mercoledì 10 maggio 2017

L'Uomo dagli Occhi Dorati

Stavo (ri)leggendo Inheritance, l'ultimo libro della saga del Ciclo dell'Eredità quando l'occhio mi è caduto su una delle frasi il cui suono ha sempre provocato in me una grande fascinazione:
A El-Harim viveva un uomo, un uomo dagli occhi dorati
«Attento ai sussurri» mi disse «Perché sono inganni velati»
Questo è l'inizio di una filastrocca che uno dei personaggi (Nasuada) dice in un momento molto particolare (ma non voglio spoilerare niente), ma questo strano personaggio, l'uomo dagli occhi dorati, non viene più menzionato. Chi sarà mai stato, questo strano personaggio? Qual'è la sua storia, di quali inganni sta parlando?
E così improvviso colpo di ispirazione mi ha spinta a scrivere questa breve storia, una fiaba intitolata...

L'Uomo dagli Occhi Dorati



C'era un uomo dagli occhi dorati, nome non aveva, la sua casa era il deserto. Viveva fra le dune, sferzato dal vento, e aveva la pelle come ebano, come cuoio, scura e splendente come la più preziosa gemma, e gli occhi erano due pozzi profondi illuminati dalla luce di stelle gialle che venivano da dentro la sua anima.
L'uomo dagli occhi dorati camminava da solo, a testa alta, e conosceva le oasi e le piante, ogni rigagnolo d'acqua che correva come un'agile lepre sotto le dune, perciò non temeva la fame e non temeva la sete. Le lucertole dal passo buffo, che poggiavano in terra solo due piedi alla volta, erano la sua compagnia ed egli ne aveva una nel taschino della sua giacca, una lucertola che prendeva pezzi di frutta selvaggia e di cavallette dalle punte delle sue dita e lo faceva ridere salendo con il suo passo buffo in cima alle dune quando era lasciata libera di camminare.
L'uomo dagli occhi dorati non temeva neppure le tempeste di sabbia, poiché sapeva quando esse si sarebbero abbattute sulla sua terra e sapeva dove nascondersi.
Un giorno, mentre camminava con il suo zaino sulle spalle, l'uomo dagli occhi dorati incontrò una donna sola, seduta sulla groppa di un maestoso cammello bianco come la neve. Ella era tutta avvolta in abiti azzurri, con il volto abbronzato incorniciato da un cappuccio candido e gioielli d'oro che scintillavano alle dita.
L'uomo le si avvicinò e le chiese
«Cosa fai, qui da sola nel deserto?»
«Ho perso la mia via» rispose la donna «La mia gente si è smarrita nella grande tempesta di sabbia e non so più se siano vivi o morti»
«Ti aiuterò io» si offrì l'uomo dagli occhi dorati
«Chi sei?».
Lui dischiuse le labbra, ma non disse nulla. Come poteva, in poche parole, dire chi era? Non aveva un nome, lui, né una famiglia o una tribù, non aveva neppure un cammello e non apparteneva a nessun altro che al deserto stesso.
«Allora, qual'è il tuo nome?» Lo incalzò la donna
«Non ne ho uno. Sono solo un uomo che cammina nel deserto»
«Allora cammineremo insieme finché non troverò la mia gente. Il mio nome è Jidji»
«Molto piacere, Jidji».
I due si misero in cammino, uno a piedi e l'altra sulla groppa del suo cammello. L'uomo dagli occhi dorati iniziò a cantare

“Sussurra la sabbia come il serpente
Nella sua tana si cela l'inganno
Non è il suo morso che devi temere

Ma il buio freddo della lunga notte
Corre e rincorre sé stesso il vento
Non un momento si ferma per te

Pensi che taccia forse un minuto
Invece è altrove, non soffia per te

Poi con la luna esplodono le stelle

Squarci nel cielo di bianco e di blu
Morsi di fame e brividi a pelle

come locuste sciamiamo nell'oasi”
 

Camminarono a lungo sulle dune roventi finché in lontananza non videro un uomo alto e magro, tutto avvolto in abiti brillanti che il venticello faceva muovere come fiamme vive. La sua voce arrivò alle orecchie della donna, portata dal vento, sussurrando
«Jidji, Jidji, vieni, conosco tua madre! Jidji, Jidji, vieni, conosco tuo padre».
La donna spronò il cammello per raggiungere la misteriosa figura, ma l'uomo dagli occhi dorati afferrò le redini del suo cammello e tirò forte, fermando l'animale.
«Non andare. Nel deserto, i sussurri sono inganni velati».
a donna alzò allora lo sguardo di nuovo verso il misterioso uomo brillante e una gran paura la colse, poiché lo vide per quello che era: un demone djinn che la chiamava, con la mano artigliata tesa verso di lei, la voce suadente e bassa che ripeteva quelle parole come una tiritera, una filastrocca per bambini. Il caldo faceva tremolare la sua figura alta, ma egli non si muoveva di un solo passo, per nulla intenzionato ad inseguirli.
Jidji e l'uomo dagli occhi dorati proseguirono allora il loro cammino e, quando fu notte, giunsero in un'oasi.
Le fronde delle palme li riparavano dal caldo, fra le loro radici saziarono la loro arsura, dei loro frutti si nutrirono per placare la propria fame. Fu allora che Jidji udì ancora la voce del djinn che la chiamava, suadente ed insistente, e tuttavia questa volta ebbe la forza per ignorarla.
Il demone li guardava da lontano, in piedi fra le dune, con gli occhi che rilucevano rossi come braci incandescenti. La sua voce era ora il ronzio di mille zanzare, la sua gola una grotta profonda e secca.
L'uomo dagli occhi dorati posò una mano sulla spalla di Jidji e le sussurrò in un orecchio «Attenta alle voci che chiamano nel deserto, esse parlano di una gloria che non verrà, annunciano di fortune che diverranno rovine, ignoralo e vieni a dormire».
Allora ella si sdraiò accanto all'uomo dagli occhi dorati e in poco tempo prese sonno.
L'indomani, quando il sole sorse, il grido di un avvoltoio li svegliò. Jidji scattò in piedi, spaventata, e vide un gruppo di enormi uccelli scuri scendere dal cielo. Seguì con gli occhi il loro volo, poi camminò fino al bordo della dell'oasi e vide che gli avvoltoi stavano banchettando sul corpo riverso del Djinn.
Quando l'uomo dagli occhi dorati la raggiunse, ella chiese
«Come pensi che sia morto?»
«Le bugie e gli inganni velati appassiscono e muoiono» rispose l'uomo dagli occhi dorati, con un sorriso «Quando nessuno presta loro orecchio e nessuno li sparge».
Allora la donna capì come i demoni e gli dei si nutrissero della voce e della paura e di come solo ciò che gli uomini desideravano poteva continuare ad esistere. Quelle creature che vagavano di notte sotto le stelle, o sotto il cielo cupo e nero come un mantello, erano reali, erano pericolose, ma nascevano dalla mente degli uomini e solo la mente poteva sconfiggerli.

L'uomo con gli occhi dorati si sedette sotto ad una palma, la lucertola che gli era salita sul turbante bianco, e iniziò a suonare uno zufolo ricavato da una canna, muovendo le dita agilmente sui buchi per comporre una canzone che il mondo non aveva mai udito prima, che si accompagnava al canto degli uccelli e al funebre gracchiare degli avvoltoi.
Jidji andò accanto a lui e cantò con voce soave.
Suonarono e cantarono per ore, finché una carovana non apparve all'orizzonte.
«È la carovana di mio padre!» Gridò Jidji, premendosi le mani sul cuore.
I cammelli avanzavano con passo sicuro verso l'oasi, le labbra che già ruminavano invisibile erba, gli stomaci anelanti la fresca acqua.
La ragazza balzò in groppa al suo cammello bianco e corse verso la carovana: fu lì che ritrovò suo padre e sua madre, i suoi fratelli e i suoi cugini.

Quando tutti si furono fermati nell'oasi e stavano caricando le provviste d'acqua, Jidji volle presentare ai suoi genitori l'uomo dagli occhi dorati e chiedere loro se poteva sposarlo, ma lui era sparito, silenzioso come sempre quando camminava sulle dune dorate.
Allora la giovane iniziò a raccontare loro la storia dello spirito buono del deserto, l'uomo dagli occhi dorati che l'aveva salvata, e nessuno ebbe motivo di non crederle.
La storia fu narrata e passò di carovana in carovana, di bocca in bocca, e fu narrata ai bambini e ad uomini stanziali di villaggi lontani.
Un giorno di molti anni dopo, Jidji stava viaggiando nel deserto con il suo sposo e il suo bambino, quando vide qualcuno camminare su una duna come se volasse, silenzioso quanto lo erano le ali del bianco barbagianni, e lo riconobbe subito per la lucertola che usciva dal suo taschino.
«Vedete quello?» Disse, indicando l'uomo a suo marito e al suo bambino «È lui quello, l'uomo dagli occhi dorati del deserto!»
«Di certo somiglia molto a quello spirito buono» rispose il marito, divertito «Sarà meglio offrirgli qualcosa perché ci porti bene e ci aiuti ad attraversare il deserto».
Jidji ne fu sorpresa: perché mai suo marito parlava in quel modo di un altro uomo mortale? Poi capì: la leggenda si era sparsa tanto che il modo in cui suo marito conosceva la storia non era lo stesso che lei aveva vissuto e forse lui nemmeno sapeva che era lei quella Jidji che aveva incontrato per prima l'uomo dagli occhi dorati.
Lei lo salutò allora muovendo la mano e lui rispose, poi si avvicinò abbastanza perché lei potesse vedere il suo sorriso bianco, splendente nel riverbero luminoso della sabbia.
«Sei tu» Gli disse «L'uomo che camminava nel deserto, che mi aiutò a ritrovare i miei genitori»
«Si» rispose lui, sereno «Molti anni sono passati, ma tu ricordi ancora quel giorno»
«Come potrei mai dimenticarlo? Oh, guarda, questi sono mio figlio e mio marito».
Il marito guardò male l'uomo dagli occhi dorati, lo salutò distaccatamente, ma non disse null'altro chiedendosi chi fosse quell'uomo che conosceva sua moglie.
Jidji allora chiese
«Ancora non hai un nome?»
«Forse ne ho uno» rispose quello «Ma ci vorrà ancora qualche tempo per sapere se è il mio»
«Qual'è questo nome?»
«Uomo dagli Occhi Dorati» rispose quello «È così che mi chiamano i viaggiatori dispersi, quelli che io aiuto a ritrovare la via. Mi fanno compagnia ed è bello. Non so come ciò accade, ma da quando ti aiutai a ritrovare i tuoi genitori, quel giorno di molti anni fa, sempre più spesso mi accade di trovare per caso viaggiatori smarriti, come se fosse il mio destino quello di aiutarli. E loro conoscono un nome che io non avevo mai udito, Uomo dagli Occhi Dorati, e a me piace».
Il marito spalancò gli occhi
«Sei tu?» Domandò «Sei tu quel genio del deserto?»
«Genio non so» rispose l'altro, stringendosi nelle spalle «Ma sento che è ora di andare».
L'Uomo dagli Occhi Dorati fece per andarsene, ma poi tornò indietro sui suoi passi, estrasse dalle pieghe del vestito il suo vecchio zufolo e lo posò in mano alla donna.
«Grazie, Jidji» Le disse
«E di cosa?» chiese lei, sorpresa
«Quel giorno che ti perdesti, mi donasti un nome».
Il vento soffiò, facendo turbinare i granelli come pulviscolo dorato nell'aria, ed un solo istante dopo L'Uomo dagli Occhi Dorati era sparito. Jidji e la sua famiglia continuarono il viaggio, lei si fece rotolare fra le dita il flauto.
Se le parole potevano far vivere i demoni del deserto, forse, potevano anche creare qualcosa di buono. Potevano creare una leggenda.
Alzò lo sguardo, mentre la linea dell'orizzonte ondeggiava, e sentì il deserto penetrarle nell'anima. Il cielo era di un azzurro così sfavillante da sembrare tutto illuminato, come una gigantesca lanterna. Il silenzio del deserto era il teatro per la magia, la sua immensità la culla delle leggende.
Lei ne aveva conosciuta una, ma nessuno può diventare leggenda senza le voci di migliaia di persone. Non c'è un dio senza adoratori, non c'è un demone senza vittime.
E il deserto è un luogo senza tempo, perciò sarebbe stato per sempre. Per sempre sarebbe vissuto un uomo dagli occhi dorati che nome non aveva, la cui casa era il deserto. Vive ancora fra le dune, sferzato dal vento, e ha la pelle come ebano, come cuoio, scura e splendente come la più preziosa gemma, e gli occhi sono due pozzi profondi illuminati dalla luce di stelle gialle che vengono da dentro la sua anima. 

Puoi vederlo, da lontano, camminare come un equilibrista sulla cima delle dune, silenzioso come le ali candide del barbagianni, e se avrai bisogno di lui, lui ti aiuterà.

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