mercoledì 28 febbraio 2018

Sunset 12. Una nota disciplinare per Cullen








«Resta un po' sdraiata, piccola» Disse l'infermiera «Poi devi bere per idratarti. Ti ricordi che cosa hai mangiato di particolare in mensa, cosa può averti fatto male?»
«Una ciambella» dissi «Una ciambella vecchia. Mezza ciambella» quasi balbettai
«Mezza ciambella» ripeté l'infermiera, con aria professionale «Per fortuna non è un ottimo terreno di coltura per chissà quali agenti patogeni. Dovrebbe passarti presto. Devi andare in bagno tesoro, e bere tantissimo. Rimarrai un po' qui in osservazione in infermeria, poi potrai andartene»
«Grazie» risposi, grata.
Per fortuna non era niente di grave. La nausea stava già diminuendo, ora che ero sdraiata e mi sentivo più al sicuro, con un bicchierone di acqua fresca infilato a forza nella mano sinistra, di quelli con la cannuccia rosa.
Edward si affacciò alla porta ed emise un colpetto di tosse, come se volesse farsi notare. L'infermiera lo vide subito e gli sorrise
«Cullen!» esclamò «Che succede? Stai male?»
«No» rispose lui, entrando nella stanza anche con il corpo «Sono venuto a vedere come sta Bella».
Io e Mike ci guardammo, chiedendoci probabilmente la stessa identica cosa: c'era un modo davvero efficace, che ne so, qualche prodotto a base di diazinone, per liberarsi per sempre di quella zecca con i capelli?
«Non ho bisogno di lui» Dissi, cercando di essere gentile perché l'infermiera era una persona tanto dolce «Ho già Mike»
«Anche lui deve tornare in classe» mi interruppe la donna, indicando il mio amico «Anche se prima potete salutarvi. Quanto a te, Edward, tu puoi pure tornare in classe subito».
Edward fece un passo in avanti e si fermò con le gambe leggermente divaricate, gli occhi gialli fissi come quelli di un serpente
«Devo restare con lei».
Pronunciò quelle parole con tanta autorevolezza da mettere a tacere l'infermiera, che pure sembrava contrariata.
«Vado a prendere una bustina di sali e vitamine da aggiungerti all'acqua» Mi disse lei, uscendo in fretta dalla stanza.
«Avevi ragione» Farfugliai, con gli occhi ancora socchiusi
«Certo, come al solito...» disse Edward, tutto tronfio «Ma a cosa ti riferisci adesso, di preciso?»
«Non frequentarti è davvero il meglio per me»
«Per qualche minuto mi hai messo davvero paura» ammise lui, dopo un breve silenzio. Dal tono di voce sembrava che stesse confessando una debolezza umiliante «Pensavo che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per seppellirlo nel bosco»
«Divertente» dissi, ironica. Tanto lui non capiva l'ironia.
Mike, che era già pronto ad uscire dalla stanza, ci ripensò e si voltò verso Edward; era rosso in faccia e sembrava starsi trattenendo dal rifilargli un pugno di quelli che io amo chiamare "saltadenti".
«Senti» Disse, puntando il dito contro quella faccia color marmo «Non solo non è divertente, è anche offensivo ed è totalmente insensato! Perché mai dovrei rubare un cadavere per seppellirlo nel bosco? Io non abito nel bosco! Non faccio sacrifici alle divinità nei boschi! E soprattutto io non trafugherei il cadavere di qualcuno, perché non sono uno psicopatico come te!».
Edward, che fino ad ora era stato tutto frizzi e lazzi e finti segreti inconfessabili, cambiò di nuovo repentinamente umore, perché lui era così, insensato, e ringhiò a Mike
«Ho il diritto di sentirmi preoccupato per Bella»
«No, non ce l'hai!» sbottammo contemporaneamente io e Mike, sincronizzati.
Edward non mi lanciò neanche una delle sue occhiate di odio, riservandole tutte al mio amico, che uscì dalla stanza per tornare a lezione facendomi un piccolo cenno di saluto con la mano.
«Seriamente» Disse Edward, di nuovo tranquillo «Ho visto cadaveri con un colorito migliore. Ero preoccupato di dover vendicare il tuo omicidio»
«Povero Mike» ribattei «Gli fai saltare i nervi, lo sai?»
«Mi detesta con tutte le sue forze» quasi canticchiò Edward, allegro
«Ah si, da cosa l'hai capito?» chiesi, ironica, ma ricordiamo che Cullen non sapeva leggere l'ironia nel tono delle persone e quindi rispose
«La sua espressione era inconfondibile».
Mi alzai dal lettino e corsi verso il bagno. Sentii Edward che mi gridava dietro per sapere dove stavo andando e mi dovetti trattenere dall'urlargli "a produrre un tuo simile per farti compagnia".
Quando tornai in infermeria e ripresi il mio bicchiere per bere una lunga sorsata, lui era ancora lì. Mi venne una curiosità...
«Come hai fatto a vedermi? Voglio dire, pensavo che avessi marinato la scuola».
A quel punto stavo già meglio, mi sentivo la pancia meno pesante e non stavo sudando in modo sospetto, anche se ormai puzzavo del tipico odore delle persone ricoperte di sudore freddo.
«Ero in macchina, ascoltavo un CD» Rispose Edward. Una risposta che solo lui avrebbe potuto darmi: aveva marinato la scuola per chiudersi in macchina e guardare tutti da lontano mentre ascoltava un CD, probabilmente di musichette trionfali che lo facessero sentire un dio incontrollabile e in controllo di tutti.
Udii la porta aprirsi e vidi l'infermiera che stringeva un pacchetto di carta dalla quale estrasse una bustina piena di qualche liquido effervescente.
«Ecco qui, cara» Mi disse, prendendomi il bicchiere e riempiendolo con acqua e sali «Tutto per te».
Bevvi avidamente: aveva un sapore strano, un misto di dolce e salato con un retrogusto amarognolo che era tipico del magnesio, ma mi piaceva.
«Mi sembra che vada già meglio» Aggiunse l'infermiera, sollevata nel vedere il mio colorito che stava ritornando normale
«Penso di si» risposi.
L'infermiera era chiaramente intenzionata a farmi sdraiare di nuovo, ma a quel punto la porta si aprì e sbucò la testa della signorina Cope.
«Ce n'è un altro» Annunciò, laconica.
A quel punto, dalla porta entrò Mike, barcollante, trascinandosi dietro un mio compagno di classe, Lee Stephens, giallo di nausea. Io ed Edward ci accostammo alla parete per fargli spazio.
«Oh no» Borbottò Edward «Esci, torna in segreteria, Bella».
Restai a guardarlo, sorpresa.
«Fidati: vai».
Non mi fidavo di lui, ovviamente, quindi non vedevo perché avrei dovuto abbandonare Mike nei guai o evitare l'occasione di prenderlo in giro perché stava facendo la crocerossina a tutti, oggi.
«Ehi, Mike» Gli feci l'occhiolino «Oggi ti prendi cura di tutti?».
Mike incespicò sotto il peso di Lee mentre lo aiutava a sdraiarsi
«Si» disse, fra i denti «Ma è una faticaccia».
L'infermiera cacciò sia me che Edward dall'infermeria, visto che a quel punto occupavamo solo spazio che le avrebbe potuto essere utile. Schizzai fuori dall'ambulatorio, sperando di seminare Cullen, ma lo sentii subito dietro di me: inutile correre, cosone aveva le gambe lunghe.
«Hai obbedito all'istante». Era meravigliato.
«Che avrei dovuto fare?» Dissi tra i denti «Opporre resistenza quando un'infermiera mi diceva di uscire dalla stanza perché è arrivato qualcuno che sembra pronto a morire? Sentivo odore di sangue» dissi, storcendo il naso
«L'odore del sangue non si sente» mi contraddisse lui
«Solo perché hai un pessimo olfatto, non significa che siamo tutti come te» ribattei «Specie quando è tanto, si sente eccome. Sa di ruggine, con una puntina di... di... non sono bene come spiegarlo, il sangue è inconfondibile».
Mi fissava con un'espressione indecifrabile. Quasi mi dimenticavo che lui era terrorizzato dal sangue e da tutto quello che era ad esso correlato, come i vampiri.
«Scusa» Dissi «Mi dimenticavo che sei fobico».
La sua espressione si fece ancora più indecifrabile, perché era composta da troppe micro-espressioni che si alternavano, dando l'impressione che la sua faccia sfarfallasse tra la rabbia, l'incredulità e il "io so che tu lo sai che io lo so".
A quel punto uscì anche Mike, che squadrò prima me e poi Edward. Cosone aveva ragione: Mike lo detestava, glielo si poteva tranquillamente leggere negli occhi. Poi si rivolse di nuovo a me, con uno sguardo stanco
«Sembra che tu stia meglio» mi accusò
«Eh si» mi strinsi nelle spalle «Mi dispiace che tu abbia dovuto accompagnare anche Lee. Ti sarai perso tutta la lezione, appresso a noi»
«Si, beh... nessuno si aspettava che a Lee facesse così tanta impressione vedere il proprio sangue, si è sentito peggio per il sangue che per la ferita in sé. Sai, ha avuto un giramento di testa dopo che si è punto il dito ed è caduto proprio sopra...»
«Non parlare di sangue di fronte ad Edward» dissi, a voce fin troppo alta «È fobico»
«Me ne dimenticavo» Mike sogghignò, poi guardò Edward «Mi dispiace così tanto, Cullen. Ecco perché oggi hai marinato la scuola! Avremmo dovuto saperlo».
Ci fu un istante di assoluto, plumbeo silenzio.
«Allora...» Disse Mike, allegro «Vieni, questo fine settimana?»
«Dove?»
«Alla spiaggia, è ovvio».
Mentre Mike parlava, lanciò un'altra occhiataccia ad Edward, che finalmente stava zitto, dritto accanto al bancone ingombro di carte, immobile come una statua e con lo sguardo perso nel vuoto.
«Certo» Risposi, contenta «Ho già detto che ci sarò»
«Appuntamento al negozio di mio padre alle dieci». Lanciò un'occhiata verso Edward, badando a non lasciarsi sfuggire troppe informazioni per evitare di ritrovarselo dietro. I suoi gesti sottintendevano che l'invito era assolutamente riservato.
«Ci sarò»
«D'accordo. Ci vediamo in palestra» disse, dirigendosi poi con passo incerto verso la porta.
«Ci vediamo» risposi.
Mi rivolse un ultimo sguardo, con un'espressione imbronciata sul viso rotondo, le spalle cadenti. Fui presa da un'ondata di compassione. Lui sapeva quello che io sapevo... non ci saremmo visti in palestra, avevo intenzione di sfruttare il mio malore per saltare il resto delle lezioni e andarmene a casa anticipatamente.
«Non ginnastica» Dissi, convinta.
«Me ne occupo io».
Non mi ero accorta che Edward si era avvicinato, ma ora lo sentivo sussurrare al mio orecchio «Siediti e impallidisci».
Non era difficile: io ero sempre pallida e lo svenimento di prima mi aveva lasciato un velo di sudore ancora umidiccio sul viso che mi faceva risplendere come una statua di madonnina smaltata. Mi accomodai su una delle sedie pieghevoli cigolanti e abbandonai il capo contro la parete, chiudendo gli occhi e sperando che Edward facesse almeno una cosa buona in tutta la sua vita e mi aiutasse a farla franca.
Udii Cullen parlare piano, al bancone
«Signorina Cope?»
«Si?».
Non l'avevo sentita tornare alla scrivania.
«La prossima lezione di Bella è in palestra, e non credo che si senta abbastanza bene. A dire la verità, credo che sia più opportuno se l'accompagnassi a casa. Potrebbe preparare una giustificazione per lei?»
«Anche tu hai bisogno di una giustificazione, Edward?» cinguettò la signorina Cope. Perché io non ero capace di fare cose del genere? Perché?
«No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà un problema»
«Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?».
Feci un debole cenno, fingendo quel tanto che bastava.
«Riusci a camminare o vuoi che ti porti in braccio?» Edward dava le spalle alla segretaria e la sua espressione si fece sarcastica.
«Cammino».
Mi alzai con prudenza, anche se in effetti stavo bene. Lui mi aprì la porta, con un sorriso gentile, contaminato però da uno sguardo ironico. Andai incontro alla nebbiolina fredda e sottile che aveva ammantato il mondo. Era una bella sensazione perché sembrava lavarmi il sudore appiccicoso dalla faccia e mi faceva sentire più umana e meno statua di madonnina.
«Dovrei ringraziarti» Dissi ad Edward, che mi seguiva «Ma dopo tutto quello che hai combinato... credo che mi limiterò a non insultarti per i tuoi errori passati...»
«Non c'è di che» Guardava dritto di fronte a sé, strizzando gli occhi a causa della pioggia «Allora, sei in partenza? Questo sabato, intendo».
Speravo che a lui non passasse per la testa l'idea di unirsi alla gita, per quanto poco probabile fosse: non sembrava avere intenzione di lasciarmi in pace.
«Dove andate, di preciso?» Continuò lui
«Giù a La Push, a First Beach».
Studiai la sua espressione, nel tentativo di leggerla. Aggrottò le sopracciglia, quasi impercettibilmente, mi lanciò un'occhiata di sottecchi e sorrise a denti stretti. Mio Dio, avrebbe potuto essere un ragazzo attraente se non avesse fatto tutte quelle smorfie inutili.
«Non mi sembra di essere stato inviato»
«Infatti, nessuno ti ha invitato» feci un sospiro «E io non lo farò di sicuro»
«Hai ragione. Per questa settimana è meglio che io e te non esageriamo, con il povero Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi». I suoi occhi danzavano: l'idea lo divertiva più di quanto fosse lecito.
Eravamo arrivati dietro il parcheggio. Svoltai a sinistra, in direzione del pick-up. Qualcosa mi tirò per il giubbotto e mi trattenne.
«Dove pensi di andare?» Chiese lui, indignato. Stringeva un lembo della mia giacca a vento e provavo di nuovo un del tutto comprensibile odio verso di lui e soprattutto verso la sua incapacità di tenersi le mani in tasca.
«Vado a casa» Risposi «Non ti sembra ovvio?»
«Non hai sentito? Ho promesso di portarti a casa sana e salva. Pensi che ti lasci guidare in quelle condizioni?». Era ancora indignato e ciò non aveva il minimo senso.
«Quali condizioni? E il mio pick-up?» ribattei io
«Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola».
Stava cercando di trascinarmi verso la sua auto, senza mollare il mio giubbotto. L'unica alternativa per liberarmi sarebbe stata cadere all'indietro, ma avevo l'impressione che non mi avrebbe mollata neanche stesa per terra. Stava cercando di costringermi, era un rapimento! Cosa avrei dovuto fare? Colpirlo? Scatenare una rissa nel parcheggio? Non sembrava una buona idea, anche perché Cullen era molto più alto di me e io non ero una gran guerriera.
«Mollami!» Ringhiai. Non mi dava ascolto. Cercai di divincolarmi, ma lui mi fece andare avanti barcollando lungo il marciapiede e mi lasciò libera soltanto davanti alla Volvo. Feci per scappare, ovviamente, ma lui mi riacciuffò.
«È aperta» Disse, laconico.
Mi fermai, lo guardai negli occhi. Quello che aveva fatto era imperdonabile. Quello che aveva fatto era spregevole. Nessuno, e dico nessuno, poteva trascinarmi in quel modo contro la mia volontà, poteva farmi incespicare lungo il marciapiede, poteva trattarmi come se fosse superiore a me e dirmi di entrare nella sua macchina. La sua stupida Volvo in cui non sarei entrata mai e poi mai nella vita.
«Se vuoi arrivare da qualche parte nella vita, devi ricordare a te stesso che sei orribile» mormorai
 «Se vuoi arrivare da qualche parte nella vita, devi ricordare a te stesso che sei orribile» mormorai
«Eh?» Domandò Edward, poi allungò una mano per aprire la portiera e l'altra per spingermi dentro.
Proprio quello che speravo facesse.
Sfornai la mia seconda e ben più tosta arma segreta scaccia-capelli-pazzi: urlai.
«AIUTO! AIUTO, CULLEN VUOLE RAPIRMI!»
«Cosa?!» fece lui, furibondo, rattrappendo entrambe le mani come se gliele avessi bacchettate violentemente
«AIUTO!».
Della gente si affacciò dalle finestre. La signorina Cope si fiondò fuori e io corsi verso di lei
«Aiuto! La prego, aiuto!»
«Cosa succede?» lei mi guardò stralunata, mentre Cullen se ne stava imbambolato dietro di me.
Finsi di essere sconvolta e in effetti un po' lo ero: non avrei mai pensato che Edward fosse davvero capace di cercare di rapire una ragazza. Magari di disturbarla, magari di insultarla, ma rapirla? Quasi non mi sembrava vero.
«La prego, signorina Cope!»
«Che cosa succede?» La donna mi posò una mano su una spalla «Che succede, Belarda?»
«Edward mi stava trascinando verso la sua macchina. L'ho pregato di lasciarmi... io l'ho pregato»
«Non è vero!» mentì Edward, senza neppure il coraggio di avvicinarsi
«Voleva farmi entrare per forza nella sua macchina. Voglio solo andare a casa!».
Un bidello e due professori arrivarono quando sentirono gli schiamazzi di due alunni affacciati ad una finestra, oltre alle mie grida, e dovetti ripetere loro la mia storia. Il professor Varner fulminò Cullen con lo sguardo
«Si dovrebbe solo vergognare, signor Cullen...»
«Ma...» fece per dire lui
«Niente MA!» tuonò l'insegnante «Si allontani subito! Suo padre riceverà una lettera dalla scuola e questa nota disciplinare graverà sui suoi voti»
«Ma non avete le prove» disse Edward, allargando le mani, fingendosi innocente «Lei mi sta incastrando, professore, non le ho fatto niente».
Uno dei ragazzi affacciati alla finestra rise forte
«Cullen» Urlò, con tono di scherno «Stavamo tutti e due guardandoti da qui. Sei un deficiente a trascinare le ragazze nel parcheggio, dove tutti possono vederti».
Edward batté le palpebre due volte, poi, senza aggiungere nulla, salì sulla sua Volvo argentata (ancora una volta il desiderio di abbozzargliela a calci era forte) e mise in moto. Il professor Varner mi si avvicinò
«Belarda, come ti senti?»
«Sto bene» risposi
«Sei molto pallida, sei sicura di stare bene?»
«È perché sono stata male per il cibo» lo rassicurai «Sono appena uscita dall'infermeria»
«Vuoi che chiamiamo tuo padre?»
«Si. Si, per favore. Gli fate sapere voi di Cullen?»
«Certamente» rispose la signorina Cope, accarezzandomi i capelli con le punte delle dita «Non ti devi preoccupare di niente. Parleremo con tuo padre e con il padre di Edward. Sembrava un così bravo ragazzo, non ha mai dato problemi a nessuno...»
«Sembrava» borbottai.
Mi chiedevo come fossi possibile che nessuno, in quella scuola, si fosse accorto prima d'ora di che razza di pazzo criminale fosse Edward Cullen. Ma avrei messo io fine alla sua carriera da bulletto di campagna... i suoi giorni di re del mondo erano contati.
Ma se dopo quella forzatura, quella sorta di tentato rapimento, credevo che Edward fosse un criminalucolo, i miei sospetti si sarebbero trasformati in qualcosa di molto più inquietante quando, sei giorni dopo, mi sarebbe arrivata la webcam notturna da installare in camera mia...



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