"Hey, what's the big idea?
Yo, Mika!"
Sua madre gli diceva sempre: «Mika, tu o diventi famoso o finisci in
prigione». Questa era una visione delle possibilità, a dire il
vero, piuttosto ristretta, perché la signora non era riuscita ad
immaginare che l'amato e irrequieto figliolo fosse in grado di fare
entrambe le cose contemporaneamente.
Il primo arresto del ragazzo, per rissa
e disturbo alla quieta pubblica, era avvenuta quando aveva solo
sedici anni e da allora la fama di Mika, al secolo Michael Holbrook
Penniman Jr., aveva iniziato a crescere... soprattutto in certi
malfamati ambienti underground, frequentati da omacci in cerca di
denaro, botte, donne o tutte e tre le cose allo stesso tempo.
“Il picchiatore del Libano” lo
chiamavano, oppure “il fulmine di Beirut”, il “pazzo
Londinese”, il “rivoluzionario Parigino”, dimostrando che non
c'era molta chiarezza riguardo all'effettiva nazionalità del
giovane. C'era ancora meno chiarezza riguardo al suo aspetto fisico,
perché di lui c'erano poche foto, molte leggende, e ognuno lo
immaginava come voleva. Nei tetri bassifondi londinesi, uomini
panciuti che indossavano vecchia giacche di tweed (probabilmente
rubate ad alcuni professori di passaggio) raccontavano a giovani e
sprovveduti aspiranti pugili (che fino ad ora avevano solo
partecipato ad un imprecisato numero di risse da bar) di un gigante
dallo sguardo tetro e gli occhi grigi, la faccia segnata di
cicatrici, le nocche sempre spaccate e fasciate e i piedi che
calzavano solo mocassini italiani di pelle di cavallo numero 44.
«Mika» Dicevano «Sapete, è uno di
quei figli di buona donna che non pagano mai da bere... non con i
soldi, almeno. Lo fa con i pugni, con quelli paga lui».
Nelle cantinacce di Roma, Mika era
descritto come un matto con i capelli sale e pepe, invecchiato
precocemente, ubriacone e collerico come una mangusta a cui avessero
spruzzato del limone negli occhi, per i lottatori illegali della
periferia di Parigi invece era un diciottenne scolpito come una
statua, tutto nervi e muscoli, con la testa pelata e un'aquila
tatuata sul petto, per altri ancora questo Mika era un ex-soldato
tedesco con i denti d'acciaio che si era fatto impiantare dei dadi
metallici al posti delle sue nocche, così che i suoi pugni fossero
sempre letali.
Si sorprendevano sempre tutti, quando
vedevano com'era fatto il vero Mika.
Era una mattina di Giugno quando
Alessandro Cattelan, organizzatore di incontri clandestini di
pugilato (e nel tempo libero scrittore di libri per bambini), venne a
sapere che il fulmine di Beirut sarebbe presto arrivato in città.
Era seduto al bancone di un bar, il
MyMood, e stava sorseggiando il suo drink preferito, una mistura
bizzarra di Martini, Jagermeister e camomilla che aveva lo stesso
nome del locale e che veniva servito insieme ad un ombrellino di
carta e ad un vero dente umano.
«Ehi, Cattelan!» Lo richiamò la
barista, una bionda dall'aria poco raccomandabile «L'hai sentita
l'ultima?»
«Dipende, cosa intendi?» rispose il
signor Cattelan, parlando molto velocemente «Se parli delle solite
sparate del politico con il farfallino, allora sì, le ho sentite
tutte, ma magari ti riferisci alla zia Bettina che ha buttato suo
nipote giù dal terzo piano, una notizia che mi ha molto turbato
e...»
«Il picchiatore del Libano» lo interruppe la barista,
sapendo che altrimenti sarebbe andato avanti per ore, impeterrito
«Il picchiatore del Libano?»
«Proprio lui»
«Il fulmine di Beirut?»
«Già»
«In che senso? Vuoi
sapere se ho mai sentito parlare di lui, se so che esiste, oppure se
in questi giorni ha fatto qualcosa di particolare che ti aspetti che
io sappia e...»
«Presto arriverà in città»
«Ah».
Persino Alessandro Cattelan, noto
sproloquiatore a ruota, era ammutolito. Pensieroso, si chiedeva se
sarebbe stato in grado di incontrarlo e magari di organizzare un
incontro clandestino, uno di quelli che avrebbero riempito la sua
arena. O magari, sì, magari avrebbe anche avuto il coraggio di
chiedergli di partecipare a quella cosa (non
aveva neanche il coraggio di pensarne il nome, per scaramanzia),
sempre se il fulmine di Beirut non gli avesse rimpastato i lineamenti
per colpa del suo ardire.
«Ha scritto sul
suo Twitter che sta per venire qui a Milano» Continuò la barista,
fingendo di accanirsi su una macchia che non c'era «E ora tutti i
peggiori della palestra del Mandrillo sono su di giri, pensano che se
uno di loro riuscirà a batterlo finirà per fare una grande
pubblicità alla palestra. E poi potrà vantarsi con tutti, giusto?».
Alessandro si
riscosse come dal torpore.
«Mika ha un
account Twitter?» Domandò, spalancando gli occhi
«Sicuro» rispose
la barista «E anche una cosa come un milione di followers. Che, te
non lo segui?».
Alessandro Cattelan
tirò fuori lo smartphone, veloce come un pistolero.
«Com'è che si
chiama il suo account?»
«Mikasounds».
In quel momento, un
uomo che era appena entrato nel bar si sedette sullo sgabello vuoto,
accanto a Cattelan. Lo accompagnava una donna tarchiata, anziana, dai
capelli scuri, che vestiva un abito di cotone decorato con disegni
floreali lungo fino alle caviglie.
«M-i-k-a
s-o-u-n-d-s» scandì Alessandro Cattelan «Eccolo qui»
«Lo vedi? L'ultimo tweet» disse la
barista
«Ah sì. “Milano sto arivvando. Non
vedo lora di manggiare il rissotto”. Si vede proprio che ha deciso
di mollare la scuola per darsi alle risse illegali: scrive come un
canguro che cerca di digitare una frase usando i piedi»
«Veramente» intervenne l'uomo seduto
accanto a lui, timidamente e con una vocetta acuta «La scuola l'ho
fatta. Però sono dislessico e non è la mia madrelingua. Si dice
madrelingua, vero?».
Alessandro Cattelan sobbalzò, sentendo
una scarica di adrenalina che partiva dal naso (neanche lui sapeva
perché) e finiva nella parte bassa dell'intestino. C'era una sola
cosa su cui tutti i resoconti su Mika andavano d'accordo: il fulmine
di Beirut aveva un accento buffo, la cui provenienza era di
difficile, se non impossibile, identificazione. L'uomo seduto vicino
al bancone, timidino e dal timbro pre-puberale, aveva proprio
quell'accento lì.
Alessandro Cattelan alzò lo sguardo
dal telefono, per incontrare il volto dello sconosciuto. “Non
può essere” Pensò
immediatamente. Quel coso non poteva essere Mika.
«Ciao» Disse lo
sconosciuto, amichevole, infantile, sorridente «Sono Mika».
Tutto in lui, dai
dentini davanti un po' più grandi che spuntavano nel bel mezzo di
quel suo sorriso dolce, agli occhioni scuri da cerbiatto orlati di
ciglia scure, passando per la zazzera di capelli riccissimi e
castani, le mani da pianista, la corporatura slanciata e quasi
efebica che si intuiva sotto i vestiti, fino alla magliettina con i
personaggi dei cartoni animati, sembrava dire “eccomi, sono uno
sfigato che i bulli prendono di mira”. Era bello, ma in un modo
strano, come se il suo “design” fosse il risultato degli
esperimenti di una sedicenne romantica e pasticciona; l'unica cosa
vagamente minacciosa che lo contraddistingueva era l'altezza, ma il
suo corpo era così sottile da sembrare pronto a spezzarsi.
Cattelan rise.
Prima due risatine brevi, stentate, poi una più forte. Mika rimase a
guardarlo, perplesso.
«Io
sono Alessandro. E tu non sei quel Mika,
giusto?»
«Non lo so. Sono
quello di Twitter» l'alto ragazzo riccio indicò il telefonino «Che
Mika stai cercando?»
«Clizia deve
avermi dato il nome di Twitter sbagliato» Alessandro sorrise,
guardando la barista.
La barista non
sorrise, guardando Alessandro. Mosse la testa lentamente a destra e
poi a sinistra, in un cenno di diniego, mentre con la bocca mimava in
silenzio le parole «È lui».
«Mika?» Domandò
Cattelan, indicando il petto dell'uomo
«Sì» rispose
quello, allegro
«Michael Holbrook
Penniman Jr.?»
«Sì»
«Dammi un pugno».
Quando Alessandro
l'aveva detto, in tono quasi di sfida, troppo sorpreso per pensare ad
altro, non credeva che un pugno gli sarebbe arrivato davvero, né che
gli avrebbe fatto saltare un dente. Il colpo era stato così veloce
che quasi non l'aveva visto: si era solo ritrovato per terra,
scaraventato giù dal suo sgabello con la faccia sul pavimento e un
dolore pulsante alle gengive, mentre la bocca gli si riempiva di
sangue.
«Tutto bene?»
Domandò Mika, preoccupato
«Tu
lui as fracassé le visage»
disse la donna anziana accanto a lui, in toni di rimprovero «Ce
n'est pas bon du tout, Mika. Maintenant, que ferez-vous si vous
signalez à la police?»
«Il
m'a demandé!»
le rispose Mika, un po' allarmato e un po' petulante «Ne
me gronde pas, maman!».
Alessandro Cattelan si toccò il volto con mano
tremante, poi si asciugò un po' del sangue con il dorso della mano e
provò a rimettersi in piedi, barcollando. Gli girava la testa.
«Va tutto bene» Disse euforico, aggrappandosi
al bancone per non cadere di nuovo «Sei tu. Sei tu davvero»
«Sì» Mika sollevò le sopracciglia, confuso
«Ho
da proporti una cosa! Ora o mai più. Un affare che ti porterà un
sacco di soldi»
«C'est
un masochiste, Mika»
intervenne la madre «N'acceptez
pas de contrats indécents de sa part»
«Signora,
ho capito solo “masochista”» disse Cattelan, allungando una mano
in attesa di una stretta «Ma le assicuro che tutto quello che voglio
fare è un sacco di soldi con suo figlio. Sempre se lei, come ho
indovinato, è la madre. Comunque vi invito ad ascoltare la mia
offerta»
«Maman, le monsieur a dit
qu'il a compris qu'il est masochiste et tout ce qu'il veut c'est
m'utiliser pour gagner beaucoup d'argent et peut-être qu'il veut
faire la moitié du butin avec nous» tradusse Mika
«Quel fluage!» la signora guardò
Cattelan con un'espressione furibonda «Battez-le, Mika»
«Et si j'allais en
prison?»
«Cela
devait être pour une bonne cause. En plus, ce criminel pervers ne
les dénoncera pas, j'en suis presque sûr»
«Ok, maman».
Mika si alzò in piedi. Era ancora più alto di
quello che sembrava, un lampione asciutto e solido di almeno un metro
e novanta. Cattelan tese la mano anche verso di lui, credendo che
stesse per accettarla. Tutti gli avventori del bar guardavano nella
loro direzione, con il fiato sospeso.
Dieci minuti dopo, Alessandro Cattelan stava
fissando la lucina che un paramedico gli aveva puntato contro le
pupille, mentre qualcuno preparava una barella. Gli avevano
immobilizzato il collo con un affare di plastica e stavano per
portarlo all'ospedale per un controllo approfondito.
«Ma che è successo?» Domandò uno dei
soccorritori, in tono atterrito «Sembra che abbia fatto un frontale
con un camion»
«I-il f-fulmine di Beirut» riuscì a
sussurrare Cattelan. Poi sorrise, compiaciuto.
Tutti lo guardarono spaventati, pensando che
quel poveraccio avesse subito un terribile danno cerebrale.