mercoledì 28 marzo 2018

Sunset 21. È un vampiro, porcaccia di quella muccampira!




«Prima che mi ammazzi» Dissi, cercando di contenermi nonostante l'adrenalina che correva a mille e che mi faceva rimbalzare sgradevolmente il cuore nel petto «Posso fare un'ultima domanda?».
Edward parve sorpreso, non so se perché avevo capito che voleva ammazzarmi oppure perché gli volevo fare una domanda.
Sbuffò.
«Una sola» Rispose, guardingo.
Jessica non osava attaccare lui e, dopo che avevo capito quant'era forte (non ero riuscita ad opporgli la benché minima resistenza, quando mi aveva trascinata in macchina) neanche io l'avrei fatto. Edward non era un ragazzo normale, era un mostro sotto doping. O un vampiro.
«Beh» Dissi, cercando di sembrare seria «Come hai fatto ad intuire che mi ero diretta a sud? Come hai fatto ad essere lì quando siamo state attaccate? Come... come ci hai trovate?».
Lui guardò altro, ponderando la risposta. Diedi un colpetto con il tallone ad Angela, come a dirgli "scappa!", ma lei era paralizzata sul posto. Com'era possibile che quel tizio facesse così tanta paura a tutte noi?
In effetti... forse era perché era sporco di sangue.
O forse perché l'avevamo visto allontanarsi con un agente di polizia e invece ora era di nuovo libero fuori.
O forse perché mi aveva rapita, prima, e avevamo tutte capite che era instabile, pericolosissimo, e che forse spezzargli un polso non sarebbe bastato a salvarci la vita, poiché i pazzi sono capaci di continuare a combattere anche dopo che sono stati feriti.
Avevamo paura che se avessimo chiamato aiuto lui ci avrebbe attaccate. Avevamo paura che avrebbe ferito, o addirittura ucciso, una di noi prima che la gente potesse avvicinarsi.
C'era un solo modo per sopravvivere incolumi all'esperienza: assecondare la sua follia dandogli una parvenza di normalità, facendo domande, parlando con lui come se non avesse appena probabilmente ucciso un agente di polizia.
«Pensavo che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi» Dissi. Mi ci volle tutto il mio sangue freddo per farlo.
Lui accennò un sorriso, scoprendo un canino rosso fino alla gengiva
«D'accordo. Ho seguito il tuo odore. Ma potremmo... potremmo parlare noi due da soli, senza le tue amiche? Ti prego, Bella».
Mi stava pregando. Mi stava pregando di entrare di mia spontanea volontà nelle fauci del leone.
L'avrei fatto, se fosse servito a salvare entrambe le mie amiche, a permettere loro di fuggire e di chiamare aiuto?
«Certo» Risposi
«No, Bella!» esclamò Jessica, con voce tremante «Abbiamo detto che... dobbiamo... r-restare unite e non possiamo proprio...»
«Tranquilla» le dissi, sottovoce «Porta Angela in un posto sicuro. Salvami».
Jessica capì: doveva esser tempestiva e sicura, nelle sue mani c'era la salvezza di tutte, visto che Angela sembrava terrorizzata e fuori uso.
«Andate, ragazze» Dissi loro.
Jessica afferrò per un braccio Angela e la trascinò via, verso la gente, verso la salvezza.
Io guardai Edward e gli sorrisi. Ancora una volta, la paura rischiò di farmi tradire, ma non mollai.
«Oh Bella, Bella» Disse lui, prendendomi un braccio «Credi davvero che ci faremo trovare qui quando le tue amiche torneranno con la polizia?».
Mi risalì un brivido gelido nel petto e il cuore sembrò volermi saltare fuori dalla gola e mettersi a ballare il tip tap per terra.
«Vuoi uccidermi?» Domandai, con tutta la calma di cui disponevo.
Fui sorpresa dal mio stesso tono piatto e freddo, ero sicura che al suo posto avrei emesso uno squittio di topo.
«Ucciderti?» Edward inclinò la testa da un lato, come un gufetto «Non ho alcuna intenzione di farti del male, Bella. Nessuno. Lo so che sei spaventata e che le tue amiche pensano che ti abbia aggredita, ma non è quello che è successo»
«Sei sporco di sangue. Hai ucciso l'agente?».
Lui rise, una risata così stranamente argentina e pulita che non poteva appartenergli.
«Oh, Bella! L'agente sta benissimo! Gli ho spiegato come sono andate le cose e lui mi ha lasciato andare. Conoscono mio padre e sanno benissimo che se l'ho fatto è solo per aiutarti»
«Co-cosa?».
Ci mancava solo la polizia corrotta. La polizia dalla sua parte. Ero terrorizzata, non c'erano vie di scampo.
«Ti ho aiutata, Bella» Sussurrò lui «Ho letto nei pensieri di quei ragazzi delle cose... orribili... volevano violentarti, Bella. Desideravano te, più che le tue amiche. E le tue amiche sanno combattere, mentre tu no...»
«Angela non farebbe male ad una mosca» protestai debolmente, ma lui non mi ascoltò
«...Sono solo venuto a salvarti. Tutto qui. In effetti, poi, ti ho riportata sana e salva in paese, no?».
Era pazzo. Ci eravamo salvate da sole, non avevamo alcun bisogno di lui né della sua Volvo argentata. Lui mi aveva rapita, nonostante ci fosse un ordine restrittivo nei suoi confronti. Lui mi guardava mentre dormivo: non dovevo lasciare che la sua bella voce e le sue parole apparentemente sensate corrompessero i miei pensieri.
Tuttavia annuii
«Hai ragione, Edward» Dissi. Era ovvio che non lo pensavo, ma lui parve pienamente soddisfatto.
Mi afferrò per mano e iniziò a correre, trascinandomi con sé. La sua stretta era acciaio freddo, le sue gambe colonne di marmo velocissime, e schizzavamo attraverso le viuzze come levrieri: quasi non sentivo le gambe toccare terra.
Alla fine ci trovammo alla sua Volvo, parcheggiata in una viuzza. Mi veniva da vomitare. Come aveva fatto a spostare la macchina fin lì in così poco tempo?
«Sali» Disse Edward e io obbedii.
«Posso farti un'altra domanda?» Chiesi
«Si, dimmi pure» rispose, mettendosi alla guida dell'auto
«Perché sei sporco di sangue?».
La sua espressione mi indurii e io mi irrigidii sul sedile, sperando di non aver scatenato in lui qualche strana reazione.
«Ho dato una lezione a quei delinquenti» Rispose lui «Mentre cercavo di ritornare alla macchina, sono di nuovo passato di fronte a due di loro. Non sono riuscito a contenermi» le sue mani si strinsero intorno al volante, che scricchiolò «Ho dovuto dare loro una lezione».
Una lezione. Chissà cosa significava. Aveva spezzato le loro mascelle? Li aveva pestati fino a far perdere loro i sensi e abbandonati in un vicolo? Li aveva uccisi?
«Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?» Domandai
«La prossima»
«Ma questa era la più facile»
«La prossima» ripeté.
Io abbassai gli occhi, frustrata, mentre la macchina usciva dal paese. Poi mi accorsi di una cosa. Una cosa importante, che fosse vera o meno: Edward era capace di leggere nel pensiero o perlomeno credeva di esserlo. Aveva detto di "aver letto nel pensiero di quei ragazzi cose orribili".
«D'accordo» lo inchiodai con uno sguardo e proseguii lentamente «Diciamo – per ipotesi certo – che... qualcuno... sia in grado di leggere la mente, i pensieri altrui, ecco... magari con qualche eccezione»
«Una sola eccezione» precisò lui «Per pura ipotesi»
«Va bene, con una sola eccezione».
Ero contenta che stesse al gioco, ma mi sforzai di rimanere sul vago.
«Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?».
Mi chiedevo se le mie domande avessero significato per lui, se fosse in grado di capirle. Se davvero era in grado di leggere la mente delle persone, e c'era una sola eccezione, quell'eccezione dovevo essere io perché di me non aveva capito mai niente.
«Per ipotesi?» Chiese
«Certo»
«Beh, se quel qualcuno...»
«Chiamiamolo Joe» suggerii.
Lui accennò un sorriso sghembo «Vada per "Joe". Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi. Non sarebbe stato necessario sembrare dei rapitori» alzò gli occhi al cielo «Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità»
«Stavamo parlando di una situazione ipotetica» precisai.
Rise. Il suo sguardo si era fatto più caldo.
«Si, certo. La chiamiamo Jane?»
«Come facevi a saperlo?» Chiesi, incapace di contenermi. Mi stavo sporgendo verso di lui, una cosa che probabilmente non avrei dovuto fare.
Sembrava vacillare, tormentato da qualche dilemma interiore. Il suo sguardo s'incatenò al mio e intuii che, proprio in quel momento, stava decidendo di raccontarmi finalmente tutta la verità e farla finita.
«Di me ti puoi fidare» Sussurrai «Sono l'unica che sa che puoi leggere nel pensiero. E l'unica che sa che sei un vampiro».
Lui fece una specie di salto sul sedile, poi distolse lo sguardo.
«Non so se ormai mi resta altra scelta» Disse «Devo fidarmi di te. Mi sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata»
«Pensavo che avessi sempre ragione»
«Una volta era così» scosse la testa «Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa. Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio di dieci chilometri, puoi scommetterci che ti troverà»
«In effetti. E tu rientri nella categoria, giusto?».
La sua espressione si fece impassibile, neutra.
«Senza alcun dubbio».
Ci fu una pausa di silenzio. Era un vampiro, lo sapevo, era un vampiro, un vampiro mentalmente instabile che poteva leggere nel pensiero di tutti (tranne che nel mio, per mia somma fortuna) e che forse... aveva una cotta per me? Si comportava come uno di quei ragazzi molto stupidi, che non hanno mai interagito con una ragazza fino a quel momento, si comportano quando vogliono corteggiarle. Era uno stupido vampiro instabile con una cotta.
Edward prese un fazzolettino da un piccolo vano sotto il volante, con la sinistra, e si asciugò il lato della bocca dal sangue che aveva cominciato a raggrumarsi. Forse ora sapevo come aveva punito quei ragazzi...
«Ti ho seguita fino a Port Angeles» Confessò, parlando in fretta «Non ho mai tentato di salvare la vita ad una singola persona, prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare catastrofi»
«Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che in qualche modo hai interferito con il destino?»
«Quella non era la prima volta» disse, e fu difficile riuscire a sentirlo.
Lo fissai, stupita, ma lui teneva gli occhi sulla strada.
«La tua ora» Disse «È suonata quando ti ho conosciuta».
Il mio cuore, che aveva iniziato a rallentare un poco, accelerò di nuovo fastidiosamente. Fui assalita da un crampo di paura e dal ricordo del suo sguardo nero e violento, il primo giorno in cui ci eravamo incontrati, a scuola...
«Ehi» Protestai «Avevi detto che non volevi uccidermi»
«Infatti non voglio...»
«Ma?»
«Ma sei vicino ad un vampiro, Bella. Quello che voglio o non voglio non è l'unica cosa che conta. Il nostro mondo è insidioso».
Il loro mondo lo era eccome! Vampiri che possono girare in pieno giorno senza sciogliersi, con una forza invincibile e tutti mentalmente instabili. Come li ammazzi, dei cosi del genere?
«Sei pronta per tornare a casa?» Domandò
«Sono pronta».
La macchina imboccò un'altra strada.
«Inoltre non hai risposto a una delle mie prime domande...» Aggiunsi.
Lui mi lanciò un'occhiata di rimprovero «Quale?»
«Come funziona la lettura del pensiero? Riesci a leggere la mente di chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...?».
Mi sentivo un po' una stupida a chiedere delucidazioni su una cosa così irreale, assurda.
«Una sola domanda, hai detto» Puntualizzò.
Intrecciai le dita e rimasi a guardarlo, in attesa. Era uno psicopatico e come tutti gli psicopatici si sentiva lusingato dalle mie domande sul suo potere, perciò sapevo che prima o poi avrebbe risposto.
«No, è una dote soltanto mia» Disse infine «E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo essere piuttosto vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una "voce", maggiore è la distanza a cui la avverto. Mai più di qualche chilometro, comunque. È un po' come essere in una grande sala piena di persone che parlano contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo, il ronzio confuso delle voci. Finché non mi concentro su una voce sola e la metto a fuoco: allora sento cosa sta pensando. Il più delle volte, semplicemente, escludo tutto: rischia di distrarmi troppo. Così è più facile sembrare normale» A quella parola, aggrottò le ciglia «Ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri delle persone, anziché alle loro parole»
«Secondo te, perché non riesci a sentirmi?».
Mi fissò con uno sguardo enigmatico. Non credo che ne avesse la benché minima idea, però continuava a fare lo stesso il misterioso.
«Non lo so di preciso. Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le altre. Come se i tuoi pensieri trasmettessero in AM e io ricevessi solo in FM» Mi sorrise, improvvisamente divertito.
«La mia mente non funziona come dovrebbe? Sono una specie di mostro?».
Ovviamente non mi preoccupavo di quelle ipotesi più del dovuto, sia chiaro, ma Edward sembrava sguazzarci nella mia autocommiserazione.
«Io sento voci nella mia testa e tu temi di essere il mostro?» rise, un po' troppo forte per i miei gusti «Stai tranquilla, è solo una teoria... il che ci riporta a te».
Sospirai. Da dove potevo iniziare?
«Abbiamo abolito le risposte evasive, no?».
Per la prima volta staccai lo sguardo dal suo viso, per cercare le parole giuste. L'occhio mi cadde sul tachimetro.
«SANTO CIELO! Rallenta!»
«Cosa c'è?».
Era stupito, però non decelerava. Che gran pezzo di deficiente.
«Stai andando a centosessanta!».
Lanciai un'occhiata di panico fuori dal finestrino, ma c'era troppo buio per decifrare il panorama. La strada era illuminata soltanto dalla lunga striscia di luci bluastre dei fari. La foresta che la costeggiava era un muro nero, solido come una barriera d'acciaio, e se fossimo usciti di strada a quella velocità...
 La foresta che la costeggiava era un muro nero, solido come una barriera d'acciaio, e se fossimo usciti di strada a quella velocità 

«Rilassati, Bella» Alzò gli occhi al cielo, senza decelerare
«Stai cercando di ucciderci? Entrambi? Oh mio Dio!»
«Non usciremo di strada».
Cercai di modulare meglio la mia voce «Perché tutta questa fretta?»
«Guido sempre così». Si voltò per sorridermi, ammiccanti. Che cosa si sorrideva, quel deficiente, che se sbatteva da qualche parte gli saltavano tutti via quegli stupidi denti?
«Guarda davanti!» Strillai
«Non ho mai fatto incidenti, Bella. Non ho mai preso neanche una multa» sorrise e si picchiettò la fronte «Segnalatore radar incorporato»
«Divertente» risposi, irritata «Se ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata intorno ad un albero, dubito che ne usciremo senza un graffio»
«Io si» disse lui, stringendosi nelle spalle
«A parte che non ci credo» esordii «Io ci muoio, Edward! CI MUOIO!»
«Probabile» concordò, con una risata secca e breve.
Sospirò e con mio gran sollievo la lancetta iniziò a spostarsi attorno ai cento. «Contenta?»
«Certo che no» risposi «Ma senza dubbio va meglio»
«Odio andare piano» bofonchiò
«Così è piano?»
«Fine dei commenti sulla mia guida. Sto ancora aspettando che...»
«NO!» sbottai.
Al diavolo la cautela, la prudenza, tutto! Non serviva a niente proteggermi da Edward se lui finiva puramente per sbaglio contro un muro/albero/cervo casuale e ci ammazzava entrambi. Volevo vivere. Lui doveva rallentare, altrimenti, giurai a me stessa, avrei trovato un modo per ucciderlo lì dentro.
«Cosa?» Edward divenne serio «Ho detto fine dei commenti sulla...»
«NO!» ripetei «Razza di deficiente, è importante. Scendi almeno a ottanta chilometri orari. Mettiti la stupida cintura di sicurezza. Finiscila di fare le curve come se fossimo in formula uno. Smetti di fare l'esibizionista!»
«Non sono un esibizionista, Bella» riprese lui, visibilmente irritato «Sono perfettamente capace di movimenti così veloci che...»
«TU!» lo interruppi «Tu puoi essere pure Flash. Puoi essere l'incredibile Hulk. Ma la macchina ha dei tempi di reazione, razza di deficiente! Se perdi il controllo, non per colpa tua ma perché scivoli chessò so una pozzanghera, e scivoliamo a cento chilometri orari contro un albero, a voglia di premere il freno, la macchina ci mette tempo per fermarsi e noi ci schiantiamo! L'hai capito, razza di deficiente, che il mondo ha delle regole? Che esiste la fisica? Che l'inerzia ci ammazza tutti e due?».
Parve colpito.
«Ma non mi è successo mai...» Stava per iniziare a dire
«Secondo te me ne può fregare qualcosa? RALLENTA, DEFICIENTE CHE NON CONOSCE LA FISICA!».
Edward rallentò.
Ansimando, mi appoggiai allo schienale. Mi sentivo un fascio di nervi aggressivo, un ghiottone che difende un osso da un branco di leoni.
Edward parlò solo dopo almeno tre minuti di completo silenzio in cui finalmente andavamo all'accettabile velocità di ottanta chilometri orari.
«Allora» Disse «Come hai scoperto che sono un vampiro?».
Inspirai a fondo. Era così palese che fosse un vampiro che la domanda corretta sarebbe stata "come mai nessuno si era accorto che Edward-capellipazzi-Cullen era un vampiro". Tuttavia mi misi ad elencare quello che sapevo di lui
«Sei pallido come se fossi molto morto da un mese. Più forte di una persona normale. I tuoi occhi hanno un colore diverso da quello delle persone normali. Quando a scuola nominavo il sangue o i vampiri sembravi fuori di testa. Avevi la bocca sporca di sangue fino a tipo dieci minuti fa. Tu e i tuoi fratelli non mangiate in mensa, fate solo a pezzi il cibo. Al tocco sei freddo, come un cadavere. I tuoi genitori sembrano troppo giovani. Tu possiedi anche la telepatia, che è una caratteristica associata talvolta ai vampiri. Sembri più a tuo agio di notte che di giorno. Dimmi, per quale razza di umano avrei potuto scambiarti?»
«È così palese?» domandò Edward, sorpreso al limite dello spavento
«Più palese sarebbe stato solo se ti fossi messo un mantello nero e rosso a collo alto e delle zanne finte, Edward. Vivete persino in un'enorme magione all'ombra di un mucchio di alberi!»
«E questo... ti spaventa?»
«Ho deciso che non mi importa» dissi «Tanto se mi devi ammazzare può tranquillamente avvenire perché ci schiantiamo contro un albero. Non sei granché, Edward»
«Non ti importa se sono un mostro? Se non sono umano?»
«Razza di... sei una persona orribile, ok? Sia come umano che come vampiro. E se vuoi ammazzarmi per questo, allora combatteremo. ADESSO».
Lui tacque, lo sguardo fisso sul parabrezza. La sua espressione era vuota a fredda.
La sua voce, quando parlò di nuovo, era fredda come la sua faccia
«Preferisco sapere cosa pensi... anche se ciò che pensi è assurdo»
«Mi stai dicendo che mi sbaglio? Che non sei un vampiro?»
«Non intendevo questo. "Non m'importa"» ripeté le mie parole digrignando i denti
«Quindi è così? Sei davvero un vampiro?»
«T'interessa?».
Respirai a fondo.
«Non proprio, come ti ho già detto. Ma sono curiosa. Se posso saperlo è meglio».
Ormai l'avevo capito: aveva una cotta per me. Gli altri poteva anche ammazzarli, ma io potevo tirare la corda quanto volevo. Potevo insultarlo sul serio. L'avrei fatto, quando eravamo soli, ma se ci fossero state le mie amiche non avrei osato mai metterle in pericolo.
Edward era un vampiro.
Tutto a un tratto, mi sembrò rassegnato
«Cosa vuoi sapere?»
«Quanti anni hai?»
«Diciassette» rispose istantaneamente
«Non ridere se te lo chiedo, ma... come fai ad uscire di casa quando è giorno?»
«Non mi chiedi da quanto tempo ho diciassette anni?» replicò, con un sogghigno
«Fisicamente ne dimostri diciassette. Mentalmente ne dimostri quattro scarsi. Che me ne può importare di quante volte hai fatto il diciassettesimo compleanno? Sei sempre una schiappa»
«Come sei aggressiva»
«Rispondi alla mia domanda»
«Leggenda» rise
«Non ti sciogli al sole?»
«Leggenda»
«Dormi dentro ad una bara?»
«Leggenda» per un momento esitò, poi proseguì con un tono di voce strano «Io non dormo».
Mi ci volle un minuto intero per digerire quella risposta. Secondo me stava scherzando.
«Mai?»
«Mai» confermò, con un filo di voce. Si voltò verso di me, mesto. I suoi occhi dorati catturarono i miei. Sostenni il suo sguardo finché non lo volse altrove.
«Non è possibile» Dissi «Dormire ci serve per ricordare. È il momento in cui i ricordi entrano a far parte della nostra memoria a lungo termine. Ci serve per riposare il cervello. Edward... mi stai mentendo»
«No. E non mi hai ancora fatto la domanda più importante» era di nuovo tornato freddo e sulla difensiva.
Ero ancora imbambolata. Cercai di riprendermi
«Quale sarebbe?»
«Non sei preoccupata della mia dieta?» chiese, sarcastico
«Ah... quella»
«Si, quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue?».
Presi a ridere. Non so ancora dire se fosse una risata isterica oppure di puro divertimento, ma fu una sensazione in qualche modo liberatoria, quasi come l'espressione di Edward che si "sgonfiava", diventando delusa.
«La tua dieta, Edward?» Domandai fra una risata e l'altra «Oh, andiamo, non ti sciogli al sole! Non dormi in una bara! Se tu non ti nutrissi di sangue sarebbe ovvio che tu non sei un vampiro, sei... boh, non lo so, una statua di marmo vivente... non lo so, ma non un vampiro» ridacchiai «È ovvio che ti nutri di sangue»
«E non hai paura?»
«Che mi mangi? Certo, deficiente» la mia voce lo raggiunse come una frustata «Anche se Jacob mi ha detto che la tua famiglia non è considerata pericolosa, perché vi cibate solo di animali»
«Ha detto che non siamo pericolosi?» sembrava profondamente scettico
«Non esattamente. Ha detto che non vi ritengono pericolosi. Ma che per non correre rischi, ancora oggi i Quileutes non vi vogliono nel loro territorio. E neanche io vi vorrei nel mio territorio. Offenditi pure, se vuoi, non dirò "senza offesa"».
Aveva lo sguardo fissò di fronte a sé, ma non ero sicura che stesse guardando la strada. Ero molto preoccupata.
«I Quileutes hanno una buona memoria» Sussurrò.
La presi come una conferma.
«Non fidarti troppo, però» Aggiunse «Fanno bene a mantenere le distanze. Siamo ancora pericolosi»
«Oh, ci credo. Ma per buona misura, spiegami in quali altri modi siete pericolosi, oltre al farmi saltare il sistema nervoso e rapirmi»
«Ci proviamo, ad essere bravi vampiri» spiegò, lentamente «Di solito riusciamo molto bene in ciò che facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio, non dovrei restare solo con te»
«Questo è un errore? Cioè, intendo, ovviamente è un errore per come la vedo io. Ma per come la vedi tu? Dove sta lo sbaglio?»
«Un errore molto pericoloso» mormorò.
A quel punto tacemmo entrambi. Guardavo i fasci di luce dei fari curvarsi assieme alla strada. Il tempo scorreva lesto come il paesaggio nero alle nostre spalle. Le parole di Edward alludevano ad un'idea che non volevo prendere in considerazione.
«Vai avanti» Chiesi, disperata.
Mi lanciò un'occhiata, stupita dal tono mutato della mia voce
«Cos'altro vuoi sapere?»
«Dimmi perché vai a caccia di animali, anziché di esseri umani» suggerii. Mi sforzavo di combattere il senso di pena che voleva prendere il sopravvento.
«Non voglio essere un mostro» parlò a voce bassissima
«Ma lo sei già, Edward. Uno stalker e un vampiro. Essere un mostro è nella tua natura»
«Ma non voglio uccidere»
«Gli animali non ti bastano?»
«Non ho verificato, ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base di tofu e di latte di soia. Per scherzare, ci definiamo "vegetariani". Gli animali non placano del tutto la nostra fame, o meglio la sete. Ma riusciamo a mantenerci in forze. Il più delle volte» la sua voce tornò minacciosa «Talvolta è davvero difficile»
«Anche in questo momento?».
Lui sospirò, incassando un po' la testa fra le spalleggiò«Si»
«Però adesso non hai fame» dissi, ed era una constatazione, non una domanda
«Cosa te lo fa pensare?»
«I tuoi occhi. Ho una teoria: ho notato che le persone, soprattutto i maschi, diventano indisponenti quando hanno fame».
Si lasciò scappare una risata leggera
«Sei una brava osservatrice, eh?»
«Ovviamente. Altrimenti com'è che sono l'unica che si è accorta che sei un cavolo di vampiro? Allora... lo scorso weekend sei andato a caccia con Emmett, giusto?»
«Si. Non avrei voluto andare via, ma ne avevo bisogno. È più facile starti vicino quando non ho sete»
«Perché non volevi andarci?»
«Starti lontano... mi rende... ansioso» Il suo sguardo era dolce ma intenso e mi confermava che ci avevo azzeccato sulla cotta «Non scherzavo, quando ti ho chiesto di badare a non cadere nell'oceano o a non farti investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero. E dopo stasera, mi sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend senza farti un graffio» Scosse il capo
«Razza di scemotto» dissi «A tutti gli esseri umani capitano cose. A te è capitato di diventare un vampiro, che è assai peggio di essere assalito da un borseggiatore. Con una differenza, scemotto: io e le mie amiche ce la siamo cavata benissimo, mentre tu... guardati! Sei un vampiro tormentato che non può fare una dieta decente»
«Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho rischiato di far saltare i nervi a Emmett» mi rivolse un sorriso dolente
«Meglio a lui che a me. Senti, Edward, la verità è che io me la cavo benissimo da sola. Tu sei l'unico problema. Ti basta... stare lontano da me e non dovrai più preoccuparti. Tutta la tua ansia non ha il benché minimo senso. Aspetta... tre giorni? Non siete tornati oggi?»
«No, siamo a casa da domenica»
«Ma allora perché nessuno di voi è venuto a scuola? Al vostro posto c'era un poster»
«Davvero?»
«Davvero. E nessuno si è accorto che voi mancavate e che al vostro posto c'era un foglio bidimensionale finché non gliel'ho fatto notare io»
«Non ci credo»
«Liberissimo di non crederci, ragazzo vampiro. Comunque, perché non siete venuti a scuola?»
«Mi hai chiesto se il sole mi fa male e ti ho risposto di no. Però non posso espormi alla sua luce... perlomeno non in pubblico»
«Perché?»
«Un giorno ti farò vedere, te lo prometto».
Ci pensai un istante. Perché mai un vampiro non può esporsi alla luce solare, se la luce non lo scioglie e non lo ustiona? Forse gli fa avere qualche tipo di reazione che non gli fa male, ma che è orribile a vedersi per gli altri...
«Ci sono» Dissi «Quando i raggi del sole diretto vi illuminano, si vede cosa siete in realtà»
«Cosa siamo in realtà?» chiese, con un sorrisetto sghembo
«Si. Che siete dei mostri, in realtà. Si vedrebbero le vostre orecchie a punta, i vostri occhi rossi, i vostri denti lunghi... tutte quelle cose che vi fanno riconoscere come vampiri. Giusto?».
Lui scosse la testa, divertito.
L'oscurità e il silenzio ci avvolsero per un tratto di strada, eccetto per le fusa del potente motore della Volvo (che prima o poi gli avrei smontato pezzo per pezzo e fatto ingoiare a forza, me lo sentivo).
«Dimmi una cosa» Chiese dopo un altro minuto, sforzandosi palesemente di assumere un tono più leggero
«Parla»
«Cosa stavi pensando stasera, prima che arrivassi io?»
«Cercavo di ricordare come si mette fuori combattimento un assalitore... insomma, l'autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel cervello».
Sentii una fitta d'odio ripensando all'uomo con i capelli scuri.
«Li avresti affrontati?» Questo lo sbalordiva «Non pensavi di scappare?»
«Stai scherzando, scemotto? Noi li abbiamo affrontati. Certo... solo Jessica li ha colpiti davvero... ma ci è bastato fare scena. Stava arrivando gente. Edward, abbiamo vinto, certo che li avrei affrontati. Anche se avevo il cuore a mille» mi poggiai una mano sul petto «Non mi sono mai scontrata con nessun criminale, prima d'ora. È una sensazione così strana»
«Chiedere aiuto con un urlo?»
«Abbiamo gridato come pazze, scemotto. Non si chiede aiuto con un urlo e poi si sta fermi ad affrontare l'ineluttabile. Non funziona così. Si combatte nella vita...».
Scosse la testa «Hai ragione, cercare di tenerti in vita vuole dire davvero lottare contro il destino»
«Che razza di scemo» commentai «Tu avresti voluto vedermi ferma a urlare? O a cercare di scappare senza riuscirci? Tutti sanno che le prede meno appetibili sono quelle che combattono»
«Per noi vampiri sono le più appetibili»
«Per noi vampiri sono le più appetibili, gni gni gni» lo scimmiottai, imitando i canini con le punte degli indici «Noi vampiri siamo brutti e cattivi, gni gni gni. Beh, peccato che quelli fossero umani. Ragazzi umani che le hanno prese di santa ragione e che hanno avuto paura e che sono scappati, Eddie. Tu sei l'unica nota stonata nella mia vita».
Sospirai. Rallentavamo ancora, stavamo entrando dentro Forks.
«Ci vediamo domani?» Chiesi «Spero di no...»
«Si... anch'io devo consegnare un saggio» sorrise «Ti tengo il posto, a pranzo».
Era assurdo, dopo tutto quello che avevamo passato nelle ore precedenti, che quella piccola promessa/minaccia mi facesse sentire lo stomaco sottosopra e fui incapace di aprire bocca.
Eravamo giunti davanti a casa mia. Le luce erano accese, il pick-up parcheggiato, tutto assolutamente normale. Fu come svegliarsi da un sogno incredibilmente sgradevole.
L'auto si fermò e dovetti rimanere ferma per alcuni istanti prima di capire che era finita, ero davvero di nuovo a casa mia dopo quella giornata troppo sopra le righe.
Rimasi come paralizzata con la mano sulla portiera quando Edward parlò di nuovo-vecchio «Bella?»
«Si?»
«Mi prometti una cosa?»
«Si».
Lo dissi perché sapevo di poter spezzare quella promessa quando volevo: non è una vera promessa quando lo dici solo per salvarti le penne da un vampiro psicopatico.
«Non andare nel bosco da sola»
«E perché mai?».
Si fece scuro in viso e rivolse uno sguardo aguzzo dietro di me, oltre il finestrino.
«Diciamo che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione».
L'improvvisa tetraggine della sua voce, a cui avrei dovuto essere abituata, mi provocò invece un brivido... ma poco importava.
«Come vuoi»
«Ci vediamo domani» disse, con un sospiro, e capii che voleva che ci salutassimo così
«Hmm. A domani» risposi controvoglia, aprendo la portiera
«Bella?». Mi cominciai a girare d'istinto, ma poi ci ripensai un po'. La conversazione era finita, e io non ce la facevo a dargli corda quando avevo casa e sicurezza proprio sotto gli occhi.
«Passa bene la tua notte da vampiro, Eddie. E per favore, smetti di venire a guardarmi dormire»
«Sogni d'oro» sussurrò lui alle mie spalle, e sentì il suo fiato freddo sul collo. Non volevo vedere come si era proteso verso di me, perciò uscii e chiusi la portiera alle mie spalle.
Mi sembrò di sentirlo ridere, ma il suono era troppo soffocato per esserne certa.
Attese finché non raggiunsi l'entrata, dopodiché lo sentii avviare il motore. Rimasi a guardare l'auto argentea sparire dietro l'angolo. Allora mi resi conto che faceva davvero freddo.
Meccanicamente frugai in cerca della chiave, sempre nascosta nel posticino prevedibile e favorito di papà, aprii la porta ed entrai.
I colori e il profumo di casa mia sciolsero il nodo di muscoli dolorante che non mi ero accorta il mio corpo era diventato, e con mio sommo orrore mi resi conto che per qualche motivo mi sentivo pronta a mettermi a piangere.
Dal salotto, Carlo mi chiamò «Belarda?»
«Si, papà, sono io». Tirai dei sospiri, ad occhi chiusi, per calmarmi. Cercai di ancorarmi alla realtà materiale intorno a me, che non mi dava nessun motivo per piangere, in cui ero al sicuro. Inspirai. Espirai. Andai incontro a papà, che stava guardando una partita di baseball.
«Sei in anticipo»
«Davvero?». Fui fiera di come la mia voce suonasse solamente un filo più profonda, e papà non si accorse del mio stato d'animo
«Non sono nemmeno le otto. Vi siete divertite?»
«Si, le ragazze sono fantastiche» La testa mi girava, mentre cercavo di capire cosa gli avrei potuto dire e cosa no «Hanno trovato dei bei vestiti, e siamo andate in giro e a mangiare assieme. Anche se Angela ha ordinato della pizza con l'ananas».
Frivolezze. Le frivolezze andavano bene, era un terreno sicuro. Potevo parlargli di Edward e dei miei assalitori, o lo avrei solo messo in pericolo? Quanta voglia di parlarne a qualcuno.
«Tu stai bene»
«Sono un po' stanca. Ho camminato molto». Feci il giro e andai ad accoccolarmi accanto a papà, abbracciandolo. Lui non si aspettava una dimostrazione improvvisa dalla sua figlia quasi maggiorenne (una cosa un po' triste, a pensarci), e ricambiò goffamente il mio abbraccio.
«Sicura?»
«Mi sei mancato un po'. E... si. Si, sto bene»
«Forse è il caso che ti riposi». Sembrava preoccupato. Chissà che espressione avevo.
«Prima volevo chiamare Jessica»
«Ma non eri con lei fino ad un attimo fa?»
«Si... ma ho lasciato il giaccone nella sua auto. Non vorrei che domani si scordasse di riportarmelo»
«Va bene, ma almeno aspetta che sia tornata a casa»
«Giusto». Entrai in cucina e mi lasciai cadere su una sedia, esausta. Mi sentivo davvero scossa adesso. Forse la crisi di panico stava arrivando a scoppio ritardato; mi sforzavo di mantenere il controllo.
Il trillo improvviso del telefono mi fece sobbalzare e sollevai la cornetta rischiando di strapparla
«Pronto?» risposi senza fiato
«Bella?!»
«Ehi, Jess! Stavo per chiamarti»
«Oh, grazie al cielo. Ce l'hai fatta a tornare?» si sentiva tutto il sollievo nella sua voce, e una punta di incredulità che distorse la sua frase in una domanda
«Si. Ho lasciato la giacca nella tua macchina: domani me la riporti? Magari vieni da me?»
«Certo! Ma, Belarda Cigna, devi raccontarmi tutto!».
«Ehm... domani a trigonometria, d'accordo?».
Lei capì al volo. «Oh, tuo padre è in ascolto?»
«Esatto»
«E non vuoi che lo venga a sapere così»
«Infatti»
«Raccontami tutto via SMS, Bella. Devo sapere»
«Ciao, Jess».
Salii le scale lentamente, con la testa avvolta in una nuvoletta di intontimento. Salutai Dracula, che mi si strusciò subito addosso, confortandomi. Ignorai la chiamata di Mike, rispondendo con l'invio dell'immagine di un gattino acciambellato sulla luna che augurava la buonanotte, e rassicurai Angela sul fatto di star bene, ma aggiunsi sinceramente che non ce la facevo a parlarne adesso.
Mi preparai ad occupare il letto, probabilmente senza dormirci, con gesti meccanici, inconsapevoli. Soltanto sotto il getto bollente della doccia mi resi conto del freddo che sentivo addosso: per parecchi minuti tremai violentemente, prima di riuscire a rilassare i muscoli sotto il getto vaporoso.
Esaurita l'acqua calda, mi affettai ad uscire trascinandomi fuori dalla doccia stretta nell'asciugamano, per non far fuggire il calore che avevo addosso e proteggermi dai brividi. Indossai in un baleno il pigiama e arrancai sotto le coperte, rannicchiata, per scaldarmi. Sentii qualche ultimo accenno di tremore.
Poi mi ricordai dell'ultimo "ordine" che Jess mi aveva dato durante la nostra conversazione.
«Raccontami tutto via SMS, Bella. Devo sapere».
Io lo feci, lasciando fuori la grossa porzione su vampiri e compagnia, che non faceva comunque perdere di peso al racconto; subito lei mi richiamò per riprendere da dove avevamo finito.
«Oh Bella» Disse lei «È terribile! Devi dirlo a tuo padre. Ti ha praticamente rapita due volte in un giorno, e chissà che ha fatto a quei tizi! Io e Angela ti sosterremo, confermeremo le tue versioni, possiamo farlo mettere in prigione»
«Jess... ho paura» ammisi «Sembrava pazzo, ossessionato. E la sua famiglia ha un mucchio di soldi... se anche lo mettiamo in prigione, pagheranno la cauzione, lui sarà fuori e allora anche i suoi fratelli e sorelle psicopatici ce l'avranno definitivamente con me. Che diamine faccio?».
Il silenzio che seguì la mia domanda, a cui volevo veramente una risposta, mi fece sprofondare il cuore.
«... Bella» Fece lei, insicura. Potevo praticamente vederla, a mordicchiarsi il labbro inferiore alla ricerca di una risposta «Troveremo una soluzione, davvero. Forse bisogna cominciare ad evitarlo, a non dargli confidenza. E se lo ignorassi?»
«Sarebbe peggio» dissi, sicura e cupa «Vuole la mia attenzione. Ha una specie di cotta malata. In un modo o nell'altro se la prenderebbe. Ho paura»
«Ci inventeremo qualcosa. Intanto non venire a scuola domani, bisogna evitarlo, e tu devi riposare senza stressarti»
«Mi ha detto che ci saremmo visti a scuola domani» le riferii. Mi odiai per quelle parole, per il desiderio di compiacere il pazzo sperando che non mi avrebbe fatto nulla di male. Ma non avevo alcuna intenzione di diventare il suo cagnolino fedele.
«Non importa, diremo che stavi male»
«Io... sto male, Jess» Dissi. Era un'improvvisazione, e a parte il fatto che davvero non ero tranquilla e la tensione cominciava a pesarmi sullo stomaco, sapevo che avrebbe giocato a mio favore domani in classe se lei lo avesse veramente pensato. Eddie coso le avrebbe letto nel pensiero che era la verità «Mi viene un po' da vomitare. Forse è lo shock, o forse mi sono buscata qualcosa, non saprei»
«Sarà lo shock»
«Più facilmente è un'influenza. Ora sto meglio. Grazie, Jess, sei un'amica»
«Riposa, Bella».
La chiamata finì. La testa mi girava come una giostra, ero piena di immagini incomprensibili, alcune cercavo di reprimerle. A prima vista niente sembrava chiaro, ma più mi avvicinavo a uno stato di incoscienza, più emergevano alcuni punti fermi.
Di tre cose ero del tutto certa, riguardo questa situazione incasinata.
Primo, Edward era un vampiro. Secondo, una parte di lui – chissà quale, e quanto importante – era uno psicopatico possessivo ed emofago. Terzo, era totalmente, incondizionatamente innamorato di me.
Con questi tre punti saldi in testa, neanche le fusa di Dracula mi avrebbero mai fatta dormire. Mi aspettavo ogni secondo di vederlo comparire a fissarmi dalla finestra, e non osavo chiudere le tendine per paura di non sapere se era davvero lì o no.
Mike mi inviò l'immagine animata di un cagnolino che si avvolgeva in un lenzuolo, con una scritta bianca che lampeggiava augurandomi la buonanotte.
Alla fine mi rassegnai, e scesi dal letto.
Era venuto il momento di fare una chiacchierata con papà.


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Note degli autori: Se credete che sapevamo che prima o poi questo libro avrebbe avuto un capitolo serio, sulle crisi di panico e su come trattare gli psicopatici... vi sbagliavate. Non avevamo idea che saremmo arrivati a tanto, né che tanta serietà si sarebbe insinuata nella storia. Urca, c'è più tensione di un thriller. Speriamo di aver trattato bene questa tematica delicatissima (al contrario di come avviene in Twilight, dove Bella lancia cuoricini verso il suo stalker-vampiro). 
Comunque non preoccupatevi: la storia tornerà umoristica/di avventura al più presto! Ma sempre nei limiti del "realismo", non vi preoccupate: anche se ci sarà tanto sovrannaturale, con vampiri e licantropi, le persone e le leggi della fisica rimar...
Comunque non preoccupatevi: la storia tornerà umoristica/di avventura al più presto! Ma sempre nei limiti del "realismo", non vi preoccupate: anche se ci sarà tanto sovrannaturale, con vampiri e licantropi, le persone e le leggi della fisica rimarranno miracolosamente coerenti!




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 Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui

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