Stando al gioco, io e
Angela ci mettemmo in pose di combattimento quanto più possibili
fantasiose, nel tentativo di far credere ai nostri aggressori che
eravamo tutte maestre in diversi stili di kung fu, tutte capaci di
prendere a calci i loro sederi con movimenti puliti, aggraziati e
soprattutto letali.
«Dovremmo crederci?» Sussurrò il moretto tozzo, sollevando un sopracciglio.
Jessica lo colpì ad una tempia con la busta piena di cristalli, spedendolo a terra sanguinante e stordito.
«E non ti ho voluto ammazzare!» Disse.
La gente, due incroci
più avanti, iniziò a guardare verso di noi. Qualcuno prese persino ad
avvicinarsi e in realtà era questo il piano: fare rumore e caciara
finché non fossero arrivati così tanti soccorsi da far fuggire quei
ladruncoli sfigati.
Uno dei ragazzi, un
biondo con una maglia nera, estrasse un coltello a serramanico dalla
tasca e lo puntò contro Jessica, cercando di intimidirla con una mossa
rapidissima e abbassandosi sulle gambe come se anche lui conoscesse le
arti marziali. Da grandi bluffatrici quali eravamo, sapevamo benissimo
che anche il suo era un bluff, ma un coltello è pericoloso e non si
scherza con gli uomini armati.
Jessica roteò su se
stessa e con un colpo della busta spezzò il polso del ragazzo,
facendogli ovviamente sfuggire di mano il coltello e spingendolo verso
di me con il piede. Io lo raccolsi.
Il ragazzo emise un
rumore, un verso orribile, e tirò su con il naso: agli angoli dei suoi
occhi si addensavano lacrime. Tenendosi il polso, indietreggiò. Gli
altri due tizi erano ormai troppo intimiditi per avvicinarsi e si stava
avvicinando troppa gente perché ci aggredissero davanti a tutti.
«Ne volete ancora?»
Domandò Jessica, spavalda «Perché la mia sensei, Bella» e indicò me, che
mi impettii «Conosce ventitré modi diversi per uccidervi con un
coltello. E la maestra Angela non ha neanche bisogno di un'arma».
Angela aveva la mano
nella borsetta, serrata intorno allo spray al peperoncino: potevo
vederlo con la coda dell'occhio. Il mio sorriso si fece ancora più
spavaldo e probabilmente adesso sembravo una specie di Bruce Lee.
Non avevo visto molti
film della leggenda del kung fu, nella mia vita, ma ricordavo
chiaramente la sua espressione spavalda e quel gesto che faceva,
colpendosi il naso con il pollice, mentre con lo sguardo fulminava il
suo avversario e lo imitai.
Cercai comunque di
ricordare quel poco che sapevo di autodifesa: base del polso in avanti,
con il palmo pronto a spaccare il naso dell'assalitore o di
schiacciarglielo nel cranio, dito nell'orbita, nel tentativo di cavargli
un occhio e infine il sempre attuale calcio nel basso ventre.
Sapevo che adesso i
ragazzi non erano più sicuri di volerci sfidare: borseggiatori,
stupratori, ladri, tutti i malviventi sono fortemente dissuasi da prede
capaci di contrattaccare; perché rischiare di farsi male quando invece
potresti derubare una ragazzina indifesa?
Il ragazzo con il polso
rotto emise un gemito cupo, ma indietreggiò nonostante ci stesse
lanciando occhiate feroci, da animale selvatico; con un altro grugnito
fece un cenno ai suoi colleghi con la testa, un cenno che poteva
significare soltanto "andiamocene".
«AHHHH!» Strillò Jessica, facendo roteare di nuovo la busta.
I ragazzi ci guardarono
ancora per un brevissimo istante, poi iniziarono ad allontanarsi
cercando di non sembrare spaventati e feriti nell'orgoglio, quasi
discretamente.
«Non ci posso credere» Disse Angela, pianissimo.
All'improvviso, da
dietro l'angolo spuntarono due fari accesi e un'automobile investì il
tipo tarchiato, costringendolo a balzare sul marciapiede per un perdere
una gamba sotto le ruote.
«Oddio!» Jessica strillò, afferrandomi una mano «Un pirata della strada!».
Tutte in una volta? Gli scippatori e i pirati della strada?
La macchina argentata, a sorpresa, inchiodò derapando e la portiera del passeggero si aprì a pochi centimetri da me.
«Sali!» Ordinò una voce furiosa.
Fu straordinario
rendermi conto che la cosa più irritante nella stessa serata in cui
avevamo subito un attacco da una gang di criminali era quella voce. La
voce di Edward Cullen.
«Stammi lontano!»
Strillai, ma lui allungò una mano e mi afferrò per un polso. Per un
istante fui come contesa fra Jessica e lo psicolabile con i
capelli-pazzi, ma poi la forza pazzesca di Edward mi tirò dentro la
macchina e con un gesto velocissimo lui chiuse la portiera, sbattendola.
L'auto era buia, non si
era accesa nessuna luce di cortesia, e il bagliore debole del cruscotto
illuminava a malapena il suo viso cereo. Le gomme stridettero
sull'asfalto e l'auto puntò verso nord con un violento colpo di
acceleratore, sbandando in mezzo ai teppisti sbalorditi e alle mie
amiche terrorizzate.
Mentre la macchina si
raddrizzava e schizzava verso il molo, con la coda dell'occhio vidi
Jessica e Angela inseguirmi a perdifiato, urlando, e altra gente che
indicava la macchina. Ero prigioniera nella Volvo, la maledetta Volvo,
che avrei dovuto ridurre ad una palla di lamiera quando ne avevo avuto
la possibilità.
«Allacciati la cintura»
Ordinò lui e mi accorsi di essere avvinghiata al sedile come se volessi
stritolarlo, come se volessi distruggere almeno una piccola parte
dell'automobile.
Era inutile gettarsi
dalla macchina in corsa, mi sarei solo fatta male, così ubbidii e mi
allacciai alla svelta: nell'oscurità risuonò lo scatto della sicura. Lui
svoltò bruscamente a sinistra e iniziò ad accelerare, superando
parecchi STOP senza fermarsi mai.
Avevo paura, temevo di non sapere dove mi stesse portando né di saperne il perché.
Studiai i lineamenti
bianchi di Edward nella luce fioco, aspettando che il mio respiro si
regolarizzasse, finché mi accorsi che la mia espressione era rabbiosa
come quella di un assassino.
«Stai bene?» Chiesi, sorpresa di quanto suonasse roca la mia voce.
Edward era uno
psicopatico, forse un potenziale assassino: non era bene scherzare con
lui, dovevo fare finta che fosse tutto a posto, altrimenti rischiavo che
andasse a schiantarsi da qualche parte in un omicidio-suicidio in cui
entrambi ci avremmo lasciato le penne.
«No» Fu la sua unica risposta, furibonda.
Restai in silenzio a
osservarlo mentre guidava senza staccare gli occhi dalla strada, finché
l'auto non si fermò all'improvviso. Per via dell'inchiodata repentina,
fui sbalzata in avanti e la cintura premette dolorosamente contro il mio
petto e il fianco.
Mi guardai attorno, ma
era troppo buio per notare alcunché, eccezion fatta per le sagome
indistinte degli alberi che si addensavano ai bordi della strada. Non
eravamo più in città.
«Bella?» Chiese, misurando il più possibile la voce.
«Si?» La mia era ancora roca, cercai di schiarirmi la gola in silenzio.
«Tu stai bene?». Continuava a guardare altrove, ma la furia sul suo volto era evidente.
«Si» Mormorai io
«Per favore, fai qualcosa per distrarmi» ordinò lui
«Che cosa?».
Fece un breve sospiro. Suonava come un tapiro insonnolito.
«Chiacchiera di
qualcosa di poco importante finché non mi calmo» chiarì, chiudendo gli
occhi e pizzicandosi alla base del naso con il pollice e l'indice.
«Uhm».
Iniziai a mettere sottosopra il mio cervello in cerca di qualcosa di futile.
«Forse domani prima che inizino le lezioni investirò Tyler Crowley».
Teneva ancora gli occhi serrati, ma gli angoli della bocca gli si tesero in un sorriso. Era orribile.
«Perché?» Chiese
«Va dicendo a tutti che
mi porterà al ballo di fine anno: o è impazzito, oppure sta ancora
cercando di scusarsi per avermi quasi ammazzata... bé, ti ricordi. Ci
hai quasi lasciato le penne pure tu, ma al contrario di me, tu non ti
stai sorbendo Tyler Crowley. Dovresti andarci tu al ballo con lui, non
io! E secondo lui quel ballo è il modo migliore per scusarsi,
perciò immagino che se metterò a repentaglio la sua vita saremo pari e
non si sentirà in dovere di risarcirmi. Non ci tengo ad avere nemiche
e... beh... probabilmente anche Lauren smetterebbe di tormentarmi se lui
mi lasciasse perdere. Mi toccherà fare a pezzi la sua Sentra, credo. È
un guaio, perché senza auto non potrà dare a nessuno un passaggio per il
ballo di fine anno, ma se invita te puoi sempre portarcelo tu con la
tua Volvo, no?»
«M'era giunta voce di Tyler» disse Edward. Sembrava più tranquillo e non aveva più la faccia di un clown assassino nel buio.
«Beh, forse se resta
paralizzato dal collo in giù non potrà nemmeno partecipare al ballo»
bofonchiai, sperando invece che fosse Edward quello a rimanere
paralizzato.
Edward tirò un sospiro che somigliava a quello di un altro tapiro, ma più grosso, e finalmente disserrò del tutto gli occhi.
«Va meglio?» Gli domandai, slacciandomi cautamente la cintura di sicurezza, pronta a fuggire o a combattere
«Non proprio».
Attesi inutilmente che
parlasse. Con la testa appoggiata al sedile, fissava il tetto dell'auto.
La sua espressione era rigida: sembrava la faccia che disegnano ai
manichini.
«Cosa c'è che non va?» Chiesi, con la voce ridotta ad un sussurro
«Ogni tanto ho dei problemi di impulsività, Bella».
Anche lui parlò
sottovoce e i suoi occhi, mentre guardava fuori dal finestrino, si
strinsero nuovamente in due fessure. Almeno aveva ammesso di avere dei
"problemi di impulsività" che io avrei definito di più come "psicopatia
selvaggia". Ma era pur sempre un inizio rispetto a quando negava del
tutto. «Ma non sarebbe affatto una buona idea fare marcia indietro e
assalire quei...» Non terminò la frase, guardò altrove sforzandosi di
tenere a bada la rabbia «Perlomeno» riprese «È ciò di cui sto tentando
di convincermi».
«Oh».
Restammo di nuovo in silenzio. Diedi un'occhiata all'orologio sul cruscotto. Erano le sei e mezza passate.
«Jessica e Angela
saranno preoccupate» Tentai «Mi hanno visto scomparire. Mi staranno
aspettando. Potrebbero...» non disse che potrebbero aver chiamato la
polizia. Non volevo che Edward si arrabbiasse di nuovo, mi uccidesse e
gettasse il mio corpo in un burrone.
Lui rimise in moto
senza aggiungere nulla, e con una manovra sicura puntò di nuovo a tutta
velocità verso il centro di Porta Angeles. In un baleno rispuntò la luce
dei lampioni, eravamo troppo veloce, ma scorrevamo agilmente tra le
auto che percorrevano lente la strada del molo. Trovò un parcheggio
parallelo al marciapiede: era angusto, mi pareva troppo stretto per la
Volvo, ma Edward ci si infilò senza sforzo e al primo tentativo. Forse
sarebbe stato una persona migliore se avesse sfogato le sue energie
nella Formula 1 invece che nel tentare di stalkerarmi e rapirmi tutto il
tempo, anche se mi pareva di capire che nella sua mente (chiaramente
infantile e malata) questo fosse stato un salvataggio da quei bruti che
volevamo farmi del male.
Poco importa se li
avevamo già sconfitti, se c'erano un mucchio di altre persone pronte ad
aiutarmi e soprattutto che non c'era alcuna necessità di contemplare
l'omicidio di quei ladruncoli da quattro soldi, come Edward sembrava
fare.
Guardai fuori dal finestrino e vidi l'insegna de La Bella Italia.
Sentii la portiera che si apriva e, voltandomi, lo vidi scendere.
«Cosa fai?» Domandai
«Tu porto fuori a cena».
Cercava di sorridere,
ma il suo sguardo era ancora severo. Risalì sull'auto, mi guardò fisso,
poi scese di nuovo dall'auto sbattendo la portiera. Io lo seguii. Mi
aspettava sul marciapiede.
Parlò prima che potessi aprire bocca
«Vai a fermare Jessica e
Angela, non ho intenzione di rincorrere anche loro per Port Angeles.
Non credo che riuscirei a trattenermi, se dovessi imbattermi di nuovo
nei tuoi amichetti».
Il tono minaccioso della sua voce mi fece venire i brividi.
«Ma Jessica e Angela
non sono qui» Dissi, cercando di sembrare remissiva, ma dovetti
ricredermi quando le vidi spuntare da dietro l'angolo, decisamente
scosse e accompagnate da un altro ragazzo che doveva aver dato loro
indicazioni.
«Jess! Angela!» Urlai, sbracciandomi per farmi notare.
Mi videro e mi corsero
incontro, con un'espressione che passò dal palese sollievo alla
sorpresa, quando notarono chi mi stava accanto. Si arrestarono a pochi
metri, entrambe con lo sguardo che guizzava da me a Edward: era palese
che avevano già chiamato la polizia per fare arrestare Cullen, il quale
aveva violato l'ordine restrittivo e mi aveva rapita di fronte ad una
folla di persone.
«Dove sei stata?» Domandò Jessica. Sembrava diffidente, ma non nei miei confronti.
«Ho fatto un giro, ma ora sono tornata» Dissi, cercando di fare capire loro cosa era successo
«Ah»
«Vi disturba se mi
unisco a voi?» chiese Edward, con la sua voce vellutata e irresistibile.
Razza di delinquente! Doveva aver capito che la polizia lo cercava e
che non avremmo chiamato aiuto se era con noi e se ci minacciava. Certo,
non lo stava facendo apertamente ma lui sapeva che noi sapevamo che era
pericoloso.
Sorrideva come una iena davanti a un piccolo di facocero.
«Ehm, certo che no» Sussurrò Jessica, poco convincente
«Uhm, in realtà, Bella,
abbiamo già mangiato mentre ti aspettavamo... scusaci» disse Angela,
cercando in qualche modo di liberarsi di Edward per poter chiamare aiuto
«Non c'è problema. Non
ho fame». Mi strinsi nelle spalle: forse questo stratagemma avrebbe
funzionato, ma se Edward era un delinquente incallito come sembrava mi
avrebbe comunque chiesto di rimanere.
«Penso che invece
dovresti mangiare qualcosa» La voce di Edward era bassa, ma piena di
autorità. Alzò lo sguardo su Jessica e si fece più deciso «Vi dispiace
se accompagno io a casa Bella, stasera? Così non sarete costrette ad
aspettarla mentre mangia».
Jessica stava per cedere, lo vedevo nei suoi occhi. Poi una scintilla di combattività diede fuoco alla sua anima
«No!» lei disse
«Ma...» Edward non fece
in tempo a parlare che Angela tirò fuori la bomboletta di spray al
peperoncino e gliela scaricò tutta negli occhi.
Edward emise un ruggito
sordo, prendendosi la testa fra le mani. Giuro, non avevo mai sentito
una persona umana fare quel verso: sembrava un leone.
«Vattene!» Strillò Angela «Delinquente!».
Un agente spuntò da
dietro l'angolo, un ragazzone nero grande e grosso con pettorali così
ampi da tendergli la divisa. Anche se Edward non poteva vederlo, perché i
suoi occhi erano lacrimosi e infiammati e nascosti dietro le mani, la
sua faccia si fece sorpresa come se avesse visto il poliziotto.
«Agente!» Gridai «È Edward Cullen!».
Il poliziotto sembrava
proprio conoscere quel nome e si precipitò ad afferrare capelli-pazzi
per le braccia, ammanettandogliele dietro la schiena e sbattendogli la
faccia contro il cofano della Volvo, che fu rigata di lacrime.
E quando intendo rigata
di lacrime, intendo come quando si riga una macchina: le goccioline che
scendevano copiose dagli angoli degli occhi di Edward e si staccavano
dalle lunghe ciglia arcuate, scavavano piccolissimi solchi nella vernice
metallizzata, come se fossero fatte di acido.
«Non è possibile» Mormorai, dando di gomito ad Angela «Guarda... le sue lacrime...».
Angela era sorpresa quanto me, ma né Jessica né l'agente di polizia notarono nulla.
«Tutto ciò che dirai
sarà usato contro di te» Disse il poliziotto, cupo «Quindi ti conviene
rimanere zitto, visto che sei un ragazzo particolarmente stupido».
Edward fu portato via
dall'agente, senza opporre la minima resistenza (anche perché era
difficile opporre resistenza quando vedi il mondo sfuocato e ti fanno
male gli occhi).
«Pensate che dovrei telefonare a mio padre?» Domandai, rivolta alle mie amiche
«No!» esclamò Jessica
«SI!» quasi urlò Angela
«No, no no» Jess tirò
indietro l'altra amica «Senti, se telefoni ora a tuo padre, la serata è
finita, caput, rovinata! E non abbiamo ancora mangiato alla Bella
Italia! Avrai tutto il tempo a casa per raccontare al commissionario
Cigna la storia di Edward, ma adesso dobbiamo festeggiare!» il suo volto
si illuminò «Insomma, siamo scampate a uno scippo, o a chissà
cos'altro, grazie al nostro kung fu! E tu sei finalmente riuscita a far
mettere Edward in carcere! Andiamo, ragazze... non ce la meritiamo una
bella cenetta alla Bella Italia?»
«Suppongo di si» ammisi, mentre Angela, che era quella responsabile, mi guardava malissimo.
Il locale non era
affollato, a Port Angeles era bassa stagione. Il maître che ci venne
incontro era una ragazza e ci rivolse uno sguardo complice e di
compatimento, visto che in qualche modo era venuta a conoscenza di
quello che era successo, se non altro vedendo attraverso le vetrate il
nostro "scontro" con Edward Cullen. Fui sorpresa da quanto mi sentivo
toccata da tutto ciò.
Lei era una bionda
molto poco naturale, con le sopracciglia nere che facevano un bel
contrasto con la chioma chiara, ed era molto più alta di me.
«Un tavolo per tre?».
La sua voce era
seducente, che fosse intenzionale o meno. Vidi gli occhi della ragazza
passare e soffermarsi solo un istante su di me. Ci guidò verso un tavolo
per quattro, al centro della zona più affollata del locale.
Ci sedemmo e Jessica prese in consegna le nostre buste, posandole tutte sulla sedia libera.
L'interno del locale
aveva colori caldi, le pareti erano gialle e rosse, e in qualche modo mi
ricordava davvero la mia amata Italia nella quale ero stata poche
volte, ma abbastanza da serbarla nel cuore. I tavoli erano in legno e
tutto era allegro e caldo insieme.
Giunse la nostra
cameriera, che sembrava impaziente di servirci. La maître si era
eclissata dietro le quinte e quest'altra ragazza era molto diversa da
lei, piccola e rotondetta. Si sistemò una ciocca dei lunghi capelli neri
dietro l'orecchio e sorrise entusiasta
«Ciao, mi chiamo Amber, e stasera mi occuperò di voi. Cosa porto da bere?».
Angela prese un profondo respiro, mentre guardava il menù. Dopo un attimo di silenzio, disse educatamente
«Per me una coca, per favore». Sembrava una domanda.
«Per me una birra» Dissi
«Hai più di ventun'anni?» domandò la cameriera, sempre gentilmente
«Mi scorso che non
siamo davvero in Italia» bofonchiai «Scusami, Amber. Allora, prendo...
prendo... un té nero. Ce l'avete un té?»
«Si, signorina. Se non c'è nero, va bene comunque un té aromatizzato?»
«Tipo alla pesca? Si, grazie»
«E per me» soggiunse Jessica «Una cosa frizzante. Non lo so, una limonata frizzante o una Fanta o quello che avete»
«E per me» soggiunse Jessica «Una cosa frizzante. Non lo so, una limonata frizzante o una Fanta o quello che avete»
«Si, signorina. Ve le porto subito».
Amber si allontanò
rapida ed efficiente e tutte scoppiammo a ridere. Eravamo insieme
stressate e felici, che poi è la mia idea di un'uscita con le amiche con
avventura.
«Un té nero!» Esclamò Jessica «Come ti è venuto in mente, Bella? Dalla birra al té nero!»
«Zitta, cosa» replicai «Tu neanche sai cosa hai ordinato!»
«Questo è vero» aggiunse Angela «Non lo sai. Hai chiesto... una cosa a caso...»
«E che volete?».
«E che volete?».
Angela mi guardò all'improvviso con un'intensità che mi sconcertò. Era preoccupatissima. Così, all'improvviso.
«Cosa c'è?» Chiesi
«Come ti senti?»
«Bene» risposi, sorpresa
«Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita?»
«Dovrei?».
Lei soffocò una risata e Jessica alzò entrambe le sopracciglia.
«Bella, stiamo tutte e
due aspettando che tu entri in uno stato di shock per fartelo passare»
Confessò Jess, con un sorrisetto ammiccante
«Non credo che succederà» dissi, dopo aver ripreso ossigeno «Sono sempre stata brava a reprimere gli episodi spiacevoli»
«Comunque sia» disse Angela «Andrà meglio dopo che avrai mangiato. Hai bisogno di zuccheri».
Con tempismo perfetto,
la cameriera apparve con le nostre bevande e un cestino di grissini che
mi fece riempire la bocca di saliva solo a guardarlo. Altro che sotto
shock, stavo morendo di fame.
«Siete pronti per ordinare?» Chiese, estraendo un piccolo taccuino bianco dalla copertina blu
«Bella?» fece Angela, decisa a farmi nutrire per prima.
Scelsi il primo piatto
che vedevo sul menù: non avrei sopportato di dover aspettare un altro
secondo scendendo la lista con gli occhi.
«Ehm... per me i ravioli ai funghi, per favore»
«Per me una pizza margherita» disse Jessica
«Una pizza con l'ananas» disse Angela, con la vocina.
La cameriera scrisse
gli ordini e si allontanò dopo averci rivolto un piccolo cenno del capo.
Noi guardammo Angela come se ci avesse tradite, consegnate nelle
braccia di Edward Cullen con contorno di borseggiatori.
«PIZZA CON l'ANANAS?!» Tuonai «Ma è così... sacrilego! E qui dentro la Bella Italia! Non dovrebbero neanche farle certe cose!»
«Era fuori dal menù» disse Angela, facendosi ancora più piccina
«Pizza con l'ananas» bofonchiai «Pizza... con... l'ananas»
«Ma a me piace» riprese Angela, che sembrava seriamente dispiaciuta.
Allora la guardai negli
occhi e capii: non importa quanto i tuoi amici mangino cose schifose e
offensive alla cultura culinaria del tuo paese, l'importante è che gli
piacciano.
«Ma si» Dissi «Purché tu non me ne offra una fetta, e la tenga lontana da me, mangia un po' quel che ti pare»
«Cosa?» sbottò Jessica
«Gli lasci davvero mangiare la pizza con l'ananas sopra? Tipo la pizza,
fatta di pizza, con sopra fette di frutta gialla e fibrosa, ugh, che
schifo?».
Battibeccammo sulla
pizza all'ananas fino all'arrivo della suddetta, quando ci limitammo a
lanciargli occhiate schifate mentre Angela se la mangiava tutta da sola e
con gran gusto.
Facemmo diversi brindisi con le nostre bibite analcoliche, fra cui i più importanti furono:
"All'imprigionamento di Edward Cullen nella speranza che lo pestino molto forte in prigione"
"All'imprigionamento di Edward Cullen, che forse fra i ladri e gli assassini troverà l'amore della sua vita"
"Alle lezioni scolastiche senza Edward Cullen che fa le facce buffe e sconcentra tutti"
"Al gatto più bello del mondo: Dracula"
"Al kung fu e alle lezioni che da due settimane Jessica ha iniziato a prendere".
Alla fine eravamo piene
come botti, di pizza, ravioli e bevande analcoliche. Soprattutto di
bevande analcoliche, perciò andammo tutte al bagno, dove dovemmo
aspettare un tempo infinito perché c'era un tizio che aveva sbagliato
bagno e ora si vergognava ad uscire perché lo aveva tappato.
«Questa brutta cacca di uomo» Commentò Jessica «Io devo fare pipì, ragazze!».
Alla fine, finalmente il pasticcio si risolse... e sapete chi uscì dal bagno? Era uno dei quattro borseggiatori di prima!
«TU!» Urlò Jessica, puntandogli un dito contro la faccia «Sei schifoso dentro e fuori!».
Quello cercò di non far
notare che se la stava facendo sotto (ed era un campione a farlo,
intendo, visto che aveva tappato il bagno) e si gonfiò tutto
«Senti, non so che problemi hai e se la tua famiglia voleva un maschio o robe del genere» disse «Ma una signorina non...».
Jessica gli ruttò in
faccia. Normalmente era una ragazza normale, educata, tranquilla. Ok,
forse tranquilla no, ma educata e normale si. Tutti a scuola la
conoscevamo come una sorta di stereotipica tizia americana molto vivace,
ma le situazioni di stress la trasformavano in Super-Jessica, la
ragazza che spezza polsi e rutta in faccia ai cattivi.
«Eh, che schifo» Commentò il ragazzo, iniziando però codardamente ad allontanarsi
«Disse quello che faceva così tanta cacca da tappare i bagni» gli gridò dietro Jessica.
Sentimmo qualche risata nel locale.
«Gliel'hai fatta
vedere!» Esclamò Angela, che sembrava su di giri come se le bevande
analcoliche le facessero l'effetto della grappa.
Passammo il resto della
serata a vagabondare per il molo, parlando di ragazzi e dando voti ai
passanti. Il mio preferito era un giovanotto orientale che portava i
capelli come Goku.
«Che voto gli dai?» Mi aveva chiesto Angela
«It's over nine thousaaaand!» avevo gridato, facendolo fra l'altro girare.
Alzai i pollici per
fargli capire che lo apprezzavo. Più tardi, a casa, avrei scoperto che
per molti orientali era un gestaccio.
Il preferito di Jessica era un motociclista quarantenne con la pancetta e un cane grasso tatuato sul collo.
«Quello è un vero uomo» Aveva commentato «Un vero uomo. Altroché Edward»
«Ma a te non piaceva Mike?» le chiesi, sorpresa
«Beh» rispose lei «È
perché non posso avere un motociclista quarantenne: sono tutti sposati,
di solito da vent'anni o più. Ma se prendo Mike adesso, e gli regalo una
moto, posso trasformarlo nel tempo in un motociclista quarantenne!»
«Ohhhhh!» facemmo io e Angela, non sapendo bene se essere davvero ammirate oppure o se sganasciarci dalle risate.
Il ragazzo preferito di
Angela, a cui lei diede un voto sette e mezzo perché a quanto pare
erano tutti brutti per i suoi standard, era una pertica umana di oltre
un metro e novanta, con i capelli scuri e leggermente strabico.
«Il mio motociclista» Commentò Jessica «Puoi ammazzare il tuo quando vuole»
«Il mio è Goku» dissi io «Fa fuori tutti e due i vostri in uno scontro».
«Il mio è Goku» dissi io «Fa fuori tutti e due i vostri in uno scontro».
Comprammo un gelato in
tre e cercammo di mangiarlo con i cucchiaini. Fu un inferno di macchie e
sbrodolamenti, per fortuna ci eravamo imbottite di tovagliolini del
bar.
Poi, però, vedemmo
qualcosa. Qualcosa sul fondo di un vicolo, in mezzo a due negozi. Aveva
gli occhi che mandavano lampi, dorati come quelli d'un lupo.
«Diamine, non è Edward vero?» Domandai ad Angela, cercando conferma.
Angela doveva essere
miope, perché strizzò gli occhi e guardò in tutte le direzioni, compreso
il cielo dove Edward non poteva sicuramente esserci.
«Quale?» Domandò.
«Quello».
L'essere sul fondo del
vicolo si avvicinò. Aveva la bocca sporca di sangue. I vestiti erano
invece immacolati, di taglio semplice ed elegante: una giacca di pelle
beige sopra un dolcevita bianco e un paio di pantaloni color kaki.
Edward Cullen.
Come aveva fatto a
scappare? Aveva ucciso l'agente? Era un vampiro? Si, era sicuramente un
vampiro e si, aveva sicuramente ucciso l'agente.
«Andiamocene!» Esclamò Jessica. Concordavo con lei.
Ma prima che potessimo
scappare più veloci del Team Rocket, capelli-pazzi digrignò i denti, con
un rivoletto rosso che gli scese giù fino al mento.
Quando aprì bocca, fu molto eloquente
«Adesso tocca a te».
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui
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