella cultura popolare
Il muschio nottetempo è comunemente utilizzato dalle popolazioni di Furioh come complemento d'arredo per le case non sotterranee (e munite di finestre da cui possa penetrare la luce solare) dove si utilizza per ricoprire intere pareti, insonorizzare le camere e profumare gli ambienti grazie alla sua delicata fragranza conosciuta con il nome di “azzurronotte”.
Gli abitanti delle case sotterranee, che non hanno la possibilità di coltivare questo muschio, spesso comprano (o producono, raccogliendo il nottetempo selvatico durante i mesi più freddi e distillandone gli oli essenziali) l'azzurronotte e lo spruzzano negli ambienti domestici: tradizionalmente si crede che quest'essenza possa donare serenità e stabilità mentale.
Oltre che come essenza pura, l'azzurronotte viene talvolta usato in profumeria per dar corpo alle composizioni, o come incenso mescolato alla linfa cristallizzata dell'albero di kolra.
Gli abitanti del sud credono che il muschio nottetempo cresca più rapidamente dove qualcuno sia morto serenamente, mentre al nord è più diffusa la credenza per cui sia invece mettere una “pezza” (una semplice zolla) di nottetempo sulla fronte di un malato terminale a permettergli di andarsene senza soffrire e senza rimpianti: in ogni caso questa pianta è associata alla morte in termini positivi, oltre che a lunghi sonni rigeneranti.
Qualcuno, addirittura, mangia il muschio nottetempo come se fosse insalata! Sebbene questa pianta abbia un sapore molto intenso, persino acre, possiede proprietà rilassanti, sedative, toniche e antistress. Sembra anche che il suo strano sapore a qualcuno piaccia...

lunedì 11 febbraio 2019

Pittura con i numeri - Rilassatevi con i nostri dipinti!

Disegnare (quando non è una commissione complicatissima che devi finire entro ventiquattr'ore e il commissionatore continua a farti pressione per vedere tutti i work in progress e ti fa cambiare i dettagli) è un'attività che ci rilassa.
Ovviamente non tutti sanno disegnare o dipingere bene come noi Cactus Artistici (ma noi ci siamo allenati fino all'isterismo per un decennio, è normale), quindi per alcuni può essere... frustrante. Alla fine del lavoro può darsi che non vediate colori vibranti, composizioni armoniose o personaggi sufficientemente pucciosi (o fighi o... qualunque cosa vorreste che fossero). E magari rinunciate, eh? (Non rinunciate, vi prego, non rinunciate! Questo mondo ha bisogno di più bellezza!)

Ed ecco che arriviamo noi in vostro soccorso! Recentemente il sito Deal-Rush, specializzato nella produzione di fichissimi paint-by-numbers (pittura a numeri e ora vi spiegheremo in cosa consiste) ci ha contattati perché volevano rendere alcuni dei nostri lavori disponibili sul loro store per essere trasformati in "pitture con i numeri".
Ma cosa sono queste cose aliene piene di numerini? Come forse avrete già intuito, si tratta di una sorta di "disegno da colorare" per adulti (troppo complicato per i più piccini, per questo è "per adulti", non perché ci sono donnine nude ovviamente 😛) solo che non è su carta, ma su tela, e al posto dei colori a matita si devono usare gli acrilici!
In pratica alla fine del lavoro avrete un vero e proprio dipinto su tela interamente creato da voi!
Ogni numero in una determinata area corrisponde a un colore diverso e sta a voi riempire gli spazi con più precisione possibile al fine di avere un risultato fichissimo!

Insomma, ormai l'avrete capito... da oggi alcuni dei nostri lavori (ma se saranno apprezzati lo store si allargherà di certo con nuove creazioni) sono disponibili come "paint by numers". Da oggi potete dipingere alcuni dei vostri personaggi preferiti usciti dritti dritti dalle nostre storie e dire ai vostri amici "questo l'ho fatto io, è un dipinto di un personaggio fichissimo... già che ci sei, perché non leggi *inserire qui pubblicità sfacciata ad uno dei nostri racconti*"!
Il nostro disegno originale a fianco di un "paint-by-numbers" completo. Immaginate che figata esporre quel dipinto nel vostro salotto! Ovviamente non siete obbligati a ripassare la nostra firma quando dipingete, potete anche metterci la vostra :P
Dipingere colorando un paint-by-numbers è un ottimo modo per lasciare fluire il tuo talento artistico, sostenendo l'artista che ha creato per te quella base (con qualche soldino e l'idea che qualcuno abbia apprezzato la sua composizione). Con i paint-by-numbers è facile iniziare a capire i segreti delle palette cromatiche, dei contrasti... è un ottimo modo per diventare pittori migliori!

Ed ecco un altro segreto: è super rilassante e perfetto per meditare (sui dilemmi della vita o sulla trama della vostra nuova storia, per esempio): è semplicemente piacevole e rilassante, quasi come una terapia. Quindi che altro dire? Goditi una splendida giornata di pittura con i nostri nuovi (oh come siamo fieri!) paint-by-numbers!


(se comprate seguendo questo link guadagniamo un pò di più sulla singola vendita che se voi compraste le pitture a numeri semplicemente visitando il sito... è una specie di referral) 
Ogni kit  Craft-Ease™ include tutto quello di cui avete bisogno per ricreare favolosi dipinti:
  • Una splendida tela numerata
  • Confezioncine di colori acrilici pronti all'uso!
  • 3 pennelli di taglia perfettamente adattata per completare il dipinto 
  • La foto dell'illustrazione originale (lo sappiamo che volete collezionarle! E poi vi serve per capire meglio dove mettere i colori)

In futuro lo store sarà ampliato con più lavori (comprensivi anche dei vostri personaggi preferiti, come Furiadoro e Ermes!), ma per ora... iniziate a provare l'hobby più rilassante del mondo ;)

domenica 10 febbraio 2019

Racconto breve - Spettro


 + Spettro +

Note degli autori: Questo racconto non è parte del ciclo del Cammino delle Leggende, anzi, oseremmo dire che è più uno... sfogo autobiografico. Non faremo nomi, ma è comunque un raccontino interessante. Buona lettura! 

Doveva essere morta; non c'era altra spiegazione.
Non trovava modo di capire altrimenti quella che era diventata la sua esistenza.
D'altronde, non era certamente colpa sua. Erano gli altri che le avevano dato addosso, dato addosso sin da quando... non riusciva a ricordare, ma di certo erano gli altri ad averla perseguitata fino ad oggi. E oggi era il giorno in cui si era definitivamente resa conto che qualcosa non andava, e che non era una serie di sfortunate coincidenze passeggere.
Era abituata ad essere ascoltata, assecondata, ad avere sempre ragione.
Era abituata a gridare come un'aquila, a fare la minacciosa se non veniva obbedita, gettando minacce incomplete come confetti ad un matrimonio e, se dopo estenuanti ore di litigio, non era riuscita ad ottenere ciò che anelava, decideva di rigirare piano la frittata e vestire in tutta fretta i panni della vittima, sciogliersi allora improvvisamente in un pianto disperato accusando il litigante. Strillava con voce alterata e piena di lacrime, accusava lui e tutta la sua famiglia, insultava i nonni, contestava le scelte di intere generazioni. Dopo aver enumerato i mille motivi per cui era una disgraziata – e solo lei poteva fare il collegamento tra il fatto che il marito non le avesse comprato uno specchio nuovo, per dare più luce alla cucina, al fatto che lo zio di lui fosse stato sicuramente un maledetto pentito senza Dio – , passava al vittimismo più deprimente e totale e gridava di volersi ammazzare, di aver fatto male ad averlo sposato, ad aver avuto bambini, e che ora desiderava solo ammalarsi di cancro e andarsene dolorosamente.
Se perfino adesso la tecnica non funzionava, le lacrime cessavano come per magia e tornava ad urlare, furibonda.
Ma qualcosa era andato storto nell'ultima settimana.
Le figlie non rispondevano più alle sue insinuazioni e agli insulti. La guardavano solo con disprezzo aperto, senza dire nulla. La ignoravano, e tornavano a parlare tra loro.
Quando la vedevano, si allontanavano.
La cosa la fece infuriare: lei era la loro madre, aveva dato loro la vita a costo di incredibili sacrifici, era stata in ospedale per dare vita a quelle due disgustose ingrate!
“Come t'ho fatto, ti disfo”. Era una delle sue massime più usate, ma se aveva funzionato quando erano piccole, insieme alle botte quando, secondo lei, avevano proprio esagerato – ad esempio, alla più piccola era capitato di recente di versare dell'acqua sul suo cotto di principe, se l'era cercata – ora che non avevano più sette anni sembrava sortire un effetto minore.
Da lì le aveva insultate in tutti i modi più osceni, urlando in modo che si sentisse bene anche intorno. Il marito le aveva detto di lasciarle stare; era diventato lui il bersaglio principale. Le figlie se ne erano andate, senza dire nulla né dall'inizio né alla fine, come se lei non fosse esistita.
Suo marito l'aveva colpita.
Non l'aveva mai colpita prima.
Non sembrava arrabbiato, solo incredibilmente stanco. Poi l'aveva completamente ignorata.
Era fuggita fuori a denunciare il fatto a tutte le sue amiche per indignarsi insieme, in lacrime, pigolando come un pulcino, pronta a tornare a urlare il proprio sdegno.
 
In verità, “amiche” era un termine piuttosto generico. Chiunque le avesse mai solo rivolto la parola, anche solo un “mi scusi, che ora è?” aveva secondo lei manifestato la chiara intenzione di parlare proprio con lei, quindi di stringere amicizia. Se era un uomo, probabilmente si era innamorato.
Ma avevano sempre tutti qualcosa che non andava, e avere tante amiche significava avere tante occasioni di poter parlare liberamente dei difetti delle altre senza essere sentite, per poi battere la lingua su qualcuno con cui aveva chiacchierato solo pochi istanti prima.
Erano tutte troppo brutte, troppo grasse. Di certo, erano tutte stupidissime.
All'estraneo che gli parlava di queste sue amiche, però, esponeva solo alcune dei loro lati: “la mia amica è laureata con centodieci e lode; hai visto che fisico che ha...?”. I loro traguardi erano suoi traguardi, che aveva potuto annoverarle tra le sue conoscenze.
Certo era che, comunque, lei era stata la migliore della classe. Quell'amica la invidiava di certo, nel segreto e nell'intimità della sua casa, desiderava essere lei. Era anche molto più magra di quell'amica, e di certo più forte: lei era allenata, sapete.


Le sue amiche non le avevano rivolto la parola. Avevano tutte continuato per la loro strada, senza neppure degnarla di uno sguardo.
Lei sgranò gli occhi, stupita. Le seguì, e loro continuarono ad ignorarla, anche quando le tirò per le braccia. Si voltavano verso di lei, tranquille, e sembravano attraversarla con lo sguardo appena appena irritato, come se a trattenerle fosse stato un ramoscello impigliato nella borsetta.
Poi accadde qualcosa di strano.

Tirò una sua amica, la più giovane, la nuova acquisita. Al tocco brusco della sua mano, il braccio scattò con un tremolio incontrollato contro il corpo; il suo sguardo era incrinato in un'espressione di totale disgusto, la bocca dagli angoli profondamente all'ingiù, gli occhi socchiusi. Deglutì, poi sembrò rilassarsi.
Il suo sguardo la attraversò come se fosse fatta d'acqua, e il braccio penzolò di lato, finalmente rilassato. La donna era tornata ad essere invisibile.
Calde lacrime, spontanee, le bagnarono le ciglia. Si premette le mani sulla bocca e scappò.
Al ritorno, la casa era chiusa. Non servì suonare il campanello: la porta chiusa era e chiusa rimase.
Ecco perché di certo era morta.
Non aveva dubbi: suo marito l'aveva uccisa. L'aveva sempre detto che era un pazzo squilibrato, tutta la sua famiglia era di pazzi squilibrati, come lo erano i suoi genitori e le figlie fatte insieme.
Si sedette sul marciapiede e guardò di sottecchi i passanti.
Urlò a squarciagola quando un cane le si avvicinò, ma il cane le indirizzò un'occhiata veloce e proseguì per la sua strada come se non avesse mai avuto intenzione di fermarsi da lei.
Era invisibile.

++++
 
L'uomo era arrivato da poco in paese.
Era un paese molto piccolo, ma incredibilmente grazioso a suo parere. Alcune case erano minute e piene di dettagli come delicate miniature, altre erano abitate, eppure avevano la porta rotta e sempre aperta e i mattoni mai coperti da alcun tipo di colore, in un rurale accogliente.
Le strade erano asfaltate in modo irregolare, come se gli operai avessero scordato quante mani di asfalto passare lì e quante ne avevano già fatte là.
I bambini parlavano in dialetto strettissimo e incomprensibile, e lo indicavano apertamente.
Si, doveva ammetterlo, probabilmente si vedeva a prima vista che era uno straniero. Ma i bambini, a volte in due sullo stesso sellino di bicicletta in un modo che gli faceva rizzare i capelli dalla preoccupazione, lo divertivano. Gli piacevano i bambini.
Un cane gli si avvicinò e guardò in su. Aveva occhi castani e luccicanti come crema alle nocciole, e gli angoli della bocca contornata di nero erano all'insù, la bocca spalancata in un sorriso allegro.
La mano dell'uomo scese molto piano sulla testa dell'animale; lui non si scostò, anzi, ci si strusciò contro con entusiasmo che lo fece ridere.
«Beh, almeno a te piaccio» Sussurrò dolcemente lo straniero, guardandosi intorno per controllare che non saltasse fuori da qualche vicolo un padrone arrabbiato e\o sospettoso «Devi essere l'unico».
L'uomo non aveva amici. Tempo fa ne aveva avuto qualcuno, ma sembrava che non avesse mai davvero funzionato. Era come se, agli occhi degli altri, fosse stato morto.
Il cane scodinzolò e lo accompagnò silenziosamente all'hotel, trotterellando un po' avanti a lui. L'uomo gli offrì del pane dalla propria borsa, e il cane lo mangiò agitando la coda. Lo guardò un po' speranzoso dopo che lo ebbe finito, poi si limitò a seguirlo.
L'uomo si guardò attorno, insicuro. Non sapeva come orientarsi, dove andare. Era perso.

«Il cane è suo?» Chiese una ragazzina, in piedi di lato allo scaffale
«Il cane?» disse lui, sorpreso. Dopo due settimane, era riuscito ad ottenere di occuparsi della biblioteca. Di certo non era un salario che gli consentiva di spendere e spandere (come un po', in cuor suo, avrebbe voluto fare), ma gli consentiva di occuparsi di beni preziosi di carta e pensieri, di aiutare giovani menti a formarsi scegliendo le storie che li avrebbero forgiati e vecchi lettori a trovare nuove storie per i loro occhi stanchi.
«Quello fuori dalla porta» Disse la ragazzina, soppesando “Mucchio d'ossa” di Stephen King e girandolo per leggerne la trama «La segue sempre, ovunque vada. È suo?»
«Non lo so» ammise l'uomo, sincero. Il suo accento spiccava tantissimo: aveva viaggiato molto – sembrava che nessuna delle sue case avrebbe mai potuto essere casa sua – e ormai aveva assunto un modo di pronunciare le parole che gridava “straniero” ovunque andasse.
«Capita spessissimo anche a me» La ragazzina si avvicinò con il libro stretto in mano «Se ci sai fare, a volte ti seguono. A me capita che mi si fermino fino a casa, ma ormai lo sanno che da lì non si può più passare... ma non è di nessuno. Lei lo vuole?».
Lui inclinò un po' la testa. «Si» Disse infine, divertito.
«Lei ha un bellissimo cane».
La ragazzina aveva una sorella, quasi coetanea; le vedeva spessissimo lì in biblioteca, accompagnate dal padre. Aveva imparato a giudicare le persone, e sapeva che la descrizione in breve di quell'uomo era: un uomo buono.
Li invitò a cena.
Ne aveva invitati tanti, ma per la prima volta loro accettarono. Lui cucinò come meglio poteva, e loro si sperticarono in complimenti e insieme si scambiarono le ricette e parlarono di libri.
Il padre si intrometteva spesso nelle conversazioni tra lui e le figlie, per chiarire una loro particolare abilità, dal disegnare al fare il fischio della quaglia: ne parlava con premura e affetto, come un uomo che lucida delle perle per farne risaltare la lucentezza agli occhi degli altri.
La volta dopo, fu la famigliola ad invitarlo. Lo presentarono ad altri, in occasione di altre cene. Conobbe donne e uomini; alcuni gli furono indifferenti, altri gli rimasero nel cuore, e con sua sorpresa, lui rimase nel loro.
Adottò il randagio, che chiamò Sniper, e seppe dalla famigliola una storia.
Una volta avevano una madre. Ora non l'avevano più, eppure lei non era morta.
Era stata infantile, stupida, prepotente, superstiziosa, credeva che tutto gli fosse dovuto. I suoi metodi erano umiliazioni e violenza. Li ridicolizzava, e se qualcosa non era suo, beh, non valeva la pena che esistesse. Aveva cercato di mettere giù la testa delle figlie, di prendere in giro il marito. Aveva sparlato delle amiche, illuso uomini, riso di chi le era accanto.
Era quella che poteva essere definita “una donna cattiva”.
La gente intorno le aveva dato molte possibilità di redimersi, troppe; nessuna era stata colta. E siccome il problema era che lei era ancora viva, ma non la si poteva uccidere, tutti l'avrebbero semplicemente considerata morta.
Le figlie le avevano voltato quella testa che lei aveva cercato di abbassare, il marito l'aveva presa in giro e poi lasciata a sé stessa, le amiche avevano sparlato di lei e le avevano mostrato le spalle, gli uomini l'avevano disprezzata.
«Che fine ha fatto?» Aveva chiesto lo straniero.
Si poteva ancora vedere ogni tanto girare per il paese. Aveva lo sguardo perso, le guance più incavate: pareva quasi che su di lei fosse stato gettato un incantesimo dai compaesani – morta ti consideriamo e morta sarai. Sembrava uno spettro.
Si cambiò argomento. Mangiarono i cannoli siciliani, risero insieme, parlarono.
Sniper scodinzolava sotto il tavolo, la gente parlava con lui, come fosse uno di loro, e lo era.
Sorrise. Aveva di nuovo una vita.

+++++

Erano passati mesi. Non aveva più parlato con nessuno, tranne con pochi tentativi disperati che di tanto le risalivano con prepotenza dalla gola riarsa: «Per piacere, per piacere! Non lasciatemi così! Non LASCIATEMI!».
Ma era inutile. Tanto era morta, era morta, era maledettamente morta.
Ma non era colpa sua, non era possibile. Era morta. Era l'unica spiegazione.




giovedì 7 febbraio 2019

Racconto breve - L'odore dell'acciaio

L'odore dell'Acciaio 

Illustrazione di Afterlaughs. Jean-Carl e Vlad. 
 

Abbassò finalmente le mani, rilassando appena i tendini, facendo si che la pelle si tendesse meno sulle nocche sbiancate. C'era qualcosa ancora incrostato sotto le sue unghie, ma non riusciva a capire se fosse terra o sangue. Non che questo dettaglio avesse più alcuna importanza...
Non sapeva dire quanto avesse lottato, quanto a lungo e con quanta forza avesse scavato. Era arrivato il momento, per lui, di andare fino in fondo.
Un tempo il nome del ragazzo era stato Jean-Carl e anche lui era stato come gli altri, normale, annoiato, felice come può esserlo un ragazzino, in quel modo sempre un po' sufficiente, un po' insoddisfatto. Aveva avuto una ragazza da amare, una volta, ma loro se l'erano portata via per sempre.
Aveva avuto una vita, una famiglia, dei fratelli.
Loro si erano portato via tutto, lasciandolo come aperto, squartato, in mezzo a quella disperazione, ad imputridire, come una carogna, alla ricerca di uno scopo.
Loro non aveva messo in conto che Jean-Carl potesse trovare un senso in tutto questo, una felicità estratta con le unghie dalle macerie di una vita distrutta, uno zaino pesante da mettersi sulle spalle e armi da infilare nella cintura, non avevano messo in conto che lui potesse imparare ad amare di più la vita, da quando la morte gli aveva sfiorato la fronte.
Il ragazzo, ora, non era più Jean-Carl, perchè aveva imparato a sue spese che avere un'identità era pericoloso e limitante. Era solo il ragazzo.
Prese un profondo respiro che gli riempì i polmoni, dilatandoli fino a fargli male. Il profumo della menta e del mentastro, che crescevano mescolati al trifoglio nel campo, gli stuzzicarono le narici piacevolmente dopo il greve odore della terra umida.
Farsi seppellire vivo non era stata una scelta facile, ma era l'unico modo che aveva avuto per sopravvivere mentre i suoi nemici scorrazzavano liberi in superficie. In effetti, a pensarci bene, non era stata neppure una vera scelta: aveva trovato una vecchia bara sforacchiata e capiente, ormai era diventato facile beccarne qualcuna nelle case di quelli come loro, e ci si era nascosto a scopo mimetico. Solo qualche decina di minuti più tardi si era sentito sollevare da terra e per poco non aveva urlato, pensando di essere stato scoperto; si era sentito trasportare, sballottato in giro, e si era sforzato di rimanere in silenzio assoluto, di calmarsi, respirare piano, di non irrigidirsi. Avevano seppellito la bara e il ragazzo era rimasto in silenzio ad ascoltare ogni manciata di terra che si infrangeva contro il legno, ogni risata, ogni battuta, dei necrofori che lo stavano seppellendo, per fortuna senza troppa cura. Era una tortura, che si insinuava sempre più a fondo nel suo cervello: la sensazione nera di essere in trappola, di sapere che lo spazio intorno al suo corpo si stava restringendo sempre di più.
Immaginate voi di essere laggiù, di sapere che non potete emettere un solo suono, di sapere che lentamente, un po' alla volta, la terra vi sta ricoprendo, sta schiacciando la fragile cassa di legno in cui vi trovate. Non ne uscirete mai più, pensate, morirete laggiù, annaspando alla ricerca di aria come insetti chiusi in una bottiglia, dibattendovi come pesci tirati fuori da un fiume, artigliando il coperchio sopra di voi nella vana speranza di smuoverlo. Non c'è morte più orribile, più consapevole, più vana.
Questi, e molti altri pensieri, si affollavano nella testa del ragazzo, ma egli non vi diede ascolto: si disse che la terra, a giudicare dal numero di volte in cui le vanghe avevano lavorato a quella sepoltura, non doveva essere poi molta sopra di lui, che l'aria era abbondante e che il coperchio della bara era leggero. Non si perse d'animo, il ragazzo, e attese silenzioso di poter compiere la sua vendetta, sorridendo ad occhi chiusi nel grembo oscuro della terra, prendendo come una benedizione quella prematura sepoltura che lo aveva celato agli occhi dei nemici.
“Forse sono pazzo” Pensò, ma fu solo per un istante.
Sentiva ancora le voci della gente che stava in superficie, dunque il momento di tentare una risalita non era ancora arrivato.
Passarono ore, intense e buie, ore contate secondo dopo secondo, un ticchettare, uno snocciolare di istanti che parve eterno, più lungo della nascita e della morte di un uomo. Ma il ragazzo era tenace e sorrideva. E finalmente scese il silenzio.
Fu allora che il ragazzo tentò di uscire e vi riuscì, senza sapere neppure lui come aveva fatto, ma ritrovandosi con le mani sanguinanti, sporco dalla testa ai piedi di terra umida e con schegge di legno fra i vestiti e la pelle.
E ora, finalmente, era libero e un mattino chiaro e radioso gli illuminava il volto.
Il ragazzo si controllò i coltelli alla cintura: erano sette, un numero magico e fortunato, affilati per giorni su pietre di fiume e assicurati con improvvisati legacci di cuoio e spago. Li aveva intinti tutti nell'acqua santa, anche se non credeva davvero che servisse a qualcosa, e subito dopo li aveva asciugati con cura perchè la ruggine non si formasse sul loro lucente, freddo, perfetto metallo argenteo. Li aveva curati come se fossero i suoi figli e quelli lo avrebbero servito fedelmente, assecondando i movimenti delle sue mani, intagliando e penetrando, disegnando il più perfetto dei lavori artistici: la vendetta.
Qualcosa si mosse alle spalle del ragazzo.
«Tu devi essere Jean-Carl Corsaro, non è così?» Gli chiese una voce calma, profonda, con un accento leggero dell'est europeo. C'era qualcosa di remoto in quel tono, come se provenisse da una registrazione.
Il ragazzo si voltò di colpo e mise mano all'impugnatura del più grosso dei suoi coltelli
«Tu...» disse soltanto, poi strinse le labbra fino a ridurle ad una linea dritta.
L'uomo che ora fronteggiava era alto poco meno di lui e aveva le spalle ampie, un torace da sollevatore di pesi, chiuso in una stretta camicia bianca aperta sul petto, e una cascata di capelli neri e ricci che gli scorreva lungo la schiena. Il suo volto era crudelmente atteggiato ad un sorriso aperto, che mostrava denti saldi e canini grossi e affilati, il labbro superiore ombreggiato da un paio di baffi folti, un naso avido, affilato e voluminoso, e occhi grandi, dalle iridi scarlatte, terrificanti, innaturali in quella faccia così comunemente umana, così imperfetta.
«Io» disse quell'uomo, incrociando le braccia «Si, proprio io, mio caro e giovanissimo amico... cosa vuoi fare, con quel coltello? Non è neppure d'argento. Non ha il manico di frassino. Quello è solo acciaio, semplice, vile acciaio. Piantamelo in petto, dai, ficcamelo qui sul cuore e vedrai cosa succede...».
Acciaio. Il ragazzo guardò oltre le spalle della creatura dagli occhi rossi e ne vide tanto, tantissimo... acciaio ovunque. L'erba, la menta, il mentastro che egli aveva fiutato erano solo l'illusione di un prato immenso, erano solo uno spazio verde, disseminato di croci, che conviveva con un cantiere di dimensioni pazzesche.
Pali in cemento si sollevavano, come le torri oscure di un romanzo fantasy, a reggere cavi spessi e tesi da un lato all'altro della struttura; impalcature abbandonate, tubi di un grigio brillante, attrezzi di ogni sorta, dalla vanga al martello pneumatico, giacevano disseminati. Tutto era fermo e si stagliava contro un cielo di un azzurro profondissimo e così terribilmente sbagliato a confronto di quello spettacolo artificioso.
«Cos'è?» Domandò il ragazzo. La sua voce era arrochita dalla stanchezza, dal caldo, dal fumo.
L'uomo dagli occhi rossi si guardò alle spalle solo per un istante, così rapidamente che parve un robot.
«Oh, quello?» disse poi, sollevando le sopracciglia e distendendo i lineamenti «Diventerà solo un castello. Un castello moderno, s'intende... non c'è più lo stile di una volta, il maledetto acciaio si sta divorando il mondo»
«Vuoi uccidermi?»
«Perché dovrei volerti uccidere?»
«Perché è quello che fa la tua gente. Quello che fanno i vampiri»
«Tu credi che io sia un vampiro»
«Non sono stupido» Jean-Carl sputò per terra, poi indietreggiò di mezzo passo «Non funzionerà, con me»
«Lo so. Hai già ammazzato molti di noi. Sei un assassino molto bravo»
«Grazie. Ma non sono un assassino e non ho ucciso nessuno. Erano già morti»
«Peccato che non ci siamo mai conosciuti prima... sei uno che va, tu, uno che va forte»
«Chi sei?» chiese il ragazzo, ignorando il significato della frase del vampiro
«Che strano» l'uomo con gli occhi rossi, il vampiro, assunse un'aria perplessa «Mi sarei immaginato, conoscendo la fama che aleggia intorno a te, che tu mi domandassi “cosa sei, mostro?”, oppure “perchè non stai bruciando al sole?”. Chi sei? Beh, è una domanda così civile... e non so come risponderti»
«Dimmi il tuo nome, mi basta»
«Vlad»
«Vlad?»
«Si»
«Un nome così... così da vampiro...» il ragazzo estrasse il coltellaccio da caccia dal suo fodero, ma lo tenne basso, allineato alla coscia «Lo trovo stupido»
«Ti sbagli. Non è un nome da vampiro, è al contrario»
«Cosa?» le sopracciglia scure e sottili del ragazzo si aggrottarono «Cosa significa?»
«Non è che Vlad è un nome da vampiro. Al contrario: vampiro è un nome da Vlad».
Jean-Carl non capì cosa volesse dire. Non gli interessava capirlo, voleva solo perdere tempo. Sapeva che quello di Vlad era un bluff, che l'acciaio poteva benissimo uccidere un vampiro, straccargli via la testa dal collo. Dopo bastava bruciarli e, oh, come bruciavano!
Vlad si avvicinò a lui, senza fretta, con movimenti troppo ferali per essere umani: sembrava che in ogni suo passo si scatenasse la forza di un leone arrabbiato, che usasse gruppi muscolari che non dovrebbero essere attivati solo per camminare. Jean-Carl aveva guardato spesso i vampiri spostarsi, ma dovette ammettere che non aveva mai visto qualcosa del genere. Non aveva neppure mai visto uno di loro che camminasse alla luce del sole.
«Sono più antico di tutti loro, il sole brucia solo un pò» Spiegò Vlad, come se gli avesse letto in mente. Probabilmente l'aveva fatto davvero, se era così vecchio come diceva.
Jean-Carl rafforzò la presa sul coltello, irritato.
Vlad dilatò le narici, fermandosi
«Il tuo sudore sta colando sul metallo» disse, a bassissima voce, quasi un sibilo «Sento l'odore dell'acciaio che si ravviva. Un assassino non dovrebbe essere così nervoso»
«Non ho mai ucciso uno di voi così...»
«Guardandolo negli occhi? Da sveglio? Tu tagli le gole dei vampiri che dormono»
«Non ho altra scelta» ringhiò fra i denti il ragazzo
«Lo so. Non sei un vigliacco, solo che non sei neanche stupido. Anche a me piace tagliare le gole»
«Vuoi tagliarmi la gola?»
«Non c'è romanticismo, così, non c'è caccia» gli occhi di Vlad parvero scintillare per un istante, due letali rubini incassati nel cranio, e la sua mascella si contrasse appena «Sono dalla tua parte, ragazzo. Sul serio»
«Cosa vuoi dire?»
«Non sono qui per uccidere te. Sono qui per ammazzare la fazione più numerosa, è molto più divertente. Tu sei solo».
Jean-Carl non credeva di aver compreso bene. Il vampiro voleva fare fuori i suoi stessi simili? Bisognava lasciarglielo fare? E poi aveva altra scelta? No. Il vecchio Vlad avrebbe fatto a pezzi il suo giovane corpo mortale ed esausto con la facilità con cui un bambino può spezzettare un cracker. L'avrebbe spezzettato e divorato.
«Vieni con me» disse Vlad «Prendiamoli che dormono. Non si aspettano che io sia qui»
«Tu sei uno di loro e basta! Tu mi vuoi in trappola!» realizzò il ragazzo, trionfante, sollevando il coltello «La luce del sole ti indebolisce. Vuoi portarmi fra i tuoi per ammazzarmi. Non verrò».
La lama tintinnò contro le rocce, volando via dal pugno chiuso del ragazzo. Vlad sorrise sornione
«Ti ho disarmato. Senza che ti accorgessi di come ho fatto. Se avessi voluto ucciderti l'avrei già fatto da un pezzo, Jean-Carl».
Il ragazzo sobbalzò: non gli piaceva che lo si chiamasse con quel nome. Socchiuse le palpebre, guardando la figura tarchiata di Vlad dallo spiraglio, pensando che magari sarebbe cambiato un po', che sarebbe diventato meno inquietante, ma non era così: rimaneva uguale a sé stesso, così strano, un po' goth, un po' nobile, un po' pazzo. Uno zombie pallido, un corpo morto ammantato di un'apparenza di umanità, e occhi rossi come sangue dalle pupille immobili. Niente di ciò che era vivo, neppure i rettili, riusciva a dare una simile impressione di immobilità.
Jean-Carl non poteva fidarsi di lui e non era perchè non era umano, ma perchè era un mostro, una cosa che non avrebbe dovuto esistere in natura. E se prima era stato in qualche modo scettico, lo convinse il guardare la sua ombra: la figura del corpo di Vlad non era riportata fedelmente sul terreno, ma era deformata, più alta, curva, e tremava in un modo che non era in alcun modo spiegabile, ma che, semplicemente, era terrificante.
Il vampiro guardò la propria ombra, le labbra strette in una linea. Poi prese a ridere. Rise forte, spalancando le fauci. I suoi denti scintillarono al sole ed erano tutti affilati, non solo i canini, e la lingua esangue finiva in una punta rettilesca ed era gonfia, innaturale.
Il ragazzo sentì un brivido di freddo lungo la spina dorsale, poi la sua mano si mosse come se avesse vita propria e conficcò dritto in quella lingua, in mezzo alle zanne ricurve, uno dei coltelli. Il sangue non zampillò come avrebbe dovuto, ma prese a scendere lentamente, scuro e freddo, formando rivolette intorno alla lama e sulla gola del vampiro, dove la punta dell'arma aveva trapassato la carne e lacerato la pelle.
Vlad emise un gorgoglio strozzato, spalancando gli occhi.
Poi il ragazzo non vide né sentì null'altro che un dolore acuto e sparso lungo tutto il corpo, come se fosse stato investito in pieno da una locomotiva e schiacciato sotto le sue ruote pesanti, poco prima di perdere i sensi.
Si risvegliò al buio, al chiuso, con tutte le membra doloranti. Si sentì sconfitto. Era questa la morte? Non avrebbe dovuto forse essere una cessazione di tutta la vita? E allora perchè, perchè stava soffrendo in quel modo, perchè sentiva le spalle che pulsavano e i polmoni stretti in una morsa?
Era vivo e questo era chiaro come la luce del giorno anche laggiù, in quella oscurità fredda.
Fredda come metallo, realizzò il ragazzo, quando allungando le mani di fronte a se, in alto, sentì con i polpastrelli una superficie liscia come uno specchio. Non era tutto buio, il mondo: una fessura nel metallo lasciava penetrare una lama pallida di luce. Con le dita, il ragazzo interruppe il chiarore, poi cercò di sistemarsi in modo da poter guardare fuori. Era notte, ma potenti fari rischiaravano il cantiere in cui quelle creature disgustose lavoravano alla costruzione di un mastodontico edificio di vetro, cemento e metallo.
Il terrore afferrò con le sue mani artigliate e secche lo stomaco di Jean-Carl: molto peggio che essere seppellito vivo, era stato nascosto nel bel mezzo del cantiere, in quella che sembrava una tomba di metallo invece che di terra e legno. Non ne sarebbe uscito vivo, il cemento si sarebbe chiuso su di lui, ecco la fine crudele che Vlad aveva deciso per colui che lo aveva accoltellato.
Eppure il ragazzo non gridò. Si distese. Forse si sarebbe salvato, forse no, ma quello che sapeva di certo era che non avrebbe gridato, non avrebbe dato a quegli esseri mostruosi il pretesto per venire a prenderlo.
Chiuse gli occhi. Impose alle pupille di smettere di tremare dietro le palpebre.
C'era anche un'altra cosa che sapeva di certo: se mai si fosse salvato, se ce n'era anche solo una possibilità, avrebbe odiato per sempre l'odore intenso, singolare, metallico, dell'acciaio. 


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Questo è un vecchio pezzo del 2013, creato per il contest di #ArteScritta sul tema "L'odore dell'Acciaio". Ah, e abbiamo anche vinto il contest con questo ;)
È stato anche l'esordio su internet di Jean-Carl (personaggio che aveva già "esordito in privato").
Ringraziamo ancora Afterlaughs per la bellissima illustrazione che ci ha donato (e potete vedere l'originale QUI su Deviantart)!

venerdì 1 febbraio 2019

Gennaio 2019 - Cosa abbiamo creato?

Gennaio 2019 è finito: Ecco cosa abbiamo postato online questo mese, grazie anche al supporto dei nostri beneamati patrons!




+++DISEGNO++++

Il Cammino delle Leggende (The Way of Legends) / OCs:
Mark as "The Beast" | Dressed dragon 1 | Artenair simulacrum | Artenair simulacrum ranchu form | The sorcerer who called the thorns | Draw me like one of your greek warriors |

The Way of Legends' Lupus in Aula:
Gemma Foschi - Concept art | Amelia Formi - Concept art | Scientia potestas est | Olaf Palmeri - Concept art |


Animals and other creatures

Anthro/furry/hybrids (not commissions)
Somnus the Muse | Minis 205 - Silver Gunn |


Hannibal
St. Will and the red dragon |


Werewolf&Cannibal webcomic
Shameful beating [Tapas][Blog]|


Winner Cacti webcomic


Other fanarts
I'm a lover, not a fighter (crossover) | The sorcerer who called the thorns (The Undertaker)  | Rainbow Quartz 2.0 |

Commissions
Friendship on a swing | Biker woman | Arcade Furries | Aria and Hotaru | The Hunter (black and white) | Nick | Rhody | Owen | Mica and Boris | A tango (black and white) | Sad bunny and cute kitty | Running Craz (black and white) | Elias | Comic: A small... surprise | I'm gonna beat you! | The Hunter | Autumn Idyll (black and white version) | Bob | A tango | Chibi theatre | Running in the night | Neural connection (black and white) |

Other
Commission prices 2019 |

Patrons only!
Biker woman (WIP) | Craz action (WIP) | Special agents (WIP) | Autumn Idyll (WIP) | Zylkene pet (WIP) | Sara full moon form - WIP | Elias (WIP) | Neural connection (WIP) | Bob (WIP) | Wolf class (WIP) | Sara crinos (WIP) | Two Red Cats strip 88 (WIP) | The Hunter (Pack for patrons) | A tango (Pack for patrons) | Running in the night (Pack for patrons) | Zylkene pet comic (preview for patrons) | Autumn idyll (Pack for patrons) | Blindfury cover (pack for patrons) | Colorable linearts vol.22 [For patrons on Patreon][Purchasable by non-patrons on Gumroad]
 


+++SCRITTURA+++
Recensioni


Io sono il Drago
Vestiti da cerimonia | Rito d'ammissione | La profezia della scacchiera | Eletto dal popolo | Heslant il blu | Uno storico, bibliomane e criminale |

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Sunset - Ringraziamenti | ICDL illustrazioni - Draghi parte 2 |


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