Nel sogno era buio
pesto, e l'unica luce fioca sembrava irradiarsi dalla pelle di Edward,
che come al solito non era un ragazzo, era una lampadina. Il volto non
lo vedevo, mi dava le spalle e si allontanava da me, lasciandomi
nell'oscurità. Bella gratitudine, bella gentilezza quell'infingardo! Per
quanto lo chiamassi, e lo insultassi, urlando lui non si voltava.
Cercavo di inseguirlo,
ma lui correva via, cantando una canzoncina ripetitiva, ossessiva, dalla
melodia che non ricordo esattamente, ma che faceva così:
"Un bacio può a volte essere
Come un'imperatrice
che cerca la vita
su altri pianeti"
Mi svegliai nel cuore
della notte, non per via del sogno, ma perché proprio mentre stavo per
afferrare per i capelli Edward e buttarlo per terra per ricordargli come
lo avevo salvato e poi riempirlo di pugni, per ricordargli come non lo avrei più salvato, un miagolio insistente ed una zampina vellutata sul naso mi riportarono nel mondo reale.
Dopo quella volta, per
un mucchio di altre notti fui svegliata dall'insistenza di Dracula, che
però sembrava non desiderare niente: non gli interessava né l'acqua, né
il cibo, né il gioco, ma solo svegliarmi nel cuore della notte,
allarmato come se avesse visto un lupo mannaro. Era una cosa molto
curiosa e che mi inquietò non poco, perché non è proprio normale che i
gatti si spaventino tutte le notti alla stessa ora. C'era un fantasma
nella mia camera? O qualcosa di molto più terreno?
Comprai online una
webcam ad infrarossi, anche se il modem fece di tutto per impedirmelo
con la sua lentezza, e aspettai con pazienza che il pacco mi venisse
recapitato, cosa che sarebbe avvenuta solo dopo un mese dalla volta che
avevo sognato Edward.
Ma ritorniamo indietro.
Durante la settimana
successiva all'incidente del furgoncino, mi ritrovai al centro
dell'attenzione. Tyler Crowley era insopportabile, mi seguiva ovunque,
ossessionato dal desiderio di farsi perdonare. Cercai di convincerlo che
la cosa migliore che potesse fare per me era dimenticare tutto,
specialmente perché ero rimasta illesa, ma lui non si dava per vinto. Mi
seguiva tra una lezione e l'altra, a pranzo si sedeva al mio stesso
tavolo, ormai sempre affollato. Mike ed Eric, che tra loro andavano
tutt'altro che d'amore e d'accordo, con lui erano ancor meno amichevoli,
il che mi fece temere di essermi conquistata un altro pretendente
indesiderato, neanche fossi la protagonista di un manga harem ambientato
a Forks.
Nessuno sembrava
interessarsi ad Edward, seppure anche lui fosse stato fra le vittime
dell'incidente, ma d'altronde lui era fuori di testa e solitario, quindi
era del tutto normale... tuttavia mi chiedevo come mai nessuno avesse
notato quanto stesse lontano, prima dello scatto repentino e impossibile
che aveva messo a repentaglio la sua vita. Nessuna folla di curiosi
avvicinò mai Edward per chiedergli particolari di prima mano
dell'incidente e del salvataggio, la gente lo evitava come sempre. I
Cullen e gli Hale si sedevano al solito tavolo, senza mangiare, e
parlavano soltanto fra loro così a bassa voce che non potevamo sentirli
oppure, a volte, guardavano le pareti. Non mi rivolsero più un solo
sguardo, specialmente Edward, che quando si sedeva accanto a me, in
classe, non sembrava neanche notare la mia presenza e dava l'impressione
di volersi gettare fuori dalla finestra per quanto stava lontano. Ogni
tanto mi capitava di vederlo stringere i pugni e mi chiedevo come mai
fosse tanto spaventato dall'idea che volessi aiutarlo o parlargli
ancora: aveva un ego chiaramente fragile, ma non credevo a questi
livelli!
Sentivo il desiderio di
chiarire con lui questa situazione, se non altro per evitare che si
buttasse sotto la prossima macchina, e poiché nessuno parlava mai con
lui dovevo essere io a salvarlo ancora una volta.
L'ultima volta che lo
avevo visto, appena fuori dal pronto soccorso, eravamo entrambi
infuriati come tori chiusi in stanze rosse decorate da disegni di
matador; il suo rifiuto di fornirmi spiegazioni mi dava ancora sui
nervi, benché avessi mantenuto il mio impegno senza battere ciglio.
Entrando nell'aula di
biologia lo trovai già seduto, con lo sguardi dritto di fronte a sé, a
fare la sua cosa preferita: analizzare la pittura bianca del muro.
Probabilmente, quando non era impegnato a tenere il broncio o a dire
cose che non stavano né in cielo né in terra faceva l'imbianchino per
passione.
Non diede segno di accorgersi della mia presenza, ma d'altronde chi sono io al cospetto della vernice bianca?
«Ciao, Edward» Dissi gentile, per dimostrargli in che disposizione d'animo fossi.
In risposta fece un
cenno millimetrico verso di me (sia mai che la mia presenza gli faccia
staccare gli occhi dalla sua adorata parete), senza incontrare il mio
sguardo.
Quello fu l'ultimo
contatto fra noi, malgrado ogni giorno ci ritrovassimo a poche spanne di
distanza. A volte lo osservavo da lontano, a mensa o nel parcheggio, e
vedevo i suoi occhi diventare sempre più scuri con il passare dei
giorni. Mi preoccupava e avevo il sentore di essere l'unica a conoscere
il segreto del suo male interiore: era ovvio che Edward fosse non solo
bizzarro, ma che, purtroppo, depresso.
Malgrado le mie bugie
sfacciate, il tono delle e-mail che spedivo a mamma la fece insospettire
e pensò che mi stessi intristendo per qualche motivo, perciò mi chiamò
un paio di volte. Cercai di convincerla che ero giù solo a causa del
tempo (anche se non ero giù) e che non c'era niente sotto la mia
preoccupazione.
Se non altro, Mike fu
contento dell'improvvisa freddezza tra me e il mio compagno di
laboratorio e non potei neppure dargli torto, perché era chiaro che
Edward non era di certo la migliore delle compagnie da frequentare e
che, poco alla volta, mi stava rendendo pensierosa. Mike si fece sempre
più sfacciato, prima dell'inizio delle lezioni si sedeva sul bordo del
banco a parlare con me, ignorando Edward come lui ignorava noi due.
Dopo il pericoloso
giorno della gelata, la neve sparì definitivamente. A Mike dispiaceva
non essere riuscito ad allestire la grande battaglia a cui aveva
pensato, ma era felice che finalmente si potesse organizzare la gita in
spiaggia. Eppure, non smetteva di piovere, e le settimane passavano.
Jessica mi ricordò, con
il suo solito zelo e brio, che all'orizzonte c'era un altro evento che
incombeva su di me: il primo martedì di marzo mi telefonò per chiedermi
il permesso di invitare Mike al ballo di primavera, che si sarebbe
tenuto due settimane dopo.
«Sei sicura che non sia
un problema... non pensavi di invitarlo tu?» insistette, nonostante le
avessi già detto che non ne avevo la minima intenzione
«No, Jess, io non ci vengo proprio al ballo» la rassicurai «Ballare va aldilà delle mie capacità sovrannaturali»
«Ci sarà da divertirsi, dai, vieni!» esclamò lei
«Ma come? Non vuoi invitare tu Mike al ballo?» la stuzzicai
«Ma si, ma puoi invitare Eric»
«Eric te lo inviti tu» le risposi «Che io non so ballare, lui non sa ballare e ci pestiamo i piedi e basta»
«Ma dai!»
«Ma dai niente. Se ci venivo invitavo Mike, ma non ci vengo, quindi te lo puoi invitare tu»
«E se...» disse, scarsamente entusiasta ma decisa a provarle tutte «Entrambe invitassimo Mike?»
«Vuoi costringerlo a scegliere?»
«No. Andiamo con Mike
tutte e due al ballo. Dopotutto non è mica un'occasione formale o chissà
che, ci andiamo solo a ballare e lui sarebbe contento, penso»
«Ah, Jess Jess...» dissi, in tono saggio «Sai cosa si dice dalle mie parti di situazioni come questa?»
«No, che cosa si dice?»
«Che un uomo tra due
dame fa la figura del salame! E poi, in ogni caso, io non voglio venire
al ballo. Vai tu con lui. Ti divertirai con Mike» cercai di
incoraggiarla.
Il giorno dopo, durante
trigonometria e spagnolo, mi accorsi con sorpresa che Jessica non era
frizzante come al solito: non disegnava pupazzetti sui bordi dei
quaderni, non mordicchiava le matite con lo stesso entusiasmo, non
saltellava per nulla quando camminava. Tra una lezione e l'altra, mi
camminava al fianco in silenzio e io esitavo a chiederle il perché,
anche se sapevo che forse una buona amica l'avrebbe fatto; ammesso che
Mike avesse rifiutato il suo invito, io non avrei saputo come consolarla
e quindi era forse il momento di stare zitta e basta.
I miei timori si
rafforzarono a pranzo, quando Jessica si sedette il più lontano
possibile da Mike e prese a chiacchierare vivacemente con Eric. Anche
Mike restò stranamente in silenzio, facendo quello che di solito
facevano gli studenti pensierosi e annoiati: guardare il tavolo dei
Cullen.
Il silenzio continuò
anche lungo il tragitto che ci portava entrambi all'aula di biologia e
l'aria incerta nei suoi occhi era un cattivo segno, ma non affrontò
l'argomento finché non mi accomodai al mio posto.
Lui si appollaiò sul banco, mettendosi a posto il colletto della camicia.
Come al solito, Edward
non si faceva sentire, stava lì seduto così vicino da poterlo toccare,
ma anche tanto lontano da apparire un prodotto della mia immaginazione.
«Insomma...» Disse Mike, guardando il pavimento «Jessica mi ha invitato al ballo di primavera»
«Lo so» risposi «E te la passerai alla grande con lei»
«Beh» balbettò, studiando il mio sorriso, evidentemente scontento della mia reazione «Io le ho detto che volevo pensarci»
«E perché l'avresti fatto?».
Lasciai trapelare il
mio disappunto, ma ero così contenta che non gli avesse rifilato un "no"
definitivo! Lui tornò a fissare il pavimento e arrossì un po', sulle
punte delle guance, come se qualcuno ci avesse passato sopra un
pennellino a punta fine intinto nel rosa. La pena che mi faceva mi tolse
un po' di determinazione.
«Mi chiedevo se... beh, se non avessi intenzione di invitarmi tu».
Rimasi in silenzio un
istante, con il senso di colpa che mi investiva. Con la coda dell'occhio
notai la testa di Edward voltarsi verso di me.
Sapevo che non avevo
niente da rimproverarmi e sapevo anche che lo avrei invitato, se fossi
andata al ballo, ma non avevo alcuna intenzione di andare a ballare,
avevo programmi molto più importanti.
«Mike, credo che dovresti accettare l'invito di Jessica» Dissi, seriamente«L'hai già chiesto a qualcun altro?».
Chissà se Edward, così distratto com'era, si era accorto che Mike stava guardando proprio lui.
«No, figuriamoci! Non ci vengo proprio, al ballo»
«Perché no?» chiese Mike
«Perché no? Perché non
so ballare, Mike!» esclamai «È come se io ti chiedessi come mai non vai a
fare il capitano di regata, così, di punto in bianco, settimana
prossima»
«Ballare non è così difficile» rispose, iniziando a sorridere un po'
«A no? Per te, che sei
un angioletto della tap dance caduto dal cielo di Ginger Roger» risposi,
ridacchiando fra me e me «Ma, davvero, non voglio ballare. E poi mi
fanno schifo i balli scolastici, ma proprio ribrezzo» alzai un braccio,
mi arrotolai la manica della felpa e gli mostrai la mia pelle «Guarda!
Mi si drizzano tutti i peli e mi viene la pelle d'oca ogni volta che
sento "balli scolastici"»
«Oh mio Dio!» esclamò lui, divertito e impressionato «Ma è vero!»
«E ti pare che ti dico una bugia?»
«Ti fanno così schifo?»
«Schifissimo. Quindi vacci con Jessica, almeno lei vuole ballare»
«Va bene, hai ragione» mormorò, e tornò al suo posto, rincuorato.
Il professor Banner
aveva iniziato a parlare prima ancora che Mike avesse finito di sedersi.
Guardai, come per riflesso, verso Edward che di solito a quel punto
stava guardando la parete, ma che questa volta mi fissava, curioso, gli
occhi scuri di nuovo venati da quel consueto filo di frustrazione, più
evidente che mai.
Anch'io lo fissai,
sorpresa, sicura che avrebbe abbassato lo sguardo immediatamente, e
invece lui continuò a guardarmi, sempre più intensamente. Non ero
disposta a cedere, non a lui, e volevo che capisse che io lo capivo e si
aprisse almeno un po' con me.
«Cullen?» Chiese il professore, in cerca della risposta ad una domanda che non avevo sentito.
«Il ciclo di Krebs» Rispose Edward, voltandosi suo malgrado, per prestare attenzione al professor Banner.
Ma davvero? Anch'io stavo per dire "il ciclo di Krebs", pur non avendo sentito la domanda. Mi veniva da ridere.
Libera dal peso del suo
sguardo, tornai al mio libro, cercando di ricompormi. Era giusto che
volessi aiutarlo? Era un caso clinico e io non ero una psichiatra, ero
solo l'ultima arrivata di quella scuola, nonché l'unica persona al mondo
a cui probabilmente importava davvero di lui. Lui, accipicchia, aveva
una famiglia e suo padre era un medico, perché non curavano la sua
depressione o, al meno peggio, il suo bipolarismo? Mi sentivo
sopraffatta da due desideri diversi: aiutarlo, perché sembrava la cosa
più buona da fare, e lasciarlo cucinare nel suo brodo, perché non potevo
rovinarmi il paradiso forksiano pensando all'unico deficiente
trascurato da papà che c'era nel paese.
Per il resto della
lezione cercai con tutte le mie forze di non pensare a lui. Quando
finalmente la campanella suonò, nel raccogliere le mie cose gli diedi le
spalle, immaginando che, come al solito, se ne sarebbbe andato in un
baleno con la coda fra le gambe.
«Bella?».
La sua voce non avrebbe
dovuto suonarmi così familiare, come se la conoscessi da una vita
anziché da poche settimane. Mi voltai lentamene, imitando Lurch, il
maggiordomo della famiglia Addams.
«Ehhhhh?» Strascicai «Chiamato?».
Quando lo guardai, aveva un'espressione illegibile e non disse nulla.
«Cosa? Hai deciso di
rivolgermi la parola?» Chiesi infine, con tono involontariamente
petulante. Se non ti rispondeva quando imitavi Lurch, per forza che poi
diventavi petulante. Le sue labbra si stesero, trattenendo a malapena un
sorriso
«No, non proprio» ammise.
Chiusi gli occhi,
inspirai a fondo dal naso e mi accorsi che iniziavo a digrignare i
denti, probabilmente perché questi ultimi desideravano separatamente dal
corpo di mangiare un'orecchia di capelli-pazzi.
«Allora» Dissi, molto lentamente «Vuoi solo rompermi le scatole, se mi chiami e poi non mi dici niente?»
«Mi dispiace» disse, sembrando sincero «Sono molto maleducato, lo so. Ma è meglio così, davvero»
«No. Fai schifo,
Edward» gli agitai le mani davanti alla faccia «Non è che dici "sono
maleducato è bello" e fai perdere tempo alla gente così. Tu non sei
così» gli afferrai la maglia, irritatissima, e cercai vanamente di
tirarlo verso di me «Senti, ho capito. Stai male. È ovvio che stai male.
Non volevo dirti che fai schifo, non è colpa tua se sei come sei. Non
puoi semplicemente cambiarlo battendo le palpebre, non quando è così
ovviamente... la tua natura... però devi imparare che...»
«Così ovvio?» chiese lui, inclinando un po' la testa.
Sembrava triste e spaventato all'idea che qualcuno nel mondo sapesse dei suoi problemi psichiatrici.
Deglutii e annuii, cercando di darmi un tono tranquillo ma incisivo
«Si. Ovvissimo. E la
gente se ne frega di te, quindi sei diventato... strambo. Ma anche se
stai male, anche se stai cercando di attirare la mia attenzione perché
hai bisogno di aiuto, non è necessario comportarsi in questo modo
schifoso. Non fare il maleducato e io ti aiuterò. Fallo e ti faccio
spedire dallo strizzacervelli più aggressivo d'America. Da Hannibal
Lecter».
Chiusi gli occhi e lo
lasciai andare. Quando li riaprii, lui non se n'era ancora andato, per
fortuna, e aveva l'aria molto seria
«È meglio se non diventiamo amici» rispose, tutto rigido «Fidati»
«No» gli dissi,
cercando di addolcire il tono «Tu non hai amici, vero, Edward? È perché
quello che sei fa paura alla gente. La tua... malattia, fa paura.
Pensano che tu possa essere pericoloso, forse. Pensano che tu sia
diverso da loro. Lo percepiscono nel modo in cui parli, in cui ti
muovi... nella tua faccia. Ma io so cosa sei e come ti senti ad esserlo e
non ho paura»
«Pensi di sapere cosa sono...»
«Io non lo penso. Io lo
so. So che il mondo può essere tanto bello quando un ratto in un gabbia
senza valore, quando qualcuno è nella situazione, ma so anche che tutto
può cambiare. Puoi liberare quel ratto»
«Quale ratto?»
«Era una metafora»
spiegai, paziente «Non la più brillante, ma devo averla letta da qualche
parte. Mi sembrava calzante» mi strinsi nelle spalle «Mi dispiace per
le tue condizioni, Edward. Voglio solo aiutarti».
Era sbigottito. Mi fissava, incredulo.
«Tu non sai niente!» Ruggì all'improvviso.
Mi voltai, piena di
sdegno, con la bocca serrata per non lasciarmi scappare tutte le accuse
che avrei voluto rovesciargli addosso, tutto il risentimento e il
dolore. Non volevo che, dopo avermi trattato così male, lui sapesse che
pensavo sempre a lui, ad un modo per salvare la sua vita, perché per me
era prezioso quanto lo erano gli altri esseri umani e volevo che fosse
felice.
Si, non ero la persona
più adatta per aiutarlo, soprattutto perché lui non voleva essere
aiutato ed era maggiormente questo che mi faceva arrabbiare. Raccolsi i
libri e andai verso la porta. Avrei desiderato uscire teatralmente dalla
classe, impettita, ma ovviamente la punta del mio stivale incappò nello
stipite e i libri mi caddero a terra, rovesciandosi dappertutto e
aprendosi, lasciando che alcuni fogli di appunti scivolassero sul
pavimento. Per un istante rimasi lì a chiedermi se fosse il caso di
lasciarli dov'erano. Poi feci un sospiro e mi piegai a raccoglierli. Ed
eccolo, era al mio fianco: li aveva già impilati uno sull'altro, con una
velocità magica, e me li porse accigliato.
«Grazie» Dissi, gelida.
Contraccambiò, gli occhi diventati due fessure «Prego»
«Lo dirò a tuo padre» dissi, sottovoce
«Cosa?» sibilò lui
«Lo sai. Lo sai che cosa. Così almeno lui ti... controllerà un po' meglio» sbottai.
Mi rialzai di scatto, girai i tacchi e mi precipitai verso la palestra, senza guardare indietro.
La lezione di
ginnastica fu dura: dalla pallavolo eravamo passato alla pallacanestro,
uno sport in cui non avevo nessun punto di forza, visto che la mia
schiacciata alla Mila e Shiro non serviva a niente qui. I miei compagni
di squadra non mi passavano mai la palla e, cercando di rubarla
all'avversario, non facevo altro che cadere e scivolare sul parquet come
un pinguino.
La fine della lezione
fu un sollievo. Raggiunsi il pick-up quasi di corsa. I danni al mio
veicolo, dopo l'incidente, erano stati minimi: avevo dovuto cambiare
entrambi i fari posteriosi e se la verniciatura fosse stata più seria
avrei dovuto mettere mano anche a quella. Ai genitori di Tyler era
toccato vendere quello che restava del furgoncino come pezzi di ricambio
e anche quelli non gli erano fruttati un granché.
Mi venne quasi un colpo
quando vidi, voltato l'angolo, una sagoma alta e scura appoggiata al
mio pick-up. Mi fermai, pronta a mettermi in posizione di guardia
pugilesca, poi mi accorsi che si trattava semplicemente di Eric e
continuai e camminare.
«Ciao, Eric»
«Ciao, Bella»
«Come va?» chiesi,
mentre aprivo la portiera. Non avevo notato subito il suo tono
imbarazzato, perciò le sue parole mi presero alla sprovvista
«Ehm, mi chiedevo se... se... per caso verresti con me al ballo di prima-priva-prima-vera?»
«Per caso?» sollevai un sopracciglio «Se ci vengo per caso?»
«Si, insomma, hai capito».
Rimasi per un istante in silenzio, a guardarlo arrossire come un peperone, certa di star arrossendo un po' anch'io.
«Mi sembrava che, secondo tradizione, gli inviti spettassero alle ragazze» Dissi
«Beh, si» ammise, vergognosamente.
Cercai di rivolgergli un sorriso convincente «Grazie per avermelo chiesto, ma purtroppo sabato sarò a Seattle»
«Ah» rispose lui «Magari, allora, sarà per la prossima volta»
«Certo» conclusi io,
pentendomene subito. Sperai che non mi prendesse troppo alla lettera,
perciò aggiunsi «In ogni caso non ci sarà una prossima volta, non ho
intenzione di venire a nessuno dei balli scolastici».
Lui tornò verso la
scuola, ciondolando. Io sentii una risatina soffocata. Edward camminava
davanti al mio pick-up, lo sguardo dritto davanti a sé, e tratteneva un
sorriso. Saltai sul sedile, sbattendo la portiera con violenza che fece
tremare i finestrini, misi in moto e rombando feci retromarcia sul
viale. Cullen non si meritava il mio aiuto, visto che gli piaceva così
tanto ridacchiare dei dispiaceri altrui.
Edward era già sulla
sua macchina, a due piazzole di distanza, e mi svicolò davanti
bloccandomi. Si fermò lì, ad aspettare i suoi fratelli; li vedevo
procedere verso di noi, ma erano ancora troppo vicini alla mensa,
evidentemente desiderosi di essere veloci e aggraziati come volpine
carine solo quando gli girava e non quando stavano congestionando il
traffico. Razza di buzzurri.
Per un attimo pensai se
non fosse il caso di tranciare la coda alla sua Volvo luccicante, ma
c'erano troppi testimoni. Guardai nel retrovisore: si stava formando una
coda. Proprio di me c'era Tyler Crowley (chi altri, sennò?), sulla
Sentra usata che aveva appena comprato, e mi salutava con la mano. Gli
feci un cenno in risposta, benché fossi snervata.
Mentre attendevo,
evitando con cura di guardare verso l'auto che mi precedeva, sentii
qualcuno bussare al finestrino del passeggero. Mi voltai e vidi Tyler,
con la faccia più speranzosa che avessi mai visto su un ragazzo di
periferia, gli occhi scintillanti. Indossava una bella giacca sotto il
cappotto e una camicia rosa dal colletto alto che lo facevano sembrare
peculiarmente elegante, quasi formale.
Perplessa, lanciai uno
sguardo allo specchiato: Tyler aveva lasciato la macchina accesa in
mezzo alla strada, con la portiera aperta, così che chiunque avesse
voluto rubarla o intrufolarcisi dentro l'avrebbe potuto fare senza
difficoltà.
Mi sporsi per abbassare il vetro, ma era durissimo e arrivata a metà rinunciai all'impresa.
«Scusa Tyler, sono bloccata dietro Cullen». Ero seccata: ovviamente l'ingorgo non era colpa mia.
«Oh, si, ho visto. Volevo soltanto chiederti una cosa, mentre siamo fermi qui. Mi inviteresti al ballo di primavera?»
«Sarò fuori città,
Tyler» gli risposi, cercando di contenermi più che potevo. Dovevo tenere
presente che non era colpa sua se Mike, Eric e soprattutto Edward
avevano già esaurito la mia personale scorticina di pazienza di quel
giorno.
«Già, me l'ha detto Mike» confessò
«E ma allora sei testardo, eh?».
Fece spallucce
«Speravo fosse un modo carino di rifiutare il suo invito».
Bene, questo era l'esatto momento in cui diventava colpa sua.
«Spiacente,Tyler»
Dissi, senza più sforzarmi di nascondere l'irritazione «Sarò davvero
fuori città. E se non ci fossi stata, di certo non avrei invitato te.
Neanche ti conosco! Mi hai solo quasi messo sotto con il furgoncino, che
non è un granché di corteggiamento, ti pare?»
«Ma...»
«Ma niente» lo zittii «Hai praticamente detto che sono una bugiarda, che ho rifilato una frottola a Mike, il mio migliore amico solo per rifiutare di andare al ballo con lui»
«Io non volevo dire questo, volevo dire che...»
«Se proprio volessi venire al ballo, inviterei lui. Lui, non te»
«Allora rimandiamo al ballo di fine anno?».
Prima che potessi
rispondergli, Tyler fuggì e ritornò in auto. Sentivo l'espressione
stupefatta sul mio volto come se la stessi guardando in uno specchio.
Non vedevo l'ora che Alice, Rosalie, Emmett e Jasper si infilassero su
quella sbrilluccicante Volvo come sardine in una confezione di latta e
se ne andassero più veloci del Team Rocket.
Edward mi fissava dal
retrovisore interno. Stava di fatto morendo dal ridere, come se avesse
origliato il nostro dialogo dalla prima all'ultima parola. Che voglia di
premere l'acceleratore... un colpetto non avrebbe fatto male a nessuno,
giusto quando bastava a graffiare un po' quella splendente vernice
argento metallizzata. Misi di nuovo in moto, pronta al misfatti.
Ma i Cullen erano già saliti in macchina ed Edward stava sfrecciando via.
Percorsi la strada verso casa a bassa velocità, bofonchiando senza sosta.
«Glielo do io il ratto
in gabbia, glielo do... ce lo chiudo in una gabbia e lo trasformo in un
ratto e lo regalo come giochino a Dracula, si si... Stupido ratto
subdolo di un Cullen... Tu sei il ratto, la tua Volvo è la gabbia senza
valore dove ti spiaccicherò».
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Note degli autori:
Come avrete iniziato a capire già dal capitolo precedente, una
sottotrama sta iniziando ad insinuarsi nella storia... una sottotrama di
cui non possiamo dire niente ovviamente se non che alcuni picchi
della sua demenzialità (e profondità) ci sono stati suggeriti da un
sito ( http://inspirobot.me/ ) che genera "inspirational quotes"
(citazioni ispirazionali) a caso, alcune delle quali sono assolutamente
ridicole! È anche da lì che abbiamo preso le immagini di questo
capitolo e da cui prenderemo altre immagini nei prossimi capitoli ;)
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
direttamente dal sito, continuate a leggere la storia da
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