sabato 2 giugno 2018

Sunset 54 - Finto-Jacob



Un fitto muro di alberi e cespugli nascondeva il garage dalla casa. La rimessa era stata ricavata da due grossi casotti prefabbricati, adiacenti e privi di pareti divisorie. Protetta dalla struttura, e issata sopra quattro blocchi di cemento, vidi quella che mi pareva un'automobile fatta e finita. Se non altro, riconobbi il simbolo sul radiatore.
«Che modello di Volksvagen è?» Chiesi
«Una vecchia Golf: del 1986, un classico» rispose, annuendo
«Come procede?»
«Quasi finita!» disse allegro, poi si fece più serio «Papà ha mantenuto la promessa, la scorsa primavera»
«La scorsa primavera?» mi accigliai «Cosa?».
Ricordavo come se fosse ieri che Jacob aveva chiesto a suo apdre soldi e pezzi di ricambio come ricompensa da recapitarmi proprio al ballo. E lo ricordavo come se fosse ieri... perché era stato ieri.
Feci un passo indietro e lo guardai meglio. C'era qualcosa che non andava.
«Che c'è, Belarda?» Fece lui, preoccupato, sobbalzando.
La sua lunga coda di capelli neri sobbalzò con lui. La sua lunga coda di capelli neri. Come avevo potuto essere così sbadata, così disattenta, da non accorgermene prima? Certo, pioveva e io ero spaventata ed eccitata e dovevo nascondere le moto, ma i capelli di quel ragazzo sembravano essere magicamente cresciuti di quaranta centimetri in una notte sola.
«Jacob» Dissi, con voce flebile «Ieri avevi i capelli corti»
«Ma no» lui rise, naturale «Mi piacciono lunghi, perché dovrei tagliarli?»
«Sono settimane che hai i capelli corti, Jake, settimane»
«Ma che cosa stai dicendo, Belarda?».
Indietreggiai ancora. Lui continuava a sorridermi come se niente fosse e non si ricordava che ci eravamo visti appena la sera precedente. Mi si rimescolava lo stomaco e una possibilità terrificante si faceva spazio.
Quello non era Jacob Black. Se l'avessi detto ad alta voce, se gli avessi urlato “tu non sei Jacob!” avrei rischiato soltanto di farmi attaccare. Chi era quello al suo posto? Esistevano vampiri capaci di assumere la forma di qualcun altro con così tanta precisione? E sopratutto, l'interrogativo più grande, dov'era il mio amico?
Per scoprirlo avevo un piano: continuare a comportarmi in maniera naturale, come se quello fosse il vero Jacob, e aspettare l'arrivo delle ragazze-lupo, così avremmo potuto prendere a calci il finto-Jacob fino a fargli sputare la verità insieme al sangue.
Mi forzai ad avere un'espressione lieve, anche se dentro di me fremevo di preoccupazione e mi si annodava lo stomaco di paura. Ero da sola, in un garage rudimentale, con un gigante che fingeva di essere un mio amico: chiunque avrebbe avuto paura.
«Jacob, sai qualcosa di motociclette?» Chiesi, fingendo tranquillità.
Lui si strinse nelle spalle. Caspita, sembrava proprio Jacob. «Qualcosina. Il mio amico Embry ha una moto da cross. Ogni tanto ci lavoriamo. Perché?».
«Beh...» Ci pensai su, arricciando le labbra. Non ero sicura che sapesse mantenere il segreto, ma d'altronde c'erano buone probabilità che non avrebbe potuto spifferare niente a mio padre dopo che avremmo rivelato il suo segreto e lo avremmo riempito di botte. «Ho appena recuperato un paio di moto» Spiegai «Che non sono esattamente in forma. Pensi di riuscire a rimetterle in sesto?»
«Fico» lui sembrava lusingato dalla sfida, il volto luminoso «Ci provo».
Alzai un dito in segno di avvertimento «Il gatto è che mio padre non vuol sentire parlare di moto. Sinceramente, se sapesse di questa faccenda gli verrebbe una sincope. Perciò... vietato parlarne con Billy»
«Certo certo» disse il finto-Jacob, sorridendo «Capisco»
«Ti pago» continuai.
Lui parve sentirsi offeso «No. Voglio aiutarti. Non puoi pagarmi!»
«Beh, allora che ne dici di uno scambio?» stavo ovviamente improvvisando, ma ne venne fuori una proposta ragionevole che avrei fatto volentieri anche al vero Jacob «A me serve una moto sola e ho anche bisogno di lezioni di guida. Quindi che ne dici se una moto rimane a te e tu mi insegni?»
«Bel-lo» scandì le due sillabe
«Un attimo... hai l'età? Quando compi gli anni?»
«L'hai dimenticato» disse, con una scherzosa occhiataccia di rimprovero «Ho già sedici anni»
«Non che l'età ti abbia mai fermato» mormorai «Scusa per il tuo compleanno».
Ugh, stavo facendo delle scuse a quella specie di replicante alieno.
«Non preoccuparti. Anch'io ho dimenticato il tuo. Quanti anni hai, quarantatrè?» Scherzò lui
«Quasi» arricciai il naso
«Dobbiamo festeggiarli tutti e due assieme per rimediare»
«Mi stai invitando ad uscire?».
A quelle parole i suoi occhi si accesero ancora di più: sembrava che dovesse morire di contentezza proprio lì, di fronte a me. Dovevo tenere a bada l'entusiasmo per non dargli l'impressione sbagliata, però avevo paura a non assecondare il replicante. E se fosse diventato violento? Era enorme, mi avrebbe potuta uccidere con un pugno ben assestato ad una tempia. E, dovevo tenerlo sempre a mente, quello non era il vero Jacob Black. Era difficile gestire una sensazione tanto insolita.
«Quando le moto saranno finite, magari. Saranno il nostro regalo» Aggiunsi
«Affare fatto. Quando le porti?»
«A dire la verità... a dire la verità...» balbettai, inspiegabilmente imbarazzata «Sono già sul pick-up»
«Grande!» sembrava davvero entusiasta
«Se le scarichiamo, Billy ci vedrà?».
Lui fece l'occhiolino «Basta stare attenti».
Girammo attorno al lato destro della casa, riparandoci tra gli alberi e fingendo di passeggiare disinvolti per evitare sorprese. Il finto-Jacob scaricò le moto alla svelta dal cassone del pick-up, trascinandole una dopo l'altra tra i cespugli in cui mi ero nascosta. Sembrava fin troppo facile per lui. A me le moto erano sembrate molto, molto più pesanti.
«Non sono niente male» Sentenziò, mentre le metteva al sicuro tra gli alberi «Questa, una volta sistemata, potrebbe anche valere qualcosa: è una vecchia Harley Sprint»
«Allora è tua»
«Sei sicura?»
«Assolutamente»
«Però ci vorranno un po' di soldi» disse, osservando cupo il metallo annerito «Prima di tutto dobbiamo procurarci dei ricambi»
«Dobbiamo un bel niente. Se vuoi lavorare gratis, i pezzi li pagherò io»
«Non so...» borbottò
«Ho qualche soldo da parte. Per il college, hai presente».
Il college, il college, ripetei tra me e me. Non avevo abbastanza denaro per andare chissà dove e oltretutto non ero nemmeno tanto impaziente di lasciare Forks. E poi era tutto un bluff, ovviamente non avrei comprato niente per il finto-Jacob.
Il ragazzone si limitò ad annuire. Per lui sembrava una decisione sensata.
Mentre tornavamo furtivi verso il garage improvvisato, meditai sulla mia intuizione. Potevo aver preso un granchio? Quello poteva essere il vero Jacob, solo incredibilmente smemorato e con i capelli che gli erano ricresciuti in una notte? Se lo guardavo bene, poi, non sembrava più grosso di com'era stato la sera precedente, aveva una muscolatura più giovane, più scattante e allungata, e se sembrava più alto era solo perché non era tarchiato.
Tutto ciò era molto sospetto, ma a distruggere le mie convinzioni c'era un'evidenza difficile da ignorare: il finto-Jacob (o il vero Jacob?) sembrava un ragazzo felice di avere due vecchie moto arrugginite adesso, non qualche replicante alieno che voleva succhiarmi via il cervello. Solo un adolescente avrebbe potuto farmi da complice in un'avventura simile: mentire ai nostri genitori e riparare due veicoli pericolosi utilizzando i soldi che avrebbero dovuto finanziare i miei studi. Ma lui non ci vedeva niente di strano.
Proprio mentre stavo azzardatamente per decidere di parlargli dei miei strani dubbi, udii una voce profonda ruggire da dietro di noi, in mezzo agli alberi.
«NON GLI CREDERE! SCAPPA!».
Mi allontanai incespicando dal finto-Jacob e guardai fuori dal garage. Fra le piante, in ombra, c'era la figura scura di un uomo enorme, dalla spalle larghe, che avanzava a passi rabbiosi, ma in un certo senso eleganti. Era muscoloso e possente ed emetteva un ringhio basso e prolungato, terribile, che mi gelò il sangue.
«SCAPPA!» Gridò di nuovo.
Lanciai un'altra occhiata al finto-Jacob (o vero Jacob?) che sembrava assolutamente smarrito, preso alla sprovvista, poi obbedii al mostro tra gli alberi e presi a correre.
«Bella! NO! Bella, non fare il suo gioco!» Urlò il finto-Jacob, ma io non mi fermai.
Con tutta la forza che avevo nelle gambe correvo verso il mio pick-up, con il cuore in gola. Un terrore cieco mi attanagliava: non scappavo solo dall'inquietante finto-Jacob da cui il mostro mi aveva messo in guardia, ma anche dal mostro stesso.
Tuttavia, con grande disappunto, scoprii che il finto-Jacob aveva preso ad inseguirmi. Sentivo i suoi passi pesanti, ma rapidi, dietro di me.
«Bella!»
«Vattene via!» Urlai, con quel poco fiato che avevo
«Bella, fammi spiegare!»
«NON ASCOLTARLO!» ruggì l'uomo fra gli alberi «SCAPPA!».
Senza fermarmi, voltai la testa per guardarlo. Per guardare entrambi. Il finto-Jacob mi stava proprio inseguendo, sebbene con l'espressione smarrita di qualcuno che non ha capito perché faceva quel che faceva, mentre il mostro umano era scattato fuori dal suo nascondiglio, continuando a ringhiare, e finalmente vedevo la sua faccia.
Oddio, lo conoscevo. Sapevo chi era il mostro umano... e sapevo che potevo fidarmi di lui molto di più che del finto-Jacob. 




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