sabato 13 novembre 2021

La Cattedra del Giocatore - 3. Carta sasso forbice

 
 «Per chi di voi non conoscesse le regole, esse sono semplicissime» Spiegò Fyodor, allungando le mani davanti a sé dopo aver sollevato un po' le maniche della camicia viola.
Aveva le unghie bianche, quasi madreperlacee, che contrastavano con le dita color liquirizia.
«Bisognerà dire “carta sasso forbice”, cantilenandolo con questo ritmo. Ricordatevelo, “ca-rta sa-sso fo-rbi-ce”. D'accordo? Alla fine della cantilena, la vostra mano dovrà aprirsi e mostrare una delle tre posizioni possibili nel gioco, ovvero carta» e mostrò la mano aperta, con le dita ben distese e vicine tra loro «Sasso» un pugno «Forbice» indice e medio alzati ad imitare le due lame della forbice «Il sasso sconfigge la forbice, piegandola, ma perde contro la carta, da cui è avvolto. La carta quindi sconfigge il sasso, ma perde contro la forbice, da cui è tagliata. La forbice vince contro la carta, tagliandola, ma perde contro il sasso, che la spezza. Tutto chiaro?».
La maggior parte dei presenti annuirono, Luna rise. Ovviamente tutti conoscevano le regole di quel semplicissimo gioco da bambini.
«Bene. Ogni giocatore punterà una posta uguale o equivalente rispetto al proprio compagno di coppia. Mettetevi d'accordo fra voi. Tre sole partite, chi vince due su tre prende l'intera somma. Poi i vincitori si sfideranno fra loro. Alla fine, uno solo di voi vincerà l'intero malloppo. Tutto chiaro?»
«No» borbottò Trevor
«Facciamo finta che ci sfidiamo io e te» suppose Fyodor, smettendo di sorridere «Prova, su. Ca-rta sa-sso fo-rbi-ce. Ecco!».
Trevor aveva buttato forbice, Fyodor carta.
«Ho vinto, in teoria?» Domandò l'uomo vestito da prete
«Sì, hai vinto la partita. Ma per prendere quello che io e te abbiamo scommesso devi vincere altre due volte. Adesso è chiaro?»
«Un poco... e se perdo?»
«Perdi i soldi e sei fuori dal primo gioco. Niente di che, puoi ri-giocare al secondo, tranquillo. Ora è tutto chiaro?»
«Sì»
«Bene. Allora estraggo le coppie».
L'uomo nero infilò una mano nel portapenne a forma di teschio, mescolò con furia i bigliettini e ne estrasse due, tenendone uno fra pollice e indice e l'altro fra medio e anulare. Li aprì sul tavolo e li lesse.
«Trevor e Luna, prima coppia!».
Ancora un'estrazione, due bigliettini alla volta. Manuel si masticò un po' l'interno della guancia, nervoso: tutte le persone così abili con le dita erano sempre riuscite a fregarlo, sembrava che ci fosse una correlazione genetica fra la prestidigitazione e l'essere dei disgustosi truffatori senza scrupoli.
«Manuel e Eleonora, seconda coppia!».
La donna dai capelli azzurri posò gli occhi su Manuel. Aveva l'aria di qualcuno che è seccato anche solo dal proprio respiro.
«Achille e Santa, terza coppia!».
Il ragazzo con la camicia da notte trasalì e i suoi occhi guizzarono verso la ragazza dai capelli rosa. Sembrava spaventato.
«Rimane fuori solo... io. Solo io rimango fuori» Fyodor si strinse nelle spalle «E vabbé, il migliore di voi sfiderà me».
Manuel serrò la mascella: era fin troppo palese che quel tizio aveva segnato il proprio bigliettino per evitare di estrarlo, assicurandosi così di partecipare solo alla “finale” di quella manche, in modo da minimizzare le possibilità di perdere. Però non disse niente, limitandosi a voltarsi verso la sua compagna.
«Cosa ci giochiamo, Eleonora?» Le chiese
«Tutto» rispose lei, rovesciando sul tavolo tutte le fiche che possedeva
«A quanto ammonta il tuo...»
«Novantamila e cento euro»
«Io non ce li ho tutti questi soldi»
«Non me ne importa. Punta tutto quello che hai».
Manuel mise tutte le fiche sul tavolo. Gli si strinse lo stomaco: quella donna era pazza, come le era venuto in mente di puntare tutto sul primo gioco? E perché, perché lui la stava assecondando?
Puntare tutto subito, perdere tutto subito... non aveva senso. Non stava neanche giocando contro Fyodor, ed era solo per confrontarsi con lui che era arrivato fin lì, che aveva venduto tutto ciò che possedeva.
Chiuse gli occhi per un istante e la sagoma polverosa del suo vecchio giradischi, stagliata contro il muro giallo della veranda, riempì la sua visuale. Riaprì gli occhi.
«Perché vuoi perdere tutto?» Domandò lui, sistemando ordinatamente i propri gettoni di plastica in pile dello stesso colore
«Io voglio vincere tutto» rispose Eleonora, a denti stretti
«Ma se perdi...»
«Sono fortunata»
«E allora perché sei qui, se sei così fortunata?».
Eleonora batté le palpebre, leggermente sorpresa, ma non disse niente. Sollevò il pugno chiuso, cercando di invogliare Manuel ad iniziare la partita.
«Perché sei qui?» Ripeté lui, serio
«Perché tu sei qui?» gli domandò indietro Eleonora, seccata
«Perché al contrario di te sono sfortunato. Sono sfortunato da tutta la vita. E ho perso tutto»
«Gioca»
«Ma perderò...»
«Gioca o ti spacco la testa».
Manuel sorrise da sotto i baffi. «Che caratterino!» Commentò, alzando il pugno chiuso «Giochiamo, se hai così tanta fretta. Io non ne ho affatto»
«Forza. Uno, due...»
«Ca-rta sa-sso fo-rbi-ce» Dissero i due sfidanti, contemporaneamente.
Eleonora aprì il pugno: carta. Manuel aprì il pugno: sasso.
«Te l'ho detto» Borbottò Eleonora «Sono fortunata»
«Non sembri contenta» commentò l'uomo, deglutendo e sfregandosi il palmo della mano «Io sarei contento di vincere»
«Forza. Ca-rta sa-sso...»
«No. Aspetta, no. Dimmi perché, prima. Stai per eliminarmi dal gioco, prendendo tutto quello che ho, prima di essere rovinato mi piacerebbe sapere perché lo stai facendo»
«Non ti eliminerò dal gioco. Dopo che avrai finito tutti i soldi potrai comunque giocarti altre cose»
«Cosa vuoi dire?»
«Ci sono gettoni supplementari. Puoi giocarti un rene, per esempio. Oppure gli occhi. Oppure favori sessuali, cose così... anche se perdi tutto il denaro in una sola manche, puoi comunque giocare alla prossima. Sei fuori solo da questa, ma alla prossima torni in gioco, solo senza soldi».
Eleonora parlava con amarezza, ma anche con la sicurezza consumata di chi aveva percorso questo sentiero decine e decine di volte. Quanto spesso metteva in gioco parti di sé stessa? Manuel percorse il poco corpo visibile di lei con gli occhi, alla ricerca di cicatrici... di certo i bulbi oculari di lei sembravano normali. Cos'è che aveva perso? Un rene? O magari l'onore, la dignità? Aveva la faccia di qualcuno che sì, forse aveva perso persino la voglia di vivere. L'anima. O magari non aveva perso mai: stava puntando più di novantamila euro e se aveva tutti quei soldi da scommettere su carta sasso forbice, forse non aveva mai avuto bisogno di dar via i propri organi.
«Sei fortunata» Mormorò Manuel, alzando il pugno «Ca-rta sa-sso for-bi-ce».
Manuel buttò carta, Eleonora sasso. L'uomo si aggrappò al bordo del tavolo, un'espressione di trionfo sul viso.
«Stiamo uno ad uno» Disse «Forse anche io ho un briciolo di fortuna, non credi?».
Eleonora alzò il pugno chiuso, determinata. Manuel aveva già visto quella determinazione, in una situazione che da un lato somigliava incredibilmente a questa, e dall'altra sembrava lontana migliaia di anni luce. Era stato un bambino, a quel tempo. Manuel non ricordava con nostalgia la sua infanzia, non gli richiamava alla mente innocenza e spensieratezza, leggerezza e amore. Manuel non vedeva i propri ricordi ammantati di luce, non sentiva odore di latte, non vedeva i capelli di sua madre aureolati di luce, non sentiva la voce rassicurante di suo padre... la sua infanzia, lui la ricordava come una battaglia.
Si ricordava gli stivaletti di gomma solidamente piantati nel fango, mentre cercava di non farsi strappare un giocattolo dalle mani di un altro bambino, piatti di zuppa o di patate mangiati di fretta, cassettine musicali registrate di nascosto e tenute altrettanto nascostamente in scatole di cartone sotto il letto o dietro i libri, corse lunghissime nei prati fradici d'acqua all'inseguimento di nemici reali o immaginari, il cielo grigio come un sudario che prometteva di inzupparlo di pioggia al più presto.
E ricordava, con la chiarezza di un'immagine vista appena in uno specchio, una partita a carta sasso forbice. Il suo avversario era un ragazzo più grosso di lui, con una testa taurina e i capelli biondi pettinati all'indietro. Gianfranco Maritozzi, detto il Bue d'Oro, e no, non era mai stato un complimento.
«Ca-rta sa-sso fo-rbi-ce» Avevano cantilenato i due bambini, rannicchiati sotto una tettoia di lamiera, in attesa che la pioggia passasse.
Manuel aveva buttato carta, Gianfranco sasso. Quando aveva perso, il Bue d'Oro si era arrabbiato, ma aveva anche insistito per giocare di nuovo. Sul suo muso da ruminante era dipinta una determinazione cieca, quella di chi pensa di essere fortunatissimo e che basterà buttare di nuovo lo stesso simbolo, di nuovo sasso, per vincere contro un avversario che invece avrebbe cambiato simbolo.
La stessa determinazione, su un volto completamente diverso, era quella di Eleonora. Manuel sapeva esattamente cosa stava per succedere: lei avrebbe di nuovo calato il pugno e lo avrebbe fatto rimanere chiuso. “Sasso”. Ci si giocava tutto su un'intuizione, sulla fugace idea che una donna con i capelli azzurri si sarebbe comportata come un ragazzino stupido incontrato quella che sembrava una vita prima.
Manuel prese un profondo respiro.
«Ca-rta sa-sso fo-rbi-ce».
Lui distese le dita, mimando la carta. Lei le tenne chiuse, un pugno duro, impietoso: sasso. Manuel sorrise, le punte arricciate dei baffi grigio-bianchi che curvavano in alto, anche se gli occhi rimasero freddi.
«Sembra che io sia più fortunato di te» Disse.
Eleonora non disse nulla, si limitò a spingere il mucchio disordinato di fiche verso Manuel e poi incrociare le braccia con l'aria di chi aveva dovuto subire l'ennesima ingiustizia ma non aveva alcuna intenzione di porvi rimedio. Manuel iniziò a mettere a posto i dischetti, separandoli per colore, impilandoli sopra ai propri. Soldi, soldi. Quei dannati pezzetti di plastica glitterata rappresentavano una quantità di denaro eccezionale, superiore a tutto quello che era riuscito a raggranellare vendendo ogni oggetto in suo possesso. Bastavano per ritirarsi adesso? Gli altri lo avrebbero lasciato andare via dopo aver vinto tutti quei soldi? Manuel si guardò intorno: la maggior parte dei giocatori avevano già finito la loro partita e i perdenti stavano cedendo, imbronciati, le fiche che avevano scommesso.
Fyodor sogghignava, sfregandosi piano le unghie pallide. Sotto alla capannuccia formata dai suoi avambracci, fra i gomiti poggiati sul tavolo, si ammucchiavano centinaia di fiche giallo brillante, ognuna delle quali valeva simbolicamente diecimila euro. Alcune decine di dischetti violacei, di cui non era stato palesato il valore ma che sembravano particolarmente preziosi, stavano in cima al mucchio, mandando bagliori rosati. “Voglio sfidarlo” Pensò Manuel, con un brivido “Oh, voglio sfidarlo, quel maledetto...”.
Non era solo perché desiderava avere più denaro, no: era perché gli sembrava ingiusto che qualcuno potesse tenere sul tavolo una tale somma e sogghignare, guardando tutta la povera gente disgraziata che si sfidava in un gioco per bambini pur di ottenere una piccola parte di quella ricchezza. Fyodor lo guardò, sorridendogli con quei denti che sembravano capaci di masticargli l'anima.
«Bravo, Manuel» Gli disse, notando il gruzzoletto di fiche che si era accumulato di fronte a lui e la sparizione di tutte quelle di Eleonora «Cominci davvero bene».
Ad essere usciti trionfanti da quella prima manche erano stati Trevor e Santa, oltre ovviamente a Manuel. Trevor aveva guadagnato solo duecento euro (tanto era quello che si era deciso a puntare su un gioco che, a sua detta, non si poteva affrontare con l'intelligenza), mentre Santa aveva arricchito il suo gruzzolo di oltre quarantamila euro. Manuel, sorpreso, scoprì di essere quello che aveva guadagnato di più.
«Estraiamo un po' le coppie finali...» Disse Fyodor, rimettendo nel portapenne solo i nomi di chi aveva vinto.
Manuel deglutì, si disse che non aveva niente da perdere e parlò.
«Posso lasciare il gioco?» Domandò, alzandosi in piedi.
Tutti lo guardarono, la maggior parte con sguardi seccati, come se avessero visto uno scolaretto stupido che manca di rispetto ad un professore ben voluto. Fyodor, però, continuava a sorridere.
«Potete lasciare il gioco in qualsiasi momento fra una manche e l'altra» Rispose, scandendo bene le parole «Quindi se vuoi puoi prendere i tuoi soldi e andartene. Ti basterà portare le fiche al banco di registrazione per fartele cambiare in banconote o lingotti d'oro e andar via, non hai bisogno di dare spiegazioni».
Manuel si sedette di nuovo, circospetto. Non si aspettava minimamente quella risposta: l'aspetto diabolico di Fyodor, le sue parole, quel posto strano gli avevano dato l'impressione di una trappola mortale, non di un gioco che potesse realmente essere divertente. Non aveva alcun senso! Perché organizzare qualcosa del genere, qualcosa in cui chiunque potrebbe andarsene tranquillamente dopo aver vinto tutti quei soldi?
«Come ci si porta via le fiche?» Domandò ancora, indicando il mucchio di gettoni di plastica «Non mi entrano in tasca»
«Lì» Fyodor indicò distrattamente una serie di borse di tela attaccate ad un grosso gancio nero «Prendi una di quella, la riempi ed esci. Ciao ciao!».
Manuel abbassò lo sguardo sulle fiche e deglutì: erano una bella quantità di denaro quei centoquarantamila e cento euro, abbastanza per comprarsi una casetta in una località rurale, per provare a ricominciare lavorando onestamente. Si alzò per andare a prendere una delle borse di tela.
«Le coppie!» Esclamò Fyodor, teatrale e usando un buffo accento britannico «Trevor e Santa! E se Manuel fosse rimasto a giocare... contro di me! Ma sta per andarsene, il nostro cowboy, quindi...».
Manuel si fermò, la sua mano, che aveva appena sfiorato la borsa, si ritrasse come se avesse toccato una fiamma viva. Perché era venuto fin lì? Di certo non per portarsi a casa centoquarantamila miserissimi e sporchi euro: Fyodor gli aveva promesso qualcosa di completamente diverso. Non era lì per i soldi eppure stava per andarsene solo con quelli, che razza di stupidaggine! Girò sui tacchi degli stivaletti e tornò a sedersi al suo posto.
«Io gioco» Disse, secco. Voleva intensamente tenere in mano una di quelle fiche di colore diverso, anche solo per capirne il valore... un milione di euro? Un miliardo? O magari era la valuta che simboleggiava il prezzo di un'anima?
 

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