🌵 Premessa!
Questo raccontino brevissimo non è raffinato, e non è canonico né collegato, al momento, a nessuno degli eventi canonici che abbiamo mai scritto.
È, piuttosto, quel che succede quando i Cactus di Fuoco vanno tutti insieme al primo concerto a cui riescono a partecipare dopo la quarantena e decidono di scrivere a turni su un telefono una versione molto, molto romanzata di quello che stanno vedendo tra una pausa e l'altra degli artisti sul palco.
A voi l'arduo compito di cercare di capire cosa è successo davvero e cosa no (e la risposta potrebbe sorprendervi). Detto questo, ricordiamo con molto affetto quella sera, quindi abbiamo deciso anche di condividere con voi germoglietti questo capolavoro.
Divertitevi! Buona lettura!🌵
21:45. Inizia il concerto. |
La sua amica Jumbi aveva lunghi capelli scuri raccolti in rasta ordinati, e tutti la amavano perché ricordava i compleanni di tutti i suoi fans (infatti, sia Tupper che Jumbi erano cantanti moderni e vivaci che davano fastidio a Manuel Agnelli). In realtà lei diceva “Io lo so che qualcuno nel pubblico oggi fa il compleanno, auguri a te!” e per forza di cose poi ci azzeccava. L’amore che provavano per lei, però, era poca cosa se confrontata con la venerazione che tributavano a Tupper! Lui era considerato una specie di profeta della musica moderna, praticamente lui faceva questa cosa che quando le luci si spegnevano, lui saltava fuori da dietro un divano grigio e iniziava a gridare “ciao Alcamoooooo” con l’autotune e tutti rispondevano urlando e ululando come lupi. Un giorno però Tupper fece il suo solito balzo con grido e per tutta risposta, dalle ultime file, gli arrivò un peluche di Manuel Agnelli che lo colpì in mezzo agli occhi facendo questo suono: “tupperz”. Tupper urlò con l’autotune e cadde a terra con la fronte sanguinante: il peluche a forma di Manuel era infatti ripieno di sfere d’acciaio.
Era appena iniziata una terribile guerra. Con sgomento dei fan, il colpo sferrato col Manuel Agnelli il pericoluche era stato tanto forte che all’impatto, mentre Tupper si accasciava al suolo, altri uno, due, quattro Tupper del tutto identici a parte per i pantaloni (che ognuno aveva di un colore diverso) cicciarono fuori dal primo Tupper, saltellando come giovani orsi per il palco e mugolando con l’autotune.
Ma cos’era accaduto in realtà? Nessun mistero, Tupper non era mai stato da solo in primo luogo!
Infatti si trattava di cinque gemelli che si erano allenati sin da bimbi ad essere stonati esattamente uguale, con grande scorno dei Tiratori di Peluche.
«Volete sentire il nostro ineditOoOoOo?» Mugolarono i quattro Tupper (il quinto era ancora a terra)
«No» disse almeno metà pubblico
«Eccolo, uscirà nel futuristico prossimo».
Era meglio se non usciva. Parlava di lavarsi le mani in un lavando e saltare su un trampolo, mentre la loro ragazza piangeva per aver mangiato troppe caramelle.
Si sperava ancora in una buona performance da un tale Ariete, che si vociferava essere un caprone vero dal carattere cattivo.
I misteriosi Tiratori erano imbronciati, si sussurravano tra loro che non si poteva lasciare che la lingua italiana venisse in tal modo violata, così decisero di creare una mitragliatrice da caricare a peluche per cercare di abbattere tutti e cinque i gemelli (non potevano semplicemente lanciargli bottiglie e pietre perché gli erano state sequestrate all’entrata, al contrario degli apparentemente innocui peluche) e, usando quello che avevano, costruirono una catapulta a raffica con mirino e bam bam bam! Lanciarono venti pericoluche, che però non stesero i gemelli, i quali saltellavano velocissimo, ma gli fecero volare tutti i cappellini.
Il pubblico esultò, accompagnando ogni cappellino che si librava per il palco con un sonoro “Alè!”.
A favore dei Tiratori, va detto anche che venivano regolarmente accecati dalle luci aggressive, inconsapevoli guardie del corpo dei cinque cantanti, che erano di due colori: birra scarsa e violablù accecante.
Quando riuscirono ad aprire gli occhi, ricevendo un momento di tregua da quell’assalto sensoriale, i cinque Tupper avevano detto: «È stato un finale credibile! Ambiguo!» ed erano spariti in una nuvola di fumo al catrame e vaniglia, sfuggendo agli assalitori.
Le luci si spensero. Dalle casse un suono di statico, poi di rana che cade, poi silenzio.
Era arrivato il suo momento, e il pubblico lo chiamava.
«Ariete! Ariete! Ariete!».
Uscirono un batterista, un chitarrista e un tastierista muscolosi che si posizionarono sul palco secondo precisa disposizione. Dietro di loro campeggiava il logo “ARIETE”, scritto con caratteri che ricordavano vertebre e costole scheggiati.
Poi uscì una diciottenne che si mise a fare cabaret. Era lei, era Ariete! Fu un successo, perché lei aveva questa capacità di alternare numeri di sit down comedy (perché di stand up non si poteva parlare, visto che stava spetasciata per terra appena poteva), piccoli sprazzi flash di gay pride improvvisi (e dovevi capire quando iniziavano e quando finivano, eh, sennò rischiavi di essere nel mezzo di un balletto di YMCA mentre lei iniziava una canzone sua, che imbarazzo), e canzoni grintose in cui i ggggiovani si potevano riconoscere.
Alla fine del concerto, quasi tutti si ritennero soddisfatti, persino quelli che erano rimasti un po' delusi perché avevano visto una cantante invece di un vero caprone dal carattere cattivo. Ma mentre le stelle brillavano sulle loro teste, gli attivisti all'entrata del bancone ricevevano firme e gli addetti alla sicurezza bevevano le birre sequestrate abbracciati, persino i Tiratori di Pericoluche, per un secondo, si sentirono in pace.
Poi iniziarono subito a fare un piano di attacco per il prossimo concerto a cui sarebbero andati, cercando di capire come migliorare la mira della loro mitragliatrice a pericoluche. Ma questa è un'altra storia. FINE 🌈
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