lunedì 26 marzo 2018

Sunset 19. Port Angeles



Jess guidava più veloce dell'ispettore Cigna e parlava decisamente più veloce dell'ispettore Cigna, perciò arrivammo intontite ma già entro le quattro. Non passavo una giornata fuori con le amiche da un sacco di tempo, e quella sferzata di estrogeni (che non sentivo, ma era un modo di dire che si usava qui) mi rinvigoriva. Ascoltavamo canzoni rock piagnucolose, imitando con passione le voci dei cantanti, persino Angela che però non riuscivo quasi a sentire pur essendo spalla a spalla con lei; Jessica smise di cantare per perdersi in chiacchiere a proposito dei ragazzi che frequentavamo. La cena con Mike era andata molto bene, e sperava di arrivare al primo bacio entro quel sabato sera. Sorrisi tra me e me al nome del mio protetto, e mi chiesi se Jessica avrebbe potuto amarlo ancora quando avrebbe scoperto che l'aveva invitata a cena per evitare di fare il saggio, che gli piacevano i film di arti marziali dove i protagonisti erano capaci di volare agitando i piedi e che aveva sul telefono dei video di Sandu Ciorba. Se così fosse stato, avrei benedetto la loro unione di tutto cuore.
Angela era passivamente felice di andare al ballo, ma Eric non le faceva né caldo né freddo. Jess cercò di costringerla a confessare chi mai fosse il suo tipo («Confessa, chi è il tuo tipo?!» aveva urlato, mostrando grande delicatezza), ma dopo un po' interruppi l'interrogatorio spostando il discorso sui vestiti, per risparmiarla. Angela mi lanciò un'occhiata piena di riconoscenza.
Port Angeles era una piccola, bellissima trappola per turisti, graziosa e caratteristica, ma non poteva competere con Forks che era diventata ormai una casa per me. Per fortuna Jessica e Angela la conoscevano bene, perciò non avevano in programma di sprecare tempo sul pittoresco molo al centro della baia. La turista che era in me ne fu molto delusa: un po' mi sarebbe piaciuto perdere tempo a guardare tutti i posticini dove ero sicura che mi avrebbero spennata, farmi incantare da tutte le lucine e i ristoranti finto-rustico in cui ormai vanno bene solo i pagamenti in reni, ma per fortuna ignorando il mio pensiero autolesionista Jess fece rotta senza indugio verso il grande magazzino della città, qualche isolato più all'interno rispetto alla facciata dedicata ai visitatori.
L'abbigliamento richiesto per il ballo era "semiformale", e non eravamo granché sicure di cosa volesse dire. Proposi una felpa.
«Una felpa non si avvicina neanche lontanamente a "formale"» Osservò Jessica con un brontolio
«Beh, ti metti su una bella felpa leggera ed elegante, di quelle scure coi disegni»
«Io non voglio mettermi una felpa al ballo» cinguettò Angela preoccupata
«No sul serio, tu cosa ti mettevi ai balli Belarda?».
Sia Jess che Angela rimasero sorprese, quasi incredule, quando confessai che a Phoenix non avevo mai partecipato ad un ballo scolastico.
«Non ci sei mai andata con un ragazzo con cui stavi, o qualcosa del genere?» Chiese Jess dubbiosa mentre entravamo nel grande magazzino
«No» tagliai corto, pentendomi un po' di essere stata brusca «No, davvero. Non mi interessano questo genere di cose»
«Perché no?» mi domandò, fissandomi come se avessi esternato la volontà di sparare pannolini sporchi dalla sommità di un grattacielo. Mi immaginai a fare una cosa del genere e mi scappò un risolino che le fece strabuzzare gli occhi
«Perché non mi piace ballare, perché è una cosa che la gente pensa di dover fare anche se invita gente che quasi non conosce, perché preferisco fare altro» mi strinsi nelle spalle. Lei sembrava poco convinta, ma ponderò per un po' sulle mie parole, e io e Angela ottenemmo un po' di silenzio.
Eravamo arrivate al centro commerciale, pronte a perlustrare gli scaffali in cerca di vestiti eleganti.
«Be', e allora Tyler?».
Mi stupii molto che la domanda venisse fatta da Angela, a voce sommessa. Quando mi voltai lei si appallottolò un po' sul posto.
«Scusa?» Deglutii «In che senso?»
«Tyler ha detto a tutti che verrà con te al ballo di fine anno» m'informò Jessica, con uno sguardo sospettoso
«Non è possibile». Dalla voce che mi uscì sembrava che qualcuno mi stesse strangolando
«Te l'ho detto che non era vero» mormorò Angela a Jessica
«Infatti non è vero» sibilai, irritata «E questi giovanotti dovrebbero prendersi molte meno libertà. Sembro una che fa tutto quello che le dicono di fare?»
«Non direi» obiettò Angela senza calore, (c'è da dire che però raramente metteva calore nelle sue frasi)
«Be', vedrete che figura di scemo che farà quando non mi presenterò proprio al ballo» ghignai «Peggio per lui se vuole convincersi di essere il mio cavaliere. Quella da convincere sono io»
«Ahi ahi!» Jessica sciabolò le sopracciglia, avvicinandosi agli scaffali: eravamo arrivate nell'area giusta, con abiti non troppo complessi ma che non avrei messo per andare a trovare mia zia. Doveva essere quello il mistico abbigliamento "semiformale". Era ora di darsi da fare!
«Quasi mi dispiace» mormorò Angela
«A me no» dissi risoluta, guardandomi attorno
«Quello è il motivo per cui non piaci a Lauren» disse Jessica, ridendo, mentre frugavamo tra i vestiti.
Digrignai i denti «Secondo voi, se lo investo...» presi un profondo respiro
«Non verrà al ballo forse» concluse Jess, battendo le palpebre, riuscendo a strapparmi una risata. Certo, ero irritata che un tipo che mi avesse quasi investito con un furgoncino si sentisse per questo autorizzato a dire in giro che io sarei andata al ballo con lui... ma non poteva costringermi, era stupido, e pensare a lui era più di quanto meritasse mentre io ero lì per divertirmi con le mie amiche. Loro furono gentili e mi aiutarono ad accantonare l'argomento, distraendomi con la nostra missione.
La gamme dei vestiti non era molto ampia, o meglio, mi sembrava che non ci fosse qualcosa che personalmente avrei scelto. Forse se non fossi stata così incontentabile con i vestiti "semiformali" avrei potuto comprarne uno per me soccombendo all'istinto che mi strillava di appropriarmi di qualcosa nel negozio. Mi faceva sentire potente il fatto che fosse tutto lì per me, alla mia portata, pronto per essere portato a casa. Ma d'altronde se avessi ceduto alla brama e non fossi stata sufficientemente severa non avrei potuto fare il mio lavoro.
Le mie amiche trovarono qualcosa da provare, così mi accomodai su una seggiola bassa proprio dentro il camerino, accanto agli specchi, facendo svolazzare i bordi della tenda del camerino.
Jess era indecisa tra due vestiti, uno più tradizionale, lungo, nero e senza spalline, l'altro blu elettrico, appena sopra le ginocchia e con spalline sottili. Le consigliai quello blu: perché non dare una bella sferzata agli occhi? Angela scelse un abito rosa pallido, che scivolava sul suo fisico slanciato e donava al castano chiaro dei suoi capelli chiaro sfumature color miele. Imitai un giudice culinario nel descrivere i loro abiti, sperticandomi in complimenti troppo eleganti per non essere grotteschi (e buffi, a giudicare dalle risatine sotto i baffi di Angela) sui miei vestiti preferiti e su come entrambe ci stavano dentro, e le aiutai a rimettere a posto i capi scartati fischiettando, mentre Jess non si mosse per riordinare ma batté le mani a tempo.
La scelta dei vestiti era stata un'operazione molto più breve e semplice rispetto alle occasioni in cui avevo forzatamente accompagnato Renée. Immaginavo che la scelta limitata avesse influito.
Passammo alle scarpe e agli accessori. Io mi comprai una cravatta femminile nera a farfalle viola che sarebbe stata bene sul completo del wrestler Undertaker (se fosse stato della mia misura e non di un tizio di oltre due metri) degli esordi e di cui non avevo idea di che fare, ma dovevo comprare qualcosa.
Mentre loro due provavano accostamenti diversi, mi limitai ad osservare e criticare, e così mi resi conto di avere bisogno io stessa di un paio di scarpe nuove. Ma era una buona idea chiedere aiuto a loro per comprarle?
«Angela?» Cominciai, incerta, mentre lei stava provando un paio di scarpe rosa allacciate, vertiginose – era entusiasta di uscire con un ragazzo abbastanza alto da poter indossare i tacchi senza guardarlo dall'alto. Era troppo timida per essere a suo agio nel torreggiare sui ragazzi. Jessica si era allontanata verso il banco bigiotteria, lasciandoci sole. Ne approfittai:
«Ho bisogno di scarpe nuove» dissi tutto d'un fiato.
Angela mi guardò, dapprima completamente neutra, poi con un entusiasmo che si accendeva sul fondo degli occhi.
«Davvero?» Domandò
«Si... ma... voglio dire... sembri contenta» notai
«Lo sono. È bello poterti aiutare, dopo che tu hai aiutato noi».
Evitò di fare anche una sola domanda, altro che le centinaia di quesiti che avrebbe posto Jessica, cose tipo "e metti mai scarpe col tacco?" "Ti piacciono i brillantini?" "Qual'è il tuo numero di scarpe?" e la peggiore, quella che sicuramente avrebbe detto fra le prime "Che scarpe pensi possano piacere al tuo ragazzo ideale?". Angela iniziava a piacermi davvero davvero.
Iniziammo a "scartabellare", come usava dire mio papà, in giro alla ricerca del paio perfetto. Provai un paio di scarpe da ginnastica bianche decorate a triangolini rossi dall'aria aggressiva, ma Angela mise su un leggero, discreto, broncio.
«Non mi stanno bene, vero?» Domandai
«Non troppo» rispose lei
«È perché mi fanno sembrare i piedi due progetti vettoriali per la costruzione di due navettiporti, vero?»
«Già» assentì lei.
Cercammo ancora un po' e, quando ebbe capito che tipo di scarpe mi piacevano, Angela ne afferrò uno e mi disse
«Che te ne pare di queste?».
Erano delle Nike nere, con la suola rossa, dal profilo slanciato. Erano bellissime: sperai solo che non mi strizzassero i piedi, perché le desideravo davvero.
«Sono perfette» Risposi «Le provo subito».
Le infilai e feci mezzo giro su me stessa, due passi avanti, due passi indietro, ed incredula notai che non mi stringevano da nessuna parte, che pesavano come piume e che mi facevano sentire potente.
«Grazie Angela» Dissi «Sono perfette. Prendo queste».
Proprio in quel momento, Jess si ripresentò a mostrarci i finti diamanti che avrebbe abbinato alle scarpe argentate che aveva scelto. Io gongolavo con ai piedi le mie Nike.
Pagammo tutto (Angela aveva scelto le prime scarpe che aveva provato, quelle rosa) e uscimmo soddisfatte e felici come tutte le ragazze e i ragazzi sono dopo aver fatto shopping e acquistato proprio quello che desideravano.
Avevamo in programma di cenare in un piccolo ristorante italiano sul molo, ma lo shopping era durato meno del previsto, così Jess e Angela decisero di lasciare i vestiti in macchina e di andare alla baia a piedi. Dissi loro che le avrei raggiunte nel giro di un'ora poiché volevo cercare una libreria.
«Ma ti accompagniamo volentieri» Disse Angela, stringendosi un poco nelle spalle
«Ma no» le incitai «Andate a divertirvi!»
«Tu sei l'anima della festa, cocca!» quasi gridò Jessica «Non possiamo andare alla baia senza di te!».
Ci dirigemmo allora all'avventura chiacchierando allegramente.
Trovare la libreria non fu un problema, anche se era molto diversa da quello che mi sarei aspettata: le finestre erano piene di cristalli multicolori, pendagli acchiappasogni e libri sulla guarigione dello spirito. Dalla vetrina riuscii a scorgere una cinquantenne dai capelli grigi lunghi fino alla schiena, vestita con un abito uscito dagli anni Sessanta, che da dietro il bancone sorrideva e ci invitava ad entrare.
«Ci vuoi entrare davvero, Bella?» Domandò Jessica, titubante «Cioè, tipo... lì?»
«Perché no?» domandai
«Perché in città potresti sicuramente trovare una libreria più normale. Vuoi davvero comprare un libro qui? Scommetto che non hanno neanche romanzi»
«Questo è vero» ammisi, resistendo all'impulso di mordicchiarmi il labbro inferiore «Però è così pittoresca, ci diamo un'occhiata lo stesso?».
Così entrammo. La biblioteca New Age, di nome e di fatto, era piena zeppa di libri di Osho e altri volumi simili, ma scorsi anche un paio di interessanti libri sulla Wicca e... tadadan, un libro di vampiri. Di soppiatto, mi avvicinai al libro che mi interessava e diedi un'occhiata furtiva al suo dorso: il titolo recitava "vampiri dal mondo: come proteggersi". Era esattamente quello che mi serviva, così lo sfilai delicatamente dallo scaffale e lo aprii.
La padrona del negozio mi fu addosso in un istante, ma niente affatto per redarguirmi, anzi mi sorrise cordialmente.
«Cerchi qualcosa sui vampiri, cara?» Domandò, gentile
«Forse si» risposi «Avete niente sui freddi? Sono una sorta di vampiri nella tradizione Quileute e mi chiedevo se potessi trovare qualcosa qui...».
La donna mi guardò sorpresa
«I freddi?» chiese «So molte leggende dei Quileute e ho degli ottimi libri a riguardo, ma non ho mai sentito nominare i freddi»
«Ah...» ero delusa.
Che Jacob mi avesse detto una balla? Ma no, lui era un vero Quileute, doveva conoscere le leggende della sua tribù.
«Posso comprare un libro sulle leggende Quileute?» Chiesi, rimettendo a posto quel brutto libro sui vampiri che al suo interno aveva illustrazioni che sembravano fatte da un bambino di dieci anni.
La donna fece un passetto indietro, poi mi fece segno di seguirla e scomparì attraverso una porticina di legno dietro il bancone.
«Dove è andata?» Domandò Jessica, battendo le palpebre
«Devo seguirla. Scusate un attimo».
Anche io mi infilai sul retro e mi ritrovai in un ambiente fiocamente illuminato e invaso di scaffali e scatoloni sui quali erano disegnati bizzarri simboli. La donna stava frugando in uno di questi scatoloni e ne trasse uno di quei libri dall'aria vecchia, ma non antica, con la copertina morbida color panna e il titolo scritto in un semplice carattere nero: "Leggende dei Quileute".
Me lo porse e io lo aprii: era scritto fittamente, con qui e lì minuscole illustrazioni, per la maggior parte raffiguranti lupi.
«Quanto costa?» Domandai, non riuscendo a trovare il prezzo da nessuna parte sul libro
«Per te è un regalo» rispose la donna, misteriosa «Ma se ti tornerà utile, e bada, solo se ti tornerà utile, ricordati di passare di nuovo qui da me. Ci sono altre cose che potresti... voler comprare».
Annuii e mi strinsi il libro al petto
«Io... grazie...»
«Di nulla» rispose la donna «E ora su, fila dalle tue amiche e dì loro di acquistare qualcosa. Ho dei tarocchi, potrebbero interessarle?»
«Di certo» risposi.
Dieci minuti dopo, io, Jessica e Angela uscimmo dal negozio cariche di roba. In realtà io avevo solo il libro sulle leggende dei Quileute, mentre loro due avevano comprato pendoli per la divinazione, tarocchi, diari personali e un libro per ciascuna, rispettivamente su come conquistare l'amore della tua vita e su come farti passare mali comuni con le erbe.
Scherzando e ridendo (e leggendoci l'un l'altra i tarocchi in modo approssimativo) puntammo a grandi passi verso sud, in direzione di una fila di vetrine che promettevano bene, ma quando le raggiungemmo ci rendemmo conto che si trattava soltanto di un negozio di ricambi e di un locale sfitto.
«L'avevo previsto, ragazze!» Disse Jessica «Il sole con la morte con il pazzo! Negozi chiusi, non andate di là!».
Prendemmo tutte a ridere mentre giravamo l'angolo.
Attraversando l'ennesima strada, iniziammo a temere di aver preso la direzione sbagliata per raggiungere il molo. I pochi pedoni che incrociavamo andavano verso nord, e le costruzioni in quella zona sembravano perlopiù capannoni. Decidemmo di spostarci verso est appena possibile, proseguire per qualche isolato e tentare la fortuna cercando un percorso alternativo verso il molo.
Dall'angolo di fronte spuntò un gruppo di quattro uomini, vestiti in maniera troppo casual per essere appena usciti dall'ufficio, ma anche troppo trasandata per essere turisti. Mano a mano che si avvicinavano, mi accorsi che non dovevano essere molto più grandi di me. Si scambiavano battute e risate sguaiate e rauche, fingevano di prendersi a pugni per scherzare ed avevano tutti i capelli molto corti.
Io e le mie amiche cercammo di farci da parte per lasciarli passare e accelerammo il passo, puntando lo sguardo all'angolo di strada dietro di loro.
«Ehilà» disse uno, quando mi furono a fianco, ed era chiaro che ce l'aveva proprio con me.
Alzai automaticamente gli occhi: due di loro si erano fermati, gli altri rallentavano. A parlare era stato il più vicino, un ragazzo poco più che ventenne, tozzo e con i capelli scuri. Indossava una camicia di flanella aperta sopra una maglietta sporca, jeans tagliati e sandali. Fece un mezzo passo verso di me.
«Ciao» Mormorai, per un riflesso involontario. Distolsi subito lo sguardo e mi diressi svelta verso l'angolo della via, dove le mie amiche erano praticamente già arrivate.
«Ehi, aspetta!» Urlò di nuovo uno di loro alle mie spalle, ma io abbassai la testa e svoltai, sospirando di sollievo. Li sentivo ancora berciare, là dietro.
«Che razza di deficienti» Commentò Jessica «Ho una mezza idea di tornare là dietro e colpirli in testa con il mio quarzo rosa»
«No, ti prego» pigolò Angela.
Ci ritrovammo su un marciapiede che correva lungo il retro di una serie di capannoni dai colori tetri, ognuno dotato di grandi porte d'accesso ai magazzini, a quell'ora ormai chiuse. Sul lato sud della strada non c'era il marciapiede, ma solo una rete con in cima del filo spinato, che impediva l'accesso a una specie di deposito di pezzi di ricambio.
Ci eravamo purtroppo allontanate parecchio dalla zona di Port Angeles a cui, da forestiera, sarebbe stato più saggio limitarmi.
«Ma voi non conoscevate la città come le vostre tasche?» Dissi, rivolgendomi alle mie amiche
«Beh, si» rispose Angela «Ma capita anche alle migliori...».
Le nuvole stavano tornando, si accumulavano all'orizzonte e disegnavano un tramonto prematuro nel cielo già buio. A Est c'era ancora un po' di luce, ma sempre più grigia, attraversata da venature rosa e arancio. Avevo lasciato la giacca a vento in macchina e un improvviso brivido di freddo mi costrinse a tenere le braccia strette al busto. Un furgoncino solitario ci passò davanti, guidato da una ragazza che sembrava quasi una bambina, poi la strada restò deserta.
All'improvviso il cielo divenne ancora più scuro, e lanciandomi uno sguardo alle spalle per osservare la nuvola che lo copriva, fui sorpresa di vedere due uomini che camminavano in silenzio dietro di noi.
Facevano parte del gruppetto che avevamo incrociato poco prima, ma tra loro non c'era il moretto che mi aveva parlato. Tenevo la borsa a tracolla ben stretta al corpo, come si dovrebbe fare per evitare lo scippo. Sapevo benissimo dove custodivo lo spray al peperoncino: nella sacca da viaggio, sotto il mio letto purtroppo. Non avevo molti soldi con me, ma loro potevano credere che li avessi e...
«Pssttt... ragazze».
Angela e Jessica smisero di camminare.
«Che c'è?» Domandò Jess
«Abbiamo compagnia» dissi, un po' spaventata, facendo un cenno con la testa dietro di me.
Mi aspettavo una minima reazione di ansia sulla sua faccia, ma invece si disegnò un sorriso spavaldo, mentre Angela invece si rannicchiava un po' su sé stessa.
Per un istante rimanemmo tutte e tre attente ai loro passi, troppo silenziosi rispetto al chiasso esagerato che quei tizi facevano poco prima, e non sembrava che si stessero avvicinando né accelerando. Non sapevo neanche se davvero ci stessero seguendo, ma c'era qualcosa di strano, di losco in loro. Tutte e tre ci muovemmo facendo finta di non averli notati, raggiungemmo l'angolo, ma un'occhiata veloce svelò che si trattava soltanto di un vicolo cieco che dava sul retro di un altro edificio. Stavamo già per imboccarlo, ma correggemmo immediatamente la traiettoria, seguendo Jessica che faceva da "capostormo" per attraversare la strada di fronte e tornare di nuovo sul marciapiede.
La strada finiva alla traversa successiva, in corrispondenza di un cartello di STOP.
Mi concentrai sui passi silenziosi dietro di me, indecisa se mettermi a correre o no. Jessica non stava correndo, mi fidavo e non correvo anch'io, ma sapevo che in ogni caso ci avrebbero raggiunte se lo avessero voluto: erano tizi alti, con le gambe lunghe e slanciate.
Rischiai uno sguardo alle mie spalle e notai con sollievo che erano ormai ad una dozzina di metri da noi, anche se sembravano non volerci levare gli occhi di dosso.
Impiegammo quella che parve un'eternità a raggiungere l'ultima traversa. Procedevamo a passo sostenuto e scambiandoci bisbigli sulla nostra situazione, sempre più lontane dagli inseguitori.
Forse si erano accorti di averci spaventate un po' e ne erano dispiaciuti. Alla vista di due auto che attraversavano l'incrocio verso il quale ero diretta, tirai un sospiro di sollievo. Una volta abbandonata quella strada deserta avremmo finalmente incrociato altre persone.
Voltammo l'angolo, tranquille, alzando la voce.
E poi mi bloccai di colpo, mentre Angela e Jessica ci misero un secondo di più ad accorgersene...
Soltanto a due isolati di distanza vedevo qualche lampione, auto e persino altri pedoni, ma erano irraggiungibili. Perché a metà strada si trovavano gli altri due membri del gruppo, che ci fissavano sorridenti ed eccitati.
Eravamo lì, paralizzate sul marciapiede, rendendoci conto che non ci avevano inseguite.
Ci avevano intrappolate.
Erano solo quattro, ma potevano essere armati. Erano solo quattro, ma molto più grossi di noi.
Erano solo quattro. E non avevano Jessica.
Jessica, che estrasse dalla tasca il cellulare, ma non per chiedere aiuto. Jessica, che fece partire la musica di Mortal Kombat e poi si rimise in tasca il telefono.
I ragazzi, da un lato e dall'altro, si avvicinavano minacciosamente.
«Oh oh» Disse Angela «Che facciamo?».
Con un urlo belluino, Jessica iniziò a far roteare il sacchetto con dentro i cristalli sopra la sua testa
«KUNG FU FIGHTHING!» urlò.
Mi preparai a tutto. Mortal Kombat!




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 Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui

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