lunedì 12 marzo 2018

Sunset 15. La Tana del Mostro



Dracula era acciambellato sulle mie gambe, incurante e forse ignaro della paura fredda che mi serpeggiava tra le viscere. Speravo ne fosse ignaro, perché non era un bel modo di consolarmi, leccarsi un piede.
Era passata una settimana da quando Cullen ci aveva fatti protagonisti della scenata del parcheggio, e qualcuno doveva avere veramente contattato suo padre perché si era tenuto apparentemente alla larga da me. Era perfettamente distaccato durante le lezioni agli occhi degli altri, mi stava alla larga, era più taciturno sperando di apparire irreprensibile. Con mio enorme sollievo, non eravamo più seduti insieme a biologia: ero stata spostata con Angela, che non sembrava dispiaciuta del cambio di compagna di banco.
Tuttavia non erano mancate le occhiate di freddo veleno in corridoio e in sala mensa. Talvolta percepivo i suoi passi felpati nei percorsi che seguiva brevemente dietro di me, sebbene sapessi perfettamente che non dovevamo andare nella stessa direzione. La pelle d'oca minacciava di affacciare ogni volta che mi giravo per farci i conti, o semplicemente per controllare che fosse veramente lì, e si era volatilizzato.
Sembrava che non gli importasse più di nascondere il suo segreto a me, solo agli altri, e ancora una volta, nessuno si accorgeva che c'era qualcosa di veramente sbagliato in Edward Cullen. Sentivo il sangue martellare nelle orecchie e il cuore in gola ogni volta, ma non avevo prove che lui davvero fosse in grado di sparire e riapparire altrove, come faceva nei corridoi, come aveva fatto per mettersi sulla traiettoria del furgoncino di Tyler, quel freddo giorno che pareva di secoli fa.
Finivo sempre per cercare di bandire quelle considerazioni dalla mia mente, andare da brava studentessa in classe, e prendere appunti contornati da disegnini inquietanti.
Dracula alzò lo sguardo verso di me, ponderando.
Lo vidi solo con la coda dell'occhio, perché non riuscivo a staccare gli occhi dalla registrazione della webcam notturna. Riavvolsi nuovamente il video, come ipnotizzata.
La lente aveva catturato con discreta fedeltà l'immagine di me che mi dilungavo in lunghe chiacchierate notturne, avvolta nel bozzolo colorato del mio pigiama e delle coperte. Non sapevo come classificare questa cosa, non era vero e proprio sonnambulismo; non mi ero mai fatta una passeggiata nel sonno, ma sembrava che io avessi sempre qualcosa da dire durante la notte.
A volte dicevo solo frasi sconnesse, a volte sciorinavo fluenti conversazioni terribilmente rivelatrici.
In un tempo che mi pareva lontanissimo, mamma si era molto divertita a filmarmi, quand'ero ancora a casa con lei, e farmi vedere le immagini la mattina dopo, trovando davvero delizioso il mio imbarazzo. Da allora mi ero sentita ancora più vulnerabile di quanto lo fossi prima nel sonno.
Nel video che stavo guardando, la stanza era ampiamente illuminata dalla finestra che lasciava entrare i raggi lunari, dando un aspetto ancora più spettrale alla mia pelle, come una delle mogli di Dracula. Il Dracula nel video, però il mio gatto, che era acciambellato sulla mia pancia a sonnecchiare, aveva drizzato le orecchie ancora addormentato, cominciando a sciabolare la coda.
Poi una figura scura era risalita dalla finestra.
Avevo già visto più volte quelle immagini, ma sentii comunque quell'orribile sensazione di ansia strisciante... E non metaforicamente. Come sentirsi osservati, come se le mani fredde di qualcuno mi avessero accarezzato la schiena e le braccia. Si era mosso in modo innaturale, troppo veloce, troppo forte. Un braccio non poteva sostenere in quel modo il peso di quella creatura bipede, allampanata e smilza.
Agile come un ragno, ma troppo diverso. Non avrebbe potuto fare una cosa del genere.
Eppure eccolo lì, appollaiato alla mia finestra.
La sua testa si era piegata appena, come un gufo.
In un'immobilità del tutto innaturale, la pelle di alabastro illuminata dalla luna. Avevo visto per un frame il luccichio di occhi dorati.
Eccolo ad appiccicarsi al vetro, a guardarmi mentre io dormivo, mentre io dicevo ogni cosa mi passasse per la mente. Mentre io non avrei mai potuto difendermi se avesse deciso di entrare, non avrei avuto risposte sarcastiche per lui, non avrei... Avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa.
Ero terrorizzata.
Si era alzato, appoggiandosi alla vetrata molto leggermente, per non lasciare impronte. Il suo fiato non aveva appannato il vetro, e non potei fare a meno, disturbata, di ripensare al suo fiato che non aveva mai creato nuvolette calde di condensa nell'aria gelida.
Come se l'aria non si riscaldasse, passando dai suoi polmoni.
«Dracula» Mormorai e il mio gatto smise per un istante di pulirsi i piedi e guardò anche lui lo schermo.
Entrambi vedemmo la figura alla finestra rimanere immobile per ancora qualche istante, così immobile da sembrare una statua, per poi scendere nella mia stanza con un salto leggero.
Era stato nella mia stanza. Era stato nella mia stanza. Mentre dormivo, quello era stato nella mia stanza.
Il Dracula del video aprì gli occhi di scatto (brillavano fiocamente, come due led) e si alzò in piedi, emettendo un miagolio soffocato. Con un passo che avrei riconosciuto fra un miliardo, il passo di un ragazzo che si crede il re del mondo, la figura scura avanzò verso di me e il gatto e allungò una mano come per rabbonire Dracula: mi accorsi che c'era qualcosa fra le sue dita che penzolava, forse un pezzettino di carne per fare stare zitto il gatto.
Ovviamente, Dracula non accettò il cibo e, come faceva tutte le notti, iniziò a miagolare per avvertirmi, balzando indietro, con le orecchie appiattite.
Mugolai nel sonno, poi mi agitai un momento prima di svegliarmi.
Un istante prima che lo vedessi svegliandomi, il mio misterioso visitatore notturno si era gettato con un balzo inumano fuori dalla finestra.
Stritolai il mouse del computer con forza e lo sentii scricchiolare nel mio pugno sudato.
«Edward Cullen» Ringhiai fra i denti.
Ero sconvolta e spaventata, ma soprattutto sconvolta. Quello nel video era chiaramente Edward Cullen che si era introdotto durante la notte nella mia stanza: la sua altezza, la sua camminata, la sua sagoma e soprattutto i suoi inconfondibili capelli erano tutti corrispondenti.
«PAPÀ!» Gridai, cercando di non suonare allarmata «PAPÀ, VIENI A VEDERE UNA COSA!».
Ci vollero alcuni minuti perché Carlo mi raggiungesse in camera, senza troppa fretta
«Stavo facendo una cosa» mi disse, vago ma compiaciuto «Cosa vuoi farmi vedere?»
«Ho messo una webcam in questa stanza»
«Ah. E perché?» chiese lui, perplesso
«Perché ogni notte Dracula mi svegliava»
«Detto così fa rabbrividire» scherzò lui «Ogni notte un vampiro ti sveglia, eh ehe»
«Non riderai dopo che vedrai cos'è che svegliava Dracula...».
Papà si fece immediatamente serio, anche un po' preoccupato, ma la sua espressione divenne di puro orrore e indignazione quando gli feci vedere il pezzo della registrazione in cui un ragazzo entrava con una facilità mostruosa nella mia camera e poi se ne andava saltando come un trapezista matto.
«Oh no. Dobbiamo scoprire chi è, Belarda. Dobbiamo scoprire chi è immediatamente, è pericoloso... dobbiamo indagare e...»
«So già chi è, papà» risposi, seria «Quel ragazzo è Edward Cullen».
Carlo mi guardò con intensità
«È un'accusa grave, lo sai?» chiese lui «Se non è stato lui, e tu lo accusi...»
«È stato lui» tagliai corto «Conosco il suo taglio di capelli, la sua altezza, il modo in cui cammina. E sai benissimo che l'altro giorno ha provato a rapirmi. È pazzo, papà. È completamente ossessionato da me e non so neanche perché»
«Andiamo a parlare con i suoi genitori. Subito. E poi facciamo un ordine restrittivo».
Copiammo il filmato incriminato su una pennetta USB (e lasciai anche una copia di backup a caricarsi online, per sicurezza), ci preparammo e scendemmo. Decisi di portare con me Dracula: avevo paura a lasciarlo da solo in casa senza di me, con quel matto di Cullen ancora a piede libero che entrava nella mia stanza quando gli pareva con la facilità con cui si mangia una caramella.
Uscimmo dalla città, con papà al volante dell'auto della polizia, e mi resi conto di non avere idea di dove Edward vivesse. Oltrepassammo il ponte sul fiume Calawah e proseguimmo lungo le curve della strada che puntava verso nord; le case che ci sfrecciavano accanto si facevano sempre più rare e grandi. Superate le ultime abitazioni, ci ritrovammo praticamente in mezzo alla foresta nebbiosa.
Ero indecisa se fare domande o essere paziente, quando all'improvviso papà deviò su una strada sterrata, non segnalata e appena visibile in mezzo a due enormi cespugli spinosi. Si inoltrava nella foresta, tra la vegetazione che consentiva una visibilità di pochi metri appena, e serpeggiava in mezzo agli alberi secolari.
Poi, dopo qualche chilometro, il bosco iniziò a diradarsi e ci ritrovammo in una piccola radura, o forse addirittura un giardino poco curato e ben mimetizzato.
L'oscurità della foresta, però, non veniva meno perché l'intrico dei rami di sei antichissimi cedri del libano faceva ombra su un acro intero. L'ombra protettiva degli alberi giungeva fino alle mura della casa che svettava in mezzo e rendeva inutile l'ampia veranda che circondava il primo piano.
Non avevo pensato a cosa mi aspettassi, ma rimasi comunque sorpresa. La casa era senza tempo, decorosa, probabilmente vecchia di un secolo, e sembrava un posto meraviglioso in cui vivere, una culla di ispirazione e di leggende. Era dipinta di un bianco leggero, stinto, alta tre piani e ben proporzionata. Le finestre e le porte erano originali oppure perfettamente restaurate.
La nostra macchina era l'unica in vista.
Sentivo il fiume scorrere nei dintorni, nascosto nell'oscurità della foresta.
«Accidenti» Dissi, a voce un po' troppo alta, facendo sobbalzare Dracula che mi stava in grembo.
Papà non disse nulla, aprì la portiera e scese. Lo seguii (lasciando in macchina il gatto) e attraversammo l'ombra, fitta e scura, fino alla veranda. Inspirai a fondo: l'aria aveva un odore balsamico, come di pini e menta piperita.
Papà bussò alla porta, poi esclamò in tono autorevole
«Ispettore Cigna!».
Ad accoglierci alla porta vennero entrambi i genitori di Edward. Certo, avevo già conosciuto il dottor Cullen, ma non potevo non essere sorpresa dal suo aspetto giovanile, dalla sua sfacciata perfezione. Al suo fianco c'era Esme, l'unica che non avessi mai visto tra i familiari di Edward. Aveva gli stessi tratti pallidi e bellissimi di tutti loro, ma qualcosa negli sbuffi di capelli soffici, color caramello, e nel suo viso a cuore mi ricordava le svampite dei film muti. Era minuta, esile, ma non per questo ossuta, anzi, pareva più rotonda dei suoi figli (che comunque sembravano progettati al computer per quanto erano poligonali, quindi non c'era di che sorprendersi). Entrambi erano vestiti in maniera informale, con colori chiari che si accompagnavano bene alle tinte della casa.
Ci diedero il benvenuto con il sorriso, poi Carlisle disse
«Ispettore Cigna, qual buon vento?»
«Quale cattivo vento» borbottò mio padre «Tuo figlio, dottor Cullen. Tuo figlio ha fatto davvero qualcosa di terribile»
«Non di nuovo» disse lui. Lessi una tristezza indicibile sul suo volto bellissimo: quel figlio era un disastro che non faceva altro che dargli dispiaceri ed ero quasi certa che fosse pentito di avere adottato proprio lui invece di un bimbetto un po' meno schizzato.
«Entrate pure» Ci invitò Esme, con un gesto teatrale della mano.
L'interno della casa era ancora più sorprendente, meno prevedibile dell'esterno. Era molto luminoso, arioso, ampio. Probabilmente in origine si trattava di una casa con molte stanze, ma le pareti divisorie del primo piano erano state quasi tutte abbattute per renderlo uno spazio unico. Sul tetto si apriva una enorme vetrata, e oltre l'ombra dei cedri il sentiero procedeva scoperto fino all'ampio fiume. Sul lato occidentale della sala spiccava una massiccia, lucente scalinata curvilinea. Le pareti, il soffitto a volta, il pavimento di legno e i grossi tappeti erano tutti di diverse tonalità di bianco.
Sulla sinistra c'era un rialzo, occupato da uno spettacolare pianoforte a coda, e seduto a quel pianoforte c'era proprio lui, il vandalo, il criminale, capelli-pazzi, Edward Cullen. Strinsi i denti.
Esme ci fece accomodare su una poltrona bianca, dove affondai morbidamente. Ah, pace per i miei lombi stanchi!
I due coniugi Cullen si sedettero in due diverse poltrone di fronte a noi, con facce preoccupate quasi identiche.
«Sei venuta a trovarmi!» Esclamò Edward, nonostante nessuno di noi gli avesse neanche rivolto la parola
«Tu sta lontano da mia figlia!» scattò papà, trattenendosi per non scattare in piedi
«Ma... signor Cigna...» balbettò Edward, fermandosi sul posto «Perché?»
«Hai anche il coraggio di chiedere perché?»
«Chiedo perdono, signore, ma non so cosa ho fatto...»
«Sai benissimo cosa hai fatto, stalker!».
I suoi genitori lo guardarono con rimprovero, al che Edward scrollò le spalle e scosse la testa
«Non ho fatto niente» disse.
Esme, in tono cinguettante e conciliante, chiese a mio padre
«Ispettore Cigna, dobbiamo saperlo, c'è la sicurezza, al cento per cento, che si tratta del nostro ragazzo?»
«Belarda?» domandò papà, guardandomi, con gli occhi che gli brillavano da "ce li abbiamo in pugno".
Estrassi dalla tasca la chiavetta USB e la sollevai fino all'altezza degli occhi di mamma Cullen
«Non c'è che da vederlo» dichiarai «Lo saprete di certo identificare, siete i suoi genitori»
«Non ho fatto niente» ripeté Edward, stavolta con un sorriso beffardo «Che cosa c'è lì dentro? Una fotomanipolazione? Una foto ambigua? Sai benissimo che non ho...»
«C'è un video» lo interruppe mio padre, serio «In cui tu entri nella stanza di mia figlia di notte. E abbiamo modo di pensare che non sia la prima volta, ma che sia un fatto reiterato nel tempo. Notte dopo notte».
Tutta la spavalderia di Edward si sciolse: lo avevamo beccato.
Carlisle ci rivolse uno sguardo carico di colpa
«Mi dispiace così tanto» disse «Mi dispiace davvero tantissimo di quello che ha fatto mio figlio. Non abbiamo bisogno di vedere il video. Crediamo alla vostra versione»
«Molto bene» disse mio padre, drizzando la schiena «E voi capite che questa azione non può rimanere impunita. Vostro figlio sta molestando mia figlia ormai da un po', prima ha cercato di rapirla, adesso entra nella sua stanza di notte... devono essere presi dei provvedimenti»
«Che genere di provvedimenti?» chiese Esme, spaventata, allungando una mano verso Carlisle per farsela stringere
«Un ordine restrittivo» disse mio padre «Voi siete i suoi genitori, conto che sappiate farglielo rispettare»
«Edward è un ragazzo molto indipendente» pigolò Esme «Non sempre riusciamo a fargli fare quello che vorremmo. Noi non lo controlliamo»
«Ho visto» commentò Carlo, arrabbiato «Ma l'ordine restrittivo sarà emesso. Edward potrà avvicinarsi a mia figlia Belarda solo durante l'orario scolastico e ad una distanza non inferiore di quattro metri da lei. Se lo becchiamo ad infastidirla ancora, giuro per quanto è vero che mi chiamo Carlo, il vostro figliolo sarà il primo Cullen di questa famiglia a finire in prigione».
Esme e Carlisle guardarono entrambi verso Edward: la madre aveva uno sguardo triste e compassionevole, come se desiderasse davvero non stare guardando quel relitto che aveva per figlio, mentre Carlisle era più cupo e fulminava la sua scellerata progenie nel vano tentativo di correggerlo solo con gli occhi.
«Io voglio vedere il filmato» Disse Edward, in un'ultima, debole ribellione «Secondo me non ce l'hanno».
Carlisle si alzò e si allontanò per andare a prendere un MacBook (e te pareva!) bianco come il pelo di un maremmano (e te pareva 2.0!) e quando tornò a sedersi quello era già acceso. Gli consegnai la chiavetta e lui la infilò con cautela nella fessura, poi smanettò un po' con il mouse a membrana e infine aprì il filmato (l'unico video, rinominato "Eduardo Stolker") e girò lo schermo verso tutti noi, perché potessimo guardare.
Edward si riconobbe all'istante, era chiaro da come boccheggiava, come una trota presa all'amo, tuttavia dopo alcuni secondi disse
«Non avete le prove che quello sia io. Il filmato è troppo sgranato, vedete?»
«Non ne hanno le prove» ingiunse Carlisle, annuendo «Ma quello sei tu oppure no, Edward?».
Suo figlio lo guardò e rimasero immobili a fissarsi negli occhi, con due espressioni completamente diverse fra loro, il primo di sfida e rimprovero, il secondo completamente mortificato. Dicono che se due persone si guardano per più di otto secondi dritti negli occhi vuol dire che vogliono andare a letto insieme oppure vogliono ammazzarsi. Io non giudico, date voi un'interpretazione a questo fatto.
Ad un certo punto la situazione si fece così imbarazzante che mio padre si alzò e disse
«C'è il gatto in macchina, vado a controllare un attimo come sta e torno subito» per poi scappare a gambe levate, probabilmente desideroso di non essere lì quando Edward e il suo padre adottivo si fossero scannati (o avessero preso a baciarsi, chi lo sa com'è la vita...).
Non appena papà fu fuori dalla portata del suono delle nostre voci, Edward dichiarò spavaldo
«Distruggiamo il video. Non avranno alcuna prova contro di me».
Io e Carlisle parlammo contemporaneamente
«Ho una copia di backup sul computer e una sul cloud online» «Io ti ammazzo, figlio sciagurato».
Ecco, ora sapevo che cosa voleva fare Carlisle con suo figlio. Restava l'incognita di cosa suo figlio volesse fare con lui.
«Carlisle» Disse Edward «Non possiamo permetterci che mi diano un ordine restrittivo...»
«Perché, che sei, speciale perché sei ricco?» Borbottai
«Figliolo, te lo sei meritato» ingiunse Carlisle «Non ti ho educato perché tu molesti le ragazze»
«Io non ho molestato nessuna, papà!» ribatté Edward, furioso
«Edward, figliolo, tutta la scuola ti ha visto la prima volta. E adesso ci hanno portato un video. Credi davvero di non essere un molestatore?».
Esme, che era chiaramente lì solo come oggetto-mamma, non disse nulla per tutto il tempo mentre suo marito e suo figlio prendevano a litigare con un'asprezza di toni e di intenzioni che tradivano una grande delusione da parte di entrambi.
Quando mio padre ritornò, magicamente Edward e Carlisle smisero di litigare.
«Vi offro una tazza di tè? Un succo di frutta?» Domandò Esme, in tono gentile e svampito insieme
«No, grazie» rifiutò mio padre «Allora, adesso andrò in centrale. Edward dovrà venire con me e vedere l'ordine restrittivo. Va bene?»
«Va bene» confermò Carlisle, mentre smontava la mia chiavetta dal suo laptop immacolato e me la riconsegnava docilmente «Edward, figliolo, va con loro»
«Perché Alice non mi ha detto niente, papà?» domandò lui, a voce bassissima.
Suo padre non rispose e mi parve un non-scambio di battute assai strano. Che c'entrava ora sua sorella Alice? Ma d'altronde non è che Edward dicesse molte cose sensate nella vita, quindi non avrei dovuto stupirmi.
Mamma e papà Cullen ci accompagnarono fino alla porta, poi noi tre, io, Carlo ed Edward, salimmo in macchina. Non appena capelli-pazzi poggiò le sue pallide chiappe sul sedile posteriore dell'auto, Dracula diede di matto ed iniziò a miagolare e a girare su sé stesso, con le orecchie appiattite contro il cranio e la coda che gli frustava ripetutamente i fianchi.
«Bel micetto» Commentò Edward.
Io e papà lo ignorammo mentre procedevamo a ritroso lungo l'infinito sentiero fra gli alberi, ma Dracula non riuscì a fare altrettanto e i suoi miagolii si fecero sempre più alti e lamentosi, finché non iniziò a salivare ed ansimare con la bocca aperta, come un cane, fra un miagolio e l'altro.
«Fermiamoci un attimo, papà» Dissi «Mi sembra che non si senta tanto bene».
Ci fermammo e non appena aprii la portiera dell'auto, Dracula corse fuori e vomitò in un cespuglio, poi scavò una buchetta e fece cacca e pipì.
«Fai andare di corpo i gatti» Dissi, rivolta ad Edward. Lui mi rivolse un sorriso che probabilmente reputava affascinante.
Mio padre sospirò
«Che facciamo ora, con il gatto?» chiese, preoccupato
«Non lo so. Ho letto da qualche parte che se lo mettiamo in una scatola si calma».
Edward fece una delle sue risatine da "so-tutto-io", ma ovviamente non disse una parola perché non sapeva niente.
«Non possiamo riportarlo indietro così» Continuò papà «Rischia di vomitarmi tutta la macchina. O peggio».
Quel "peggio" ha il peso di tutti i mattoni delle piramidi di Giza. Peggio sottintende pipì e pupù di gatto su tutti i sedili, sulla faccia di Edward (che sarebbe la parte divertente) e sui vetri, un aroma della peggior parte felina che non passerà mai.
«Ho un'idea!» Dissi «Chiamo Mike, mi faccio venire a prendere da lui e porto il gatto con me. Tu, invece, porti Cullen alla centrale di polizia, ok? Vi raggiungo dopo che ho portato il gatto a casa»
«Ma...» fece papà, titubante «...Così il gatto non sporcherà la macchina di Mike?»
«Oh, certo che no» sorrise, cercando di far sembrare che sapessi perfettamente quello che stavo facendo «Dracula ha solo paura di Edward, non ha problemi con la macchina. E poi è già stato in auto con me e Mike e non ha fatto una piega»
«Se lo dici tu» Carlo si strinse nelle spalle «Allora scendi e chiama Mike. Aspetto che arrivi?»
«No, papà. Parti, vai avanti, porta Edward a Forks»
«E ti lascio da sola così, nei boschi?» sembrava preoccupato, come se un orso potesse uscire da dietro un tronco da un momento all'altro
«No, non ti preoccupare, pa'! Dracula mi protegge»
«Ma io preferirei aspettare...»
«Non mi muovo di qui» promisi «Chiamo soltanto Mike»
«Ma tu non hai un cellulare».
Con un gesto teatrale, scendendo dall'auto, estrassi dalla tasca del mio giubbotto il cellulare che mi era stato regalato alla gita
«E questo cos'è?» domandai, con un sorriso
«Dove l'hai comprato?» papà aggrottò le sopracciglia
«Me lo hanno regalato degli amici» dissi.
In quel momento, come a darmi ragione, il cellulare emise un pigolio lamentoso e sul suo schermo comparve la scritta "nuovo messaggio". Lo aprii: era una scritta, lapidaria, che diceva "I nerd e la torta sono una combinazione letale".
 Era un messaggio di Mike, ovviamente, e se qualcuno mi avesse chiesto di spiegare cosa significava, sarebbe rimasto deluso: non avevo la benché minima idea di cosa diamine volesse dire
Era un messaggio di Mike, ovviamente, e se qualcuno mi avesse chiesto di spiegare cosa significava, sarebbe rimasto deluso: non avevo la benché minima idea di cosa diamine volesse dire.
«È Mike» Dissi ad alta voce «Vai vai, papà, ora gli rispondo, anzi lo chiamo»
«Se lo dici tu» rispose lui, chiudendo la portiera e girando la chiave nel quadro.
Dracula sembrava già più tranquillo e si strusciò sulle mie caviglie, muovendo sinuosamente la coda.
Guardai allontanarsi la macchina con dentro Edward e papà, poi mi resi conto che sarebbe stata un'impresa spiegare a Mike dove mi trovavo.
Lo chiamai, accostai l'orecchio al ricevitore e mi preparai ad una spiegazione lunghissima...
Ma proprio mentre Mike rispondeva, vidi Alice, la più giovane dei Cullen, spuntare da un cespuglio con un movimento aggraziato. Dracula, non appena la vide, drizzò tutto il pelo e si mise a correre come un matto, costringendomi ad inseguirlo.
Alice inseguì noi.
«Pronto?» Disse Mike, al telefono
«Pronto!» risposi io, correndo forsennatamente dietro al mio gatto «Mike! Scusa un attimo, il gatto sta scappando!»
«Che? È una cosa in codice?»
«No».
Svoltai scivolando sulle foglie e solo per un soffio non finii con la faccia a terra. Finalmente Dracula si era fermato, arrampicato a quattro metri di altezza, sopra un pino.
«Puoi venirmi a prendere?» Domandai «Sono vicino a casa dei Cullen»
«Cosa?!» dalla sua voce trapelò tutta la preoccupazione «E perché? Ti ha rapita?»
«No, è una lunga storia» con la coda dell'occhio vidi Alice avvicinarsi «Ma te la racconto appena arrivi. Vuoi sapere come puoi raggiungere questo posto?»
«No» rispose lui, serio, parlando velocemente «So dove abitano i Cullen. Sto arrivando»
«Ma è che non sono proprio a casa dei Cullen, sono tipo sul vialone... e Dracula è su un albero, è spaventato...»
«Arrivo e parcheggio nel vialone. Ti chiamo, quando senti la mia voce mi rispondi così ti trovo»
«Grazie. Sei un vero amico»
«Di niente» rispose lui, poi chiuse il cellulare: probabilmente aveva fretta di venire a salvarmi.
Ed una certa fretta ce l'avevo anch'io, soprattutto ora che Alice Cullen si stava avvicinando con quello sguardo minaccioso a me ed al mio gattino indifeso. Aveva i capelli tutti spettinati, come una pazza, e niente mi garantiva che fosse meno molesta o psicopatica dell'altrettanto scapigliato fratello; ma soprattutto sembrava avercela davvero con me e camminava come un felino. Teneva le mani in tasca, perciò da quanto ne sapevo poteva stare nascondendo una pistola con cui voleva freddarci.
«Ehi!» Salutai, alzando una mano e cercando di sembrare amichevole «Ciao, sono...»
«So chi sei» rispose lei, bruscamente. La sua voce suonava leggera e sottile, come il trillo di una campanella d'argento, ma il suo tono era quello di uno scaricatore di porto a cui hai rubato una bottiglia di birra.





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 Aggiorneremo la storia su questo blog un pò più lentamente che su wattpad, quindi se avete la app di wattpad, oppure vi piace leggere direttamente da quel sito, continuate a leggere la storia da qui

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