lunedì 24 novembre 2025

Lysande che piange 10. Sangue, parte 1

Lysandre si sedette su una delle panchine, a meditare. Stava scendendo la sera e doveva iniziare a pensare se era sua intenzione tornare all'Hotel Z, e dormire nella stanza che Lida gli aveva assegnato (e che lui aveva l'impressione che quella fosse stata non molto tempo prima la stanza di AZ), oppure andare a dormire da qualche altra parte. Il tempo era sereno abbastanza da permettergli di riposare in un sottopassaggio, sempre se avesse trovato qualche cartone da stendere a terra per creare uno strato di isolamento, e non perdere tutto il proprio calore corporeo durante il sonno...

Guardò di lato e in basso, verso la panchina. Sarebbe stato carino, dormire lì, sollevato da terra, ma c'erano quegli antipatici pezzi di ferro, come delle piccole maniglie, che spuntavano ad intervalli regolari. Una volta aveva provato a stendersi, e una di quelle cose gli si era conficcato così dolorosamente nel costato che era stato costretto ad alzarsi e andare via dopo neanche dieci minuti. Era una tortura. Perché avevano costruito panchine del genere, con i divisori? L'utilità di un oggetto simile era una di quelle cose che lui non riusciva a ricordare, ma di certo doveva averne una, no? Nessuno costruisce pezzi extra per l'arredo urbano così, tanto per, perché da quel che ne sapeva lui produrre gli oggetti costava soldi, e la gente odiava usare i propri soldi senza ottenere niente.

Lysandre prese un profondo respiro. Poteva andare a dormire da Diantha, dopo che avevano parlato lei gli aveva detto che poteva stare, se non aveva un posto dove andare, e persino occupare la casa quando lei sarebbe andata via per tornare sul set del prossimo film a cui avrebbe lavorato.

«Ho bisogno di qualcuno che si occupi di tenere questo posto pulito e che dia l'acqua alle piante» Gli aveva spiegato «Ho un'amica che lo fa, ma ho l'impressione che le leverei un grosso peso dalla schiena, se lo facessi tu al posto suo. Perciò, se vuoi stare qui, posso lasciarti le chiavi quando me ne vado».

Lui le aveva detto che ci doveva pensare. Probabilmente, ora che ci pensava davvero, non lo avrebbe fatto. Diantha era già stata fin troppo gentile, lo aveva insultato solo un paio di volte (una per aver fatto quell'enorme sciocchezza, anche se lei non aveva usato una parola carina come "sciocchezza", del provare a far fuoco con l'arma finale, l'altra per non essersi fatto vedere in anni, facendole credere che fosse morto) e gli aveva persino offerto un caffè, perciò Lysandre non aveva la benché minima intenzione di approfittarsi ulteriormente della sua angelica gentilezza.

Tornare all'Hotel Z sembrava la cosa più normale, ma non era sicuro di volere dormire lì. Continuava a pensarci... il cuscino dove posava la testa, era anche lo stesso dove AZ morente aveva esalato il suo ultimo respiro? Non lo conosceva molto, ma da quel poco che sapeva di lui, probabilmente si era "preparato" per farsi trovare in modo dignitoso, stendendosi nel letto, incrociando le mani sul petto, decidendo di controllare il modo in cui si sarebbe mostrato a quei poveri ragazzi che avrebbero trovato il suo corpo, per non sapevntarli, e al contempo per darsi un finale che fosse degno di un re. Si era persino fatto mettere come pietra tombale il suo enorme trono di pietra! Aveva predisposto tutto.

E Lysandre sapeva che la stanza in cui era ospitato aveva la particolarità di un letto particolarmente... comodo. Un po' troppo comodo, considerato quanto lui stesso fosse alto.

Un'altra parte di lui, voleva minimizzare il tutto: cosa importava, se il letto in cui dormiva adesso era lo stesso in cui il vecchio immortale aveva incontrato finalmente il suo eterno riposo? Era calso, aveva lenzuola pulite, quadri relativamente belli alle pareti, un bagno, e non erano forse queste le uniche cosa che contavano? Al momento lui era senza casa, e per giunta stava cercando di fare penitenza, perciò lamentarsi della bella stanza d'albergo che gli avevano dato gratuitamente gli sembrava una mossa da vero nobiliastro viziato, non poteva farlo.

Si posò le mani sul volto. La stanza in cui dormiva di solito odorava di chimico, come se qualcuno avesse spruzzato una quantità esagerata di deodorante, e poi avesse aperto la finestra, lasciando andar via la maggior parte dell'odore, ma non tutto, con il risultato che quel profumo era ancora lì, aggrappato alle superfici porose, sui quadri, sulle tende... non si sentiva sempre, era un po' come vedere qualcosa con la coda dell'occhio.

E Lysandre si chiedeva se fosse quell'odore che, inconsciamente, lo aveva fatto stare male. Quando usciva dalla doccia, e rientrava nella camera da letto, gli veniva da piangere, e si odiava, e pensava che sarebbe dovuto morire lui. Che fosse quell'odore a ricordarglielo? Magari il suo cervello aveva sempre processato in silenzio l'idea che qualcuno aveva spruzzato il deodorante dopo la morte di AZ, per eliminare l'odore della sua salma. Lysandre sapeva che i morti puzzano, anche quelli freschi. Non come quelli lasciati a marcire, quelli no, quelli mai, ma... i morti puzzano.

E qualcuno, ovviamente, aveva pulito la stanza. Il cervello di Lysandre aveva sempre connesso quel tenue odore chimico alla morte di AZ, forse rendendolo causa di quelle visioni moleste, di quella tristezza inenarrabile. La fine sarebbe arrivata, anche per lui... sarebbe riuscito a fare meglio di AZ? Sarebbe riuscito a non morire da solo, senza essere mai riuscito a costruire legami duraturi con gli altri, senza aver mai pagato davvero quello che aveva fatto?

«Hey, pezzo di merda!».

Lysandre alzò la testa, guardando verso la persona che lo aveva appena apostrofato in modo così poco educato: era un uomo corpulento, con i capelli corti, vestito con una tuta da lavoro grigia, e si stava avvicinando a passo lento, ma inesorabile, insieme ad altri tre uomini tutti un po' più magri di lui, ma tutti con l'identica espressione sul volto. Uno di loro aveva in mano un tubo di metallo, un altro un martello tenuto per la testa, in modo che il manico penzolasse dalla sua mano, oscillando ad ogni passo.

«Posso aiutarvi?» Domandò mitemente Lysandre, senza alzarsi, ma facendosi anzi più piccolo per minimizzare la massa del suo corpo

«Chiediti se qualcuno può aiutare te!» ribatté l'uomo, afferrandolo per il bavero della giacca.

Lysandre sentì il cuore accelerare, il sangue che gli prendeva fuoco nelle vene, e dovette tenere a bada l'istinto di colpire l'uomo. Sapeva che gli avrebbe fatto male, molto male, se lo avesse preso in faccia.

«Cosa ho fatto?» Sospirò mestamente

«Cosa hai fatto? Mia figlia è in prigione per colpa tua, pezzo di merda!» l'uomo lo scosse con violenza, i denti digrignati «Perché le hai messo in testa quelle cazzate sul mondo perfetto e l'hai mandata a rubare pokéball!».

Lysandre distolse lo sguardo: come poteva guardare quell'uomo negli occhi, anche se erano così vicini? E quindi, era così, eh... c'era un tempo in cui lui aveva mandato le persone a rubare. Bel mondo che aveva sognato! Uno dove i ladri sopravvivono e i cittadini onesti periscono.

Le persone che si erano fidate di lui stavano pagando per le sue colpe, adesso. In prigione! Per aver rubato delle pokéball! E lui era lì, libero, a domandarsi pigramente dove avrebbe dormito quella notte, tante erano le sue opzioni...

«Mi stai ascoltando, stronzo?!» Ringhiò l'uomo in tuta

«Come si chiamava, tua figlia?» domandò Lysandre

«Non ti ricordi neanche come si chiamava!» la voce dell'assalitore si spezzò per un istante «Eri tutto per lei, e manco ti ricordi come si chiamava!»

«Mi dispiace, io...».

Il pugno arrivò con una precisione e una rapidità terribili. Lysandre sarebbe finito a terra, se l'uomo che l'aveva colpito non lo avesse trattenuto per la giacca.

«Devi ricordarti il suo nome! RICORDATI IL SUO NOME, PEZZO DI MERDA!» Urlò l'assalitore «Non me ne andrò da qui finché non l'avrai detto!»

«Allora rimarrai molto a lungo, amico mio» rispose Lysandre

«Ti prendi gioco di me? Eh? EH?!».

Un secondo pugno, meno cattivo del prima, ma comunque doloroso, direttamente sulla stessa area già pesta della sua faccia. Lysandre sentì il sangue che gli colava dall'angolo della bocca. Non rispose.

«Antoine» Disse l'assalitore, la voce bassa, scura.

Antoine doveva essere l'uomo con in mano il tubo di metallo, perché fu lui a farsi avanti.

«Pensavi che non ti avremmo riconosciuto» Disse, con una calma quasi spettrale «Lysandre. Hai perso tutto pagando gli sbirri perché ti tenessero fuori dal carcere, non è così? Guardati. Guardati! GUARDATI!».

Lysandre non sapeva esattamente come dovesse guardarsi, così si fissò le gambe. Una goccia di sangue cadde dalla sua faccia e creò una macchiolino, perfettamente rotonda, sulla stoffa grigia dei pantaloni.

«Sai cos'è successo a mio figlio, Lysandre?» Continuò Antoine, e c'era un tale veleno nella sua voce, che per un attimo Lysandre se lo sentì addosso, bruciante e appiccicoso.

Che cosa aveva fatto, al figlio di quell'uomo? Aveva fatto andare in prigione anche lui? Lo aveva reso un pariah agli occhi della società? No, la voce di Antoine sembrava sottintendere qualcosa di molto, molto peggiore.

Una seconda macchiolina, più chiara, si formò sulla stoffa dei pantaloni di Lysandre. Poi una terza. Fu in quel momento che lui si accorse di stare piangendo.

«È morto» Sussurrò, la voce rotta, il grosso in gola grosso come una baccamela «Tuo figlio è morto. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...»

«Dispiacerti non lo riporterà indietro» Antoine alzò il tubo metallico in alto, pronto a colpire.

Anche Lysandre alzò la testa, guardando la mano levata su di lui.

«Come è morto?» Domandò

«Non lo sai neanche?» Antoine spalancò gli occhi, due cerchi perfetti pieni di furia.

Lysandre non riuscì a rispondere con la voce, perciò si limitò a scuotere la testa, mentre stringeva i pugni contro le proprie ginocchia.

Antoine abbassò un poco il tubo, ma la sua spalla rimase tesa. «Si è ammazzato» Disse «Perché il mondo in cui credeva per colpa tua non sarebbe mai esistito».

Lysandre singhiozzò. Non provò neanche a nascondere la faccia dietro le mani, allargò le braccia, reclinò un po' la testa all'indietro.

«Puniscimi» Disse «Fai quello che devi»

«Ti ammazzerò, lo sai?»

«Non lo farai. Puniscimi, Antoine, ti prego».

Gli uomini dietro Antoine mormorarono, sussurrarono, parlarono. «Che freak» «Un'idiota» «Anche noi siamo qui per questo» «Tocca a me, non ammazzarlo con un colpo solo» «Non con un colpo solo» «No, infatti, non uno solo».

Lysandre annuì.

«Non un colpo solo, Antoine» Disse, la voce resa flebile dal pianto «Fai come dicono».

E il colpo arrivò, con una violenza che Lysandre non credeva di aver mai sperimentato da parte di un essere umano. Il metallo gli si abbatté fra la spalla e il collo, piegandolo in due istantaneamente, strappandogli un gemito di dolore e, ancora più inaspettatamente, di paura. Non riusciva a respirare.

Sentì qualcuno che lo afferrava per un braccio, trascinandolo a terra, e un piede che gli schiacciava le costole. Crash. Doveva essere così che si sentivano le bottiglie, quando venivano schiacciate prima di essere riciclate... stupidaggini... stupidaggini, le bottiglie non avevano un milione di terminazioni nervose che urlavano, e organi interni che potevano essere spappolati, e vasi sanguigni che potevano essere spaccati. Stupidaggini, stupidattini... a cui Lysandre pensava per rimanere cosciente.

Il suo campo visivo si stava restringendo, i bordi del mondo che diventavano neri. L'albero e il pezzo di selciato che prima riusciva a vedere con chiarezza, adesso semplicemente non esistevano più. C'era stato un kakuna, su quell'albero, o era stato uno scherzo della sua immaginazione?

Gli presero la giacca, ridendo. «Degna di un principe, eh! Specie le toppe!». Qualcuno gli schiacciò l'inguine con il tacco della scarpa.
«Questo è per Wassim!» Urlò una voce rabbiosa nel suo orecchio, poi Lysandre si ritrovò con la faccia sul selciato, ad ansimare pesantemente, con il sangue che gli usciva a fiotti dalla narice destra.

«Youssef, non ammazzarlo davvero, oppure in prigione ci finiamo noi»

«Deve pagare! Deve pagare! Questo non è un uomo, questo è un pezzo di sterco di trubbish!»

«Youssef, non vale la pena di finire in prigione per lui!».

Lysandre alzò appena lo sguardo, abbastanza per incotrare quello di Youssef, che arricciò le labbra in una smorfia di disgusto, inspirò con forza e poi lo sputò.

«Non vale neanche la pena di ammazzarti, verme»

«Lo so, lo so» Lysandre si sollevò su un gomito «Non sei l'unico che la pensa così».

Si sorprese nell'udire la voce che usciva dalla sua bocca: non sembrava neanche lontanamente la sua. Era gutturale, spezzata, grottesca. Gorgogliò una piccola bolla di sangue, poi si asciugò lentamente la bocca, ogni micro-movimento una cucchiata di dolore presa volontariamente e ingoiata.

«Sei più robusto di quello che credevo» Commentò con disprezzo Antoine «Parli ancora»

«Fammi tacere».

Lysandre era riuscito a rialzarsi abbastanza da mettersi in ginocchio. Gli faceva male tutto, ma in particolar modo quel primo colpo, quello fra la spalla e il collo: sentiva il braccio da quel lato del corpo infiammato e rigido, anche il minimo movimento delle dita gli mandava fitte di dolore fino alla schiena, e quando i muscoli del suo collo si muovevano, il dolore era tale che quasi avrebbe voluto gridare. Ma non gridò.

C'era qualcosa di sacro nel perdersi in un dolore del genere, qualcosa di euforico. L'interno della sua bocca, tagliato dall'impatto contro i suoi denti, riusciva a non farlo pensare. Il dolore sordo, pulsante, delle suo costole riusciva a non farlo pensare. Tutta la sua concentrazione era devota al non urlare, al non scappare, al non ritrarsi, una forma di meditazione che lo estraneava dal pensiero che ci fosse qualcuno che era morto per colpa sua.

Antoine lo afferrò per i capelli, bruscamente, chiudendo il pugno sui ciuffetti che crescevano sopra la sua fronte. Lysandre, di riflesso, aprì quell'occhio che teneva sempre chiuso, e attraverso il fitto velo bianco vide Antoine, finalmente con entrambi gli occhi, come un angelo vendicatore circonfuso di luce, pronto ad abbattersi su di lui.



«Che cazzo è quello?» Domandò il primo degli uomini, quello in tuta da lavoro. C'era quasi paura nel suo tono, ma la rabbia era comunque più forte, più alta.

«Dev'essere una protesi» Spiegò tranquillamente Antoine «Probabilmente ha perso l'occhio nel crollo di cinque anni fa. E siccome i ricchi non hanno gusto, se l'è fatto sostituire con una lampadina».

Lysandre batté le palpebre lentamente, cercando di respirare. Quasi voleva che lo picchiassero fino all'incoscienza, così quel dolore sarebbe scomparso per un po', così come i pensieri, ma sapeva che non poteva farla franca così facilmente.

«Mi spiace davvero per l'infermiera che dovrà ricucirti» Disse Antoine «Ma non vedo alternative»

«Lo capisco» rispose Lysandre, in un sibilo affaticato.

I secondi successivi furono brutali. Lysandre dovette serrare la mascella per non gridare, ma una serie di gemiti penosi gli sfuggirono comunque, anche se da dietro labbra chiuse. Uggiolando, sentì la propria bocca riempirsi di sangue. Non riusciva più a distinguere quali fossero stivali e quali pugni, quale fosse il manico del martello e quale il tubo di metallo. Sapeva di avere le costole rotte. Sapeva che una delle sue braccia era inservibile, che le dita della sua mano sinistra erano appena state spezzate.

Sputò una boccata rossa di saliva e sangue.

«ZEH!».

Lysandre, raggomitolato per terra su un fianco, tremante, piangente, incapace di alzarsi, mosse appena la testa per incontrare con lo sguardo le zampe di Zygarde.

«Che pokémon é?» Chiese uno degli uomini «Mai visto prima»

«Un furfrou pelato, probabilmente» interloquì Youssef, quasi ridendo, in quel modo selvatico e acido di chi è nervoso.

Ancora dei passi, ma stavolta umani, che si avvicinavano rapidamente.

«HEY! Che cosa gli state facendo?! Lasciatelo stare! Lasciatelo stare immediatamente!» Tuonò la voce di Paxton.

Lysandre si chiese se sarebbe riuscito a morire di imbarazzo, se l'avesse voluto. Farsi salvare da Paxton? Dopo tutto il lavoro che gli aveva già dato da fare? Provò a dire qualcosa, ma stavolta non gli uscì niente dalla bocca, neanche un gorgoglio: era come se le sue corde vocali si fossero inceppate.

«State picchiando un senzatetto, ragazzi? Dovreste vergognarvi!» Esclamò un'altra voce, quella di una giovane donna. Lysandre non la riconobbe, ma al tempo stesso gli parve stranamente familiare.

Lysandre sentì le forze che lo abbandonavano. Forse non era il momento giusto di svenire, ma che scelta aveva? Si stava dissanguando sul cemento, e l'incoscienza sembrava tanto meglio della veglia... vide due cellule di Zygarde, o due cose con una forma un po' troppo simile a delle cellule di Zygarde, che strisciavano a meno di un metro da lui. Forse era una visione. Non c'era motivo per cui quelle cellule se ne stessero andando in giro senza... senza...

Lysandre appoggiò la testa a terra e perse i sensi.

«Andiamocene» Disse Antoine, gesticolando «Abbiamo fatto quello che dovevamo»

«Non c'è mai la polizia quando serve!» si lamentò Paxton, correndo a soccorrere il ferito «Oh no! No no no, è L»

«L?» domandò la voce femminile «Chi è?»

«Oh, Taunie, è un mio amico. Un mio caro amico, senza di lui non avrei Zygarde... senza di lui... chissà cosa sarebbe successo a questa città. E quegli idioti lo hanno conciato per le feste! Respira ancora, per fortuna, ma devi chiamare un'ambulanza, deve essere soccorso al più presto».

Taunie tirò fuori il rotomphone. Guardò a terra, verso il corpo di quell'uomo abbandonato sul cemento, e spalancò gli occhi.

«Papà?».

Paxton alzò lo sguardo e vide la sua amica che si strofindava un occhio, come se ci fosse entrato dentro qualcosa, la testa piegata da un lato.

«Scusa, cosa hai detto Taunie?»

«Niente» rispose lei, smettendo di tormentarsi la palpebra, ma tenendo l'occhio sinistro chiuso «Sto chiamando l'ambulanza».


 

- Altre mini-scene di Lysandrino che piange qui -

(Ci piace scrivere gli omoni fieri che piangono. C'è una catarsi in questo. Andate a leggerne altre.) 

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