domenica 18 gennaio 2015

Racconto breve - Spada da collezione


4. Spada da collezione

Una mattina chiara, il cielo terso, l'assenza di nubi e il calore del sole non significano necessariamente essere al sicuro, soprattutto perchè il tempo passa e una mattina si trasforma, con la fluidità del battito d'ali di un albatros, in un pomeriggio afoso che degrada lentamente in una sera a cielo aperto e in una notte che può essere senza luna. La notte, anche con le stelle più lucenti a illuminare la via, non è quasi mai un posto davvero sicuro per gli uomini.
Era un mattino pulito e chiaro quando Alfredo e Francesca incontrarono la prima vittima del mostro.  Stavano accoccolati all'ombra di un grosso salice profumato, disturbati di tanto in tanto dal ronzare di alcune vespe con cui si erano messi a giocare, gettando loro dei pezzetti di prosciutto per vedere se riuscivano a trasportarli via. Arrivarono alcune formiche e un paio di loro si contesero una mollica di carne con una vespa grossa il doppio di loro, vincendo.
«Così piccole, così forti» Commentò con un sorriso Francesca
«Come te» rispose l'uomo, sorridendo «Anche se le formiche sono antipatiche»
«No che non sono antipatiche! Sono graziose...»
«Sono antipatiche. Piccole, nere, mordono e fanno male. Si odiano persino fra loro, la loro efficienza è dovuta alla competizione. E hanno tutte un capo supremo e fanno il lavoro sporco per lei. Sono terribilmente simili agli umani, no?»
«Io non le trovo antipatiche» ribadì la ragazza «Anche se grazie per il complimento»
«Sei una formichina» l'uomo rise, poi addentò un tramezzino pieno di maionese e lattuga.
Francesca gli diede una pacca sulla spalla
«Non è che tu sei tanto, tanto grosso, eh!» ribattè, sollevando un sopracciglio.
Era vero: Alfredo era magrissimo, sciupato, non più alto di un metro e ottanta e non particolarmente imponente. Però aveva le spalle larghe, tutte ossa, che davano al suo fisico un aspetto grottesco. Lei era alta quasi dieci centimetri meno di lui, ma aveva un'aspetto molto più sano.
Dei due, la più grande di età avrebbe dovuto essere lei, ventiquattrenne, mentre lui ne dichiarava solo venti; di fatto lui sembrava più grande di almeno dieci anni e aveva qualcosa di malato nel colorito e nelle pieghe della pelle.
Alfredo si strinse nelle spalle, come se il commento non gli importasse più di tanto
«Che ci posso fare?»
«Mangia! Mangia! Mangia!»
«Lo sto facendo, che diamine! Cosa pensi che sia questo?»
«Un tramezzino»
«E io lo sto mangiando».
La donna gli accarezzò il volto, con due dita unite, il medio e l'indice. A volte si sorprendeva ancora del modo in cui riusciva a sentire le ossa sotto la pelle, quasi come se ne toccasse la superficie nuda. Quella pelle era carta, sottile e ben lavorata, così fragile. Alfredo finì il tramezzino senza dire nulla.
Una figura ammantata in quelli che sembravano vecchi vestiti sporchi di fango stava correndo verso di loro, inciampando e barcollando come se fosse ferita.
«Che diavolo...» Borbottò l'uomo
«Sembra una donna» disse Francesca
«Valli a capire questi pazzi moderni... sarà scappata da qualche clinica, no? Oppure le famiglie non sanno più neppure tenersi i pazzi in casa».
La donna infangata si stava avvicinando. In una giornata così calda, come era riuscita a ridursi in quel modo? I suoi capelli gocciolavano ancora e il fango li appiattiva come due lunghe orecchie canine ai lati della testa.
«Salve!» Esordì Francesca, cercando di suonare cortese «C'è qualcosa che possiamo fare per lei?»
«Al-ghūl!» gridò lei, terrorizzata «Al-ghūl!»
«Un ghoul?» domandò Alfredo, sorridendo appena
«Non credo che stia dicendo questo» constatò Francesca «Sembra che stia parlando arabo. Non lo so... sembra araba anche lei»
«Si che lo sta dicendo! Sta dicendo “Al ghoul”. Come “al lupo al lupo”»
«Al-ghūl!» esclamò ancora una volta la donna sconosciuta, poi si gettò contro la gamba magra dell'uomo per avvinghiarcisi.
Alfredo fece una mezza smorfia, poi, abbassando gli occhi, notò che c'era anche del sangue incrostato fra quei capelli sporchi. La donna era ferita o forse aveva combattuto con qualcuno che lei aveva ferito, ma quest'ultima ipotesi era piuttosto improbabile.
«Dobbiamo aiutarla?»
«Perchè questa domanda? Certo che si, mia cara. Certo»
«Ah».
La donna sconosciuta iniziò a farfugliare cose che i due non comprendevano, usando un tono che altalenava tra il gutturale e lo stridulo. Chiaramente sotto shock, aveva il volto pallido e un piccolo taglio vicino alla bocca che ormai non sanguinava più.
«Va tutto bene! Va tutto bene!» Cercò di rassicurarla Francesca «Non c'è nessuno! Nessuno ti sta inseguendo! Nessun ghoul, d'accordo? Niente ghoul».
Ci volle un po', ma alla fine la calmarono e la fecero sedere. Le offrirono da mangiare un tramezzino, ma lei non accettò e non ci fu verso di farglielo ingurgitare.
«Chi sei» Le domandò Francesca, riponendo il pane nel cestino da picnic, sconfitta «Capisci la mia lingua?»
«Un poco» disse la sconosciuta, parlando molto lentamente e separando fra loro le singole lettere delle parole con un stacco appena percettibile di poche frazioni di secondo
«Chi sei?»
«Mi chiama Irem»
«Ah. D'accordo. E chi è il ghoul? Perchè ne hai paura?»
«Al-ghūl è... mostro. Brutto mostro. Molto, molto cattivo»
«Ti stava inseguendo»
«Io... sona corsa via. Via da lui che mi aveva presa, ha preso il mio figlio»
«Suo figlio?»
«Mio... bambina. Il mio bambina»
«Bambina? Femmina?»
«No, uomo piccolo»
«Un maschio. Un bambino maschio»
«Io lo aveva... aveva in grembo. Mostro ha preso mio bambina quando lui è appena nato».
Alfredo smise completamente di sorridere, le sopracciglia grigie scure aggrottate
«Un ladro di bambini» commentò, duramente «Francesca... puoi andare a prendere il registratore in macchina? Voglio sentire la sua storia, registrarla e... e riascoltarla»
«Vado subito».
Francesca sapeva che Alfredo adorava i gialli e che ne aveva tutte le ragioni. Non c'era niente  di ciò che lui imparava dai crimini altrui che non riutilizzasse poi nei propri misfatti, perfezionandoli, elevandoli ad arte. La storia del ghoul, il mostro che rapisce bambini, esercitava un particolare fascino su di lui perchè pensava di poter lavorare su uno dei suoi “banchetti” (era così che chiamava i suoi omicidi) mascherandolo da qualcosa di sovrannaturale e confondendo così ogni traccia, ogni distinzione fra realtà e mito, costringendo la polizia a brancolare nel buio, a doversi misurare con le antiche leggende, ad avere paura. Aveva già iniziato a provare questo modus operandi, creando i casi del “wendigo”, emulando il modo di uccidere dei mostri cannibali della cultura degli algonchini e rendendosi, ad ogni modo, totalmente insospettabile.
Confondere ancora le acque, infilando nella mitologia di questi casi criminali anche un ghoul oltre che a un wendigo, stuzzicava quantomai la sua fantasia.
Francesca ritornò con il registratore e lo accese, posandolo di fronte alle gambe incrociate della donna spaventata.
«Allora, Irem» Iniziò Alfredo, parlando piano e scandendo le parole «Parlami di questo ghoul. Non importa se c'è... qualche termine... qualche parola che non sai. Ti aiuto. Sono qui per aiutare e voglio capire meglio la tua storia»
«Si»
«Allora, che cosa è successo? Chi è questo... ghoul?»
«Ghoul è mostro. Io ero qui con la mia famiglia, mio marito e mio bambina. Noi eravamo qui per... vacanza»
«Una vacanza in Italia?»
«Si. Noi avevamo studiato un poco italiano per preparazione al viaggio. Poi noi siamo venuti qui, ci siamo divertiti. Noi festeggiavamo la nascita di mio bambina»
«Per festeggiarlo siete venuti in vacanza».
Il volto della donna si contrasse in una smorfia di paura
«Il mostro ci ha seguiti. Lui voleva il mio piccolo bambina, lui lo voleva e noi siamo venuti qui perchè lui non doveva prenderlo. E lui ha ucciso mio marito e preso il mio bambina»
«Come è successo?»
«Io... io». La voce della donna si spezzò in un borbottio confuso, nella sua lingua, e per Alfredo fu totalmente incomprensibile.
Francesca e Alfredo fecero salire la donna sconosciuta sull'auto e la portarono a casa. Le dissero che avrebbe potuto utilizzare la doccia e le prepararono da mangiare, ma anche se lei si lavò, non accettò quel cibo. Alfredo si chiese cosa potesse esserle accaduto per portarla a rifiutare il cibo, un legame così saldo con la vita, qualcosa che ci fa sentire tanto vivi. Forse voleva morire? Voleva lasciarsi morire di fame per punirsi della morte del suo bambino?
Non riuscirono a tirarle fuori molto altro, sembrava continuare a ripetere sempre le stesse cose, che il ghoul aveva ucciso suo marito, che il ghoul aveva rapito suo figlio. Alla fine, per non stressarla troppo, Francesca e Alfredo lasciarono perdere e le dissero che avrebbe potuto dormire sul divano-letto e che l'indomani mattina avrebbe trovato la colazione pronta, ma ebbero l'impressione che la donna non l'avrebbe mangiata.
Scese la sera. Alfredo non riusciva a chiudere occhio, continuava a rigirarsi il registratore fra le dita, ogni tanto riascoltava piccoli pezzi di conversazione. Provò ad usare un traduttore turco-italiano trovato su internet, ma non riuscì a distinguere molte parole con chiarezza, perciò non potè scrivere molto nel riquadro bianco del testo da tradurre.
Francesca lo raggiunse, mettendogli le mani sulle spalle
«Ci pensi troppo» gli disse, baciandolo su una tempia
«Non capisco come lei possa essere finita lì» confessò a bassa voce l'uomo, stuzzicandosi il mento con la punta delle dita «Come possa succedere che sembri... uscita da una palude. Perchè non mangia. Chi ha davvero preso suo figlio»
«E se fosse solo una pazza? Se avesse le visioni?»
«Non ha le visioni. Qualcuno le ha davvero fatto del male, è difficile colpirsi in testa da soli, voglio dire, che senso avrebbe? Aveva del sangue fra i capelli ed era traumatizzata. Mi chiedo perchè non mangi»
«Vieni a letto?»
«Non lo so»
«Che diavolo significa quella parola?» Francesca indicò lo schermo
«Niente. Non significa niente, ho solo scritto il suono che ho sentito nella registrazione, ma non dev'essere così che si scrive la parola. Non riesco a capirlo, so solo che sembra... sembra turco»
«Giacomo sa un po' di turco. Perchè domani non gli chiedi di aiutarti?»
«Ci avevo già pensato. Ma non voglio che lui sappia che ho questa registrazione. Non voglio coinvolgere la polizia, soprattutto non voglio che entri in casa nostra»
«Mi sembra lecito...»
«Lecito non direi» Alfredo sbuffò divertito, poi passò a tormentarsi un sopracciglio, grattandosi una piccola porzione di pelle della fronte e strattonando distrattamente i peletti «E poi ho... una strana impressione»
«Anch'io» ammise Francesca, seria «Come se... come se qualcuno ci guardasse».
Alfredo si irrigidì e fece ricadere la mano sul bancone. Anche lui aveva quell'impressione, così vivida che sembrava trafiggergli la schiena. Qualcuno li stava osservando, una cosa del tutto possibile, considerato che stavano dando la schiena ad una porta a vetri che dava sul balcone.
Si voltò di scatto, i denti stretti, i muscoli delle spalle contratti. Nessuno li stava guardando, fuori c'erano solo le luci artificiali e un cielo che sembrava non avere stelle.
«Andiamo!» Francesca rise «Davvero credi che...»
«Shhh» le intimò dolcemente lui, poi ritornò a guardare il computer «Fai come ti dico. Non mi sbaglio, fidati. Allora, guarda quella traduzione con me»
«Beh, non c'è nessuna traduzione, qui, c'è solo...»
«Quella che dovrebbe essere una traduzione. Ma non lo è. Guardala»
«Lo sto facendo»
«Bene. E appena ti dico di girarti, tu ti giri. Di scatto»
«Perchè?»
«Fallo, ti prego. A costo di sembrare paranoico, voglio sincerarmi che questo sia o non sia reale»
«Fai sul serio?»
«Non voglio finire ammazzato perchè ho pensato che fosse stupido controllare»
«Lo... lo risento. Forte. Come se mi stessero guardando» ammise lei. Aveva i brividi, la pelle d'oca.
La sensazione crebbe lentamente, la cosa che li stava guardando si avvicinava. Quando la voglia di voltarsi a guardare divenne insostenibile, Alfredo diede l'ordine
«Ora!».
I due si voltarono insieme, lui afferrando lo schienale della sedia e lei tenendo stretta la spalla di lui. Dalla porta a vetri li guardava un volto orribile, quello di una donna con lunghi capelli neri e occhi gialli, non come quelli dei lupi, ma come dischi di semaforo. Francesca emise un breve grido, poi si portò la mano alla bocca, mentre Alfredo si alzava in piedi con un ringhio. Non era passato neppure un secondo e la donna fuori sul balcone era già sparita.
«Che cos'era secondo te?» Domandò Alfredo, serio
«Hmm... per me era il ghoul» rispose la sua ragazza, con un filo di voce
«Penso che dovrò dirti: risposta esatta» Alfredo si guardò intorno alla ricerca di un'arma, le pupille guizzanti «Penso che gli umani non si muovano così in fretta»
«Aspetta... stai dicendo che non era umana? Che era un mostro autentico?»
«Ghoul. Vampiro della tradizione araba o turca. L'ho cercato su internet» Alfredo trovò una delle sue vecchie spade da collezione in un cassetto «E fidati di me, esistono»
«Ma è ridicolo!»
«Esistono. Spesso sono bufale, ma questo è reale. Quelli veri si nascondono sempre, è facile confonderli per un falso, ma questa volta è vero»
«Ma è una follia, insomma, una scemenza assoluta e... mi stai dicendo che un vampiro sta facendo toc toc alla nostra porta?»
«Non toc toc» lui la guardò negli occhi «Non ha fatto neppure rumore»
«Come la affrontiamo? E... si può uccidere?»
«Tutto si può uccidere. L'immortalità si, quella è una bufala. Ma il resto» Alfredo alzò la spada e se la affiancò alla testa «Il resto lo faccio a pezzi»
«Se lei non è umana e tu invece si, insomma... come...»
«Fidati di me» rispose lui «E poi non sono umano».
Francesca era abituata a quelle sparate, perciò non rispose, solo si guardò intorno, anche lei alla ricerca di un pesante oggetto contundente che fosse abbastanza maneggevole. Fece per allontanarsi e andare in cucina, per prendere un mattarello, ma il suo ragazzo le artigliò una spalla
«No!» le disse «No, no, no. Niente separazione. È così che ci fregano».
Francesca sospirò. Iniziò a sentire gocce di pioggia che battevano sul vetro fuori.
«Pioviggina» Disse, sorpresa. Era stata certa di aver visto una notte pulita, un cielo senza nubi, ma poteva essersi sbagliata.
Deglutì. Sentiva caldo, come in una notte di inizio estate, subito dopo un temporale, quando il calore si appiccica alla pelle. Alfredo inspirò a fondo
«Vieni con me»
«Dove andiamo?»
«Da Irem. Il vampiro probabilmente vuole lei».
Le luci erano spente. Non le accesero, non volevano allarmare nessuno, né la vittima né il carnefice.  Alfredo impugnò la spada come una mazza da baseball, tenendola bassa. Respirarono piano. Entrarono nella stanza, in punta di piedi.
E il mostro era lì, si stava lentamente chinando sulla donna, stava allungando verso di lei una mano dalle unghie affilate e scure, non artigli di animale, ma curate unghie da lady, con la punta.
Anche nel buio si poteva notare il grigiore del suo volto, le vene bluastre ai lati della faccia, immobili come sfumature morte.
Alfredo strinse i denti e scattò verso di lei, la spada fendette l'aria. Il mostro fu rapido, schivò la lama, si abbassò, corse in un angolo della stanza. I suoi piedi erano veloci, sfuocati nell'oscurità.
Francesca, in silenzio, si lanciò di fronte alla creatura per sbarrarle la strada, le braccia aperte, e quella si abbattè contro di lei. Rotolarono sul pavimento, mettendo fine a quel balletto silenzio. Irem si svegliò, gli occhi spalancati nell'oscurità, il respiro affannoso. Sembrava che avesse un grido bloccato in gola, si portò le mani sul collo, strinse per proteggersi.
Alfredo fu immediatamente sopra al mostro, lo colpì alla schiena con la spada, purtroppo non abbastanza affilata da tagliare, ma abbastanza dura e pesante da poter rompere le ossa.
Francesca emise un grido soffocato fra i denti, il mostro soffiò e cercò di rialzarsi. La donna lo spinse da un lato e si rannicchiò, strisciando verso l'angolo della stanza e tastandosi con una mano le costole.
Alfredo sollevò di nuovo la spada, stavolta gridando, e la abbattè su una tempia del ghoul. Quello cadde per terra.
Irem strillò. Francesca si rialzò zoppicando e corse verso la cucina, ma non per prendere il mattarello. Anche il ghoul si rialzò e Alfredo, con un sorriso come quello del Gatto del Chesire, colpì forte sulla sua faccia, spezzando la delicata cartilagine del naso.
Il vampiro caracollò, il sangue che gli scorreva sulle labbra, lento, denso e scuro. Scoprì i denti, canini gialli, ricurvi, un po' più piccoli di quelli di un cane, un po' più grandi di quelli d'un uomo.
Alfredo serrò le labbra, per non mostrare i propri, come se non volesse esporsi in un confronto.
Il ghoul fuggì verso la finestra ad una velocità chiaramente sovraumana, le vesti svolazzanti, travolgendo un tavolino di legno. Alfredo prese a ridere. Il vampiro scomparve, lasciando dietro di sé la finestra aperta.
Irem era rannicchiata, terrorizzata, seduta sopra il cuscino. Alfredo le si avvicinò, la spada penzolante da una mano.
«Tutto a posto, tutto a posto» mormorò «Il ghoul non valeva poi tanto, se ha paura di una spada finta...»
«Lui ritorna» disse lei, con un filo di voce, stringendosi le ginocchia al corpo «Lui ritorna»
«Era una lei, mi è parso» l'uomo sbuffò, divertito
«Dov'è?!» ruggì Francesca, comparendo dalla cucina con un coltello da bistecca, i capelli scarmigliati.
Irem cacciò un urlo. Alfredo rise ancora e cercò di tranquillizzarla, senza avere comunque un gran risultato, poi raccontò cosa era successo a Francesca. Lei aggrottò le sopracciglia
«Cioè... cioè, fammi capire... un... mostro sovrannaturale è scappato perchè gli hai rotto il naso?»
«Si» rispose lui, sollevando le sopracciglia «Si, è quello che è successo»
«Ah. Non è stato un granchè»
«No, proprio no»
«Però è positivo, no?»
«Si, è positivo. Ti sei fatta male?»
«Ah... non mi sono rotta niente, se è quello che chiedi. Ma picchi forte, non c'è che dire»
«Scusa. E se torna?» Alfredo indicò la finestra «Che facciamo?»
«Gli spacchiamo la faccia per la seconda volta. Ma non torna, no. Fai paura con una spada in mano»
«Credo di farne anche senza».
Alfredo chiuse gli occhi, poi inspirò a fondo. Nella stanza c'era un odore salino e forte come di sangue vecchio. Avrebbe dovuto far arieggiare e pulire.
Brutto affare i ghoul, ma le persone normali erano più pericolose, constatò. No, forse non le “persone normali”. Ma le persone, in generale, avevano un potere distruttivo difficilmente calcolabile.
Eh, si... una mattina chiara, il cielo terso, l'assenza di nubi e il calore del sole non significano necessariamente essere al sicuro, ma non significa neanche che le cose debbano andare male.



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Ecco un (non troppo ispirato) raccontino breve.
 Pezzo scritto per partecipare a questo concorso fav.me/d7clzbf indetto da :iconartescritta:ArteScritta

Cercheremo di partecipare a tutti i contest di scrittura che riguardano storie brevi, così potremo finalmente creare quella serie di racconti che gravitano intorno allanostre serie principale, "Il Cammino delle Leggende", che volevoamoscrivere da tanto tempo, ma per cui non trovavamo mai l'ispirazione o il tempo. Ognuno dei racconti brevi non farà necessariamente parte della trama della storia del Cammino delle Leggende, ma vi compariranno uno o più personaggi (o luoghi) che invece ne fanno parte. Questi racconti brevi spiegheranno così alcuni punti irrisolti (o daranno semplici curiosità) sulla saga.
Partecipiamo per partecipare, non tanto per vincere, ma se arriva una vittoria, beh, che ben venga!

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