mercoledì 3 giugno 2020

Un boccaccio di Amuchina - 12. L'undicesima storia




Qualche secondo dopo che il padrone di casa ebbe finito di raccontare la propria storia, nella stanza rimase un piacevole silenzio.
Poi il signor Lazzaretti si batté le mani sulle cosce e si sollevò dalla sua sedia con un piccolo sospiro soddisfatto, come dopo un pasto saporito e particolarmente abbondante.
«Io, gentili ospiti, sono un uomo di parola. Tutti voi mi avete concesso una storia come da accordo, pertanto è il momento che riceviate il vostro pagamento. Venite qui uno alla volta, nell’ordine in cui avete narrato la storia, ed io vi elargirò il compenso promesso».
Francesca balzò su dalla sua sedia, felice, ma l’anziana Rosetta si erse a sua volta dal suo seggio, già sul punto di aggredire la compagna di sventura. Si vedeva dai suoi occhi: era pronta a creare scompiglio.
«Io salto la fila. Hai capito? Io sono anziana e vado adesso» Le intimò minacciosa, esibendosi in una serie di parate intimidatorie
«Ma… sarei io che ho raccontato la storia per prima» fece Francesca, poco convinta.
Tuttavia fece l’errore di ritrarsi un po’: Rosetta, incoraggiata, alzò le braccia per sembrare ancora più grande. «Io sono vecchia e ne ho bisogno. Non sai che il coronavirus bersaglia noi vecchi, egoistaccia? Andare in ordine di storia non ha senso, bisogna andare in ordine di bisogno! E sono io, quella che ne ha più bisogno!».
Le parole della signora Gomblotti scatenarono una gran discussione tra i presenti. Tutti volevano andare per primi e tutti adducevano le loro buone ragioni per cui avrebbero dovuto avere questo privilegio, che fossero ragioni veramente buone o meno, spiegandole ad altissima voce. Tranne Pampineo, che non aveva idea di come convincere gli altri e stava leggendo dei passi dal suo libro di Geronimo Stilton, sperando che ripetere abbastanza volte “stratopico” gli avrebbe dato l’aria di un topo, anzi di un tipo, abbastanza affidabile da ottenere la precedenza sugli altri.
Solo Belarda Cigna e Daniele Lazzaretti si astennero dal farsi coinvolgere in questa baruffa verbale: il signor Lazzaretti perché non aveva nulla da guadagnarci, con l’Amuchina già in suo possesso, e Belarda perché aveva altro da dire a proposito.
In un primo momento si lasciò tentare dall’idea di sgattaiolare fino al boccaccio approfittando della confusione, ma il suo senso del dovere e una briciola di timore di essere sgamata e aggredita da coinquilini inferociti le fecero abbandonare in fretta quell’idea appena abbozzata.
«Fermi» Disse a volume normale, battendo le mani un paio di volte per cercare di attirare l’attenzione. Niente, era come cercare di fermare una zuffa tra galline lanciandogli contro dei pelucchi.
«Un aiutino?» Sillabò la giovane donna verso il padrone di casa, ma l’omaccione si strinse nelle spalle e si chinò a prendere tra le braccia Ivy. La cagnolina era saltata giù dalla propria sedia nel momento in cui il padrone si era alzato per andargli incontro, mentre Dracula il gatto era ancora al suo posto, ondeggiando pacificamente la punta della coda come se la baruffa a pochi passi da lui non lo toccasse.
«Lasciali stancarsi, zia» Le consigliò lui «Devono stabilire le gerarchie»
«Le gerarchie?»
«Sì. Si stancheranno prima o poi. Si scaricheranno le pile. Lasciali sbraitare, che rilasciano un po’ di adrenalina, magari poi si sentono pronti per fare una sfida squat».
Belarda si voltò verso i litiganti, ma non era su di loro che si concentrò, per un momento ancora. Osservò con la coda dell’occhio il padrone di casa, e si rese conto di non essere affatto l’unica che analizzava qualcuno in quella stanza. A parte Giangiorgio, che stava tirando le sue conclusioni sui presenti, tutte sbagliate, il signor Lazzaretti stava guardando lo svolgersi delle baruffe tra i suoi ospiti con qualcosa che era sì analitico, ma anche divertito.
Aggrottando le sopracciglia, Belarda sbuffò e ripeté, stavolta con voce alta e chiara: «Ordine!». Finalmente ottenne l’attenzione richiesta oltre ad un sacco di occhiatacce (e quelle non le aveva richieste) dalla maggior parte dei litiganti. Tutti tranne Pampineo, che appariva educatamente confuso come suo solito.
«Azzuffandosi si rimanda solo il momento in cui riceveremo quello che ci spetta» Disse in tono pragmatico la ragazza, un po’ intimidita ora che la stavano fissando tutti «Se ci limitiamo a seguire le direttive, avremo tutti l’Amuchina e basta. Mi pare ovvio cosa sarebbe meglio fare. Siamo meno di dieci persone, l’attesa non sarà mica così lunga, no?»
«È perché la gente pensa così che il Governo sta riuscendo a schiavizzarci così facilmente» Borbottò Giangiorgio a bassa voce, acido, passandosi le mani una sull’altra come una mosca nervosa.
«Devo essere io la prima» Ripeté Rosetta, allargando le braccia minacciosamente «Sono scappata agli sbirri senza battere ciglio. Credi che avrò paura di te, signorina?»
«Stratopico» disse Pampineo
«Non è questione di fare paura, signora Gomblotti» replicò la giovane donna, incrociando strette le braccia al petto «È questione di evitare scompigli inutili. Non è meglio se la facciamo finita in fretta?».
Rosetta cercò di trafiggerla con lo sguardo, ma Belarda rimase con le braccia incrociate a restituirle lo sguardo, inamovibile. Rosetta provò la parata intimidatoria prima della mangusta rossastra del Kalahari, poi della gru di Pisa e infine del bambù di Cina, ma la ragazza tenne duro nonostante l’inquietudine. La vecchia sbuffò e si voltò, lasciando perdere. Belarda tornò discretamente a respirare: aveva vinto quella battaglia.
Inutile a dirsi però, Cigna quel giorno si era anche fatta un nemico pericoloso. Appena erano entrati a Villa Lazzaretti, Belarda aveva accennato di essere parte delle forze dell’ordine, e Rosetta non avrebbe mai scordato una simile affermazione. Ma le conseguenze di questo gesto sono un’altra storia...
Sedato questo disordine, gli ospiti del signor Lazzaretti crearono una fila ordinata per ricevere ognuno il pagamento promesso. Nuan, Giuseppino, Belarda ed Emilia usarono subito la loro dose di Amuchina per disinfettarsi le mani; Pampineo la usò allo stesso modo, ma solo dopo averla fissata per qualche secondo come se non potesse accettare che fosse davvero lì. Giangiorgio e Rosetta uscirono dalla stanza e si rifiutarono a dire a tutti cosa avessero fatto della loro dose.
Eros offrì la propria porzione di Amuchina a tutte le presenti in cambio di un bacio. Piera Elodea ne fu tentata, anche se le sembrava troppo sfacciato accettare davanti a tutti senza una buona ragione, così si disinfettò una mano sola per poter avere la scusa che aveva bisogno di un altro po’ di disinfettante per completare il lavoro. Alla fine le mancò il coraggio e rimase con una sola mano pulita.
«Ora che siete tutti lindi, o almeno lo si spera» Disse il signor Lazzaretti con un’occhiata significativa ai due Gomblotti di ritorno «Vi attende una gustosa cena proteica preparata dalle mie manine deliziose. Mi sono già affezionato, mi piace viziarvi. Siete delle birbe litigiose, come dei micini un poco selvatici, ma non posso negarvi niente». Aveva piazzato il gatto Dracula sul bicipite sinistro e la cagnolina Ivy su quello destro e li faceva ballare contraendo i muscoli, guardando i presenti come se si aspettasse un elogio per la prodezza.
«Credevo che lei fosse ricco» Fece Piera Elodea, stupita «Davvero preparerà lei la cena?».
Dopo un attimo di esitazione, il padrone di casa smise il suo numero con gli animali di casa e rispose alla domanda. «Oh sì. Non ho servitù, sono un ricco anomalo io, e non voglio che scoprano i miei segreti. Faccio tutto quanto da solo, io! Sono il dio dei casalinghi!» si gasò Daniele, alzando man a mano tono
«E pulisce sempre lei?»
«Ma certamente, zia»
«Perché? Non è una cosa antipatica, fare da solo le faccende di casa per una villa così grande?»
«Ah zia, ma così mi fai provare la delusione. Sei sveglia, pensa, pensa: cosa fa Muscolerentola per essere così bella e muscolosa?»
«… Oh»
«Ecco».
La sala da pranzo era un tutt’uno con la cucina, e, come l’entrata, ambo le stanze si pregiavano di un arredamento sfarzoso ed a tema decisamente sportivo. La parete a ovest, quella da cui era entrata l’allegra brigata, era tappezzata di foto incorniciate in cui il signor Lazzaretti era ritratto in compagnia di donne ed uomini muscolosi da tutto il mondo, che sorridevano i loro sorrisi muscolosi, felici, immobili in quei piccoli pezzetti di eternità. Il body builder guardò le foto e sospirò, poi mise giù i due animaletti domestici e scivolò verso la cucina.
Non vi era un tavolo vero e proprio, ma le due stanze erano divise da una sorta di lungo bancone da bar di granito grigio, liscio e brillante, incastrato tra la parete di fondo ed una piccola colonna decorativa e affiancato da tante sedioline. C’era una rastrelliera porta pesi appoggiata alla colonna, a cui erano appesi pesi dai quattro chili in su.
«Avete allergie, signori miei?» Chiese in tono vivace il proprietario di casa, comparendo dietro il bancone e tamburellandoci su con le dita.
«Io sono allergica alle fragole» Rispose Emilia, con una nota di rammarico nella voce
«Va bene, niente fragole»
«Noi non mangiamo nulla che non abbiamo preparato noi» disse Giangiorgio, occhieggiando sospettoso la stanza. Iniziò ad esplorare in giro, sbirciando sotto le sedie, sul tetto, in tutti e quattro gli angoli della camera.
La nonna guardò il nipotino con orgoglio: lo aveva cresciuto bene. Cercava le telecamere.
«Non vi fidereste neppure se lo preparassi qui davanti a voi?» chiese Daniele, in tono giocoso
«No»
«Volete cucinare voi?»
«No»
«Vi fidereste a mangiare qualcosa di pre-confezionato?».
I due Gomblotti si scambiarono un’occhiata, sospettosi. Poi, molto lentamente, acconsentirono:
«…Sì».
Gli ospiti alla tavola erano tanti, così Nuan Huan si offrì di aiutare il signor Lazzaretti in cucina.
C’era una grande porta-finestra nella stanza, ad ovest, e da lì gli ospiti poterono guardare i colori gloriosi che la discesa del sole stava spruzzando sulle nuvole tutto intorno, mentre il buio calava come un falco dall’alto, coprendo il cielo con ali fosche.
Belarda si avvicinò alla grande vetrata, tenendo le mani strette dietro la schiena per evitare di allungare le mani sul vetro e coprirlo di ditate. L’aria fuori dalla casa era fresca, profumata prematuramente come una notte estiva, e una parte di lei desiderava aprire la porta ed uscire a godersi la sensazione. Per qualche motivo, invece, rimase dentro, e lasciò che Pampineo le si affiancasse.
«È bello» Disse Pampineo, come se non ne fosse molto convinto
«Sì, lo è» replicò la ragazza, con un sospiro. Ma non aggiunse nient’altro.
Neo cercò disperatamente un argomento di conversazione da iniziare con la ragazza, e si guardò intorno alla ricerca di un’ispirazione. Lo spettacolo di quel tramonto era davvero bellissimo, ma la casa era grande e tutti gli altri ospiti che non avevano niente da fare si erano già sparpagliati per la villa lasciando la stanza semideserta: curiosi come bambini (compreso il piccolo Giuseppe Occhio, che era un bambino per davvero) si erano divisi in gruppetti in esplorazione che avevano guardavano, annusavano, e taluni leccavano le meraviglie nascoste in quella casa.
Nuan e Daniele erano assorti nella preparazione di una cena per tutti ed in una discussione sul perché non fosse una buona idea fare delle macchine in cartone rinforzato con lo scotch e poi metterci su dei pesi veri, e non prestavano loro attenzione. Insomma, pensò Neo, era un po’ come essere da solo con Belarda.
«È bello e… uhm… il… eugh… » Si espresse Neo, gesticolando con una mano verso l’esterno, modulando la voce per sembrare poetico
«Il tramonto?» suggerì la giovane donna, voltandosi per controllare che lui non stesse avendo un attacco cardiaco.
«Molto» Lui annuì «Sai che mio zio beve il Felce Azzurra?»
«Nnooo...» rispose lei lentamente, alzando un sopracciglio «Non lo sapevo. Ed è vivo?»
«Sì, anche se non so come. Non è la prima volta che fa di queste cose, è un po’ andato di testa a dire la verità. I parenti non te li scegli, no? Sennò probabilmente rimarremmo solo io ed Emilia in famiglia» continuò il ragazzo, stringendosi nelle spalle
«Non hai tutti i torti. Ho una bella famiglia, ma c’è almeno un parente che de-sceglierei, se potessi» disse lei a bassa voce, in tono cospiratore, e Pampineo rise.
Lei sembrò sorpresa del fatto che lui l’avesse trovato divertente. Compiaciuta, gli rivolse un sorriso, le guance che si chiazzavano appena di rosa.
Lui smise di ridere e la guardò, abbagliato, mentre lei si voltava a guardare di nuovo, per un attimo, il profilo scuro delle palme che si stagliavano contro il cielo sempre più rosso. Neo era così concentrato su quel sorriso che quasi non si accorse che Emilia lo stava trascinando via per un gomito.
«Neo, andiamo, c’è un intero corridoio di foto di gattini che fanno piccoli esercizi ginnici! Devi vederlo!» Esclamò la sorella entusiasta, tirando come un cane da slitta. Il ragazzo si riscosse dalla sua contemplazione: doveva fare la sua mossa ora.
«Quindi usciresti con me?» Chiese Neo alla poliziotta, mentre cercava vanamente di ribellarsi alla presa della sorella maggiore
«Perché tu zio beve il Felce Azzurra?» fece l’altra «Mi spiace, non mi sembra il caso»
«Noooo» esclamò lui, con espressione educatamente confusa, mentre vedeva la giovane donna rimpicciolire inesorabilmente man a mano che Emilia lo tirava via, sempre di più…

Sia Nuan Huan che Daniele Lazzaretti si rivelarono essere notevoli cuochi, ed imbastirono in fretta e con maestria una cena salutare e preparata con le loro mani, con tanto di dolce. La cassiera era particolarmente brava a dosare gli ingredienti, e a Daniele bastava istruirla una sola volta sulla ricetta che sarebbero andati a preparare perché lei la memorizzasse ed eseguisse senza problemi.
I due dovettero andare a raccattare tutti gli ospiti e portarli a tavola, anche se correvano in giro come blatte e cercavano di rubare i soprammobili. Eros era nudo in piscina e snocciolava poesie romantiche tra sé e sé con aria da bello e dannato, e dovettero convincerlo a vestirsi mentre Piera Elodea sbirciava intenta.
Una volta radunati in cucina e contati, ci si rese subito conto che almeno uno di loro era assente.
«Dov’è Pinocchio?» Chiese il signor Lazzaretti, mettendo le mani sui fianchi «Che fine ha fatto il bambino?»
«Non tornerà più a scocciarci» bofonchiò la vecchia Rosa
«L’avete ucciso?» volle sapere Emilia, un po’ intrigata un po’ orripilata
«Non lo troverete mai più».
Alla fine si scoprì che i due Gomblotti avevano chiuso il bambino nella stanza che sembrava loro la più pericolosa, cioè quella dalla porta nera nell’atrio, e dopo avere piazzato l’appendiabiti a forma di spotter di fronte all’uscio anche anche erano andati a guardare il corridoio dei gattini ginnici. Giangiorgio li aveva fotografati tutti col cellulare e ne aveva invertito i colori, perché era convinto di poter trovare un messaggio segreto nel modo in cui erano disposti i loro cuscinetti.
Daniele gli disse che erano pazzi, ed andò a liberare il ragazzino (che sembrava aver visto chissà cosa) in modo che tutti fossero finalmente riuniti in sala da pranzo, mangiando al bancone di granito come ad un ristorante.
«Petto di pollo in salsa di albicocche marinato in agrodolce» Presentò Nuan Huan, orgogliosa, con un gesto ampio della mano con cui indicò tutta la tavolata
«E, se farete i bravi, una bella Victoria Sponge Cake» aggiunse Daniele con un occhiolino «Ah, dimenticavo, c’è anche il menu speciale per nonna e nipote».
Aprì di fronte a loro una scatoletta di tonno, dopo aver permesso loro di annusarla e palpeggiarla, e quella fu la loro cena, perché non si fidarono a prendere nient’altro. Giangiorgio fece una foto col cellulare anche a quella, e continuò a confrontarla con le foto dei quadri di gattini che aveva immortalato nel corridoio, con gli occhi socchiusi dietro le lenti.
La cena fu allegra. Il gruppo, per quanto malassortito e composto di persone letteralmente trovate per strada, era vivacissimo e pieno di energia e la cena passò in fretta, tra risate, teorie strampalate, aneddoti buffi e flirt a senso unico da Eros a tutte le donne presenti. Nuan si mise la mascherina sugli occhi per segnalare il suo rifiuto e mangiò così, bendata.
Sembrava un sogno. La villa era sicura e bellissima, intonsa dai pericoli del mondo, con buon cibo e compagnia numerosa: c’era davvero tutto ciò che una persona potesse desiderare, dagli animali domestici e i videogiochi alla piscina idromassaggio sotto le stelle, dai profumatori per ambienti alla lavanda ai libri e gli attrezzi da palestra.
E, come scoprirono alla sera, anche i letti più comodi del mondo.
Ovviamente, Daniele aveva una camera in cui dormire tutta sua, ma tutti gli altri dovettero accordarsi per dividersi le ben quattro stanze a disposizione per gli ospiti.
Nuan Huan, Rosetta ed Emilia si accordarono per occupare la stessa stanza, così come Piera e Belarda. Giangiorgio prenotò Pampineo, ritenendolo il più innocuo dei presenti, e lasciando in stanza assieme Eros e Pinocchio che già si stavano acchiappando per i capelli e tentando di rendere calvi a vicenda con vigorosi strattoni.
La più contenta di tutte era Piera, che non vedeva l’ora di fare amicizia e condividere segreti tra ragazze e dormire in stanza con Belarda. Non sapeva ancora di un piccolo, rumoroso particolare: la sua compagna di stanza parlava nel sonno.
Fu così che tutti gli ospiti di Villa Lazzaretti andarono a dormire per la prima volta nella grande casa con le palme.

Era mattina presto quando qualcuno bussò alla porta della grande villa del signor Lazzaretti.
Il cielo aveva appena iniziato ad illuminarsi delle sfumature pallide e slavate in cui lo aveva immerso il sorgere di un sole pigro, che faticava ad affacciarsi dietro le nuvole batuffolose che riempivano il cielo e minacciavano pioggia.
Tuttavia, non fu il padrone di casa ad aprire. Daniele si era alzato prima dell’alba per iniziare a sgranchirsi, correndo intorno alla casa insieme alla dolce Ivy per riscaldarsi un po’ prima di iniziare con i pesi.
No, ad aprire fu Piera Elodea, anche lei alzatasi prima dell’alba, ma per motivi del tutto diversi.
La sera prima, mentre tutti avevano esplorato la casa, lei aveva trovato quello che più le premeva: la dispensa. Così, quando quella notte si era svegliata a causa della sua compagna di stanza, Belarda, che continuava a spaventarla ripetendo nel sonno “vampiri vampiri sangue vampiri”, sapeva esattamente dove trovarla. E aveva iniziato a mangiare.
Solo un biscottone proteico, si era detta, ed un bicchiere di latte. Uno spuntino di mezzanotte.
Alle cinque e quarantesette del mattino, dopo aver consumato tutte le barrette energetiche all’arancia su cui era riuscita a mettere le mani, la ragazza aveva svuotato un pacchetto di avena biologica dentro ad uno dei barattoli di proteine in polvere da sei libbre del signor Lazzaretti ed aveva iniziato a cacciarsi in gola cucchiaiate piene di quella roba.
Fu così che si presentò agli occhi dei due carabinieri che avevano bussato: con la bocca piena e il suo barattolone sottobraccio, uno sbaffo di polvere proteica arricchita con creatina all’angolo della bocca ed un pigiama di marca Buccia di Pera colorato come una brutta mimetica grigia e gialla.
Il pigiama non era suo, ma lo aveva indossato comunque.
«Shì?» Chiese, a bocca piena, occhieggiando da uno all’altro, tenendo la porta semi-aperta.
I due agenti, un omaccione dai capelli argentei ed una donna piccina dai capelli dorati, si scambiarono un’occhiata. Nonostante entrambi portassero la mascherina, non era difficile leggere le loro espressioni preoccupate.
«Questa è...» Iniziò l’uomo, ma fu subito interrotto dalla collega:
«No, no, parlo io, sono la più vecchia. Questa è villa Lazzaretti?» inquisì la donna, con forte accento calabrese.
«Shì» Confermò Piera
«E lei è la signora Lazzaretti?» attaccò l’altro
«Gno». Piera mandò giù la sua cucchiaiata, ma si voltò per tossire un po’ di polvere marrone che le era andata di traverso prima di parlare di nuovo con i due in divisa «Uugh… avrei dovuto metterci del latte, è un po’ secco. Pazienza. State cercando il signor Lazzaretti?»
I due agenti fecero immediatamente un passo indietro, scambiandosi un’altra occhiata preoccupata.
«E questa tosse ce l’ha da molto?» Interrogò la carabiniera, assottigliando gli occhi grigi
«Uh? No, no no! Non sono malata! Ho solo, vede, mangiato un po’ di polvere» Piera sollevò il cucchiaio per mostrarlo ai due agenti, allarmata «Vede? Sto benissimo! Ne volete? Volete entrare?»
«Signorina, se non è parte della famiglia Lazzaretti, cosa ci fa qui? Non sa che gli assembramenti sono vietati?» intervenne il carabiniere.
Piera Elodea li guardò con espressione neutra, come se avesse avuto problemi a metabolizzare l’informazione. Tossì un’altra nuvoletta di polvere al cioccolato.
Prima che lei avesse il tempo di rispondere o che i carabinieri decidessero di imballarla in delle salviettine umidificanti e portarla al pronto soccorso, il signor Lazzaretti in persona arrivò a corsetta leggera, fermandosi accanto alla porta in posa plastica da bodybuilder per mostrare il tricipite destro. Era a torso nudo, la maglietta grigia legata ai fianchi solidi, e goccioline di sudore sparse gli imperlavano il corpo statuario.
«Zii in uniforme» Disse Lazzaretti, mentre Ivy lo imitava e si metteva in posa da concorso canino accanto al suo piede «Qui amiamo tutte le forze, anche quelle dell’ordine. Cosa vi porta alla mia dimora?»
«Lei è il signor Lazzaretti?»
«In persona e proteine. Come posso aiutarvi?»
«Signor Lazzaretti, durante la nostra ronda mattutina non abbiamo potuto non notare quest’anomalia. Perché ci sono tutte queste automobili parcheggiate qui di fronte?» chiese la donna, e fu distratta da una seconda posa
«Non è concesso portare tutti questi estranei in casa propria, è un assembramento bello e buono!» chiese l’uomo, e fu distratto dalla terza posa.
Alla quarta posa, ahimè, entrambi si erano ripresi dallo sbigottimento e non lasciarono più che venisse perso il filo del discorso.
«Quanti siete in questa casa?»
«Uhm…» gli occhi di Piera saettarono dal signor Lazzaretti alla carabiniera che l’aveva interrogata, in cerca di aiuto «Non tanti…?». Ma gli occhi del culturista non potevano incontrare i suoi, perché si erano fissati sulla gran quantità di cibo che la ragazza cullava come un neonato.
«Signorina, tu hai molta fame»
«Shì»
«E quante scorte ti sei già mangiata?»
«Uhm… non tante…?» Ripeté lei, facendo un innocente sorriso al cioccolato
«Che fame chimica» commentò il muscoloso, impressionato
«Ah, c’è anche droga?» esclamò la carabinera
«No no, non sono malata e non mi drogo!» assicurò Piera, agitando la mano che stringeva il cucchiaio con ansia «Vi giuro di no!»
«D’accordo, signorina, le credo. Signor Lazzaretti, dovremmo multarla già ora, ma lei ha fatto molte pose...» il collega le diede una gomitata «Ma siamo buoni, volevo dire, e le daremo la possibilità di evacuare casa e chiuderemo un occhio se lo farà subito, in virtù dei suoi soldi...» un’altra gomitata «Del suo cane, intendevo. È un cane molto grazioso».
Daniele non sembrò felice di dover sfrattare tutti i suoi inquilini, ma non voleva mettersi contro le forze dell’ordine o pagare multe stratosferiche, quindi fu costretto a quell’ora a buttare giù dai lettini tutti i suoi ospiti e spiegar loro la situazione.
Molti di loro non presero bene la notizia. Rosetta si defenestrò dal retro perché “la pula non l’avrebbe mai presa”, e Giangiorgio seguì il suo esempio. Eros, che aveva metà capelli rispetto a quando era arrivato e i cui stinchi si erano gonfiati per i calci che il compagno di stanza gli aveva rifilato nel sonno (tanto da farlo sembrare provvisto di ben quattro gambe), protestò ad alta voce, di pessimo umore: come si pretendeva che tornasse a Caltaleone ridotto così? Come avrebbe conquistato la sua Anita, se sembrava un mostro?
A tutti loro era stato offerto quel nido in cui si erano trovati tanto bene, quel paradiso per un solo giorno, e ora stavano per abbandonarli di nuovo al contaminato, tossente mondo crudele?
«Sì» Confermò Daniele.
Il pensiero di molti volò al mitico boccaccio di Amuchina. Stavano davvero per lasciarsi tutto quel ben di Dio alle spalle?
«Ve ne dovete andare» Insisté il padrone di casa, incrociando le braccia al petto, e non ci fu più niente da fare.
Ai due carabinieri diventarono gli occhi tondi tondi quando videro la processione di persone che uscivano dalla casa del ricco sportivo, e non sapevano più se fargliela passare liscia, fare multe a tutti o imballare tutti in una palla di salviettine umidificanti e mascherine. Alla fine iniziarono a battere le mani e fare rustici versi incoraggianti, come pastori ad un branco di pecore, mentre i cantastorie rientravano nelle auto, alcuni pronti a continuare per la propria strada, altri pronti ad essere riaccompagnati a casa.
In molti accarezzarono con gli occhi il profilo di Villa Lazzaretti, pieni di desiderio e nostalgia, e lo sguardo dell’imprenditore si riempì di compassionevole tristezza nel vedere i suoi ospiti costretti ad andarsene come pecorelle smarrite. Ma era meglio così, nonostante la stretta che avvertiva al forte cuore, allenato da ore di cardio che avrebbe voluto saltare.
«Il mio piano di avere almeno cento storie con cui passare il tempo è appena svanito nel nulla, me misero, me tapino» Disse Daniele, in tono nostalgico. Ma dopo un attimo di abbattimento, il ricco imprenditore decise di non prendersela ed aggiunse, con filosofia: «Non fa niente, tanto Piera si stava mangiando tutto e saremmo rimasti presto senza scorte. Dovrò continuare la quarantena da solo, ahimè, fino a quando questa quarantena si alzerà e potrò riabbracciare la mia ragazza»
«È molto lontana?» chiese il carabiniere dai capelli argentati, in tono comprensivo
«Sta partecipando ad una gara di powerlifting in Austria. Avrei dovuto raggiungerla, ma ora non si può viaggiare, come sa...»
«Sono certo che vincerà»
«Anch’io. Buona giornata, agenti»
«Buona giornata, Lazzaretti».

Il gruppo, quasi a malincuore, fu disperso.
Nonostante fosse stato appena un giorno, tutti loro, in un modo o nell’altro, furono cambiati da quello che accadde nella bella Villa Lazzaretti, alcuni in modo positivo, altri negativo. Nessuno rimase esattamente uguale a come era entrato e ognuno di loro aveva una strana, strana giornata da raccontare, e tutto era iniziato per un boccaccio di Amuchina.

«Cos’ha questa gente che non va?» Chiese il primo carabiniere
«E che ne sooo ioooo» rispose la collega, tale Rosamaria Miseri, che aveva l’abitudine di allungare di molto le “o” quando voleva mostrarsi superiore ad una certa vicenda.
«Tutti ammassati in una casa...»
«Tra questo e la festa di carnevale… certa gente non sa prendere le sue precauzioni»
«C’era pure un bambino di mezzo!»
«Verissimo, Luì. Ora non vedo l’ora di andare a trovare mio nipote, appena stacco»
«Non era stato ricoverato all’ospedale dei Bambinelli Santi?»
«Sì, ma ancora non è tornato il risultato, ma sicuramente non ha niente, lui dice che non si sente più niente, che era un poco di raffreddore. Che non vado a darglielo un bacetto a mio nipotino Tristano?».
In lontananza, una villa con le palme salutava il sole che sorge. Un nuovo giorno, una nuova storia.




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