«Prima che mi ammazzi»
Dissi, cercando di contenermi nonostante l'adrenalina che correva a
mille e che mi faceva rimbalzare sgradevolmente il cuore nel petto
«Posso fare un'ultima domanda?».
Edward parve sorpreso, non so se perché avevo capito che voleva ammazzarmi oppure perché gli volevo fare una domanda.
Sbuffò.
«Una sola» Rispose, guardingo.
Jessica non osava
attaccare lui e, dopo che avevo capito quant'era forte (non ero riuscita
ad opporgli la benché minima resistenza, quando mi aveva trascinata in
macchina) neanche io l'avrei fatto. Edward non era un ragazzo normale,
era un mostro sotto doping. O un vampiro.
«Beh» Dissi, cercando
di sembrare seria «Come hai fatto ad intuire che mi ero diretta a sud?
Come hai fatto ad essere lì quando siamo state attaccate? Come... come
ci hai trovate?».
Lui guardò altro,
ponderando la risposta. Diedi un colpetto con il tallone ad Angela, come
a dirgli "scappa!", ma lei era paralizzata sul posto. Com'era possibile
che quel tizio facesse così tanta paura a tutte noi?
In effetti... forse era perché era sporco di sangue.
O forse perché l'avevamo visto allontanarsi con un agente di polizia e invece ora era di nuovo libero fuori.
O forse perché mi aveva
rapita, prima, e avevamo tutte capite che era instabile,
pericolosissimo, e che forse spezzargli un polso non sarebbe bastato a
salvarci la vita, poiché i pazzi sono capaci di continuare a combattere
anche dopo che sono stati feriti.
Avevamo paura che se
avessimo chiamato aiuto lui ci avrebbe attaccate. Avevamo paura che
avrebbe ferito, o addirittura ucciso, una di noi prima che la gente
potesse avvicinarsi.
C'era un solo modo per
sopravvivere incolumi all'esperienza: assecondare la sua follia dandogli
una parvenza di normalità, facendo domande, parlando con lui come se
non avesse appena probabilmente ucciso un agente di polizia.
«Pensavo che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi» Dissi. Mi ci volle tutto il mio sangue freddo per farlo.
Lui accennò un sorriso, scoprendo un canino rosso fino alla gengiva
«D'accordo. Ho seguito il tuo odore. Ma potremmo... potremmo parlare noi due da soli, senza le tue amiche? Ti prego, Bella».
Mi stava pregando. Mi stava pregando di entrare di mia spontanea volontà nelle fauci del leone.
L'avrei fatto, se fosse servito a salvare entrambe le mie amiche, a permettere loro di fuggire e di chiamare aiuto?
«Certo» Risposi
«No, Bella!» esclamò Jessica, con voce tremante «Abbiamo detto che... dobbiamo... r-restare unite e non possiamo proprio...»
«Tranquilla» le dissi, sottovoce «Porta Angela in un posto sicuro. Salvami».
Jessica capì: doveva
esser tempestiva e sicura, nelle sue mani c'era la salvezza di tutte,
visto che Angela sembrava terrorizzata e fuori uso.
«Andate, ragazze» Dissi loro.
Jessica afferrò per un braccio Angela e la trascinò via, verso la gente, verso la salvezza.
Io guardai Edward e gli sorrisi. Ancora una volta, la paura rischiò di farmi tradire, ma non mollai.
«Oh Bella, Bella» Disse
lui, prendendomi un braccio «Credi davvero che ci faremo trovare qui
quando le tue amiche torneranno con la polizia?».
Mi risalì un brivido
gelido nel petto e il cuore sembrò volermi saltare fuori dalla gola e
mettersi a ballare il tip tap per terra.
«Vuoi uccidermi?» Domandai, con tutta la calma di cui disponevo.
Fui sorpresa dal mio stesso tono piatto e freddo, ero sicura che al suo posto avrei emesso uno squittio di topo.
«Ucciderti?» Edward
inclinò la testa da un lato, come un gufetto «Non ho alcuna intenzione
di farti del male, Bella. Nessuno. Lo so che sei spaventata e che le tue
amiche pensano che ti abbia aggredita, ma non è quello che è successo»
«Sei sporco di sangue. Hai ucciso l'agente?».
Lui rise, una risata così stranamente argentina e pulita che non poteva appartenergli.
«Oh, Bella! L'agente
sta benissimo! Gli ho spiegato come sono andate le cose e lui mi ha
lasciato andare. Conoscono mio padre e sanno benissimo che se l'ho fatto
è solo per aiutarti»
«Co-cosa?».
Ci mancava solo la polizia corrotta. La polizia dalla sua parte. Ero terrorizzata, non c'erano vie di scampo.
«Ti ho aiutata, Bella»
Sussurrò lui «Ho letto nei pensieri di quei ragazzi delle cose...
orribili... volevano violentarti, Bella. Desideravano te, più che le tue
amiche. E le tue amiche sanno combattere, mentre tu no...»
«Angela non farebbe male ad una mosca» protestai debolmente, ma lui non mi ascoltò
«...Sono solo venuto a salvarti. Tutto qui. In effetti, poi, ti ho riportata sana e salva in paese, no?».
Era pazzo. Ci eravamo
salvate da sole, non avevamo alcun bisogno di lui né della sua Volvo
argentata. Lui mi aveva rapita, nonostante ci fosse un ordine
restrittivo nei suoi confronti. Lui mi guardava mentre dormivo: non
dovevo lasciare che la sua bella voce e le sue parole apparentemente
sensate corrompessero i miei pensieri.
Tuttavia annuii
«Hai ragione, Edward» Dissi. Era ovvio che non lo pensavo, ma lui parve pienamente soddisfatto.
Mi afferrò per mano e
iniziò a correre, trascinandomi con sé. La sua stretta era acciaio
freddo, le sue gambe colonne di marmo velocissime, e schizzavamo
attraverso le viuzze come levrieri: quasi non sentivo le gambe toccare
terra.
Alla fine ci trovammo
alla sua Volvo, parcheggiata in una viuzza. Mi veniva da vomitare. Come
aveva fatto a spostare la macchina fin lì in così poco tempo?
«Sali» Disse Edward e io obbedii.
«Posso farti un'altra domanda?» Chiesi
«Si, dimmi pure» rispose, mettendosi alla guida dell'auto
«Perché sei sporco di sangue?».
La sua espressione mi indurii e io mi irrigidii sul sedile, sperando di non aver scatenato in lui qualche strana reazione.
«Ho dato una lezione a
quei delinquenti» Rispose lui «Mentre cercavo di ritornare alla
macchina, sono di nuovo passato di fronte a due di loro. Non sono
riuscito a contenermi» le sue mani si strinsero intorno al volante, che
scricchiolò «Ho dovuto dare loro una lezione».
Una lezione. Chissà
cosa significava. Aveva spezzato le loro mascelle? Li aveva pestati
fino a far perdere loro i sensi e abbandonati in un vicolo? Li aveva
uccisi?
«Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?» Domandai
«La prossima»
«Ma questa era la più facile»
«La prossima» ripeté.
Io abbassai gli occhi,
frustrata, mentre la macchina usciva dal paese. Poi mi accorsi di una
cosa. Una cosa importante, che fosse vera o meno: Edward era capace di
leggere nel pensiero o perlomeno credeva di esserlo. Aveva detto di
"aver letto nel pensiero di quei ragazzi cose orribili".
«D'accordo» lo
inchiodai con uno sguardo e proseguii lentamente «Diciamo – per ipotesi
certo – che... qualcuno... sia in grado di leggere la mente, i pensieri
altrui, ecco... magari con qualche eccezione»
«Una sola eccezione» precisò lui «Per pura ipotesi»
«Va bene, con una sola eccezione».
Ero contenta che stesse al gioco, ma mi sforzai di rimanere sul vago.
Ero contenta che stesse al gioco, ma mi sforzai di rimanere sul vago.
«Come funziona? Che
limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel
posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?».
Mi chiedevo se le mie
domande avessero significato per lui, se fosse in grado di capirle. Se
davvero era in grado di leggere la mente delle persone, e c'era una sola
eccezione, quell'eccezione dovevo essere io perché di me non aveva
capito mai niente.
«Per ipotesi?» Chiese
«Certo»
«Beh, se quel qualcuno...»
«Chiamiamolo Joe» suggerii.
Lui accennò un sorriso
sghembo «Vada per "Joe". Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe
stato necessario essere tanto tempestivi. Non sarebbe stato necessario
sembrare dei rapitori» alzò gli occhi al cielo «Solo tu sei capace di
cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di
rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità»
«Stavamo parlando di una situazione ipotetica» precisai.
Rise. Il suo sguardo si era fatto più caldo.
«Si, certo. La chiamiamo Jane?»
«Come facevi a
saperlo?» Chiesi, incapace di contenermi. Mi stavo sporgendo verso di
lui, una cosa che probabilmente non avrei dovuto fare.
Sembrava vacillare,
tormentato da qualche dilemma interiore. Il suo sguardo s'incatenò al
mio e intuii che, proprio in quel momento, stava decidendo di
raccontarmi finalmente tutta la verità e farla finita.
«Di me ti puoi fidare» Sussurrai «Sono l'unica che sa che puoi leggere nel pensiero. E l'unica che sa che sei un vampiro».
Lui fece una specie di salto sul sedile, poi distolse lo sguardo.
«Non so se ormai mi
resta altra scelta» Disse «Devo fidarmi di te. Mi sbagliavo, sei molto
più leale di quanto ti avessi giudicata»
«Pensavo che avessi sempre ragione»
«Una volta era così»
scosse la testa «Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa. Non
sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo
limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio
di dieci chilometri, puoi scommetterci che ti troverà»
«In effetti. E tu rientri nella categoria, giusto?».
La sua espressione si fece impassibile, neutra.
«Senza alcun dubbio».
Ci fu una pausa di
silenzio. Era un vampiro, lo sapevo, era un vampiro, un vampiro
mentalmente instabile che poteva leggere nel pensiero di tutti (tranne
che nel mio, per mia somma fortuna) e che forse... aveva una cotta per
me? Si comportava come uno di quei ragazzi molto stupidi, che non hanno
mai interagito con una ragazza fino a quel momento, si comportano quando
vogliono corteggiarle. Era uno stupido vampiro instabile con una cotta.
Edward prese un
fazzolettino da un piccolo vano sotto il volante, con la sinistra, e si
asciugò il lato della bocca dal sangue che aveva cominciato a
raggrumarsi. Forse ora sapevo come aveva punito quei ragazzi...
«Ti ho seguita fino a
Port Angeles» Confessò, parlando in fretta «Non ho mai tentato di
salvare la vita ad una singola persona, prima d'ora, ed è un'impresa
molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche
da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza
scatenare catastrofi»
«Hai mai pensato che
forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del
furgoncino, e che in qualche modo hai interferito con il destino?»
«Quella non era la prima volta» disse, e fu difficile riuscire a sentirlo.
Lo fissai, stupita, ma lui teneva gli occhi sulla strada.
«La tua ora» Disse «È suonata quando ti ho conosciuta».
Il mio cuore, che aveva
iniziato a rallentare un poco, accelerò di nuovo fastidiosamente. Fui
assalita da un crampo di paura e dal ricordo del suo sguardo nero e
violento, il primo giorno in cui ci eravamo incontrati, a scuola...
«Ehi» Protestai «Avevi detto che non volevi uccidermi»
«Infatti non voglio...»
«Ma?»
«Ma sei vicino ad un vampiro, Bella. Quello che voglio o non voglio non è l'unica cosa che conta. Il nostro mondo è insidioso».
Il loro mondo lo era
eccome! Vampiri che possono girare in pieno giorno senza sciogliersi,
con una forza invincibile e tutti mentalmente instabili. Come li
ammazzi, dei cosi del genere?
«Sei pronta per tornare a casa?» Domandò
«Sono pronta».
La macchina imboccò un'altra strada.
«Inoltre non hai risposto a una delle mie prime domande...» Aggiunsi.
Lui mi lanciò un'occhiata di rimprovero «Quale?»
«Come funziona la lettura del pensiero? Riesci a leggere la mente di chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...?».
Mi sentivo un po' una stupida a chiedere delucidazioni su una cosa così irreale, assurda.
«Una sola domanda, hai detto» Puntualizzò.
Intrecciai le dita e
rimasi a guardarlo, in attesa. Era uno psicopatico e come tutti gli
psicopatici si sentiva lusingato dalle mie domande sul suo potere,
perciò sapevo che prima o poi avrebbe risposto.
«No, è una dote
soltanto mia» Disse infine «E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo
essere piuttosto vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una
"voce", maggiore è la distanza a cui la avverto. Mai più di qualche
chilometro, comunque. È un po' come essere in una grande sala piena di
persone che parlano contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo,
il ronzio confuso delle voci. Finché non mi concentro su una voce sola e
la metto a fuoco: allora sento cosa sta pensando. Il più delle volte,
semplicemente, escludo tutto: rischia di distrarmi troppo. Così è più
facile sembrare normale» A quella parola, aggrottò le ciglia «Ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri delle persone, anziché alle loro parole»
«Secondo te, perché non riesci a sentirmi?».
Mi fissò con uno
sguardo enigmatico. Non credo che ne avesse la benché minima idea, però
continuava a fare lo stesso il misterioso.
«Non lo so di preciso.
Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le
altre. Come se i tuoi pensieri trasmettessero in AM e io ricevessi solo
in FM» Mi sorrise, improvvisamente divertito.
«La mia mente non funziona come dovrebbe? Sono una specie di mostro?».
Ovviamente non mi
preoccupavo di quelle ipotesi più del dovuto, sia chiaro, ma Edward
sembrava sguazzarci nella mia autocommiserazione.
«Io sento voci nella
mia testa e tu temi di essere il mostro?» rise, un po' troppo forte per i
miei gusti «Stai tranquilla, è solo una teoria... il che ci riporta a
te».
Sospirai. Da dove potevo iniziare?
«Abbiamo abolito le risposte evasive, no?».
Per la prima volta staccai lo sguardo dal suo viso, per cercare le parole giuste. L'occhio mi cadde sul tachimetro.
«SANTO CIELO! Rallenta!»
«Cosa c'è?».
Era stupito, però non decelerava. Che gran pezzo di deficiente.
«Stai andando a centosessanta!».
Lanciai un'occhiata di
panico fuori dal finestrino, ma c'era troppo buio per decifrare il
panorama. La strada era illuminata soltanto dalla lunga striscia di luci
bluastre dei fari. La foresta che la costeggiava era un muro nero,
solido come una barriera d'acciaio, e se fossimo usciti di strada a
quella velocità...
«Stai cercando di ucciderci? Entrambi? Oh mio Dio!»
«Non usciremo di strada».
Cercai di modulare meglio la mia voce «Perché tutta questa fretta?»
«Guido sempre così». Si
voltò per sorridermi, ammiccanti. Che cosa si sorrideva, quel
deficiente, che se sbatteva da qualche parte gli saltavano tutti via
quegli stupidi denti?
«Guarda davanti!» Strillai
«Non ho mai fatto
incidenti, Bella. Non ho mai preso neanche una multa» sorrise e si
picchiettò la fronte «Segnalatore radar incorporato»
«Divertente» risposi,
irritata «Se ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata intorno
ad un albero, dubito che ne usciremo senza un graffio»
«Io si» disse lui, stringendosi nelle spalle
«A parte che non ci credo» esordii «Io ci muoio, Edward! CI MUOIO!»
«Probabile» concordò, con una risata secca e breve.
Sospirò e con mio gran sollievo la lancetta iniziò a spostarsi attorno ai cento. «Contenta?»
«Certo che no» risposi «Ma senza dubbio va meglio»
«Odio andare piano» bofonchiò
«Così è piano?»
«Fine dei commenti sulla mia guida. Sto ancora aspettando che...»
«NO!» sbottai.
Al diavolo la cautela,
la prudenza, tutto! Non serviva a niente proteggermi da Edward se lui
finiva puramente per sbaglio contro un muro/albero/cervo casuale e ci
ammazzava entrambi. Volevo vivere. Lui doveva rallentare, altrimenti, giurai a me stessa, avrei trovato un modo per ucciderlo lì dentro.
«Cosa?» Edward divenne serio «Ho detto fine dei commenti sulla...»
«NO!» ripetei «Razza di
deficiente, è importante. Scendi almeno a ottanta chilometri orari.
Mettiti la stupida cintura di sicurezza. Finiscila di fare le curve come
se fossimo in formula uno. Smetti di fare l'esibizionista!»
«Non sono un
esibizionista, Bella» riprese lui, visibilmente irritato «Sono
perfettamente capace di movimenti così veloci che...»
«TU!» lo interruppi «Tu
puoi essere pure Flash. Puoi essere l'incredibile Hulk. Ma la macchina
ha dei tempi di reazione, razza di deficiente! Se perdi il controllo,
non per colpa tua ma perché scivoli chessò so una pozzanghera, e
scivoliamo a cento chilometri orari contro un albero, a voglia di
premere il freno, la macchina ci mette tempo per fermarsi e noi ci
schiantiamo! L'hai capito, razza di deficiente, che il mondo ha delle
regole? Che esiste la fisica? Che l'inerzia ci ammazza tutti e due?».
Parve colpito.
«Ma non mi è successo mai...» Stava per iniziare a dire
«Secondo te me ne può fregare qualcosa? RALLENTA, DEFICIENTE CHE NON CONOSCE LA FISICA!».
Edward rallentò.
Ansimando, mi appoggiai
allo schienale. Mi sentivo un fascio di nervi aggressivo, un ghiottone
che difende un osso da un branco di leoni.
Edward parlò solo dopo
almeno tre minuti di completo silenzio in cui finalmente andavamo
all'accettabile velocità di ottanta chilometri orari.
«Allora» Disse «Come hai scoperto che sono un vampiro?».
Inspirai a fondo. Era
così palese che fosse un vampiro che la domanda corretta sarebbe stata
"come mai nessuno si era accorto che Edward-capellipazzi-Cullen era un
vampiro". Tuttavia mi misi ad elencare quello che sapevo di lui
«Sei pallido come se
fossi molto morto da un mese. Più forte di una persona normale. I tuoi
occhi hanno un colore diverso da quello delle persone normali. Quando a
scuola nominavo il sangue o i vampiri sembravi fuori di testa. Avevi la
bocca sporca di sangue fino a tipo dieci minuti fa. Tu e i tuoi fratelli
non mangiate in mensa, fate solo a pezzi il cibo. Al tocco sei freddo,
come un cadavere. I tuoi genitori sembrano troppo giovani. Tu possiedi
anche la telepatia, che è una caratteristica associata talvolta ai
vampiri. Sembri più a tuo agio di notte che di giorno. Dimmi, per quale
razza di umano avrei potuto scambiarti?»
«È così palese?» domandò Edward, sorpreso al limite dello spavento
«Più palese sarebbe
stato solo se ti fossi messo un mantello nero e rosso a collo alto e
delle zanne finte, Edward. Vivete persino in un'enorme magione all'ombra
di un mucchio di alberi!»
«E questo... ti spaventa?»
«Ho deciso che non mi
importa» dissi «Tanto se mi devi ammazzare può tranquillamente avvenire
perché ci schiantiamo contro un albero. Non sei granché, Edward»
«Non ti importa se sono un mostro? Se non sono umano?»
«Razza di... sei una
persona orribile, ok? Sia come umano che come vampiro. E se vuoi
ammazzarmi per questo, allora combatteremo. ADESSO».
Lui tacque, lo sguardo fisso sul parabrezza. La sua espressione era vuota a fredda.
La sua voce, quando parlò di nuovo, era fredda come la sua faccia
«Preferisco sapere cosa pensi... anche se ciò che pensi è assurdo»
«Mi stai dicendo che mi sbaglio? Che non sei un vampiro?»
«Non intendevo questo. "Non m'importa"» ripeté le mie parole digrignando i denti
«Quindi è così? Sei davvero un vampiro?»
«T'interessa?».
Respirai a fondo.
«Non proprio, come ti ho già detto. Ma sono curiosa. Se posso saperlo è meglio».
Ormai l'avevo capito:
aveva una cotta per me. Gli altri poteva anche ammazzarli, ma io potevo
tirare la corda quanto volevo. Potevo insultarlo sul serio. L'avrei fatto, quando eravamo soli, ma se ci fossero state le mie amiche non avrei osato mai metterle in pericolo.
Edward era un vampiro.
Tutto a un tratto, mi sembrò rassegnato
«Cosa vuoi sapere?»
«Quanti anni hai?»
«Quanti anni hai?»
«Diciassette» rispose istantaneamente
«Non ridere se te lo chiedo, ma... come fai ad uscire di casa quando è giorno?»
«Non mi chiedi da quanto tempo ho diciassette anni?» replicò, con un sogghigno
«Fisicamente ne
dimostri diciassette. Mentalmente ne dimostri quattro scarsi. Che me ne
può importare di quante volte hai fatto il diciassettesimo compleanno?
Sei sempre una schiappa»
«Come sei aggressiva»
«Rispondi alla mia domanda»
«Leggenda» rise
«Non ti sciogli al sole?»
«Leggenda»
«Dormi dentro ad una bara?»
«Leggenda» per un momento esitò, poi proseguì con un tono di voce strano «Io non dormo».
Mi ci volle un minuto intero per digerire quella risposta. Secondo me stava scherzando.
«Mai?»
«Mai» confermò, con un
filo di voce. Si voltò verso di me, mesto. I suoi occhi dorati
catturarono i miei. Sostenni il suo sguardo finché non lo volse altrove.
«Non è possibile» Dissi
«Dormire ci serve per ricordare. È il momento in cui i ricordi entrano a
far parte della nostra memoria a lungo termine. Ci serve per riposare
il cervello. Edward... mi stai mentendo»
«No. E non mi hai ancora fatto la domanda più importante» era di nuovo tornato freddo e sulla difensiva.
«No. E non mi hai ancora fatto la domanda più importante» era di nuovo tornato freddo e sulla difensiva.
Ero ancora imbambolata. Cercai di riprendermi
«Quale sarebbe?»
«Non sei preoccupata della mia dieta?» chiese, sarcastico
«Ah... quella»
«Si, quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue?».
Presi a ridere. Non so
ancora dire se fosse una risata isterica oppure di puro divertimento, ma
fu una sensazione in qualche modo liberatoria, quasi come l'espressione
di Edward che si "sgonfiava", diventando delusa.
«La tua dieta, Edward?»
Domandai fra una risata e l'altra «Oh, andiamo, non ti sciogli al sole!
Non dormi in una bara! Se tu non ti nutrissi di sangue sarebbe ovvio
che tu non sei un vampiro, sei... boh, non lo so, una statua di marmo
vivente... non lo so, ma non un vampiro» ridacchiai «È ovvio che ti
nutri di sangue»
«E non hai paura?»
«Che mi mangi? Certo,
deficiente» la mia voce lo raggiunse come una frustata «Anche se Jacob
mi ha detto che la tua famiglia non è considerata pericolosa, perché vi
cibate solo di animali»
«Ha detto che non siamo pericolosi?» sembrava profondamente scettico
«Non esattamente. Ha
detto che non vi ritengono pericolosi. Ma che per non correre rischi,
ancora oggi i Quileutes non vi vogliono nel loro territorio. E neanche
io vi vorrei nel mio territorio. Offenditi pure, se vuoi, non dirò
"senza offesa"».
Aveva lo sguardo fissò di fronte a sé, ma non ero sicura che stesse guardando la strada. Ero molto preoccupata.
«I Quileutes hanno una buona memoria» Sussurrò.
La presi come una conferma.
La presi come una conferma.
«Non fidarti troppo, però» Aggiunse «Fanno bene a mantenere le distanze. Siamo ancora pericolosi»
«Oh, ci credo. Ma per
buona misura, spiegami in quali altri modi siete pericolosi, oltre al
farmi saltare il sistema nervoso e rapirmi»
«Ci proviamo, ad essere
bravi vampiri» spiegò, lentamente «Di solito riusciamo molto bene in
ciò che facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio,
non dovrei restare solo con te»
«Questo è un errore? Cioè, intendo, ovviamente è un errore per come la vedo io. Ma per come la vedi tu? Dove sta lo sbaglio?»
«Un errore molto pericoloso» mormorò.
A quel punto tacemmo
entrambi. Guardavo i fasci di luce dei fari curvarsi assieme alla
strada. Il tempo scorreva lesto come il paesaggio nero alle nostre
spalle. Le parole di Edward alludevano ad un'idea che non volevo
prendere in considerazione.
«Vai avanti» Chiesi, disperata.
Mi lanciò un'occhiata, stupita dal tono mutato della mia voce
«Cos'altro vuoi sapere?»
«Dimmi perché vai a
caccia di animali, anziché di esseri umani» suggerii. Mi sforzavo di
combattere il senso di pena che voleva prendere il sopravvento.
«Non voglio essere un mostro» parlò a voce bassissima
«Ma lo sei già, Edward. Uno stalker e un vampiro. Essere un mostro è nella tua natura»
«Ma non voglio uccidere»
«Gli animali non ti bastano?»
«Non ho verificato,
ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base di tofu e di latte
di soia. Per scherzare, ci definiamo "vegetariani". Gli animali non
placano del tutto la nostra fame, o meglio la sete. Ma riusciamo a
mantenerci in forze. Il più delle volte» la sua voce tornò minacciosa
«Talvolta è davvero difficile»
«Anche in questo momento?».
Lui sospirò, incassando un po' la testa fra le spalleggiò«Si»
«Però adesso non hai fame» dissi, ed era una constatazione, non una domanda
«Cosa te lo fa pensare?»
«I tuoi occhi. Ho una teoria: ho notato che le persone, soprattutto i maschi, diventano indisponenti quando hanno fame».
Si lasciò scappare una risata leggera
«Sei una brava osservatrice, eh?»
«Ovviamente. Altrimenti
com'è che sono l'unica che si è accorta che sei un cavolo di vampiro?
Allora... lo scorso weekend sei andato a caccia con Emmett, giusto?»
«Si. Non avrei voluto andare via, ma ne avevo bisogno. È più facile starti vicino quando non ho sete»
«Perché non volevi andarci?»
«Starti lontano... mi
rende... ansioso» Il suo sguardo era dolce ma intenso e mi confermava
che ci avevo azzeccato sulla cotta «Non scherzavo, quando ti ho chiesto
di badare a non cadere nell'oceano o a non farti investire, giovedì. Per
tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero. E dopo stasera, mi
sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend senza farti un graffio»
Scosse il capo
«Razza di scemotto»
dissi «A tutti gli esseri umani capitano cose. A te è capitato di
diventare un vampiro, che è assai peggio di essere assalito da un
borseggiatore. Con una differenza, scemotto: io e le mie amiche ce la
siamo cavata benissimo, mentre tu... guardati! Sei un vampiro tormentato
che non può fare una dieta decente»
«Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho rischiato di far saltare i nervi a Emmett» mi rivolse un sorriso dolente
«Meglio a lui che a me.
Senti, Edward, la verità è che io me la cavo benissimo da sola. Tu sei
l'unico problema. Ti basta... stare lontano da me e non dovrai più
preoccuparti. Tutta la tua ansia non ha il benché minimo senso.
Aspetta... tre giorni? Non siete tornati oggi?»
«No, siamo a casa da domenica»
«Ma allora perché nessuno di voi è venuto a scuola? Al vostro posto c'era un poster»
«Davvero?»
«Davvero. E nessuno si è
accorto che voi mancavate e che al vostro posto c'era un foglio
bidimensionale finché non gliel'ho fatto notare io»
«Non ci credo»
«Liberissimo di non crederci, ragazzo vampiro. Comunque, perché non siete venuti a scuola?»
«Mi hai chiesto se il
sole mi fa male e ti ho risposto di no. Però non posso espormi alla sua
luce... perlomeno non in pubblico»
«Perché?»
«Un giorno ti farò vedere, te lo prometto».
Ci pensai un istante.
Perché mai un vampiro non può esporsi alla luce solare, se la luce non
lo scioglie e non lo ustiona? Forse gli fa avere qualche tipo di
reazione che non gli fa male, ma che è orribile a vedersi per gli
altri...
«Ci sono» Dissi «Quando i raggi del sole diretto vi illuminano, si vede cosa siete in realtà»
«Cosa siamo in realtà?» chiese, con un sorrisetto sghembo
«Si. Che siete dei
mostri, in realtà. Si vedrebbero le vostre orecchie a punta, i vostri
occhi rossi, i vostri denti lunghi... tutte quelle cose che vi fanno
riconoscere come vampiri. Giusto?».
Lui scosse la testa, divertito.
L'oscurità e il
silenzio ci avvolsero per un tratto di strada, eccetto per le fusa del
potente motore della Volvo (che prima o poi gli avrei smontato pezzo per
pezzo e fatto ingoiare a forza, me lo sentivo).
«Dimmi una cosa» Chiese dopo un altro minuto, sforzandosi palesemente di assumere un tono più leggero
«Parla»
«Cosa stavi pensando stasera, prima che arrivassi io?»
«Cercavo di ricordare
come si mette fuori combattimento un assalitore... insomma,
l'autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel
cervello».
Sentii una fitta d'odio ripensando all'uomo con i capelli scuri.
«Li avresti affrontati?» Questo lo sbalordiva «Non pensavi di scappare?»
«Stai scherzando, scemotto? Noi li abbiamo affrontati.
Certo... solo Jessica li ha colpiti davvero... ma ci è bastato fare
scena. Stava arrivando gente. Edward, abbiamo vinto, certo che li avrei
affrontati. Anche se avevo il cuore a mille» mi poggiai una mano sul
petto «Non mi sono mai scontrata con nessun criminale, prima d'ora. È
una sensazione così strana»
«Chiedere aiuto con un urlo?»
«Abbiamo gridato come
pazze, scemotto. Non si chiede aiuto con un urlo e poi si sta fermi ad
affrontare l'ineluttabile. Non funziona così. Si combatte nella
vita...».
Scosse la testa «Hai ragione, cercare di tenerti in vita vuole dire davvero lottare contro il destino»
«Che razza di scemo»
commentai «Tu avresti voluto vedermi ferma a urlare? O a cercare di
scappare senza riuscirci? Tutti sanno che le prede meno appetibili sono
quelle che combattono»
«Per noi vampiri sono le più appetibili»
«Per noi vampiri sono le più appetibili, gni gni gni» lo
scimmiottai, imitando i canini con le punte degli indici «Noi vampiri
siamo brutti e cattivi, gni gni gni. Beh, peccato che quelli fossero
umani. Ragazzi umani che le hanno prese di santa ragione e che hanno
avuto paura e che sono scappati, Eddie. Tu sei l'unica nota stonata
nella mia vita».
Sospirai. Rallentavamo ancora, stavamo entrando dentro Forks.
«Ci vediamo domani?» Chiesi «Spero di no...»
«Si... anch'io devo consegnare un saggio» sorrise «Ti tengo il posto, a pranzo».
Era assurdo, dopo tutto
quello che avevamo passato nelle ore precedenti, che quella piccola
promessa/minaccia mi facesse sentire lo stomaco sottosopra e fui
incapace di aprire bocca.
Eravamo giunti davanti a
casa mia. Le luce erano accese, il pick-up parcheggiato, tutto
assolutamente normale. Fu come svegliarsi da un sogno incredibilmente
sgradevole.
L'auto si fermò e
dovetti rimanere ferma per alcuni istanti prima di capire che era
finita, ero davvero di nuovo a casa mia dopo quella giornata troppo
sopra le righe.
Rimasi come paralizzata con la mano sulla portiera quando Edward parlò di nuovo-vecchio «Bella?»
«Si?»
«Mi prometti una cosa?»
«Si».
Lo dissi perché sapevo
di poter spezzare quella promessa quando volevo: non è una vera promessa
quando lo dici solo per salvarti le penne da un vampiro psicopatico.
«Non andare nel bosco da sola»
«E perché mai?».
Si fece scuro in viso e rivolse uno sguardo aguzzo dietro di me, oltre il finestrino.
«Diciamo che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione».
L'improvvisa tetraggine della sua voce, a cui avrei dovuto essere abituata, mi provocò invece un brivido... ma poco importava.
«Come vuoi»
«Ci vediamo domani» disse, con un sospiro, e capii che voleva che ci salutassimo così
«Hmm. A domani» risposi controvoglia, aprendo la portiera
«Bella?». Mi cominciai a
girare d'istinto, ma poi ci ripensai un po'. La conversazione era
finita, e io non ce la facevo a dargli corda quando avevo casa e
sicurezza proprio sotto gli occhi.
«Passa bene la tua notte da vampiro, Eddie. E per favore, smetti di venire a guardarmi dormire»
«Sogni d'oro» sussurrò
lui alle mie spalle, e sentì il suo fiato freddo sul collo. Non volevo
vedere come si era proteso verso di me, perciò uscii e chiusi la
portiera alle mie spalle.
Mi sembrò di sentirlo ridere, ma il suono era troppo soffocato per esserne certa.
Attese finché non
raggiunsi l'entrata, dopodiché lo sentii avviare il motore. Rimasi a
guardare l'auto argentea sparire dietro l'angolo. Allora mi resi conto
che faceva davvero freddo.
Meccanicamente frugai
in cerca della chiave, sempre nascosta nel posticino prevedibile e
favorito di papà, aprii la porta ed entrai.
I colori e il profumo
di casa mia sciolsero il nodo di muscoli dolorante che non mi ero
accorta il mio corpo era diventato, e con mio sommo orrore mi resi conto
che per qualche motivo mi sentivo pronta a mettermi a piangere.
Dal salotto, Carlo mi chiamò «Belarda?»
«Si, papà, sono io».
Tirai dei sospiri, ad occhi chiusi, per calmarmi. Cercai di ancorarmi
alla realtà materiale intorno a me, che non mi dava nessun motivo per
piangere, in cui ero al sicuro. Inspirai. Espirai. Andai incontro a
papà, che stava guardando una partita di baseball.
«Sei in anticipo»
«Davvero?». Fui fiera di come la mia voce suonasse solamente un filo più profonda, e papà non si accorse del mio stato d'animo
«Non sono nemmeno le otto. Vi siete divertite?»
«Si, le ragazze sono
fantastiche» La testa mi girava, mentre cercavo di capire cosa gli avrei
potuto dire e cosa no «Hanno trovato dei bei vestiti, e siamo andate in
giro e a mangiare assieme. Anche se Angela ha ordinato della pizza con
l'ananas».
Frivolezze. Le
frivolezze andavano bene, era un terreno sicuro. Potevo parlargli di
Edward e dei miei assalitori, o lo avrei solo messo in pericolo? Quanta
voglia di parlarne a qualcuno.
«Tu stai bene»
«Sono un po' stanca. Ho
camminato molto». Feci il giro e andai ad accoccolarmi accanto a papà,
abbracciandolo. Lui non si aspettava una dimostrazione improvvisa dalla
sua figlia quasi maggiorenne (una cosa un po' triste, a pensarci), e
ricambiò goffamente il mio abbraccio.
«Sicura?»
«Mi sei mancato un po'. E... si. Si, sto bene»
«Forse è il caso che ti riposi». Sembrava preoccupato. Chissà che espressione avevo.
«Prima volevo chiamare Jessica»
«Ma non eri con lei fino ad un attimo fa?»
«Si... ma ho lasciato il giaccone nella sua auto. Non vorrei che domani si scordasse di riportarmelo»
«Va bene, ma almeno aspetta che sia tornata a casa»
«Giusto». Entrai in
cucina e mi lasciai cadere su una sedia, esausta. Mi sentivo davvero
scossa adesso. Forse la crisi di panico stava arrivando a scoppio
ritardato; mi sforzavo di mantenere il controllo.
Il trillo improvviso del telefono mi fece sobbalzare e sollevai la cornetta rischiando di strapparla
«Pronto?» risposi senza fiato
«Bella?!»
«Ehi, Jess! Stavo per chiamarti»
«Oh, grazie al cielo. Ce l'hai fatta a tornare?» si sentiva tutto il sollievo nella sua voce, e una punta di incredulità che distorse la sua frase in una domanda
«Oh, grazie al cielo. Ce l'hai fatta a tornare?» si sentiva tutto il sollievo nella sua voce, e una punta di incredulità che distorse la sua frase in una domanda
«Si. Ho lasciato la giacca nella tua macchina: domani me la riporti? Magari vieni da me?»
«Certo! Ma, Belarda Cigna, devi raccontarmi tutto!».
«Ehm... domani a trigonometria, d'accordo?».
Lei capì al volo. «Oh, tuo padre è in ascolto?»
«Esatto»
«E non vuoi che lo venga a sapere così»
«Infatti»
«Raccontami tutto via SMS, Bella. Devo sapere»
«Ciao, Jess».
Salii le scale
lentamente, con la testa avvolta in una nuvoletta di intontimento.
Salutai Dracula, che mi si strusciò subito addosso, confortandomi.
Ignorai la chiamata di Mike, rispondendo con l'invio dell'immagine di un
gattino acciambellato sulla luna che augurava la buonanotte, e
rassicurai Angela sul fatto di star bene, ma aggiunsi sinceramente che
non ce la facevo a parlarne adesso.
Mi preparai ad occupare
il letto, probabilmente senza dormirci, con gesti meccanici,
inconsapevoli. Soltanto sotto il getto bollente della doccia mi resi
conto del freddo che sentivo addosso: per parecchi minuti tremai
violentemente, prima di riuscire a rilassare i muscoli sotto il getto
vaporoso.
Esaurita l'acqua calda,
mi affettai ad uscire trascinandomi fuori dalla doccia stretta
nell'asciugamano, per non far fuggire il calore che avevo addosso e
proteggermi dai brividi. Indossai in un baleno il pigiama e arrancai
sotto le coperte, rannicchiata, per scaldarmi. Sentii qualche ultimo
accenno di tremore.
Poi mi ricordai dell'ultimo "ordine" che Jess mi aveva dato durante la nostra conversazione.
«Raccontami tutto via SMS, Bella. Devo sapere».
Io lo feci, lasciando
fuori la grossa porzione su vampiri e compagnia, che non faceva comunque
perdere di peso al racconto; subito lei mi richiamò per riprendere da
dove avevamo finito.
«Oh Bella» Disse lei «È
terribile! Devi dirlo a tuo padre. Ti ha praticamente rapita due volte
in un giorno, e chissà che ha fatto a quei tizi! Io e Angela ti
sosterremo, confermeremo le tue versioni, possiamo farlo mettere in
prigione»
«Jess... ho paura»
ammisi «Sembrava pazzo, ossessionato. E la sua famiglia ha un mucchio di
soldi... se anche lo mettiamo in prigione, pagheranno la cauzione, lui
sarà fuori e allora anche i suoi fratelli e sorelle psicopatici ce
l'avranno definitivamente con me. Che diamine faccio?».
Il silenzio che seguì la mia domanda, a cui volevo veramente una risposta, mi fece sprofondare il cuore.
«... Bella» Fece lei,
insicura. Potevo praticamente vederla, a mordicchiarsi il labbro
inferiore alla ricerca di una risposta «Troveremo una soluzione,
davvero. Forse bisogna cominciare ad evitarlo, a non dargli confidenza. E
se lo ignorassi?»
«Sarebbe peggio» dissi,
sicura e cupa «Vuole la mia attenzione. Ha una specie di cotta malata.
In un modo o nell'altro se la prenderebbe. Ho paura»
«Ci inventeremo qualcosa. Intanto non venire a scuola domani, bisogna evitarlo, e tu devi riposare senza stressarti»
«Mi ha detto che ci
saremmo visti a scuola domani» le riferii. Mi odiai per quelle parole,
per il desiderio di compiacere il pazzo sperando che non mi avrebbe
fatto nulla di male. Ma non avevo alcuna intenzione di diventare il suo
cagnolino fedele.
«Non importa, diremo che stavi male»
«Io... sto male, Jess»
Dissi. Era un'improvvisazione, e a parte il fatto che davvero non ero
tranquilla e la tensione cominciava a pesarmi sullo stomaco, sapevo che
avrebbe giocato a mio favore domani in classe se lei lo avesse veramente
pensato. Eddie coso le avrebbe letto nel pensiero che era la verità «Mi
viene un po' da vomitare. Forse è lo shock, o forse mi sono buscata
qualcosa, non saprei»
«Sarà lo shock»
«Più facilmente è un'influenza. Ora sto meglio. Grazie, Jess, sei un'amica»
«Riposa, Bella».
La chiamata finì. La
testa mi girava come una giostra, ero piena di immagini incomprensibili,
alcune cercavo di reprimerle. A prima vista niente sembrava chiaro, ma
più mi avvicinavo a uno stato di incoscienza, più emergevano alcuni
punti fermi.
Di tre cose ero del tutto certa, riguardo questa situazione incasinata.
Primo, Edward era un
vampiro. Secondo, una parte di lui – chissà quale, e quanto importante –
era uno psicopatico possessivo ed emofago. Terzo, era totalmente,
incondizionatamente innamorato di me.
Con questi tre punti
saldi in testa, neanche le fusa di Dracula mi avrebbero mai fatta
dormire. Mi aspettavo ogni secondo di vederlo comparire a fissarmi dalla
finestra, e non osavo chiudere le tendine per paura di non sapere se
era davvero lì o no.
Mike mi inviò l'immagine
animata di un cagnolino che si avvolgeva in un lenzuolo, con una
scritta bianca che lampeggiava augurandomi la buonanotte.
Alla fine mi rassegnai, e scesi dal letto.
Era venuto il momento di fare una chiacchierata con papà.
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Note degli autori:
Se credete che sapevamo che prima o poi questo libro avrebbe avuto un
capitolo serio, sulle crisi di panico e su come trattare gli
psicopatici... vi sbagliavate. Non avevamo idea che saremmo arrivati a
tanto, né che tanta serietà si sarebbe insinuata nella storia. Urca, c'è
più tensione di un thriller. Speriamo di aver trattato bene questa
tematica delicatissima (al contrario di come avviene in Twilight, dove
Bella lancia cuoricini verso il suo stalker-vampiro).
Comunque non
preoccupatevi: la storia tornerà umoristica/di avventura al più presto!
Ma sempre nei limiti del "realismo", non vi preoccupate: anche se ci
sarà tanto sovrannaturale, con vampiri e licantropi, le persone e le
leggi della fisica rimarranno miracolosamente coerenti!
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Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su
wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere
direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui
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